Diversi autorevoli membri del Comitato tecnico scientifico hanno alzato il sopracciglio, meravigliati, quando il professor Franco Locatelli, intervenendo lunedì alla conferenza stampa “riparatrice” del presidente Mario Draghi, ha negato qualsiasi dissenso tra gli scienziati consulenti del governo. “Non abbiamo mai parlato né dell’obbligo vaccinale, né delle nuove regole per riaprire le scuole”, dicono. Sono due delle materie di cui al decreto legge numero 1 del 2020, che porta la data del 7 gennaio perché è stato corretto e modificato a lungo e quindi pubblicato nella tarda serata di venerdì scorso, ma era stato deciso, nella sostanza, mercoledì 5 a Palazzo Chigi.
“Nel Cts non c’è stata nessuna voce dissonante rispetto alle misure che sono state adottate dal Governo. Vi è stata una riunione il 7 e di fatto si è analizzata la situazione epidemiologica del Paese senza che si levasse una sola voce dissonante rispetto alle misure”, ha assicurato in conferenza stampa il professor Locatelli. “È vero, ma le misure non erano all’ordine del giorno e comunque erano state già approvate. S’è parlato della situazione epidemiologica e del concorso della Corte dei conti. Certo non si partecipa per parlare d’altro”, osserva uno dei suoi colleghi. Nessuno vuol fare polemiche pubbliche, ci mancherebbe, ma qualche chat tra lunedì sera e ieri mattina si è riscaldata un po’. Anche sulle scuole.
Il professor Locatelli, nella conferenza stampa, ha riferito di aver “letto di voci critiche nel Cts sulla riapertura lamentando la mancata discussione, ma la tematica – ha spiegato – è stata affrontata in 7 riunioni diverse e ogni volta la posizione è stata unanime”. Locatelli ha chiarito che quei verbali sono pubblici, quindi risalgono ad almeno 45 giorni fa. Del resto è noto che il Cts, anche quando era coordinato da Agostino Miozzo, si è sempre schierato per la riapertura delle scuole, a volte sottolineando l’importanza di misure organizzative che però non ci sono ancora. “Ma cosa c’entra? Era un’altra fase della malattia, c’erano meno contagi in età scolare. Tutti siamo per le scuole aperte, naturalmente, ma qui si trattava di valutare il sistema scelto per mandare le classi in quarantena”, osserva un altro membro del Comitato, riconoscendo, come è ovvio, che il governo non è certo tenuto a chiedere pareri. Non l’ha fatto neanche quando, per la prima volta, queste regole sono state definite con decreto legge. Prima erano materia di circolari ministeriali.
I membri del Cts sorpresi dalle dichiarazioni di Locatelli non sono contrari all’obbligo vaccinale, semmai sono preoccupati che le decisioni adottate, compresa l’estensione del green pass a una serie di attività prima escluse, non avranno un impatto immediato sulla diffusione del contagio che minaccia seriamente, qui e ora, la tenuta del sistema sanitario. Non è un caso che l’Istituto superiore di sanità, all’indomani delle decisioni sul decreto, abbia rinnovato la richiesta urgente di misure: evidentemente non riteneva sufficienti quelle appena adottate. Per di più il governo, il 30 dicembre, aveva anche eliminato la quarantena per chi ha fatto il booster, senza neppure introdurre le limitazioni per le attività ludiche che il Cts, in quel caso consultato, aveva suggerito. Limitazioni di difficile verifica, certo, ma tanto ormai le quarantene sono affidate alla buona volontà dei singoli. Insomma, l’impressione di alcuni membri del Cts, nessuno dei quali peraltro invoca chiusure o lockdown, è che si lascino un po’ troppo correre le infezioni, che la variante Omicron sarà pure meno letale ma per gestirla come l’influenza, secondo il programma del presidente del governo spagnolo Pedro Sanchez, servono cure domiciliari e territoriali fuori dagli ospedali, che se va bene avremo fra qualche anno con la riforma promossa dal ministro della Salute Roberto Speranza. Diversi membri del Cts, peraltro, temono che il coordinatore professor Locatelli, interloquendo direttamente con Draghi, abbia sovrapposto la propria figura al comitato stesso.
Dal quale peraltro emergono proposte di modificare la comunicazione dei dati: “Sarebbe un’ottima idea far diventare settimanale il bollettino dei contagi, mi sembrerebbe naturale farlo. Noi del Cts stiamo discutendo del parlarne con il governo”, ha dichiarato l’infettivologo Donato Greco, che proprio ieri ha proposto il tema al Comitato. Molti condividono il suo punto di vista e come loro Matteo Bassetti, primario di infettivologia al San Martino di Genova: “Il report serale non dice nulla e non serve a nulla se non a mettere ansia alle persone, siamo rimasti gli unici a fare il report giornaliero”, ha detto, suggerendo di guardare alla Spagna e al Regno Unito. Ha fatto l’esempio del “positivo con il braccio rotto”, che però richiede il percorso Covid. E ha detto che si fanno troppi “tamponi immotivati” e così “avremo talmente tanti positivi e contatti che l’Italia si fermerà”: è l’idea di lasciar correre il virus. Secondo Bassetti “i dati, anche quelli dei decessi, sono falsati”. Qualche problema sull’attendibilità dei numeri c’è. I dati richiedono elaborazioni lunghe, ma specie sulla mortalità i ritardi sono evidenti.