Lo tsunami Omicron e la scelta tra il ripetere un secondo booster o somministrare nuovi vaccini più mirati semina scompiglio nelle strategie vaccinali e divide l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità. La scelta tra i due approcci è una corsa contro il tempo che vale denaro e salute perché si dovrà decidere quali tipologie di dosi – già pre-acquistate – si dovrà far produrre alle case farmaceutiche da qui alla fine dell’anno, per scongiurare nuove ondate.
Ieri l’Ema, l’Agenzia europea dei medicinali e l’Fda, l’americana Food and Drug Administration si sono riunite d’urgenza per concordare un approccio comune e uscire dal caos dove ogni Paese, anche nell’Ue, rischia di andare per conto proprio (è di ieri la notizia del via libera in Danimarca alla quarta dose per i fragili). Ma l’incontro è stato aggiornato senza decisioni concrete.
L’Oms è divisa
Già il giorno prima, l’Oms aveva fornito segnali discordanti. Il direttore dell’ufficio europeo, Hans Kluge, ha riesortato le nazioni del Vecchio continente a somministrare la terza dose all’intera popolazione. Il Gruppo tecnico sui vaccini Covid-19 ha criticato il modello booster e dichiarato che servono vaccini che prevengano in modo duraturo l’infezione e la trasmissione del virus Sars-Cov-2, oltreché la malattia da essa indotta, il Covid appunto. Contro la “terza dose dei ricchi”, si era già scagliato prima di Natale il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus, accusando l’Occidente di lasciare sprovvisti i Paesi meno abbienti, dove in molti casi non hanno neanche avuto la prima dose. Senza contare come la scarsa copertura vaccinale in queste regioni potrebbe far emergere nuove varianti. Il 7 dicembre scorso il Gruppo consultivo di esperti sull’immunizzazione aveva pubblicato un documento, passato nel silenzio stampa, che dimostra che per ridurre ricoveri e decessi in modo equo in tutto il mondo occorre dare priorità al ciclo completo per tutti e alla terza dose solo per le categorie fragili (anziché boostare in modo indiscriminato e vaccinare anche i più giovani). E anche il Centro europeo per il controllo delle malattie, l’Ecdc, aveva avvertito nel suo ultimo rapporto del 25 novembre, che la vaccinazione dei bambini e la terza dose generalizzata avrebbero avuto un impatto limitato nel contrasto all’emergenza sanitaria.
I nuovi vaccini: miraggio
Gli attuali vaccini riducono i ricoveri e i decessi, ma meno di quanto promesso la possibilità di infettarsi e contagiare gli altri, non sono dunque, come abbiamo imparato, sterilizzanti. Per farne di nuovi potrebbe essere necessario cambiare i protocolli dei test clinici, con tempistiche non immediate. È proprio uno dei punti dibattuti da Ema e Fda nel 2020: vista l’emergenza, avevano stabilito che per approvare un vaccino bastava che il siero si dimostrasse efficace nel prevenire la malattia. Non è chiaro se alle case farmaceutiche verrà chiesto di provare che i loro nuovi vaccini modificati abbiano pari efficacia anche contro l’infezione.
Sul punto, l’Ema si riserva un “no comment”. Per ora sta discutendo le diverse opzioni coi quattro produttori dei vaccini già somministrati nell’Ue: Johnson&Johnson, Novavax, Moderna e Pfizer (distributore del prodotto della tedesca Biontech) che finora ha totalizzato l’incasso record di quasi 30 miliardi di euro.
La multinazionale americana lo scorso novembre aveva annunciato un vaccino specifico per neutralizzare l’infezione Omicron per marzo di quest’anno. Al tempo stesso, ha chiesto l’approvazione della terza dose per i 16-17enni e si appresta a bissare per i 15enni.
Le dosi già pre-acquistate
Marco Cavaleri, capo della strategia vaccinale dell’Ema, ha espresso dubbi sui vaccini Omicron che potrebbero arrivare quando si potrebbe essere già diffusa un’ulteriore variante, puntualizzando che l’ideale sarebbe un vaccino capace di neutralizzare diverse possibili varianti. L’alternativa sarebbe adattare gli attuali vaccini per richiami che offrano una durata di protezione più lunga rispetto all’attuale booster. In gioco ci sono i 900 milioni di dosi aggiuntive di Pfizer che la Commissione europea ha prenotato nel maggio 2021 (con un’opzione per altri 900 milioni) per i prossimi due anni. Da contratto, una quota non specificata comprende eventuali vaccini per nuove varianti. Ben 215 milioni dosi verranno consegnate entro fine marzo per consentire agli Stati membri di somministrare il booster ai cittadini prima che scadano i loro certificati Ue, necessari per gli spostamenti oltre-frontiera (validità armonizzata a 9 mesi). Accordi simili sono stati siglati con la connazionale Moderna, produttrice anch’essa degli avanzati vaccini mRna.
Per il 2022 restano ancora 450 milioni di dosi Pfizer (più quelle opzionabili). Potranno diventare altrettanti booster, ma la copertura contro la malattia sembra limitata nel tempo (si ridurrebbe del 10-15 % dopo due mesi, secondo l’Imperial College di Londra), o dei nuovi vaccini che rischiano però di essere inutili, quando saranno autorizzati, in caso di nuove mutazioni. Però le dosi gli Stati dovranno pagare lo stesso. Il contratto di approvvigionamento firmato con la Commissione deresponsabilizza l’azienda da qualsiasi limitazione nella prestazione del suo prodotto.
Il mercato delle dosi
Il paradosso è che Pfizer ha fino al dicembre 2023 per comunicare i più cruciali dati di efficacia dei vaccini via via sviluppati, in base all’autorizzazione rilasciata dall’Ema. Questa ha scritto lo scorso novembre, nel rinnovo annuale dell’autorizzazione del vaccino: “Permangono incertezze sulla durata della protezione, sull’efficacia nei gruppi a rischio e contro le imminenti varianti”. Sul Registro Ue post-autorizzazione dei farmaci, di studi in corso su questi aspetti non vi è traccia.
“La mancanza di documenti indica che tali studi rimangono in una fase molto precoce”, ha denunciato a fine dicembre Peter Doshi, docente all’università americana del Maryland ed esperto di fama mondiale in sperimentazione clinica. Sul British Medical Journal (da lui co-diretto), “gli studi a cui i produttori danno la priorità servono a ottenere l’approvazione per dosi aggiuntive o per nuovi vaccini”. Concorda David Dowdy, professore di Epidemiologia delle malattie infettive alla conterranea Johns Hopkins University: “Il modo strategico in cui sono rilasciati i dati mira a espandere il mercato dei vaccini, occorre una maggiore pressione pubblica per la sorveglianza post-approvazione, c’è però da dire che le case farmaceutiche hanno un forte incentivo a offrire un prodotto di qualità”.
Forti delle regole Ue sulla confidenzialità dei trial clinici, Pfizer e i suoi concorrenti negano l’accesso a cruciali dati clinici che permetterebbero ai ricercatori indipendenti di condurre analisi e informare rapidamente le autorità di regolamentazione.