“Per i miei, scrivo ‘canzonette’: sono grato all’indifferenza”

“I miei vennero a riprendermi in questura”

Cosa aveva combinato, gIANMARIA?

Con gli amici avevamo fatto graffiti su un muro, già imbrattato con piselli e svastiche.

Che graffiti?

Mi facevo pubblicità per un pezzo, allora mi chiamavo GiammXOXO.

Ma su quale muro?

Di una chiesa storica, qui a Vicenza. Patrimonio Unesco.

Bella cazzata.

Erano le tre di notte, non girava nessuno. Le volanti ci accerchiarono. Un blitz.

Una lavata di capo.

Macché, ci fu il processo. Perdono giudiziale. Alla prossima finirò in galera.

Genitori disperati.

Alle medie pregavano i prof di non bocciarmi.

Studente scarso.

Alle superiori scelsi lingue, però non era la mia strada. Ripiegai, a caso, su Ragioneria. A scuola stavo male fisicamente. Anche l’economia non è cosa. Per fortuna a giugno farò maturità in un centro studi.

Cosa legge, a vent’anni?

Poeti. La Beat Generation, Bukowski. Sanguineti. In un mio brano, Ascolta, cito D’Annunzio, La pioggia nel pineto.

A X-Factor è arrivato secondo: si è dimostrato in gamba. Che dicono i suoi?

Per la prima volta sono fieri di me, anche se mamma dice che faccio canzonette: non ha capito che da tre anni questa è la mia vita.

Suo padre?

È scosso da Suicidi.

Ricorda il romanzo di Nick Hornby Non buttiamoci giù.

In effetti mi sono ispirato al film tratto dal libro. Ma nella mia canzone il tetto è solo lo scenario, volevo raccontare i drammi di queste persone, descriverne le psicologie.

Nei suoi testi c’è la fragilità di una generazione, e la complessità del quadro familiare.

I miei si separarono quando ero piccolo. Li ho odiati, è stato utile. Ora li perdono. Crescendo ho capito le sfumature dell’incomprensione. E che non devi idealizzare né emulare chi ti mette al mondo. Li ringrazio per non avermi incoraggiato nell’arte. La loro indifferenza mi ha spinto a trovare nella musica la cura per la mia sensibilità esposta. Prima avevo coltivato passioni effimere.

Tipo?

Basket, skate, boxe.

La boxe?

Mi preparavo per gli incontri. Ma andavo sempre Ko.

Trovò impiego in pizzeria.

Sino all’estate scorsa. Impastavo, infornavo. Mi piaceva condire.

Poi il percorso verso la finale di X-F.

Dopo la fine sai che non hai neppure iniziato la gavetta. Ti sembra strano non avere più accanto chi ti sistema i capelli, chi cura gli arrangiamenti. Ma è giusto. Artisti si diventa dopo un lungo cammino. Io capisco le cose se mi trovo nella zona oscura, non quando aumentano i follower perché ti hanno visto in tv.

Avrà soppesato i consigli dei big.

La condivisione di Vasco sui social e le chiacchierate con Samuele Bersani mi hanno aiutato a resettarmi per tenere a freno il mio ego e per non sminuirmi. Ho superato l’inconsapevolezza di me stesso.

A X-F era favorito, poi ha vinto Baltimora e lei si è lanciato in una corsa.

Mi sono tolto la giacca, mi dava fastidio, e volevo salutare il Forum. Emma mi aveva detto: non farlo, penseranno che vorrai togliere la scena a Baltimora. Allora mi sono messo a correre intonando il suo pezzo.

Venerdì esce il suo Ep Fallirò. Un titolo da ansia di prestazione o paraculata?

La prima. So che fallirò e cadrò mille volte. Il mio percorso è appena cominciato. Me lo dice la strada. A Milano sono invisibile, un nulla nell’universo.

A Vicenza, invece?

Rischio di incontrare le mie ex con altri.

Questo la fa soffrire?

No, sono stato sempre io a lasciare. Voglio andarmene perché mi piace una di fuori.

Lei, Sangiovanni, Madame. Perché i nuovi idoli sono tutti di Vicenza?

Dicono perché qui c’è una base americana importante. E che i soldati hanno importato la trap. Boh. Quelli non si mischiano con gli italiani.

Duetterà con Madame?

L’idea c’è. Madame è molto importante per me. Siamo simili, e complicati.

A marzo in tour, pandemia permettendo.

Vorrei live veri, come quello di Salmo. O quelli di De Gregori e Morgan, mi ci portò mio padre. Concerti con il pubblico che non rischia la salute, e cantanti che non bluffano in playback.

Il più pazzo dei grandtour

Trentanove storie di posti straordinari, pittoreschi, inauditi, disseminati ai quattro angoli del pianeta e all’ombra di un gps del cuore. Che siano arcadici o perturbanti, è il fascino imprevedibile la loro cifra comune.

Li ha messi in fila il geografo inglese Alastair Bonnett nel suo Oltre le mappe, in uscita domani con Blackie Edizioni. Un manifesto, una dichiarazione di resistenza di alcuni anomali luoghi naturali e artificiali al riscaldamento globale, alle migrazioni di massa, alle violenze etniche, al progresso tecnologico indiscriminato. Perché le cartine sono materia fluida e la geografia una disciplina vertiginosa e viva. A cominciare dalle “isole ribelli”, che sembrano “voler turbare l’indifferenza della terraferma”.

Prendiamo le Minquiers, secolarmente contese da Francia e Inghilterra. Con l’alta marea “solo nove isolette restano visibili, dunque compaiono e scompaiono di continuo davanti agli occhi, a volte sembrano sbucare dal nulla”. Oppure l’Arcipelago multioceanico delle micronazioni unite, una comunità fondata nel 2008 dal “reverendo dottor Cesidio Tallini, erudito alternativo”. Ambisce ad apporre le proprie bandierine in tutti i frammenti insulari sfitti dell’universo: d’altronde, non predicava un po’ lo stesso lo statunitense “Guano Island Act”, risalente al 1856 ma mai abrogato ufficialmente? Intanto i cinesi hanno trasformato un atollo incantato e snodo geopolitico come le isole Spratly in “un rettangolo bianco candido con una pista di atterraggio e un minaccioso porto puntellato da cacciatorpediniere e da altre navi, come fossero i denti neri della mascella di uno squalo”.

Bonnett cova in sé un’anima da giardiniere guerrigliero, da “Robinson Crusoe delle autostrade”, e così un bel giorno si è messo a trapiantare fragole selvatiche e piante di menta su un desolato spartitraffico vicino casa sua, a Newcastle. Anche questa è un’isola. Della mente.

Ci sono poi le nazioni vacillanti, minoranze rispettate o conculcate. Dall’enclave ladina nel nord Italia (lì “come ti chiami?” si pronuncia “ke asto gnòm?”) al muro del Sahara Occidentale, la barriera militare più lunga con i suoi 2.200 chilometri di mine antiuomo. Edificato tra il 1980 e il 1987, lo presidiano 90 mila soldati: lo sfondo è quello del conflitto a bassa intensità tra il Marocco e la revanscista repubblica araba democratica dei Saharawi, il Fronte Polisario. Certo, tracciare confini sulla sabbia del “Muro di Berlino del deserto” non può essere un’operazione geometrica tra le più irresistibili.

Il 23 giugno 2016 il Regno Unito si è espresso a favore dell’uscita dall’Unione Europea. Pochi giorni dopo, l’8 luglio, Stratford Grove, “la via in cui ho vissuto per 23 anni, ha dichiarato la sua indipendenza dal Regno Unito” rivela Bonnett. E aggiunge: “Abbiamo occupato il tratto finale della strada e istituito un punto di frontiera in cui, dopo un test di cittadinanza, abbiamo rilasciato dei passaporti. Conservo ancora il mio, un pezzo di carta con un gallo stampato sopra. Non è altro che un semplice pezzo di carta, il ricordo di una festa di quartiere. Eppure non riesco a buttarlo via. Qualunque tipo di passaporto, compreso questo, possiede una sua alchimia”. A proposito, l’inno nazionale della repubblica secessionista di Stratford era Boogie Wonderland degli Earth, Wind&Fire.

Non manca nel libro uno sguardo romantico, ma smaliziato, alle utopie topografiche contemporanee, come la cibertropia di Second Life, il villaggio autogestito post-hippie (a Copenaghen) di Christiania e il Giardino di pietra di Chandigarh, in India. Lo progettò l’architetto Nek Chand, a contorno degli edifici circostanti disegnati pochi anni prima nientemeno da Le Corbusier.

Infine i luoghi fantasma, occulti. La stazione ferroviaria più trafficata al mondo, Shinjuku, ribattezzata “il triangolo delle Bermuda di Tokyo”: pare vi spariscano i pendolari. Le “lev line”, i centri d’energia spirituale all’interno delle nostre città, manna per “sciamani, oracoli e stregoni urbani”. Le Hidden hills in California, dove vivrebbero celebrità come Justin Bieber, Jennifer Lopez e Kim Kardashian: sarà per questo che nessuna delle sue 648 residenze è su Street View. Solo uno spazio bianco. Alla periferia di Edimburgo l’appartamento all’1, 18 di Royston Mains Street, in cui Irvine Welsh ambientò Trainspotting, è, in realtà, la sede di 438 società fittizie. “Qui, nel 2014, è stato fatto sparire come per magia circa un ottavo della ricchezza della nazione più povera d’Europa, la Moldavia”. Oltre le mappe c’è anche questo.

L’Onu proroga gli aiuti nelle aree fuori dal controllo del regime

Le guerre mietono vittime non solo con i bombardamenti: le conseguenze sono mancanza di cure mediche, cibo, acqua e riscaldamento. In Siria, a 11 anni dall’inizio del conflitto, ci sono ancora milioni di persone, tra cui bambini e anziani, senza casa e mezzi che il rigore invernale rende ancora più urgenti. Per questa ragione la conferma che gli aiuti umanitari transfrontalieri sono stati prorogati per sei mesi, pur senza un nuovo voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è una buona notizia. Il Consiglio di sicurezza aveva precedentemente rilasciato un’autorizzazione della durata di sei mesi, consentendo l’arrivo degli aiuti nelle aree controllate dai ribelli, sotto la supervisione di Ankara, attraverso l’uso del valico di Bab al-Hawa, al confine tra Turchia e Siria, fino al 10 gennaio 2022. Bab al-Hawa è l’ultimo valico con mandato delle Nazioni Unite che consente di fornire aiuti diretti alle aree siriane bisognose senza passare attraverso i canali del regime di Damasco. Ogni mese transitano più di 1.000 camion che trasportano cibo, medicine e altri generi umanitari. Nel rapporto del mese scorso, il capo delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva sottolineato l’impossibilità di sostituire in questa fase il meccanismo transfrontaliero con uno che preveda il passaggio attraverso le linee del fronte partendo da Damasco. Si tratta della soluzione perseguita dal dittatore siriano Bashar al-Assad, rimasto al potere grazie alla Russia, in quanto significherebbe il riconoscimento della sovranità del regime siriano sull’intero Paese. Il portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric ha definito la consegna transfrontaliera essenziale: “Abbiamo bisogno che gli aiuti vengano forniti attraverso i confini. Solo così potremo soddisfare i bisogni umanitari di tutti i siriani”. Gli aiuti attraverso il valico di Bab al-Hawa servono principalmente i circa tre milioni di siriani che vivono nella regione di Idlib, ultima roccaforte anche degli islamisti. In una rara dimostrazione di unità, il 9 luglio 2021 il Consiglio di Sicurezza aveva adottato all’unanimità una risoluzione di compromesso dell’ultimo minuto. Mosca ha ripetutamente accusato gli Stati Uniti e l’Europa di politicizzare gli aiuti umanitari nel tentativo di convincere gli altri membri del Consiglio di Sicurezza ad acconsentire la continuazione della fornitura dalla capitale siriana. Ma la garanzia che Assad li consegni alla popolazione che vive nell’area ribelle è, ovviamente, impossibile da ottenere. Nel 2014, il Consiglio dell’Onu aveva aperto 4 valichi di frontiera umanitari, ma nei successivi rinnovi il numero è stato ridotto a uno in seguito al veto posto da Russia e Cina.

“Portate da bere”: Johnson e 100 invitati al Covid party

“Ciao a tutti! Dopo un periodo così impegnativo, abbiamo pensato che sarebbe carino approfittare del bel tempo e farsi un goccetto insieme nel giardino dell’N°10 stasera. Dalle 6 portate da bere!”. Questo è il testo della mail inviata a più di 100 impiegati dell’ufficio del primo ministro britannico, Boris Johnson, dal suo primo segretario, Martin Reynolds. Data: 20 maggio 2020. Meno di un’ora prima, il ministro della Cultura, Oliver Dowden, in conferenza stampa, aveva raccomandato al resto del Paese, in lockdown da marzo, di seguire le regole che in quel periodo consentivano di incontrare all’aperto e a distanza di sicurezza, una persona al massimo.

Cinque giorni dopo, lo stesso Boris Johnson invoca l’intervento della polizia per impedire feste all’aperto. Dei party a Downing Street, in violazione delle regole imposte fuori, si era parlato già prima di Natale, e dei drink del 20 maggio, a cui aveva partecipato anche il primo ministro, erano usciti brandelli di racconti e una foto che lo ritraeva a godersi il sole in giardino in compagnia di due collaboratori e della moglie Carrie Symmonds che allattava il figlio neonato, pasteggiando a vino e formaggio come nella migliore tradizione dei picnic di primavera inglesi. Ma questa mail, arrivata al canale Itv, è la pistola fumante, perché contraddice la spiegazione ufficiale: non si è trattato di una pausa casuale e nemmeno di incontri di lavoro proseguiti dall’ufficio al giardino, ma di una festa convocata con anticipo proprio dal segretario del premier, cui avrebbero partecipato almeno 40 persone. Difficile credere che l’invito sia partito all’insaputa o contro la volontà di Johnson: che venga o no provato che era al corrente, o magari entusiasta, l’immagine è già quella di un premier, fra l’altro scampato al Covid poche settimane prima, che in una fase di estrema emergenza ignora le indicazioni dei suoi scienziati, contravviene alle regole che presenta al pubblico come necessarie per uscire dalla pandemia, manca di rispetto alle vittime e ai concittadini a cui chiede sacrifici e rinunce, mente quando scoperto e coinvolge in questa sequenza di omissioni e bugie metà governo, chiamato a sostenere in tv la sua versione dei fatti. Rischia di travolgere anche il Met, la polizia, che fa sapere di aver preso contatto con l’ufficio di gabinetto dell’esecutivo ma non annuncia formalmente l’inizio di indagini e per questo è subissata dalle critiche. La replica di Johnson alle ultime rivelazioni è un no comment, “il primo ministro non può esprimersi perché rispetta l’integrità della inchiesta interna alla pubblica amministrazione”. Indifendibile doppia morale, specie in un paese che, almeno formalmente, non ha familiarità con le menzogne in politica. E infatti l’opinione pubblica è disgustata. L’opposizione, già da settimane in vantaggio nei sondaggi, attacca facile. Il Labour ieri ha chiesto che Johnson rispondesse accuse in parlamento; lui non si è presentato ma è finito infiocinato a distanza da testimonianze come quella del deputato laburista Afzal Khan: “Mia madre è morta da sola in ospedale, mentre io per rispettare le regole sedevo in macchina nel parcheggio pur di starle il più vicino possibile”. Fra i Tories l’umore è di nuovo plumbeo: “Non capisco come qualcuno responsabile della strategia anti Covid possa restare al suo posto dopo aver organizzato o partecipato ad una festa quando era proibito” ha dichiarato il deputato conservatore Nigel Mills. La diagnosi politica è che Johnson regge, per ora, perché il partito non riesce a mettersi d’accordo sul successore, e accetta una dannosa emorragia di consensi solo per mancanza di valide alternative.

Almaty Toqaev nomina il premier e attacca Nazarbayev: “È colpa sua”

Con la scelta di Alikhan Smailov nel ruolo di primo ministro, il presidente Kassym-Jomart Toqaev vuol chiudere definitivamente l’era Nazarbayev, a cui ha attribuito i disagi sociali del Paese. L’ex premier Askar Mamin si era dimesso la scorsa settimana nel tentativo di placare la rabbia dei manifestanti esasperati per l’aumento del gasolio, e Toqaev aveva provveduto a estromettere Nursultan Nazarbayev, leader per quasi 30 anni del Kazakistan dal suo posto di capo del Consiglio di sicurezza nazionale. Del resto Toqaev, parlando al Parlamento, non ha risparmiato critiche a Nazarbayev, affermando che proprio a causa sua è cresciuta una classe di ricchi e che è arrivato il momento che questi paghino il debito che hanno nei confronti del popolo: “Grazie al primo presidente, Nursultan Nazarbayev, un gruppo di aziende ad alto reddito e persone ricche sono emerse nel nostro Paese, ma penso sia giunto il momento per loro di pagare i debiti che hanno con il popolo del Kazakistan”. In questo contesto Toqaev ha annunciato l’istituzione di un fondo per “risolvere i problemi sociali” e le aziende con più risorse saranno chiamate a contribuire. Restano zone d’ombra: è stata rivolta popolare o come ha sostenuto Toqaev, un attacco vero e proprio gestito da forze esterne? Di scontri ad Almaty non se ne vedono più e le truppe russe dovrebbero partire da un paio di giorni.

Il mondo è alla canna del gas e le rivoluzioni non aspettano più

Il Kazakistan potrebbe essere solo il primo caso. Il binomio inflazione-rivoluzione rischia di mettere a soqquadro i governi di mezzo mondo, soprattutto quelli che da anni usano i sussidi pubblici per mantenere il potere. Undici anni fa, il rialzo improvviso dei prezzi al consumo, scatenato dall’aumento del prezzo del grano, aveva incendiato gli animi nel Nord Africa e in buona parte del Medio Oriente. Adesso il quadro è reso più complicato dal fatto che a trainare i prezzi sono gas e petrolio. I governi hanno una sola opzione per frenare i rincari: sussidi statali. È quello che ha fatto ad esempio il governo italiano, inserendo nell’ultima legge di Bilancio 3,7 miliardi di euro di aiuti per frenare il rincaro delle bollette.

Una scelta applaudita da tutto l’arco parlamentare, anche se in contraddizione con quanto concordato solo due mesi fa alla Cop26 di Glasgow, dove è stata promessa la “riduzione graduale” dei sussidi alle fonti fossili. L’aumento del prezzo del gas è stata la scintilla delle proteste in Kazakistan. La colpa che i manifestanti hanno attribuito al presidente Kassim-Jomart Toqaev – che ha risposto con 160 morti, secondo i dati del suo stesso governo – è stata quella di non aver messo un freno ai rincari. E infatti nei giorni scorsi il regime è corso ai ripari, varando di fretta nuovi sussidi pubblici per spingere al ribasso i prezzi del metano. La rivolta scoppiata nel Mangistau potrebbe ora propagarsi oltre la steppa kazaka. In Uzbekistan lo scorso novembre il presidente Shavkat Mirziyoyev aveva annunciato che dal 1º gennaio le bollette del gas e dell’elettricità sarebbero aumentate. I piani devono essere cambiati dopo aver visto quanto successo oltreconfine: finora in Uzbekistan non è entrato in vigore alcun aumento e l’energia continua a essere abbondantemente sussidiata dallo Stato, con prezzi al consumo tra i più bassi al mondo (0,035 dollari per un metro cubo di gas, 0,60 dollari per un litro di benzina). Vanno avanti già da due mesi le manifestazioni anti-governative in Malawi, una delle poche democrazie dell’Africa. A scatenare la rabbia popolare contro il presidente Lazarus Chakwera anche qui è stata l’inflazione. Tra settembre e dicembre i prezzi sono cresciuti a tassi vicino al 10% al mese.

Le manifestazioni sono arrivate all’apice a inizio dicembre, quando il governo ha approvato una serie di aiuti pubblici per calmare gli animi. In Ecuador i manifestanti stanno invece organizzando proprio ora le proteste contro il presidente Guillermo Lasso, che ha riportato il centrodestra al potere dopo quasi 20 anni. Sindacati, comunità indigene e opposizione hanno annunciato una grande manifestazione per il 19 gennaio. Nell’ultimo anno il prezzo dei combustibili (diesel e benzina) in Ecuador è aumentato del 90%. In India, nello Stato dell’Andhra Pradesh – 50 milioni di abitanti – i prezzi sono cresciuti del 4,9 % a novembre su base mensile, spinti dai rincari del gas e dalla benzina. Il capo dell’opposizione, Chandrababu Naidu, ieri ha preso la palla al balzo. Incolpandolo per non essere riuscito a mettere un freno ai rincari, ha invocato proteste contro il governatore della regione, Biswabhusan Harichandan, dirigente storico del Bjp, il partito di Narendra Modi. D’altro canto sono molte le nazioni dove, nonostante aumenti dei prezzi anche più alti, per ora non si registrano proteste. Non solo quelli dell’area euro e gli Stati Uniti – gli ultimi dati indicano un’inflazione rispettivamente del 5% e del 6,8% – ma anche Paesi dove l’aumento dei prezzi si unisce a un altro fattore di rischio, una moneta debolissima nei confronti del dollaro, la valuta usata sui mercati internazionali per comprare gas e petrolio. Un spirale pericolosissima in cui è finita la Turchia, dove i prezzi crescono a una velocità del 36% al mese. Nonostante la lira turca abbia toccato il minimo degli ultimi 19 anni, in patria il presidente Recep Tayip Erdogan finora è riuscito a tenere sotto controllo la situazione, ma negli ultimi giorni i turchi della Repubblica di Cipro Nord sono scesi in piazza a migliaia, ha scritto il Guardian. Sener Elcil, leader del sindacato degli insegnati di Cipro Nord (Ktös), ha dichiarato al quotidiano britannico che la “Turchia dovrebbe tenere le mani lontane da Cipro e portarsi via la sua lira”. Per guadagnare qualche consenso Erdogan ora non può che varare nuovi sussidi, aiutando così i cittadini a ridurre il costo delle bollette.

La stessa mossa che hanno già fatto molti suoi colleghi in mezzo mondo: fare un po’ di spesa pubblica in più per mettere freno all’inflazione. Con buona pace della transizione energetica e della promessa di “ridurre gradualmente” i sussidi alle fonti fossili, come detto alla Cop26 di Glsgow. Nel 2020, dice l’Ocse, i vari aiuti pubblici diretti dati nel mondo a gas, petrolio e carbone hanno raggiunto 351 miliardi di dollari. Vista la serie di sussidi già promessi in mezzo mondo, è probabile che prossimamente la cifra aumenterà.

David era ironico e leale: quando decise di candidarsi restammo soli

Amava il giornalismo, amava la politica, era un europeista ed era un antifascista. Non servono molti aggettivi per raccontare chi era David Sassoli, perché le sue passioni sono state sempre molto chiare e la sua vita è stata vissuta in modo coerente ai valori in cui credeva. “L’Italia è diventata un laboratorio per l’Europa” mi aveva detto a settembre nel faccia a faccia che avevamo avuto a Venezia durante la Mostra del cinema, nello spazio della Fondazione ente dello spettacolo. “Il Pnrr è una scommessa che non possiamo perdere – aveva aggiunto – perché il suo successo sarà la vittoria dell’Europa della solidarietà su quella del rigore, che sta osservando in silenzio e non vede l’ora di tornare. Sarà il rafforzamento degli europeisti sui sovranisti che in questo momento sono stati messi nell’angolo”. Sì, amava l’Europa David Sassoli e credeva che andasse rafforzata ancora di più. Era convinto che solo un’Europa più forte ci avrebbe messi al riparo da derive pericolose nazionaliste. Amava i valori dei Padri fondatori dell’Europa e credeva nel difficile esercizio della democrazia che è fatto di continua ricerca del dialogo, quel dialogo, che nei regimi totalitari non esiste. Non a caso era stato dichiarato persona non grata in Russia. Ci avevamo persino scherzato sopra in uno scambio di sms qualche mese fa. Si rideva e si scherzava con David, perché aveva una grande ironia e la sua risata era contagiosa. Quando nel 2009 annunciò a noi colleghi amici di volersi candidare al Parlamento europeo, provai un senso di smarrimento e quasi di tradimento dopo tutte le battaglie fatte insieme per la completezza dell’informazione nel servizio pubblico. Avevamo già attraversato stagioni burrascose al Tg1 e affrontare senza David quella che si stava delineando in quei mesi, mi faceva sentire indifesa. Chi è rimasto infatti ne è uscito con le ossa rotte. David credeva nella libertà di stampa come colonna portante della democrazia e sentiva la responsabilità di essere un giornalista del servizio pubblico. Sentiva di doversi battere contro bavagli e censure. E di battaglie ne ha fatte tante, sempre continuando a dialogare con chi non la pensava come lui. Lo ricordo alle manifestazioni e ai congressi sindacali, ai dibattiti nel Sacro Convento di Assisi e alle riunioni di Articolo 21 di cui è stato tra i fondatori. Era diventato famoso, le donne lo adoravano perché era anche bello, ma non ha mai avuto atteggiamenti da divo né ha mai ceduto ad ammiccamenti di alcun tipo. Il suo baricentro è sempre stata la sua famiglia, con la moglie Sandra conosciuta negli anni della scuola e i due figli Giulio e Livia. Il giornalismo e la politica hanno riempito due fasi diverse della sua vita, senza mai mescolarsi. In tanti ricordano in queste ore la sua gentilezza. È vero, David era una persona gentile, ma fermo nel difendere i suoi valori, maturati in una famiglia cattolica progressista. Mai avrebbe derogato ai suoi principi che sono stati anche la chiave della sua azione in Europa con uno sguardo sempre attento agli ultimi, ai più deboli. Al di là delle innumerevoli dichiarazioni istituzionali, mi colpiscono i messaggi di affetto di tante persone che lo amavano senza averlo mai incontrato, spettatori ed elettori che si fidavano di lui e di quel suo sorriso rassicurante. Riempie il cuore sapere che in tanti lo stimavano e gli volevano bene, fa sentire meno forte lo strappo che la sua morte ha creato in chi gli era amico. Ciao David, sei stato un collega leale, te ne sei andato troppo presto.

Cattolico e tenace, Sassoli era un Mattarella giovane

Tutti parlano bene di David Sassoli, morto l’altra notte a soli 65 anni per una immunodeficienza provocata da un batterio di legionella. Forse perché tirava fuori il meglio dalle persone con il sorriso, la posa mite, lo sguardo empatico e la sicurezza delle proprie ragioni.

Se n’è avuta una prova in Parlamento con il ricordo a cui ha partecipato anche Mario Draghi e in cui tutti, proprio tutti, si sono inchinati davanti allo scomparso presidente del Parlamento europeo. A cominciare da Giorgia Meloni che, insieme a Enrico Letta, ha tenuto il discorso più vero. Ma il cordoglio si è sparso ovunque, con messaggi da tutta Europa, il saluto commosso di Sergio Mattarella fino al telegramma del Pontefice.

Suscitare tanta empatica commozione significa che dietro la gentilezza deve nascondersi un filo di ferro. Convinzioni e valori, Sassoli li aveva forgiati in una particolare landa del cattolicesimo democratico. Padre giornalista e antifascista, formazione da scout all’inizio degli anni 70, incrocia le strade della Lega democratica, i cattolici che disubbidiscono alla Chiesa e votano No al referendum sul divorzio del 1974. A fargli da guida c’è Paolo Giuntella, anche lui giornalista del Tg1, anche lui scomparso a poco più di 60 anni, che resterà un riferimento costante. Il gruppo guarda alla sinistra Dc e si regge sulle idee sostanziose di Pietro Scoppola e Achille Ardigò, un mix tra Dossetti e De Gasperi, come ricorda il deputato Stefano Ceccanti in una intervista a Radio Radicale. Ne fa parte anche, a Pisa, un certo Enrico Letta, poi quei giovani democratici incroceranno le strade dei giovani Dc che puntellano il rinnovamento del partito. Tra loro anche Dario Franceschini “amico di una vita intera”. Sassoli sarà tra i “sette saggi” dei giovani democristiani che danno battaglia al congresso di Maiori del 1983 e poi farà parte della Rosa bianca, l’associazione che di quell’area raccoglie l’eredità e che avrà un ottimo feeling con Sergio Mattarella.

Al giornalismo inizia, grazie al “nemico” Clemente Mastella, con un incarico all’agenzia Asca dove mette a segno uno scoop: l’incontro a Parigi tra l’allora ministro socialista Gianni De Michelis e il rifugiato politico, di Potere operaio, Oreste Scalzone. Poi passa al Giorno e infine in Rai, al Tg3 e al Tg1. Si impegna nel sindacato dei giornalisti divenendo presidente di Stampa Romana nel 2004. Nel 2009 il salto in politica correndo per le Europee a Roma e da lì rimane al Parlamento europeo fino a diventarne il presidente nel 2019. Nessuna “porta girevole” con Roma, tranne quando si candida alle primarie romane del 2013 sconfitto, insieme a Paolo Gentiloni, da Ignazio Marino.

L’impegno per l’integrazione, la difesa dei più deboli, l’adesione alla svolta del Recovery fund, sostenendo appieno il governo italiano, sono noti. Lo è meno lo scontro furibondo con la Russia di Putin: “Mentre parlavamo al telefono – racconta l’eurodeputato e amico Massimiliano Smeriglio – risentiamo entrambi un brano di dieci minuti prima, era chiaramente un’intercettazione.

Il suo portavoce, Roberto Cuillo, lo definisce “buono e tenace” e vista la passione vera per il giardinaggio, ricorda Il giardiniere tenace di John Le Carré. Questa tenacia gli consente di realizzare obiettivi importanti: il voto a distanza al Parlamento europeo durante la pandemia contro la burocrazia interna; la decisione di affidare un intero edificio a un centinaio di donne senza tetto. L’appoggio agli indipendentisti catalani, fatti entrare nell’emiciclo nonostante la contrarietà spagnola. Toni Comin della sinistra indipendentista catalana lo scrive in un messaggio a Smeriglio: “Sono completamente sconvolto… senza di lui noi non saremo divenuti Meps”. Dialoga anche con i “populisti”, apre il dialogo con il M5S quando invita a Strasburgo Beppe Grillo e l’ecologista Gunter Pauli, con rammarico della sinistra liberal nostrana.

Mite e tenace, serio e pignolo, salutato con commozione da Ursula von der Leyen ma anche da Luca Casarini che lo ricorda su Facebook con la foto di lui giovanissimo mentre piccona il Muro di Berlino. Ci era andato a sue spese mentre lavorava al Giorno. Mentre presiede il Parlamento europeo rifiuta la candidatura a sindaco di Roma. E il suo nome circola qua e là per il Quirinale, senza che il Pd abbia avuto mai il coraggio di provarci sul serio.

Eppure, queste sue caratteristiche di umanità, serietà, capacità fanno dire a Ceccanti che è stato un “Mattarella-giovane”, quello che più di tutti avrebbe potuto percorrere la strada tracciata dal presidente uscente. Una suggestione gentile, ma triste, presagio di quel che poteva essere e non sarà mai più.

Giochi illegali online, 33 arresti. Incassi per oltre 5 miliardi

In due anni avrebbero incassato 5 miliardi di euro. Figurano anche persone ritenute dalla Procura di Salerno (guidata da Giuseppe Borrelli) legate ai Casalesi tra i 33 soggetti a cui i carabinieri hanno notificato altrettante ordinanze d’arresto nell’ambito di un’indagine della Dda su un vasto giro di giochi e scommesse illegali esteso a Panama, Romania e Malta. Finiti sotto sequestro preventivo 11 siti web, 2 società – la Europartner e la Iocosa Ludum – e 3 milioni di euro, ritenuti proventi delle attività illecite, riconducibili a Luigi Giuseppe Cirillo, figlio del defunto boss di Sibari.

Appalti Asl di Napoli: l’ombra dei Casalesi

Oltre 7 milioni di euro. È la cifra confiscata dal Tribunale di Firenze su 26 conti correnti nei confronti di soggetti vicini al clan camorristico dei Casalesi. La Gdf di Lucca, ha dato esecuzione a un provvedimento riguardante anche 2 autovetture, 8 società, 18 locali ad uso commerciale, 32 abitazioni, 7 autorimesse e 4 terreni. L’attività nasce da un’indagine condotta dal pm di Firenze Luca Tescaroli, che ha scoperto un’organizzazione a delinquere, con base a Lucca e contigua ai Casalesi, dedita all’aggiudicazione illecita di appalti della Asl 3 (Napoli Sud), in relazione a commesse per lavori edili banditi sotto soglia. I proventi venivano poi riciclati in buona parte in una società immobiliare lucchese.