Mail Box

 

Cara Viola, per il booster bisogna aspettare 2 mesi

Ho ascoltato la dott.ssa Viola che a Otto e mezzo contestava quanto riportato da Travaglio sui lunghi tempi di attesa per vaccinarsi. Incredibile: ma dove vive? Sul sito della Regione Marche mio cognato, che ha prenotato per la terza dose nei primi giorni di dicembre, doveva aspettare oltre il 15 febbraio. E il centro vaccinale si trova a circa 20 chilometri dal nostro paese. Fortunatamente il mio medico curante mi ha trovato uno spazio il 18 gennaio, ma non tutti i medici di famiglia si sono resi disponibili a effettuare le vaccinazioni. È un vero peccato per il pubblico da casa non poter intervenire per telefono in occasione delle tante corbellerie che si ascoltano in tv.

S. G.

 

Le difficoltà di farsi vaccinare in Lombardia

L’altra sera mi sono cadute le braccia nell’ascoltare gli ospiti della Gruber, di fronte alle osservazioni di Travaglio sui ritardi effettivi sulle terze dosi. La Viola, che tutto sommato obiettiva, ha infilato una dietro l’altra delle inesattezze: a Travaglio che si riferiva alla Lombardia, ha risposto parlando del Veneto. Eppure sulla disorganizzazione lombarda sono testimone diretto e vi avevo pure scritto all’inizio di dicembre, quando ho provato a prenotare e il primo slot libero l’ho trovato l’11 gennaio, nonostante la mia veneranda età di 73 anni. A metà dicembre ho fatto due tentativi di vaccinazione senza prenotazione sia a Vimodrone che a Vimercate, e in entrambi gli hub mi hanno respinto. È facile per la Viola dire che in Veneto hanno vaccinato in pochi giorni lei e i suoi figli: si dimentica di riflettere sul suo cognome, che è una sorta di lasciapassare. Anch’io avrei potuto approfittare dei miei amici medici pavesi e andare a Pavia a farmi vaccinare… ma vi sembra il caso che facessi da Vimercate 150 chilometri fra andata e ritorno? È un Paese insopportabile: nessuna analisi reale, ma tutto viene filtrato dalla ideologia e dall’apparenza.

Tanino Armento

 

Come i renziani usano le parole degli avversari

D’Alema ha dichiarato che la malattia del Pd è andata via. Subito Renzi, sui social, ha risposto: “Un pensiero a chi è malato davvero, magari in un letto di ospedale”. La cosa non è nuova. Infatti a fine 2017 Travaglio scrisse: “La legislatura che sta per essere sciolta, si spera nell’acido, è stata tra le peggiori della storia repubblicana”. Le rispose prima Lucia Nobili, avvocatessa sfregiata dall’acido, con una lezioncina: “Chi, come me, ha conosciuto gli effetti dell’acido, si augura che questo non debba mai accadere a nessuno, nemmeno per scherzo”; e poi Renzi: “Un abbraccio a Lucia Nobili, donna coraggiosa”. La domanda sorge spontanea: ma quando la smetteranno i renziani con questa patetica speculazione sull’interpretazione peculiare delle parole?

Antonello Garofano

 

Credo mai. Senza queste speculazioni da poveracci non esisterebbero neppure nell’unico luogo dove ancora si notano: la tv, i giornaloni e Twitter.

M. Trav.

 

Il “Fatto” non parla mai nelle conferenze stampa

Leggo sui social che nessun giornalista del Fatto Quotidiano sarebbe stato accreditato per partecipare alla conferenza stampa di Draghi. Se sì, volevo semplicemente darvi il mio supporto morale. Per assurdo, ma neanche tanto, avrei preferito che nessun giornalista del Fatto avesse voluto parteciparvi! Continuate così e grazie per esserci.

Fausto Beggi

 

Caro Fausto, dicono di “sorteggiare” i giornalisti abilitati a fare domande e guarda caso escono sempre le stesse testate. “Fatto” a parte, si intende. Si credono forti, ma sono debolissimi.

M. Trav.

 

In Italia disincentiviamo i medici di famiglia

A proposito dei medici di base: se ne vanno in pensione, o a fare altro, perché sono soli e, contrattualmente, “deboli”. Quelli inglesi hanno una base scientifica e istituzionale molto forte: il Royal College che, insieme al Gmc, verifica la loro formazione, li unisce, li accredita. Sono stati coinvolti subito nella gestione della pandemia. I medici se ne vanno perché è difficile relazionarsi con persone malate, impaurite o solo disinformate se non si hanno le spalle forti. La Società Italiana di Medicina Generale, così come i sindacati medici hanno la responsabilità di fare prevalentemente gli affari propri. Nella pandemia i medici inglesi hanno più finanziamenti temporanei per le vaccinazioni, ma lo stipendio di base è simile, se non addirittura inferiore a quello degli italiani. In pensione un medico ci va perché è demoralizzato o si sente solo. I soldi non sono tutto.

Pierluigi Struzzo

“Don’t look up”. “Un film profetico e terribile: i politici l’avranno capito?”

 

Gentile redazione, ho visto il film Don’t look up e mi sembra che si possano scorgervi molte analogie con la situazione mondiale attuale. Sì, nel film si parla di un meteorite e dell’assoluta insensibilità dei governi verso il pericolo incombente che li porterà tragicamente al disastro, ma la condizione climatica e biologica del nostro pianeta non mi sembra molto lontana dal disastro ambientale e biologico. Ce lo segnalano l’aumento di uragani, piogge alluvionali e fenomeni fuori dal comune che imperversano su ogni zona del mondo. Esattamente come nel film la politica mondiale si preoccupa poco di cambiare qualcosa od operare affinché il disastro annunciato non si verifichi. E così assistiamo a una svolta “green” che si affida, nonostante tutte le dichiarazioni o i proclami, ancora ai carburanti fossili o a quei promotori del nucleare che in più di 50 anni non sono mai riusciti a risolvere il problema dello smaltimento delle scorie radioattive. Finirà come nel film? Non me lo auguro, ma mi sembra che la direzione che questa sciagurata classe politica ha intrapreso ci porti lì.

Leonardo Gentile

 

Uno dei film che vanno per la maggiore al momento è Don’t look up di Adam McKay con Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence. La pellicola è una metafora della realtà nella quale viviamo, in cui gli esseri umani stanno mandando il pianeta alla rovina in nome del profitto. Il film mostra l’arroganza del potere e la manipolazione dell’opinione pubblica che l’informazione asservita esercita sulla popolazione. È un’opera catastrofista, senza lieto fine, ma forse ancora troppo leggera su ciò che potrà accadere nel prossimo futuro. Essendo improbabile che sarà una cometa a distruggerci, l’umanità rischia di vivere una lunga e terribile agonia, con un succedersi di catastrofi dovute ai cambiamenti climatici, distruzioni, carestie e una disperata lotta per la sopravvivenza che ci potrebbe portare a inimmaginabili orrori. Forse il regista con questa sua opera ha voluto lanciare un avvertimento, al fine di farci rinsavire e rendere conto che la cosa più importante non è il profitto né la ricchezza, ma temo che servirà a poco, lo stiamo vedendo anche in questo maledetto momento di pandemia: più che alla salvezza delle vite si pensa all’aumento del Pil e a non compromettere i profitti delle multinazionali. A proposito, chissà perché Bezos, Musk e Gates sono diventati tutti appassionati di viaggi spaziali…

Mauro Chiostri

Corna, bicorna, aglio e frattaglie

Gabriele Muccino è alla prima dose di serie tv, A casa tutti bene, e ci sono buone ragioni per pensare che arriverà anche la seconda, e poi il booster… Se molti autorevoli registi si sono dovuti inchinare alla dittatura della serialità – per non parlare della benedizione dei Don Matteo –, nell’inconscio mucciniano l’anelito alla multiplazione cova fin dal suo bell’esordio, L’ultimo bacio, che però è diventato il primo di una lunga serie. Appunto. Stessa coralità di personaggi, stesso assortimento di eterni Peter Pan, stessi segreti e affari di famiglia. La poetica di Muccino, come si diceva una volta, è una famiglia allargata, allargatissima, tipo Grande raccordo anulare con uscita Roma Nord; dunque allargarsi ai sei episodi in onda su Sky Atlantic è stato un attimo, aggiungi un posto a tavola che c’è un cliché narrativo in più.

In questa soap opera d’autore, che Pietro Castellitto definirebbe di ambiente vietnamita, ci sono proprio tutti. L’autunno del patriarca che si è fatto da solo, il colpo secco e la malattia inesorabile, il regalo di Natale al tavolo da poker, i ritorni di fiamma, i fratelli coltelli, i fantasmi del passato, l’Argentario e la suburra, corna e bicorna, aglio e frattaglie. L’eclettismo di Muccino è la sua forza e il suo limite: effetto Dynasty conclamato, ma anche Truffaut positivo al tampone, specie nei frenetici movimenti di macchina (il vero aedo dei girotondi è lui, non Moretti). Si nota una predilezione per le feste dalla culla alla tomba, compleanni, battesimi, matrimoni, veglie funebri… Chi ama la lotta per un posto al sole non sarà deluso; altrimenti, si rischia di notare come i personaggi di Muccino siano chiusi in se stessi, troppo impegnati a scrutare gli ombelichi (il loro, o quelli altrui), impermeabili a ogni elemento del costume o della società. La serie si sarebbe potuta girare dieci anni fa, oppure si può partire subito a girare la nuova stagione. A casa staranno comunque tutti bene, tanto non escono mai da casa.

Nel limbo del super green pass non mi ritrovo più tra io e “Io”

Negativo. Sono guarito ed è tutto ciò che conta. E poi sono doppiamente fortunato perché di sintomi ne ho avuti davvero pochi. Ma non sono sereno: è che il mio Green pass non sta bene. Ora, non so per voi, ma per me il Green pass è uno specchio dell’anima: uno ci guarda dentro e dovrebbe ritrovarcisi. Esagero? Vi ricordo il nome dell’app che usiamo per leggerlo: Io. E quando tra io e Io non ci si ritrova i problemi sono sempre dietro l’angolo. La verità è che il mio pass funziona al contrario.

Tutto è cominciato il 27 dicembre: “Sono positiva”, mi scrive imprecando la mia compagna (tre dosi, toglie la mascherina solo quando dorme, l’ha tenuta pure mentre mangiava con i suoi al cenone di Natale). A ’sto punto faccio un tampone (antigenico): negativo. Mi isolo (e ho la febbre). Il 30 (la febbre mi è passata da due giorni) rifaccio (da me) il tampone (sempre antigenico): positivo. Il giorno dopo mi chiama la Asl: una voce registrata mi comunica che potrò fare il tampone molecolare il 7 gennaio. Deduco: il mio medico ha segnalato la mia positività. Altrimenti non si spiega. Ma in quel momento accade qualcosa di inedito. È un istinto. Una oscura forza interiore mi spinge a un gesto insolito: scarico l’applicazione che consente di verificare la validità del mio Green pass. Sarà un morboso voyeurismo interiore ma io sento l’esigenza di rivedere, nel mio Green pass, che è dentro il mio Io, il virus che è dentro di me. E poi dicono che se sei positivo il Green pass viene sospeso: sarà vero? Sarà mutato come è mutato il mio organismo? Il mio Io mi rispecchia? Risposta: no.

Il 31 dicembre “lui” è ancora valido. E quello della mia compagna? Pure. Una scoperta che ha segnato la nostra storia (non quella con la mia compagna): “lui” poteva uscire, frequentare ristoranti, bar, librerie e ogni convivio immaginabile. E io con “lui” – cioè con Io – se soltanto lo avessi voluto. Ed è stato allora che ci siamo chiesti chi comanda: io o Io? Ha comandato io. Non siamo mai usciti di casa. Io è rimasto con me: lui valido, io infetto. E così è stato fino al 7 gennaio – lo controllavo ogni giorno: sempre fedele a se stesso, valido, immutato, pronto a uscire – quando è arrivato il tampone molecolare. Risultato: negativo. L’8 gennaio ricevo un sms dal ministero: “Certificazione verde disponibile”. Mi fiondo su Io e trovo un messaggio: “Certificazione verde Covid-19”. Alé. Dicono che quando guarisci il ministero ti aggiorna il Green pass in automatico: dev’essere accaduto anche a me. Ma il 10 gennaio scopro che è scaduto. Oddio – penso – con due dosi e una guarigione sono diventato no-vax: la crisi d’identità è compiuta. Io e Io siamo ormai due perfetti sconosciuti ma, per quanto drammatiche, sono soltanto poche ore: scopro che non era il mio Green pass aggiornato. Era solo l’esito del tampone molecolare: dopo 72 ore è scaduto. Eppure il Green pass aggiornato dopo la malattia esiste: giuro che una mia amica l’ha avuto e io l’ho anche visto. Me lo sono fatto fotografare e me l’ha inviato: c’è scritto il giorno in cui è diventata positiva, poi il giorno in cui è guarita e pure la sua durata.

Mi ha spiegato, però, che non l’ha ricevuto in automatico dal ministero: è arrivato solo dopo la segnalazione del suo medico (che però tentennava perché pure lui, il medico, era convinto che dovesse arrivare in automatico dal ministero). E allora io che ho fatto? Sono tornato su Io. Sono tornato da lui, dal mio Green pass di luglio, quando ho fatto la seconda dose, quello che doveva essere sospeso e invece mi è stato vicino, senza mollarmi mai, sempre uguale a se stesso. E con il cuore in gola sono entrato in un bar: “Scansioni, prego”, “È valido, prego”. Il caffè l’ho preso ed era buono. Però, lo ammetto, non sono tranquillo. Ma non è per me che sono preoccupato. È per Io.

 

Da Renzi a Bassetti: per loro i contagi sono come “polvere”

La saggezza popolare insegna che non bisogna mai nascondere la polvere sotto il tappetto, perché prima o poi la polvere esce e in un attimo insudicia tutta la casa. Tra le nostre classi dirigenti, però, i figli del popolo sono pochi e i saggi ancora meno, così da ieri si discute seriamente l’idea di abolire la comunicazione giornaliera del numero di contagi Covid da parte di Stato e Regioni. Sabato 8 gennaio, Matteo Renzi ha avanzato per primo la proposta. Nella sua e-news il leader di Italia Viva ha scritto che è necessario dire “basta al catastrofismo e al bollettino algido e cinico (dei positivi, ndr)” e pure “stop all’isteria”, aggiungendo che va invece reso pubblico “solo il numero delle persone in terapia intensiva, unico indicatore veramente importante per la tenuta del sistema”. Anche Matteo Bassetti, primario infettivologo dell’ospedale San Martino di Genova, ha posizioni in apparenza simili. Per lui “bisogna finirla con il report seriale che non dice nulla e non serve a nulla se non a mettere ansia alle persone”, ma per la verità non invoca censure e chiede invece bollettini in cui si specifichi se i positivi “sono sintomatici o asintomatici, se sono ricoverati e se stanno a casa”. Il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, che di recente ha avuto i suoi cinque minuti di celebrità quando in tv ha dimostrato di non sapere cosa stabilisse parte del nuovo decreto sul Covid, auspica invece una via intermedia: un report che si “soffermi essenzialmente sui dati delle ospedalizzazioni e dell’occupazione delle terapie intensive”. Linea sposata pure da un membro del Comitato tecnico-scientifico, l’infettivologo Donato Greco, che vorrebbe però solo relazioni settimanali.

Il ragionamento che seguono un po’ tutti è chiaro: la variante Omicron è super infettiva. L’Oms calcola che da qui a due mesi il 50 per cento della popolazione europea sarà contagiata. In futuro la malattia diventerà forse endemica. Ma visto che Omicron è in apparenza molto meno letale di Delta, inutile aggiungere altra ansia allo stato già ansioso dei cittadini. Perché, e questo è senza dubbio corretto, positivo non significa malato.

Il problema però è che la verità, come la polvere, prima o poi salta fuori. Tutti noi abbiamo perfettamente imparato che gli esperti sono in grado di stimare con un margine di errore non troppo grande quante persone tra due settimane finiranno in ospedale se oggi i contagiati sono centomila. Sapere come stanno le cose è insomma utile per capire cosa ci aspetta, per valutare se le contromisure prese da chi ci governa hanno un senso oppure no e per comprendere come mai, ad esempio, il nostro comune ha annullato centinaia di corse dei mezzi pubblici. Perché se i contagi sono tanti, saranno pure tanti gli autisti positivi in isolamento a casa e un cittadino che aspetta l’autobus sarà un po’ più accondiscendete con l’assessore in caso di improvviso disservizio. È vero che i numeri che ci devono preoccupare sono quelli sul tasso di occupazione degli ospedali: ma la percentuale di letti occupati (ieri il 26 per cento) dice poco se non si chiarisce anche quanti posti sono stati recuperati convertendo reparti di altre specialità. Perché poi, a essere giustamente ansiosi e pure su di giri, saranno i malati non Covid che, senza spiegazioni, si vedranno cancellare o ritardare ricoveri e interventi.

Nascondere la realtà, insomma, non conviene. E questo le classi dirigenti dovrebbero capirlo. Perché se invece di spiegare si occulta e si nasconde la realtà riemerge poi di botto e ti travolge.

 

Mattarella-bis, volerlo è spesso strumentale

Siamo attoniti spettatori di un profluvio di oscure manovre in vista della tanto attesa partita del Quirinale. Un adempimento costituzionale la cui esasperata drammatizzazione è già di per sé indizio di un profondo malessere della politica e delle istituzioni. Una fitta nebbia, un gran polverone riconducibile, come si è osservato da più parti, all’assenza di una regia e di una visione, a loro volta ascrivibili a partiti deboli e divisi e a leader inadeguati. E di riflesso a un Parlamento per intero assimilabile a un grande gruppo misto nel quale ciascuno risponde solo a se stesso e ai propri angusti calcoli personali più che politici. La rassegna di parole e comportamenti che attestano tale stato di cose sarebbe lunga. Tra loro merita segnalare criticamente la puntuale riproposizione di una tesi solo a prima vista ortodossa e “responsabile”, quella di chi ostinatamente propone il bis del presidente in scadenza.

Non escludo vi sia chi lo sostenga mosso da buone intenzioni, ma esso contrasta con il dichiarato, esplicito e reiterato diniego dello stesso Mattarella. Come se si mettesse in discussione la sincerità e il carattere meditato delle sue determinazioni. Siamo dentro un’emergenza, si osserva. Replico: forse che Mattarella non lo sappia, che sia così inconsapevole? Semplicemente – è doveroso supporre – considera la cosa a dir poco inopportuna. Egli ne ha fornito le ragioni di carattere eminentemente costituzionale.

Spirito e lettera della Costituzione, a cominciare dalla estesa durata del mandato, se non vietano tuttavia palesemente e caldamente sconsigliano un bis. Vi si è derogato una volta, ma lo si è motivato come un’assoluta eccezione e, in verità, il bilancio non è stato brillante. Il messaggio neppure tanto implicito della indisponibilità di Mattarella è il seguente: nessuno è indispensabile, la conformità al dettato e alla ratio della Costituzione deve fare premio sulle persone. Vi sottende la convinzione che l’ancoraggio all’ordine costituzionale non è suscettibile di essere derogato neppure dentro le congiunture più critiche. Semmai il contrario: proprio allora ci si deve ancorare alla regola più alta, quella della legge fondamentale. Come spesso ammonisce Zagrebelsky, le Costituzioni si mostrano preziose proprio nei passaggi difficili.

Tra quanti invocano il secondo mandato, si scorge talvolta un malcelato intento strumentale. Vi è chi non sa a che santo votarsi e getta la palla in tribuna, vi è chi si serve di Mattarella come nome di mera copertura, vi è chi fa conto che tale soluzione scongiuri più agevolmente la minaccia di elezioni ravvicinate, vi è chi sostiene Mattarella per non argomentare con trasparenza il proprio no a Draghi. Aggiungo: la Meloni ha già formalizzato la sua contrarietà al riguardo. Domando: è ragionevole immaginare che il suddetto bis – cioè una soluzione così eccezionale, in contrasto con il volere dell’interessato – possa essere adottata in assenza di una sostanziale unanimità? Dunque, perché insistere? Tanto più che un Parlamento quale quello oggi chiamato a esprimersi promette il massimo di imprevedibilità. Esso potrebbe fare impallidire tutti i precedenti propiziando il trionfo di un esercito di franchi tiratori. È il caso di esporre a questo il presidente uscente e l’istituzione che egli rappresenta, intaccando il largo apprezzamento maturato?

Infine, abbiamo sentito voci, levatesi da settori del Pd, che hanno addirittura prospettato la bizzarra idea di votarlo anche contro la sua volontà. Una coazione, quasi un ricatto. L’idea sottesa? Sottraendosi, Mattarella sarebbe una sorta di disertore. Una mancanza di rispetto – nel mentre lo si invoca come il solo idoneo a garantire la salus rei publicae – doppiamente riprovevole in quanto dettata da “pierinismo” di corrente, da un mediocre gioco di posizionamento. Come a segnalare che, dentro quello che fu il suo partito che ancora non si è espresso, vi sarebbe chi è più mattarelliano degli altri.

 

Omicron: sequel o reboot? Le recensioni ambivalenti dei critici cinematografici

Com’è questa nuova ondata: il parere dei critici cinematografici. Omicron, in Europa da qualche mese, è la quinta variante della serie, arriva a più di 2 anni dalla prima e sta ricevendo recensioni non superlative. L’Organizzazione mondiale della sanità spiega: “I virus, in particolare quelli a Rna come i Coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. Una mutazione può dare al virus un vantaggio rispetto alle altre rendendolo più trasmissibile e/o più patogenico”. La prima variante, Alfa, e i tre sequel (Beta, Gamma, Delta, usciti nel 2021) suscitarono un clamore senza precedenti, mettendo d’accordo critica e pubblico. Omicron riparte un po’ dall’inizio di tutto. Alcune recensioni ne hanno apprezzato originalità e metatestualità, secondo altre è solo l’ennesimo tentativo di sfruttare una storia che ha già detto quello che doveva dire. “Omicron” scrive The Verge “non è da intendersi come un sequel diretto di Delta: è un reboot, una ripartenza con nuove premesse, anche se spiritualmente è un sequel del fenomeno iniziato nel 2000 con Alfa”. Cosa che può essere intesa in più modi: per qualcuno, infatti, Omicron è un semplice prodotto per fan, secondo la pratica – malvista dal punto di vista creativo – di dare ai fruitori un contenuto che ne soddisfi la curiosità, senza grandi meriti artistici.

Al contrario, c’è chi non disprezza Omicron poiché stana le responsabilità pandemiche dei governi pasticcioni e delle multinazionali avide. Sull’Atlantic, David Sims ha presentato Omicron come una variante che “affronta la confusione della vita contemporanea, critica l’inevitabilità con cui governi e amministrazioni pubbliche rifanno sempre gli stessi errori ed è un virus dal sorprendente afflato nostalgico”, in grado di “evocare nuove metafore anziché ripetere quelle vecchie”. Secondo Bex Brasso (Variety), “se vi è piaciuto il lockdown, ma non i morti, Omicron fa al caso vostro”, perché “è il sequel che piace ai pazienti – cioè la stessa cosa del primo Coronavirus, con l’aggiunta di qualche novità per giustificare la sua esistenza – e al contempo un virus che si fa beffe della mortalità elevata delle pandemie”.

“La Covid è tornata”, ha scritto su Gizmodo Germain Lussier. “Omicron è un virus che sa cosa vogliamo da un sequel della pandemia, ma ce lo dà in un modo inaspettato”, riuscendo a essere “il sequel che certi virologi attendevano, e anche quello di cui sapevano di aver bisogno”. Secondo Gabriele Niola (Wired), “una regola d’oro dei sequel è che devono ripetere gli elementi vincenti delle opere prime, e proprio questo fa Omicron: ce li mette tutti, con in più un retrogusto di presa in giro”. Per Niola, questa quarta ondata è “per palati abituati alla riflessione sulla pandemia, e meno per chi si aspettava una pandemia più mortale”. Su Vulture, Angelica Bastién ha scritto che Omicron riesce a innovare in molti modi (per esempio con una lista di sintomi ben più accettabili rispetto ai virus della tetralogia precedente), e che però le scene di panico negli ospedali non sono a quei livelli. Adi Robertson, che lo ha recensito per The Verge, non l’ha apprezzato: “Omicron è come troppo impegnato a riflettere su se stesso, dimenticando di essere anche un virus patogeno”, e dopo buone premesse si fa “blando”. Per Peter Bradshaw (Guardian), “Omicron non va oltre l’anticlimax con cui si chiudeva l’ondata Delta”. Molti, tra cui Richard Brody sul New Yorker, hanno ammirato invece il modo in cui Omicron approfondisce un aspetto centrale della pandemia: quello di allegoria macabra delle contraddizioni del capitalismo. Grande attesa per il prossimo sequel, Deltacron: sarà vietato ai minori di 18 anni.

 

Bunga Bunga la voluttà

Il premio supermasochista dell’anno viene assegnato, in forma collettiva, alla piazza torinese No-vax sferzata dalla tramontana che assiste senza battere ciglio (in molti casi congelati) al discorso del professor Ugo Mattei, uno dei leader del movimento. Basato non sui microchip che notoriamente vengono iniettati col vaccino per tenerci sotto controllo. E neppure circostanziato sui dimostrati effetti terapeutici anti-Covid della candeggina inoculata, che risulta essere anche un straordinario antidoto all’ossido di grafene con cui Big Pharma cerca di avvelenarci. No, ai cinquemila eroi, rigidi come stoccafissi norvegesi contati dall’illustre studioso (cinquecento secondo la Questura) è stata somministrata una dotta lezione di diritto costituzionale comparato sulle violazioni della dittatura sanitaria e sulla conseguente istituzione di un Cln per organizzare la nuova resistenza al nazivaccinismo. Vivo compiacimento tra gli assiderati.

Mentre il premio Tafazzi, dedicato all’autolesionismo compulsivo, vede come vincitori, ex aequo, Matteo Salvini e Giorgia Meloni che non riescono a sottrarsi, forse con una certa voluttà, ai desideri di un anziano frequentatore di bunga bunga sempre più deciso a farsi eleggere al Quirinale estorcendogli i voti (un po’ come l’avvenente bielorussa con i bancomat del principe di Linguaglossa).

Infine, menzione speciale Famolo Strano al professor Matteo Bassetti, fortemente determinato a rivoluzionare i palinsesti televisivi con una proposta rivoluzionaria. Basta dunque con i tg e i talk show che da due anni a questa parte affrontano l’argomento pandemia, uffa che noia, sempre con le medesima scaletta, i medesimi servizi, i medesimi pareri, le medesime polemiche. Ragion per cui l’infettivologo di successo propone di rivoluzionare i bollettino quotidiano dei contagi “con un report ogni 2-3 giorni ma commentato”. Ma non computando tra i contagiati, per esempio, “chi viene ricoverato per un braccio rotto e si scopre infetto”. Per nostro colpevole difetto non riusciamo a comprendere quale sia l’incidenza sul totale, dei pazienti doppiamente sfigati. Siamo però convinti che dopo questa clamorosa uscita il prof raddoppierà le apparizioni televisive.

Caro presidente, com’è bello lei! Grazie di tutto ciò che fa per noi

Estratto della conferenza stampa del presidente del Consiglio Draghi, tra sogno e realtà.

Draghi: Non risponderò a nessuna domanda su futuri sviluppi, Quirinale, eccetera.

Giornalista: Una domandina sulla pandemia, posso?

Draghi: Questo rientra nell’eccetera.

Giornalista: Come fa a mettere tutti d’accordo? Qual è il suo segreto?

Draghi: Guardi, Bonaccini ha detto che è sempre d’accordo con Draghi anche se non è convinto. È un motto di spirito. Potete ridere. Io metto su il mio irresistibile ghigno sardonico, un po’ sghembo, che fa impazzire le consigliere regionali.

Giornalista: Se non ci fosse lei, presidente del Consiglio, saremmo terrorizzati. D: La capisco. Anch’io se non ci fossi sarei terrorizzato.

G: Tutte queste fibrillazioni nel governo l’hanno più infastidita o annoiata? Gradisce come conforto una tazza di tè? Una cioccolata calda? Un cordiale? D: Rispondo solo alla parte accettabile della domanda. Tè, grazie. Con una goccia di latte.

G: Lei è onnisciente, onnipotente e onnicomprensivo. Conosce la legge, l’economia, la finanza, la teologia, la filosofia, la medicina e, dicono i ben informati, anche la danza. Non si sente sprecato come presidente del Consiglio? D: La ringrazio per il riferimento alla danza. Se mi sento sprecato? Be’, vorrei vedere lei. G: I capelli pettinati così le stanno molto bene. Ci mette molto a farsi l’onda? D: La ringrazio per la domanda, rispondo volentieri.

G: Abbiamo 220 morti al giorno e almeno 2 milioni di positivi. È favorevole allo smart working

? D: Sì, Città della Pieve d’inverno è meravigliosa. G: Chi la critica dice che lei vuole instaurare una specie di monarchia costituzionale. D: Perché costituzionale?

G: Conte faceva le conferenze stampa all’ora di cena e tardava anche di mezzora. Anche in questo si vede la differenza col suo governo? D:: Le rispondo elegantemente: io ne faccio poche perché non ho pochette da sfoggiare.

G: Il generale Figliuolo ha compiuto un capolavoro? D: È sotto gli occhi di tutti. Abbiamo vaccinato l’82% degli italiani nonostante sia stato lui a occuparsene. G: Chi è il Migliore del suo governo di Migliori? D: Brunetta. Glielo confermerà anche lui.

G: Mi tolga una curiosità: ma lei si vede quanto è bello? D: Non rispondo a domande che potrebbero farmi apparire o immodesto o ipocrita.

G: Lei disse che il Green pass

dà la garanzia di ritrovarsi tra persone non contagiose. D: E lei ha appena smesso di lavorare.

La fa franca su Ruby e Renzi tenta il salva-B. Poi il divorzio

2014, 18 luglio. Berlusconi viene assolto in appello (come poi in Cassazione) al processo Ruby, anche perché la legge Severino del 2012 ha modificato il reato di concussione per induzione (senza violenza o minacce) in “induzione indebita”: per quest’accusa, “il fatto non sussiste”; per la prostituzione minorile, “il fatto non costituisce reato”. La sentenza chiarirà che nella villa di Arcore “ci fu prostituzione”, ma non è abbastanza provato che Berlusconi sapesse che Ruby era minorenne quando ci fece sesso a pagamento. E le telefonate al capo di gabinetto della Questura Pietro Ostuni per far rilasciare illegalmente Ruby non sono più reato, perché non produssero un “vantaggio indebito” anche per l’“indotto” (all’epoca “concusso”) Ostuni.

18 dicembre. Rieletto appena un anno e mezzo prima, Napolitano annuncia “l’imminente conclusione del mio mandato presidenziale”. Per il successore, si voterà a fine gennaio.

24 dicembre. Una manina molto vicina a Renzi infila un codicillo “salva Berlusconi” di cinque righe nel decreto attuativo della Delega fiscale: prevede la non punibilità per le evasioni e le frodi fiscali “non superiori al 3% dell’imponibile dichiarato”. In pratica, ogni miliardo di reddito, si possono evadere o frodare fino a 30 milioni. Un colpo di spugna per i delitti fiscali futuri, ma anche – in base al favor rei – passati. Inclusi quelli per cui l’ex premier è stato condannato, interdetto dai pubblici uffici ed espulso dal Senato: le sue due frodi sopravvissute alla prescrizione sono di 4,9 milioni nel 2002 e di 2,4 nel 2003 e corrispondono rispettivamente all’1,2% e allo 0,7% dell’imponibile: entrambe al di sotto della nuova soglia di impunità del 3%. Così Berlusconi può ottenere un “incidente di esecuzione” dal Tribunale e la cancellazione ex post della sua sentenza di condanna, non solo finendo anzitempo i servizi sociali, ma anche e soprattutto tornando senatore, eleggibile e incensurato. Il Patto del Nazareno, in vista del voto sul Quirinale, funziona a meraviglia.

2015, 4 gennaio. Il Fatto e Libero scoprono il Salva-Berlusconi. Renzi prova a difenderlo e a rivendicarlo, poi è costretto dalle polemiche ad annunciare che sarà riesaminato. Lo cancellerà in primavera, dopo i voti sul Colle e l’Italicum: per ora FI gli serve.

14 gennaio. Napolitano si dimette da presidente.

27 gennaio. Il Senato approva l’Italicum, ma 24 deputati Pd non lo votano, contro i capilista bloccati. Renzi si salva grazie a FI.

31 gennaio. Sergio Mattarella viene eletto presidente della Repubblica al quarto scrutinio con 665 voti (Pd, Scelta Civica, Ncd e centristi vari). Il centrodestra non lo appoggia. Berlusconi, furioso per non essere stato coinvolto, annuncia la fine del Patto del Nazareno: a suo dire, l’accordo con Renzi prevedeva un capo dello Stato “condiviso” (con lui), tipo il solito Giuliano Amato che (dirà lui) “mi aveva promesso la grazia per Dell’Utri”. Nei mesi seguenti si vendicherà per il “tradimento” del suo pupillo schierandosi contro l’Italicum e la controriforma costituzionale, che ha contribuito a scrivere. Ma il governo Renzi non ha nulla da temere: continua a regalare favori alle sue aziende, che ne beneficiano con ottimi risultati in Borsa; e l’amico Denis Verdini crea il gruppo Ala con una pattuglia di berlusconiani al servizio del premier.

8 marzo. Finiti i servizi sociali, Berlusconi riacquista la piena libertà, ma fino al 2019 è incandidabile per la Severino.

28 maggio. La Cassazione deposita le motivazioni della sentenza Ruby: posto che non è abbastanza provato che sapesse della minore età di Ruby e che le sue pressioni su Ostuni non furono una costrizione, è “data per acquisita la prova certa che, presso la residenza di Arcore di Berlusconi e nell’arco temporale di cui alla contestazione (14 febbraio-2 maggio 2010), vi fu esercizio di attività prostitutiva che coinvolse anche Karima El Mahroug”.

5 giugno. Berlusconi vende il 48% del Milan al misterioso broker thailandese Bee Taechaubol, garantito da Ads Securities (famiglia reale di Abu Dhabi), da China Citic Bank (governo cinese) e dal fondo d’investimento Doyen.

8 luglio. Il Tribunale di Napoli condanna Berlusconi col faccendiere Lavitola a tre anni per aver corrotto con 3 milioni il senatore De Gregorio.

3 ottobre. La berlusconiana Mondadori acquista da Rcs la Rizzoli Libri per 127,5 milioni e crea la più spaventosa concentrazione mai vista nel mercato editoriale. L’Antitrust dorme.

22 ottobre. Al congresso del Ppe a Madrid, Berlusconi fa la pace con la Merkel dopo anni di attacchi alla cancelliera per la caduta del suo terzo governo e per le indiscrezioni sul soprannome che all’epoca le avrebbe affibbiato (“culona inchiavabile”): “Abbiamo chiarito tutto, ma Angela sapeva già che quella frase offensiva era completamente inventata”. Peccato che i suoi giornali l’abbiano chiamata così per quattro anni. Ma ora deve accreditarsi in Europa come baluardo del centrodestra italiano contro i “populisti” e “sovranisti” Salvini e Meloni, peraltro suoi alleati.

19 novembre. La Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi e altri 30 imputati per corruzione giudiziaria nel processo Ruby-ter.

2016, 29 aprile. Il gup di Milano accoglie la richiesta di Ghedini e spacchetta in 7 dibattimenti in altrettante sedi diverse il Ruby ter. Il principale resta a Milano a carico di Berlusconi e 23 imputati. Gli altri 6 traslocano altrove: l’ex premier sarà processato a Roma per aver corrotto Mariano Apicella; a Monza per i soldi alle showgirl Elisa Toti e Aris Espinosa; a Pescara per l’ex “meteorina” Miriam Loddo; a Treviso per Giovanna Rigato, ex del Grande Fratello; a Siena per il pianista Danilo Mariani; a Torino per la soubrette Roberta Bonasia. In seguito i processi torneranno a Milano, tranne quelli di Roma e Siena.

5-20 giugno. Elezioni comunali, il centrodestra perde tutte le grandi città: vincono le 5Stelle Raggi e Appendino a Roma e Torino, l’ex pm De Magistris a Napoli e i dem Sala e Merola a Milano e Bologna.

7 giugno. Spossato dalla campagna elettorale, Berlusconi è ricoverato d’urgenza al San Raffaele per una grave insufficienza cardiaca e operato per cinque ore con la sostituzione della valvola aortica (dieci anni prima gli era stato installato un bypass coronarico).

4 dicembre. Renzi straperde il referendum costituzionale e lascia il governo (ma non la politica). Il nuovo premier è Paolo Gentiloni, in ottimi rapporti con Confalonieri: da ministro delle Comunicazioni del Prodi-2 non ha fatto nulla contro il monopolio Mediaset.

12 dicembre. Si rompe anche l’idillio fra Berlusconi e il finanziere francese Vincent Bolloré, patron di Vivendi e azionista al 24% di Telecom, che ad aprile ha rilevato Mediaset Premium e ora annuncia una scalata ostile al gruppo Mediaset, puntando al 30%. Ma fallirà.

(32 – Continua)