È una partita fatta di virgole, di commi, ma da cui Giuseppe Conte vuole far uscire un messaggio univoco: “Un patto con gli italiani” basato su riduzione delle tasse, interventi apprezzabili immediatamente, svolta sulla moneta elettronica e poi una serie di interventi che andranno dettagliati nei Collegati alla manovra. “Non ci accontentiamo di sterilizzare l’Iva”, ha spiegato ieri sera in conferenza stampa, “vogliamo ridurre le tasse”. La decisione, ieri mattina, di scendere fuori da Palazzo Chigi, non era stata quindi solo un messaggio a Matteo Renzi o a Luigi Di Maio, da cui è pressato costantemente, ma di rivolgersi al suo interlocutore privilegiato: il popolo italiano. E in serata, quando si presenta in conferenza stampa dopo l’approvazione della Nadef, Conte insiste sulle linee guida positive della manovra: il Green Deal e “la transizione energetica”; la digitalizzazione dell’economia e della Pubblica amministrazione, la riduzione del cuneo fiscale, il Family Act (tanto caro a Matteo Renzi) e un punto su cui si è assunto direttamente la responsabilità, il Codice per le disabilità.
“Vogliamo un patto sociale, economico e incentivi alla moneta elettronica, senza penalizzare nessuno”, spiega Conte e il messaggio passa per l’ipotesi di ridurre alcune tassazioni che più pesano nei portafogli famigliari, come le bollette di luce e gas, di fare un salto culturale nell’utilizzo di strumenti informatici per i pagamenti, in modo da tracciarli meglio e dare un colpo così all’evasione: “Non è solo un incremento dei pagamenti digitali, ma anche un recupero dell’evasione”.
Sull’ipotesi di una “carta di pagamento” Conte scommette molto. Per questo il governo ha già attivato i contatti con le banche “perché producano una carta base senza nessuna provvigione”, è il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi. Conte vuole chiamare in causa anche Poste perché “chi non ha nemmeno il bancomat possa avere una prepagata gratuita” e attivare così una competizione virtuosa con il settore bancario. L’obiettivo è garantire transazioni prive di oneri, per lo meno quelle fino a 50 o 100 euro da esentare da qualsiasi commissione: “Non dobbiamo dare fastidio a nessuno”, ripete Conte ai collaboratori, “se non a chi fa il nero”.
Il Patto con gli italiani è dunque in primis questo, uno sconto per chi utilizza moneta elettronica con qualche disincentivo per chi utilizza il contante.
Ma a Palazzo Chigi si sta ragionando anche sull’opportunità di introdurre delle precise detrazioni fiscali per le spese effettuate verso quei lavoratori autonomi – elettricisti, idraulici, ma anche conti al ristorante o in albergo – in cui si annida il pagamento in nero. In questi casi, invece, si dovrebbe consentire di detrarre quelle spese, sia per chi effettua la prestazione lavorativa, sia per chi la riceve. Si potrebbe, nel caso la norma fosse introdotta in legge di Bilancio, ricevere così un bonus fiscale annuale da cumulare alla fine dell’anno.
L’idea di ridurre la pressione è una costante – se ci si riuscirà è tutto da vedere, la discussione di ieri non è stata molto benaugurante – e Conte vuole rimpolpare il Fondo per la riduzione della pressione fiscale, istituito nel 2014, e in cui riversare tutto l’extragettito che le nuove misure di lotta all’evasione fiscale potranno generare. Nella Nadef approvata ieri, l’ammontare di risorse da destinare al Fondo è valutato, “per ragioni prudenziali”, solo a 400 milioni. “Pertanto – si legge, in sede di predisposizione del disegno di legge di Bilancio 2020 –, saranno iscritti 0,37 miliardi nello Stato di previsione dell’entrata e, contestualmente, nel predetto Fondo per la riduzione della pressione fiscale”.
A chi nel M5S si è preoccupato per un intervento penalizzante verso le partite Iva, in particolare rivedendo la “flat tax” speciale che il governo aveva già varato portando la tassazione al 15% per i redditi fino a 65 mila euro, Conte invia un messaggio rassicurante. Non solo la norma non sarà modificata, come ha ribadito domenica scorsa il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ma forse si potrebbe pensare di ridurre l’aliquota anche per i redditi tra i 65 mila e i 100 mila euro. Non ci sono le risorse per applicare l’aliquota del 15% anche per redditi fino a 100 mila, si ragiona a Palazzo Chigi, “ma qualche segnale dovrebbe essere dato”.
Ma Conte sta riflettendo anche su un altro intervento molto difficile e delicato, ma dalla portata rilevante: le cassette di sicurezza. Intervenendo la scorsa estate alla festa del Fatto Quotidiano, il procuratore milanese Francesco Greco aveva ricordato che “nelle cassette di sicurezza ci sono 200 miliardi di euro che si possono recuperare. Tutti evasori”.
Conte ha già parlato con Greco e il governo ha già convocato la Banca d’Italia cui è stato chiesto di fare delle proiezioni sui possibili interventi e sulle entrate ricavabili.
Non c’è però al momento alcuna certezza sulle quantità effettive depositate nelle cassette di sicurezza, intaccabili da un intervento fiscale, e poi – si ragiona negli uffici del premier –, si dovrebbe evitare comunque di fare un favore a mafiosi e criminali nel caso di ipotesi di voluntary disclosure su risorse illecite e che potrebbero essere ripulite.