È di Liliana Resinovich il cadavere di Trieste

Il corpo della donna trovata morta il 5 gennaio a Trieste, nel boschetto dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni, è di Liliana Resinovich, 63 anni, pensionata, era scomparsa il 14 dicembre. È stato il fratello della donna, Sergio, a effettuare il riconoscimento. Anche il marito della donna, Sebastiano Visintin, è stato chiamato in questura per il riconoscimento fotografico del corpo. “Mi hanno fatto vedere le foto, avrei voluto farle una carezza, ma avevo solo le foto – ha detto l’uomo parlando a Ore 14 su Rai2 –. Ho riconosciuto Lilly, l’orologio rosa che le avevo regalato, anche il giubbotto”. “Devo capire cosa è successo – ha aggiunto – se qualcuno ha fatto qualcosa o se lei ha deciso di andarsene. Non escludo il suicidio”.

Molestie piazza Duomo, “Almeno 12 indagati”

Sono una dozzina le persone indagate per le molestie in piazza Duomo a Milano la notte di Capodanno. Fonti della procura precisano che “il numero è destinato a crescere”. Ieri le forze dell’ordine hanno condotto perquisizioni tra Milano e Torino, a carico di 18 giovani ritenuti coinvolti nelle aggressioni. Si tratta di 15 ragazzi maggiorenni e di 3 minorenni, di età compresa tra i 15 e i 21 anni, sia stranieri sia italiani di origini nordafricane. I reati contestati nell’inchiesta della Squadra mobile di Milano, coordinata dall’aggiunto Letizia Mannella e dal pm Alessia Menegazzo, sono violenza sessuale di gruppo, rapina e lesioni aggravate. Gli inquirenti sono al lavoro anche per individuare altre vittime, oltre alle 9 accertate.

Fuortes, aut aut a Casarin: salti il vice leghista o lui fuori dal Tgr

Sempre più aria di tempesta alla Tgr Rai. Dopo la chiusura delle edizioni notturne, un’altra tegola arriva sulla testa di Alessandro Casarin. Il direttore era stato nominato dalla precedente gestione, quella dell’ad Fabrizio Salini. Col cambio di dirigenza e l’arrivo di Carlo Fuortes, è stato riconfermato ma a un patto: quello di restare con un solo condirettore, Carlo Fontana, e di far fuori l’altro, Roberto Pacchetti. Salini, infatti, aveva nominato Casarin con Pacchetti condirettore, due giornalisti in quota Lega, provocando le proteste del Pd. “Inaudito che i telegiornali regionali siano guidati da una coppia targata Salvini”, erano state le proteste dei dem. Tanto che Casarin, nel 2020, era dovuto correre ai ripari, nominando condirettore anche Fontana (quota Pd). Cosa che evidentemente al partito di Enrico Letta non è bastata. Così lo scorso novembre Fuortes ha confermato Casarin a patto però che si tenesse come condirettore solo Fontana. Il giornalista varesino prima ha accettato ma poi ha iniziato a temporeggiare, tenendosi stretto anche Pacchetti. Da qui la reprimenda dei vertici nei suoi confronti, con l’accusa da parte dem di non aver rispettato i patti. Con lui si è fatto sentire anche l’ad Fuortes, che l’ha invitato a rispettare gli accordi. Casarin, però, non sembra dell’idea, anche a causa di vecchie ruggini con Fontana che, a suo dire, nell’ultimo giro di nomine avrebbe tentato di prendere il suo posto. Insomma, tra i due è guerra aperta. Ora, però, a rischiare il posto è proprio Casarin. Domani il direttore presenterà in Cda il piano editoriale, che però potrebbe venir bocciato dalla redazione. Il motivo? Casarin non avrebbe difeso abbastanza i tg notturni, accettando il taglio di Fuortes senza proporre soluzioni alternative. Se il piano venisse bocciato, a quel punto qualcuno potrebbe prendere la palla al balzo per sostituirlo, magari con lo stesso Fontana.

Respinta l’istanza dell’ex 007 Contrada: “Nessun risarcimento da parte dello Stato”

Lo Stato non deve risarcire Bruno Contrada per ingiusta detenzione. Lo ha stabilito la Corte d’appello di Palermo che ha rigettato l’istanza presentata dai suoi difensori. Contrada, numero due del Sisde (il servizio segreto civile) e poliziotto attivo per anni a Palermo, nel 2007 è stato condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa: i giudici hanno stabilito che da poliziotto e da uomo dello Stato ha favorito e sostenuto dall’esterno Cosa Nostra.

Contro questa sentenza, Contrada ricorre alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che nel 2015 condanna lo Stato italiano stabilendo che non doveva essere condannato: non già mettendo in dubbio i fatti di cui la sentenza lo riconosce colpevole, ma rilevando che all’epoca di quei fatti (tra il 1979 e il 1988) nell’ordinamento giuridico italiano ancora non era previsto il reato che gli era stato contestato, quello appunto di concorso esterno in associazione mafiosa. Nella sentenza, la Cedu non mette dunque in dubbio che abbia sostenuto dall’esterno Cosa Nostra, ma sottolinea che “il reato non era sufficientemente chiaro, né prevedibile da lui”; quindi “Contrada non avrebbe potuto conoscere le pene in cui sarebbe incorso”. La sua successiva richiesta di revoca della condanna ricevuta è stata prima respinta dalla Corte d’appello di Palermo, poi accolta nel 2017 dalla Cassazione, che ha stabilito non la sua innocenza, ma l’ineseguibilità della sentenza di condanna, “improduttiva di effetti penali”. Da allora Contrada ha più volte tentato di ottenere un risarcimento dallo Stato per la detenzione che aveva scontato. Glielo aveva riconosciuto in prima istanza la Corte d’appello di Palermo, ma poi la Cassazione aveva annullato la decisione, ordinando un nuovo esame d’appello. Il risultato è arrivato ieri: respinta l’istanza, niente risarcimento. Protesta il difensore, Stefano Giordano: “Apprendiamo senza stupore il verdetto della Corte a seguito di un procedimento svoltosi in maniera assai poco serena, e alle cui conclusioni mi sono rifiutato di prendere parte. Formuleremo tutte le nostre deduzioni in ordine al malgoverno della legge penale nel ricorso per Cassazione che verrà depositato ritualmente nei prossimi giorni. Da subito posso dire che l’ordinanza oggi depositata viola per ben due volte il giudicato della Corte europea, su cui il giudice interno non ha alcun margine di discrezionalità”.

Test di Diasorin in Lombardia, Pm: “Archiviare”

Frasi infelici del presidente Fontana, conflitti d’interesse, ipotesi collusive. Tutto c’è, ma non basta per individuare un reato. Il sistema di potere si intravede ma resiste. Questo il ragionamento della Procura di Milano che ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sull’acquisto di 500mila test sierologici Diasorin da parte della Regione. Indagine per la quale è indagato il virologo Fausto Baldanti, accusato di turbativa. Aprile 2020, piena pandemia, spuntano i test sierologici per rilevare gli anticorpi Covid. Fontana parla di “patente di immunità”. Annuncia all’Ansa che “al San Matteo di Pavia è stato individuato un test molto affidabile”. È quello poi validato dalla multinazionale Diasorin, la quale poco prima di avere la certificazione Ce ottiene dalla Regione l’affidamento milionario. La Procura avvia un’inchiesta e iscrive per turbativa Baldanti che all’epoca, in pieno conflitto d’interessi, ricopre un ruolo nel Comitato scientifico regionale ma risulta coinvolto nella validazione dei test Diasorin come responsabile del laboratorio di virologia del San Matteo. Baldanti, secondo l’ipotesi dei pm, “orientava in modo fraudolento” la scelta della Regione verso Diasorin. L’indagine si arena. I pm sostengono che il requisito della somma urgenza era giustificato dall’emergenza pandemica e regolato da una comunicazione della Commissione europea. E dunque nessun reato. Anche se le frasi del presidente riportate dall’Ansa “vengono oggi intese come poco felici”.

Losito, sequestrati 5 milioni a Tarallo: ‘Falsò testamento’

Avrebbe realizzato un testamento falso in cui si diceva che il suo compagno lo aveva nominato come erede universale del proprio patrimonio. È l’ipotesi che ha spinto la Procura di Roma a sequestrare circa 5 milioni di euro ad Alberto Tarallo, autore cinematografico, indagato per falsità in testamento olografo. La vicenda riguarda il suicidio dell’ex produttore televisivo, Teodosio Losito, morto l’8 gennaio 2019. Il testamento è stato contestato dal fratello di Losito, Giuseppe, destinatario di una polizza vita nel 2014. La perizia sul manoscritto ha confermato i sospetti dei familiari: il testamento non sarebbe stato scritto da Losito ed è “attribuibile a Alberto Tarallo”. Il Nucleo tributario della Gdf di Roma ha eseguito il sequestro dei beni “ereditati”. Il fascicolo è il filone dell’inchiesta principale, per istigazione al suicidio, nata da un dialogo fra due concorrenti del Grande Fratello, già ascoltati come persone informate sui fatti dal pm Carlo Villani, insieme ad altri vip, fra cui l’attore Gabriel Garko e la conduttrice Barbara D’Urso.

Roma, Aielli è accusato di abuso d’ufficio: il dg del Campidoglio ora rischia il processo

Rischia il processo Paolo Aielli, da ottobre scorso direttore generale di Roma Capitale. Il city manager del Campidoglio, prima nomina del neo sindaco Roberto Gualtieri, è indagato a Roma per abuso d’ufficio, in concorso con due dirigenti della Zecca dello Stato e il rappresentante legale della Heidelberg Italia Srl (deceduto). La vicenda è legata al precedente incarico ricoperto da Aielli, amministratore delegato dell’Istituto Poligrafico, e riguarda l’acquisto di alcuni macchinari di stampa. La pm Claudia Terracina ora ha trasmesso alle parti l’avviso di conclusione delle indagini e nelle prossime settimane interrogherà gli indagati. Solo dopo deciderà se chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione.

Aielli, si legge nel capo d’imputazione, è accusato insieme ai dirigenti Alessio Alfonso Chimenti e Ivo Planeta di aver “procurato un indebito vantaggio patrimoniale alla Heidelberg Italia Srl”, con l’acquisto, il 6 giugno 2017, “con procedura di affidamento diretto” di “due apparecchi di stampa Gallus Labelfire 240, macchinari nuovi, utilizzando la procedura di revamping o upgrade dei precedenti macchinari Gallus R200” e disponendo, il 4 novembre 2016, “l’acquisto di due apparecchi nuovi Lemu utilizzando, anziché con gara pubblica, la procedura di revamping o upgrade dei precedenti macchinari Arsoma”. Entrambe le operazioni, hanno ricostruito i pm, sono state avviate da Chimenti e Planeta e autorizzate da Aielli. Dalle indagini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Roma, si ipotizza che la società abbia “conseguito un prezzo superiore a quello di mercato”, o “a quanto avrebbe conseguito con una procedura di gara, con un profitto almeno di euro 598.300, determinato dalla differenza tra il prezzo corrisposto complessivamente” dall’Istituto Poligrafico “e quello che avrebbe invece sostenuto qualora fosse stato applicato, sull’importo indicato a base d’asta, uno sconto pari al 17% (rispondente alla misura minima dello sconto percentuale applicata dalla Heidelberg Italia Srl a favore di soggetti privati)”. Inizialmente la Procura di Roma aveva ipotizzato il reato di turbativa d’asta, poi derubricato a abuso d’ufficio dopo il ricorso delle difese al Tribunale del Riesame. In fase di interrogatorio, gli avvocati punteranno a dimostrare che gli acquisti hanno prodotto un vantaggio tecnico all’Istituto e non uno svantaggio economico.

La precarietà torna vicina ai record storici

“Assunzioni in rialzo” (Il Sole 24 Ore). “Lavoro, in un anno recuperati 700 mila posti” (Corriere della Sera). A leggere alcuni articoli di giornale pare che il dato flash e temporaneo di novembre su occupati e disoccupati, diffuso ieri dall’Istat, sia quasi una marcia trionfale. La realtà, però, è molto più complessa: la ripresa postpandemica dell’economia italiana sta sì creando occupazione, quindi non è la “jobless recovery” già sperimentata più volte a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, ma la qualità dei posti di lavoro creati non è affatto soddisfacente. Al contrario, ad aumentare ancora sono i lavoratori autonomi e soprattutto i precari. Sono questi ultimi, in particolare, a far registrare un livello tornato ormai vicinissimo ai massimi storici, sia in valori assoluti che in percentuale sul totale degli occupati. La dura realtà delle cifre emerge dall’analisi delle serie storiche di lungo periodo.

Dopo 20 mesi dall’inizio della pandemia, gli occupati sono tornati per la prima volta sopra i 23 milioni, ma rispetto a febbraio 2020 mancano ancora 115 mila lavoratori. A novembre l’occupazione è in crescita di 494 mila unità rispetto allo stesso mese del 2020, ma “il 90,6% è assunto con contratto a termine e ciò dimostra ancora la forte insicurezza del sistema produttivo condizionato dal perdurare dell’emergenza pandemica”, ha spiegato la segretaria confederale Uil Ivana Veronese.

Il dato dei contratti precari è salito infatti a 3 milioni 86 mila, pari al 17,11% del totale dei lavoratori dipendenti. Si tratta di appena 34mila lavoratori precari in meno del massimo storico, segnato ad aprile 2019 (3 milioni 121 mila), e dello 0,26% in meno in termini percentuali rispetto alla quota più elevata di sempre rispetto al totale dei lavoratori dipendenti, segnata a dicembre 2018 con il 17,37%.

Quanto al gender gap, è vero che l’occupazione femminile a novembre ha recuperato 38 mila lavoratrici su ottobre (+27 mila gli uomini) e 205 mila in più sullo stesso mese del 2020 (+290 mila gli uomini) e che il tasso di occupazione femminile è salito dello 0,2% in un mese e di 1,5 punti sull’anno al 49,9%, superiore anche a febbraio 2020, mese precedente la pandemia e a livello di novembre 2019. Ma le occupate sono ancora 9 milioni 690 mila, cioè 50 mila in meno rispetto a febbraio 2020, mentre le donne in cerca di lavoro sono 1,11 milioni, 36 mila in meno di ottobre e stabili su novembre 2020.

Ecco perché Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil, parla di “una ripresa ancora troppo fragile per indurre all’ottimismo, e di scarsa qualità poiché fondata sul lavoro a termine. Preoccupa l’elevatissimo numero degli inattivi”. Per Scacchetti, “lo sblocco degli investimenti, a partire da quelli pubblici, e soprattutto la loro condizionalità alla crescita dell’occupazione stabile non possono rimanere una promessa sulla carta, ma devono essere l’obiettivo su cui far convergere progettualità e risorse. Altrimenti continueremo ad allargare divari e disuguaglianze e a pregiudicare il futuro soprattutto dei giovani e delle donne del nostro Paese”, conclude la sindacalista.

L’auto è in panne: il futuro è incerto, il presente in Cig

Fabbriche per buona parte ferme, immatricolazioni crollate e decine di migliaia di lavoratori con gli stipendi tagliati dalla cassa integrazione. Nel 2021 le ore di ammortizzatori sociali utilizzate nell’industria dell’auto sono il doppio di quelle usate nel 2019, l’ultimo anno non pandemico. Ciononostante, e malgrado le incognite sui futuri piani di Stellantis e sulla galassia di crisi sparse nella filiera della componentistica, la legge di Bilancio non ha stanziato gli oltre 3 miliardi che erano stati promessi durante il tavolo di settore, per sostenere le vendite (e quindi produzione e occupazione).

La fase complicata che vive l’automotive nel nostro Paese è chiara da tempo. Molto meno chiare, però, sembrano le strategie del governo Draghi per affrontarla. Il piano triennale per i nuovi incentivi rispondeva a una richiesta pervenuta da aziende e sindacati, ecco perché quella “dimenticanza” non è sfuggita né alle prime né ai secondi. La cosa ha messo in imbarazzo il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che prima aveva aperto alla possibilità di farli entrare in manovra e poi ha detto che è stato il Parlamento a non volerli inserire. Nel frattempo si attende per marzo il nuovo piano di Stellantis, ma all’orizzonte non si vedono nuove convocazioni del tavolo governativo. Ecco perché la Fiom Cgil ha avviato una serie di assemblee di quadri e delegati che si terranno nei vari territori che ospitano gli stabilimenti.

I numeri elaborati dal sindacato dei metalmeccanici parlano chiaro: prima del Covid, nel corso di tutto il 2019, l’Inps aveva concesso poco meno di 26,5 milioni di ore di cassa destinate all’automotive. Somma di 14 milioni di “ordinaria”, quella prevista per le crisi temporanee, e 12,5 milioni di straordinaria, per le situazioni più gravi. Nel corso del 2021, abbiamo avuto già oltre 49 milioni di ore di ordinaria, che ingloba quella per emergenza Covid, e 7 milioni di straordinaria. Totale 56 milioni. “Abbiamo confrontato il 2021 e il 2019 perché nel 2020 c’è stato un fermo produttivo – spiega Simone Marinelli della Fiom –. Nell’ultimo anno ha inciso ancora un po’ di cassa Covid, ma la produzione è andata avanti e stanno incidendo diversi fattori; sicuramente quello pandemico e relativo alle forniture di semiconduttori e centraline, ma anche la crisi di mercato”. Nel 2021 la produzione di auto è calata del 9,4% e le immatricolazioni, avendo recuperato solo il 5,5% rispetto al 2020, sono scese del 24% rispetto al pre-Covid. A pesare è anche la crisi della logistica, ecco perché l’Anfia – che riunisce le imprese della filiera – prevede che i problemi non saranno risolti a breve; per quanto riguarda le carenze di approvvigionamento di microchip, infatti, occorrerà attendere almeno il 2023. Sempre secondo l’associazione, l’assenza di un piano per la transizione all’elettrico mette a rischio 70 mila posti di lavoro.

Quanto a Stellantis – il gruppo nato dall’unione di Fiat Chrysler e Psa – le immatricolazioni sono cresciute del 2,7%, con una quota di mercato del 37,8%. “A fronte di una capacità produttiva installata di un milione e mezzo di veicoli – ricordano Michele De Palma e Simone Marinelli della Fiom – attualmente se ne producono solo 700 mila”. La preoccupazione aleggia praticamente in tutte le fabbriche italiane, anche in quelle che presentavano situazioni tranquille fino a poco tempo fa. Per esempio la Sevel in Abruzzo e Melfi, in Basilicata, interessate da cali produttivi. Quanto al Polo torinese, la Maserati e la 500 Bev non permettono di raggiungere la piena occupazione; stesso discorso per l’impianto laziale di Cassino, sede dell’Alfa Romeo e del nuovo modello Grecale della Maserati. Per Pomigliano e Nola, in Campania, toccherà verificare i numeri del nuovo Suv Alfa Romeo Tonale. Poi resta l’irrisolta questione delle produzioni diesel che oggi sono a Cento (Ferrara) e Pratola Serra (Avellino).

“Fuori” dal pianeta Stellantis, permangono le crisi scoppiate negli ultimi mesi. Alla Bosch di Bari si attende la formalizzazione di oltre 600 esuberi. A fine 2021 Bloomberg ha diffuso la notizia di futuri tagli all’ex Magneti Marelli. Restano in piedi le procedure aperte a partire da quest’estate, quando sono stati sbloccati i licenziamenti: Gianetti Ruote, Gkn, Timken e Caterpillar. I numeri e le storie lanciano un grido d’allarme assordante. Il governo, per ora, non risponde.

Il McKinsey boy sbarca al Mite: guiderà il Pnrr

Dal 3 gennaio il nuovo capo dell’altrettanto nuovo Dipartimento per il Pnrr del ministero della Transizione ecologica è al lavoro: Sergio Mattarella, su proposta del ministro Cingolani, ha firmato il Dpr che nomina fino alla fine del 2026 Paolo D’Aprile. Chi era costui?, si chiederà il lettore. È il consulente di McKinsey la cui nomina Il Fatto ha anticipato un mese fa (ovviamente l’interessato ha lasciato il suo vecchio lavoro). Fortemente voluto da Cingolani, D’Aprile con la sua casacca McKinsey aveva già lavorato al fianco del ministro nella scrittura del Piano di ripresa per la parte di competenza del Mite (70 miliardi): per averlo al ministero, Cingolani s’è inventato il nuovo Dipartimento, poltrona per la quale non serve indire un concorso. Da ora sarà il dirigente di un big mondiale della consulenza a guidare la transizione ecologica italiana: un fatto che, anche al netto di eventuali conflitti di interessi rispetto ai vecchi clienti, disegna fin troppo bene il quadro ideologico e il sistema di relazioni in cui ci muoveremo. D’altra parte il Pnrr versione Cingolani, così a misura di grande industria, ne era già una prova…