Il giardino dell’Eden congelato. Qui vengono conservati i semi

L’hanno chiamata la “cassaforte dell’Apocalisse”, ma anche l’ “Arca di Noé della diversità”: è una strutture suggestiva in calcestruzzo armato e porte di acciaio che può resistere a (quasi) tutto, attacchi nucleari, incidenti aerei, guerre, catastrofi naturali. Dentro, in sole tre sale, è stoccato tutto il patrimonio genetico delle sementi che usiamo per nutrirci e che l’uomo ha utilizzato in agricoltura negli ultimi 130mila anni. È la Svalbard Global Seed Vault, una vera e propria banca delle sementi. Inaugurata nel 2008, si trova alle Svalbard norvegesi, in un luogo esente da attività tettonica, a 1.200 chilometri dal Polo Nord e a 130 metri sul livello del mare. L’impianto ha una capacità di stoccaggio di 4,5 milioni di semi, attualmente ne ospita 1.078.673, di 6.007 specie diverse (ci sono più di 150 mila campioni di grano e riso e 80 mila di orzo), a una temperatura di -18 gradi.

A gestire la struttura è il governo svedese insieme al Nordic Genetic Resource Centre e al Global Crop Diversity Trust (il Fondo mondiale per la diversità delle colture), e tra i finanziatori figurano alcune multinazionali, ma soprattutto la Bill&Melinda Gates Foundation, che oltre ad aver donato 25 milioni di dollari ha previsto un maxi investimento per assistere le nazioni in via di sviluppo nell’inviare i propri semi al deposito. Sono 76, infatti, i paesi e le organizzazioni, tra cui l’Italia, ad aver effettuato depositi di semi e in realtà chiunque, seguendo le procedure, può farlo, per poi eventualmente chiedere un prelievo in caso di necessità. La prima richiesta in questo senso è arrivata nel 2015 dal Centro internazionale per la ricerca agricola in aree asciutte (Icarda) di Aleppo, in Siria, che ha richiesto alcuni dei campioni depositati (per circa 100 mila semi), persi dopo lo spostamento a Beirut.

Pur essendo stata costruita a prova di catastrofe, anche quella che dovrebbe rappresentare un’assicurazione del nostro patrimonio genetico vegetale rischia di essere messa in pericolo proprio dal cambiamento climatico, visto che il permafrost non è più costantemente ghiacciato, tanto che nel 2017 si è avuta una perdita di acqua nella struttura. Così, si sta lavorando per renderla ancora più inviolabile: oltre a nuove impermeabilizzazioni delle stanze, già realizzate, si allestiranno centrali elettriche di emergenza per garantire il mantenimento del freddo e la costruzione di un nuovo tunnel di ingresso da cui far uscire il calore in eccesso.

La Svalbard Global Seed Vault è la più grande, ma non l’unica banca genetica nata con l’obiettivo di salvaguardare i semi per l’agricoltura (ce ne sono 1.700 nel mondo). Ma esistono anche banche che proteggono materiale genetico animale: dna, sperma, uova, embrioni e tessuto vivo, crioconservati in azoto liquido. Li chiamano “zoo congelati” o “virtuali”, di cui il più famoso si trova a San Diego, negli Usa (il Frozen Zoo, con 10 mila campioni biologici). Gli scopi sono diversi e al momento non sono legati al riscaldamento globale. Ma in un modo che sta progressivamente perdendo la sua biodiversità a causa del clima, banche come queste saranno in futuro sempre più strategiche.

Clima, spariranno caffè e cioccolato

Dimenticate l’avocado, cibo modaiolo che impazza in ristoranti onnivori e vegani oltre che su Instagram, dove è uno dei cibi più fotografati. Il riscaldamento globale sta mettendo a dura prova la sua produzione, e infatti i prezzi sono in crescita costante. Il motivo è semplice: occorrono oltre trenta di litri di acqua per produrne trenta grammi, oltre duecentocinquanta litri a frutto, e purtroppo l’acqua è sempre di meno. Ma altre colture, rischiano, proprio come gli animali, di diventare beni rari e preziosi. Il quadro generale del problema l’ha disegnato il penultimo rapporto del comitato scientifico sul clima dell’Onu, l’Ipcc, dedicato al “Cambiamento climatico e territorio” e uscito nell’agosto scorso. Il riscaldamento globale aumenta alluvioni, siccità e desertificazioni, oltre a produrre nuovi e diversi parassiti, e va a colpire direttamente la produzione agricola, proprio mentre la domanda di cibo cresce perché cresce la popolazione globale. Ad essere in pericolo, però, non solo sono cibi di cui possiamo fare a meno, ma anche colture base della nostra alimentazione. Il World Economic Forum ne ha indicate undici, oltre all’avocado. E due di loro sono veri e propri, amatissimi, confort food, come il cioccolato e il caffè. Il primo, infatti, cresce unicamente in territori con un suolo ricco e molto umido. Molte piantagioni, però si trovano in regioni dove le temperature stanno diventando più volatili: ecco perché si parla di un calo drastico della produzione entro il 2030. Il secondo è messo a repentaglio dalla crisi delle comunità delle api, perché le temperature alte riducono gli insetti meno resistenti che impollinano le piante. Ancora più grave, in realtà, è il calo previsto nella produzione di tre cereali chiave per il sostentamento globale, ossia il mais, il grano, il riso, che – secondo la Fao – producono il 51% delle nostre calorie. Siccità e alluvioni ne minano la produzione, a fronte di un aumento della domanda del 33% nel 2050. Altra coltura in pericolo è la soia, che potrebbe crollare del 40% entro il 2100 e il problema non è solo la sparizione di tofu e tempeh: la soia infatti è una fonte fondamentale per il biofuel. I legumi più a rischio, strano a dirsi, sono i ceci, che richiedono tantissima acqua (oltre duemila litri per una scatola), mentre la frutta secca più vulnerabile al cambiamento climatico sono le arachidi, molto sensibili agli sbalzi di temperatura. Infine, a rimetterci sono anche moltissimi tipi di frutta: dalle banane, che richiedono acqua consistente e clima moderato, e che tra l’altro oggi sono sotto attacco di un parassita che sta distruggendo le piantagioni, alle delicate fragole; dalla frutta con nocciolo, che cresce precocemente per il caldo salvo essere distrutta poi dal gelo improvviso, all’uva, tanto che anche il vino rischia di ridursi dell’85% entro i prossimi cinquant’anni, a meno che non si comincino a sperimentare altre varietà di viticci più resistenti. Requiem anche per lo sciroppo d’acero, che richiede temperatura alte di giorno ma fredde di notte: gli alberi stressati producono così sempre meno linfa.

Purtroppo, l’elenco dei cibi a rischio è destinato ad allungarsi. Ovviamente, maggiormente a repentaglio sono quelli per la cui produzione è necessaria più acqua. Interessante, a questo proposito, il lavoro del Water Footprint Network, sul cui sito si trova una galleria che misura l’impatto idrico di ogni alimento. Tra i peggiori, su questo fronte, c’è la carne bovina (15.415 litri per kg), quella di maiale (5.988 per Kg), il burro (5.553), il cioccolato (17.196). Ma la sicurezza alimentare è a rischio? Secondo una rielaborazione del Rapporto Ipcc sull’agricoltura e il suolo fatta dal Centro-Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), l’aumento delle temperature riduce la produttività dei raccolti ovunque e sta minacciando la sicurezza alimentare nelle zone aride del pianeta, in particolare in Africa, nelle regioni montuose dell’Asia e nel Sud America, dove risiede la metà delle popolazioni vulnerabili. Il cambiamento climatico, di conseguenza, avrà un impatto anche sui prezzi, che aumenteranno del 23% per il 2050. E se sa un lato una crescita contenuta della concentrazione di CO2 potrebbe migliorare la produttività di alcune colture, dall’altro diminuisce la qualità nutrizionale di alcuni alimenti (come il grano, che avrà meno proteine, zinco e ferro). Esistono, però, strategie di adattamento a questo quadro: la protezione delle foreste e la riduzione del degrado boschivo, ad esempio, è tra le azioni di mitigazione del clima più efficaci. Ma di ancor più facile adozione è, secondo gli esperti Ipcc-Cmcc, il cambio della dieta alimentare. Le indicazioni sono sempre le stesse: non sprecare cibo, ridurre drasticamente la carne, orientare la propria dieta su alimenti di origine vegetale e basso impatto ambientale.

“Giusto versare, è un risarcimento al partito”

Dopo una settimana complicata tra accordi, presentazioni di liste e mal di pancia interni, il commissario Pd in Umbria Walter Verini di domenica vorrebbe solo riposarsi. E invece no perché il Messaggero ieri mattina ha rivelato: i candidati al consiglio regionale del Pd umbro hanno firmato un contratto con una penale da 30mila euro per chi dovesse cambiare casacca durante il mandato. Una sanzione simile a quella prevista per gli eletti dai 5Stelle e che fa infuriare i dirigenti dem.

Verini, com’è nata questa proposta?

Le sembrerà strano, ma è nata quasi per caso. Dieci giorni fa, durante l’ultima riunione del Pd, il candidato Giacomo Leonelli si è alzato e ha detto: “Visto che durante l’ultima consiliatura ci sono stati diversi casi di abbandoni del gruppo, sarà il caso di rafforzare il legame con il Pd attraverso forme di deterrenza e risarcimento”. Quando ha fatto questa proposta ho visto molti cenni di approvazione e nessuno ha avuto da obiettare. Strano che esploda la polemica solo adesso, tutti i candidati hanno firmato il documento con quella clausola.

In che cosa consiste precisamente la penale?

Chi fa campagna elettorale si fa eleggere sotto il simbolo del Pd e poi cambia partito durante il mandato per qualsiasi motivo, procura un danno economico e politico al partito e quindi, come forma di risarcimento, deve pagare 30mila euro. Non è stata una decisione mia, ma la condivido.

Perché proprio questa cifra?

Non c’è un motivo preciso, potevano essere pure 20mila o 40mila euro. È un calcolo che è stato fatto dal tesoriere Paolo Coletti: è stato un automatismo dopo la proposta fatta alla riunione. Ripeto: non c’è stata una vera decisione politica.

Visto che si parla di “modello Umbria”, secondo lei il suo partito dovrebbe replicare la penale anche a livello nazionale?

Non so, non dovete chiedere a me. Per adesso è una sanzione solo a livello locale. Deciderà il Pd in autonomia: io però voglio dire che sono totalmente contrario al vincolo di mandato del M5S.

Che differenza c’è tra le due proposte?

Sono due cose molto diverse: inserire il vincolo di mandato in Costituzione significa ledere la libertà dei parlamentari ed è una proposta gravissima e inaccettabile. Nel nostro caso invece i casi di dissenso e di libertà di coscienza sono assolutamente garantiti ma poi esiste un partito e uno statuto quindi, se un consigliere cambia gruppo, paga un risarcimento morale nei confronti del partito per continuare a finanziare manifesti e feste dell’Unità.

Quindi la differenza è giuridica?

Esatto. La proposta dei 5 Stelle vìola la Costituzione. Il nostro è un documento interno al partito firmato liberamente dai candidati.

Se uno dei vostri non avesse firmato il documento, non si sarebbe potuto candidare?

Sì, è la condizione di una comunità: il problema è che abolendo i finanziamenti pubblici ai partiti, togliendo anche questi soldi, la politica la farebbero solo i ricchi.

È una mossa per scoraggiare i consiglieri del Pd a passare con Renzi?

No, Leonelli, che l’ha proposta, è un renziano della prima ora.

Orfini e Marcucci la accusano di voler rincorrere il grillismo e le chiedono di fare un passo indietro su questa penale.

Le loro preoccupazioni sono legittime ma esagerate e poi, ripeto, non devono prendersela con me: io la condivido ma non l’ho pensata in prima persona.

Del trasformismo si discute da settimane.

È un fenomeno deprecabile e in passato abbiamo assistito anche a gravissimi fenomeni di compravendita di parlamentari. Dopodiché i casi di dissenso vanno trattati da un punto di vista politico e nel dibattito democratico di un partito.

Il Pd umbro imita i 5Stelle: “Multe a chi cambia partito”

Stanno diventando sempre più simili tra loro, i giallorossi. Si inseguono e si mescolano, condividono idee e paure. Perché se pochi giorni fa il capo dei Cinque Stelle aveva ringhiato sulla necessità di un vincolo di mandato ed evocato la multa di 100mila euro per ogni transfuga verso altri partiti, prevista nel Codice etico del Movimento per parlamentari e consiglieri regionali (inapplicabile, di fatto), adesso di sanzioni per chi cambi casacca parlano e soprattutto codificano anche loro, i dem.

Proprio quelli che gli avevano risposto malissimo, ricordando che la Costituzione non prevede vincoli per i parlamentari e augurandosi che “Di Maio stesse scherzando” (il capogruppo in Senato Andrea Marcucci). Ma il ministro non scherzava, come non scherzavano neppure i vertici del Pd umbro che, come raccontato ieri dal Messaggero, venerdì hanno convocato i venti candidati nella lista per le Regionali del 27 ottobre, facendo firmare loro un contratto in cui gli eletti si impegnano a versare 30mila euro alla segreteria regionale in caso di addio al Pd prima della fine della prossima legislatura. Insomma, anche i dem impongono accordi con penali, proprio come ha fatto più volte il M5S. E lo scopo è innanzitutto scoraggiare fughe verso Italia Viva, il neonato partito di Matteo Renzi. “Solo un risarcimento per l’eventuale danno d’immagine, il vincolo di mandato non c’entra nulla” prova a sminuire in mattinata il commissario del Pd in Umbria, Walter Verini (intervistato nell’articolo qui sotto). Ma il rincorrere antiche e contestate pratiche Movimento, proprio nella regione in cui si sperimenterà il primo patto elettorale dei giallorossi, suona come un’eresia a tanti big del Pd, come la perdita dell’identità. Perciò riecco Marcucci, renziano che non ha seguito Renzi: “”Inseguire il M5S, inserendo una sorta di di vincolo di mandato per i candidati in Umbria, non mi sembra affatto una buona idea. Verini ci ripensi”. Ed è ancora più duro Matteo Orfini: “”Non avevo capito che la scelta di costruire un’alleanza con il M5S in Umbria, mai discussa, prevedesse l’obbligo di emulare le parti peggiori del grillismo. Spero che il segretario Zingaretti intervenga al più presto contro questa sciocchezza”.

Ma nel Pd le vecchie scorie sono sempre in circolo. Così a Orfini risponde ad alzo zero la presidente provinciale del Pd di Modena, la zingarettiana Stefania Gasparini: “ In effetti Orfini preferisce andare dal notaio e cacciare chi non la pensa come lui, come fece ai tempi dell’ex sindaco di Roma Marino”. E le liti proseguono, mentre i 5Stelle stanno a guardare, sorpresi e silenziosamente divertiti. Consapevoli che inserire il vincolo di mandato in Costituzione è utopia, nel Movimento ragionano su vie alternative.

E la strada principale rimane quella indicata in settimana dal ministro ai Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, cambiare i regolamenti delle Camere “magari inserendo sanzioni per chi cambia gruppo come avviene in altri Paesi” butta lì un big. Poi c’è sempre quell’idea, il recall, ossia permettere ai cittadini di revocare i parlamentari tramite una raccolta di firme, come avviene in alcuni Stati americani. “Ma prima bisogna portare a casa il taglio dei parlamentari” ripetono dal M5S, cioè scavallare il 7 ottobre. Un passaggio essenziale “per blindare la legislatura” ha ribadito ai ministri a 5Stelle due giorni fa Di Maio, grillino che guarda i dem: inseguirlo.

“Dare un orizzonte al patto sinistra-M5S”

Ieri, nella sua consueta rubrica domenicale, Antonio Padellaro ha individuato in Pier Luigi Bersani la figura migliore per “federare” il variegato universo delle sigle di governo che si contrappongono alla destra di Salvini, in calo nei sondaggi. Partendo dalla constatazione che oggi la somma di M5S, Pd, La Sinistra, +Europa potrebbe superare il 50 per cento, Padellaro pone il problema di dare una “forma politica” a questa somma, altrimenti il rischio è di fare la fine dell’Unione prodiana. Per questo bisogna federare e per farlo un candidato c’è. Bersani appunto, uomo di sinistra e il primo ad aprire ai 5S. Ecco la risposta di Bersani.

Caro Padellaro, anch’io mi organizzo su tre punti.

Primo: fra sommatoria e federazione c’è di mezzo un percorso che ci aiuti tutti a staccarci dagli ormeggi programmatici e politici di questi anni. Senza entrare nei particolari, penso a una chiamata larga e aperta a tutte le forze interessate a costruire un’alternativa civica, sociale e politica a una destra regressiva in nome di una sinistra plurale. Da lì, un tavolo di svolta programmatica che apra il dialogo con i 5 Stelle, auspicabilmente avviati verso un modello più ricco di partecipazione. L’esito politico e organizzativo (alleanza, federazione, nuovo soggetto) andrà affidato al percorso e alla sua maturazione.

Secondo: bisogna partire subito, partire ieri, per creare un ambiente politico coerente con la fase aperta dal nuovo governo, che non può vivere in solitudine né tantomeno può rafforzarsi se invece di muovere e aprire il campo lo si riduce al gioco dei quattro cantoni con uno che va di qua e l’altro che va di là. Il vero rischio boomerang deriva dall’assenza di un orizzonte politico per l’alleanza di governo. Di questo bisogna essere consapevoli, e agire subito.

Terzo: in politica, Bersani non decide di Bersani. Non funziona così. Posso però esprimere un’opinione. Quando c’era da fare uno strappo, l’ho fatto con convinzione e a spese mie. Non ho ragione di pentirmene. Per quello che è avvenuto in questi anni e per le ammaccature delle forze in campo, mi vedo più adatto a spingere che a tirare (metafora del contadino col carro!). In ogni caso, sarà con tutte le mie forze. Grazie.

Meno Iva se paghi con carta e +1-1,5% se paghi in contanti

“Abbiamo questo grande conto del Papeete che ci è stato lasciato da pagare e dobbiamo farlo in modo equilibrato, senza danneggiare la crescita”. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha la battuta pronta, ma durante l’intervista a “1/2 Ora in più” (RaiTre) da Lucia Annunziata quello che non dice spicca di più: alla vigilia del Consiglio dei ministri che oggi dovrà approvare la nota di aggiornamento al Def, la cornice della prossima legge di Bilancio, il cantiere dei conti pubblici, è più che mai aperto. “La manovra dovrebbe attestarsi intorno ai 30 miliardi”, spiega il ministro dell’Economia. Alla base ci sono i 23 miliardi per scongiurare l’aumento dell’Iva, a cui aggiungere 7 miliardi per le politiche da mettere in campo. Al momento queste coperture non ci sono. Ma il ministro assicura: “Non faremo una manovra restrittiva nonostante la richiesta iniziale dell’Europa che diceva di ridurre dello 0,6% il deficit strutturale. Faremo una piccola espansione che miri a ridurre il debito pubblico”.

Il nodo più spinoso resta l’Iva. “Esistono varie ipotesi allo studio che in ogni caso, soprattutto attraverso l’effetto di incentivi ai pagamenti elettronici, produrrebbero una riduzione”, dice Gualtieri. L’Iva potrebbe salire di un piccolo 1-1,5% per chi paga in contanti e addirittura scendere per chi paga con carte tracciabili, come si apprende da fonti di Palazzo Chigi. L’idea incontra resistenze nel M5S e nel Pd, ma soprattutto tra i renziani. Ma – denuncia il ministro – “l’intervento sull’Iva nasce anche dalla necessità di porre rimedio agli errori di Salvini”. La coperta resta comunque corta: la flessibilità che l’Unione europea è disposta a concedere non basta a garantire un provvedimento espansivo e dare sogno e sostanze alle richieste degli alleati di governo. Tutto non si potrà ottenere visto che Gualtieri non intende andare allo scontro con Bruxelles. “Forse è meglio non dichiarare il 2,4% e poi fare il 2,04% e nel frattempo avere un’impennata dello spread. Per trovare la quadra – afferma il ministro – bisogna utilizzare al massimo gli spazi di flessibilità che esistono nel Patto di stabilità e crescita”.

La manovra non cancellerà le due misure bandiera dei gialloverdi: Reddito di cittadinanza e Quota 100. Confermata anche la mini flat tax, fino a 65mila euro, per le partite Iva. E, anche se nel 2020 ci sarà un po’ di spending review, Gualtieri assicura che non si toccheranno “scuola, sanità e università” e si cercherà di avviare il “superamento del superticket”, dando un primo segnale di attenzione anche alla famiglia, “con la riduzione o l’azzeramento delle rette per i redditi medio-bassi e la costruzione di nuovi asili nido”.

Nella manovra potrebbe entrare anche un primo taglio del costo del lavoro. “Vogliamo partire con un primo scaglione di riduzione del cuneo fiscale, è un elemento importante non solo a livello redistributivo ma anche per la crescita”, dice Gualtieri.

Il ministro va poi al cuore del “patto degli onesti” annunciato dal premier Conte per combattere l’evasione fiscale, da cui dovrebbero arrivare un po’ di coperture. Bisogna trasformare l’Italia in “un Paese all’avanguardia” nei pagamenti elettronici”, dice Gualtieri che annuncia un lavoro per “alzare la soglia zero commissioni e ridurre in modo consistente quelle per gli esercenti” quando si paga con il bancomat.

Il ministro affronta poi il tema del cambiamento climatico, assicurando che “la componente Green new deal è un pilastro per questo governo”. Anche se ormai c’è la conferma del ministro dell’Ambiente Costa che il decreto Clima slitterà: “Le coperture ci sono, ma vanno inserite in manovra”. Quello che arriverà nel Consiglio dei ministri nelle prossime settimane sarà una norma che avrà valore programmatico, mentre si dovrebbe creare una cabina di regia sugli investimenti.

Ma mi faccia il piacere

Di Papi in figlio/1. “Posso dire che secondo me Berlusconi non voleva uccidere Maurizio Costanzo, o è lesa maestà?” (Matteo Renzi, deputato Italia Viva, 28.9). Deve averglielo detto Silvio, quindi è vero.

Di Papi in figlio /2. “Ho sognato che Berlusconi era mio padre” (Stefano Accorsi, attore protagonista di 1994, 19.9). Dev’essere un’epidemia.

Pisalvini/1. “Sulla giustizia il primo governo Conte è stato un incubo su prescrizione, durata dei processi, intercettazioni, criteri di nomina del Csm” (Giuliano Pisapia, eurodeputato Pd, Repubblica, 29.9). È quello che dicevano anche Salvini e la Bongiorno.

Pisalvini/2. “Diritti, subito le leggi. Decreti sicurezza e cittadinanza ai nuovi italiani, i 5Stelle rompano con il passato” (Pisapia, ibidem). È quello che spera ardentemente anche Salvini.

Colpa di Virginia/1. “Rifiuti e degrado, il turismo frena. Per Natale occupato solo il 60% degli hotel: ‘Città senza eventi e poco accogliente’. ‘Topi, borseggiatori e abusivi’. Gli stranieri bocciano la Capitale” (Il Messaggero, 9.12.17). “Allarme Onu: troppi turisti. Roma tra le città a rischio” (Il Messaggero, 23.9.19). Se i turisti calano, è colpa della Raggi. Invece, se aumentano, è colpa della Raggi.

Colpa di Virginia/2. “L’alleanza impossibile tra il Pd e Raggi: ‘Ha rovinato Roma’” (Repubblica, 26.9). Giusto: aridatece Mafia Capitale.

Colpa di Virginia/3. “Spazzatura, degrado e topi: Parigi città più sporca d’Europa. Attacco alla sindaca socialista” (Libero, 24.9). Pure Parigi ha rovinato, ’sta Raggi.

Fake news di gruppo. “Prima delle elezioni Di Maio era stato mandato a fare un Governo esclusivamente da solo” (Luca Bottura, Repubblica, gruppo Gedi, 27.9). “Si immagini, Di Maio, un partito nel quale un capo politico si presenta alle elezioni dicendo mai alleanze” (Mattia Feltri, La Stampa, gruppo Gedi, 27.9). “Se alle elezioni dovessimo ottenere il 40%, potremmo governare da soli. Se non dovessimo farcela, la sera delle elezioni faremo un appello alle altre forze politiche presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta” (Luigi Di Maio, capo M5S, prima delle elezioni, Circo Massimo, Radio Capital, gruppo Gedi, 18.12.2017). Ma quelli delle fake news non erano i 5Stelle e i nemici delle fake news quelli di Repubblica e Stampa?

L’oltrista/1. “Chi ha problemi va dallo psicologo o si iscrive ai 5Stelle. Di Maio è un falso big” (Gelsomina Vono, senatrice M5S passata a Italia Viva di Renzi, il Giornale, 27.9). Lei, quando si iscrisse e si candidò con i 5Stelle e fu eletta grazie al falso big, che problemi aveva, a parte la labirintite?

L’oltrista/2. “Io sono oltre i partiti, oltre le ideologie, le casacche. Oltre le barriere… Oltre Salvini, oltre anche Di Maio” (Vono, il Fatto, 28.9). Ma soprattutto oltre la decenza.

Anti, cioè pro. “Alzare le pene non serve a evitare l’evasione” (Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia, il Fatto, 26.9). Giusto: per combattere davvero l’evasione, bisogna renderla obbligatoria e poi premiarla.

La pulce con la tosse. “… È necessario mobilitare tutte le energie. Quelle di chi non si rassegna a fare della nostra casa uno tra i tanti soggetti di un centro-sinistra ‘col trattino’. Quelle dei tanti che, come me, non sono ‘ex’ di nulla, per i quali il Pd è stato il primo e unico partito… Insieme a tutte queste persone, che con le loro idee e la loro energia hanno scelto, come me, di rimanere nel Pd, abbiamo ancora moltissimo da dire e da dare alla nostra comunità. Per farlo credo sia necessario dare vita a un primo nucleo di una nuova area politica, che si chiamerà ENERGIA DEMOCRATICA. Già nelle prossime settimane incontreremo in giro per i territori i tanti militanti e iscritti che mi hanno e ci hanno contattato chiedendo un riferimento e un confronto… Con loro lavoreremo per costruire una rete e formulare una proposta politica che spero – anzi, ne sono certa! – potrà essere utile a tutto il Partito Democratico in questo momento così cruciale” (Anna Ascani, sottosegretaria Pd all’Istruzione, Facebook, 29.9). Asca’, magna pure tranquilla.

Il titolo della settimana. “La P4 non c’era: imputati tutti assolti” (Luigi Bisignani, Libero, 27.9). A parte Alfonso Papa, appena miracolato dalla prescrizione in appello dopo la condanna a 4 anni e mezzo in primo grado, ci sarebbe un certo Luigi Bisignani, che al processo P4 ha patteggiato 1 anno e 7 mesi per 10 capi di imputazione, tra cui associazione per delinquere, favoreggiamento, rivelazione di segreto e corruzione. Pensate: la P4 non esisteva, Bisignani era innocente, ma lui non lo sapeva.

Grigòlo molesto? Sì, soprattutto nel cantare

Stanno cadendo come birilli, i direttori d’orchestra e i cantanti accusati di molestie nell’esercizio delle loro funzioni. Poi verrà il turno dei ballerini e dei coreografi.

Se costoro hanno esercitato un metus reverentialis per portarsi a letto qualche cantante, ballerina/o o affini, certo si tratta di un atto non lodevole. Sarebbe bello si estendesse (mi ripeto) a chi ha praticato questi esercizi in molti teatri importanti, con una moglie che a volte si dava a scene isteriche, svenimenti e falsi suicidî. Io non vedo, in fondo, perché un artista, che è un libero professionista, debba essere escluso dal manifestare la sua arte perché i suoi costumi erotici sono volgari o censurabili. Allora facciamo roghi sulla pubblica piazza delle poesie di Verlaine e Rimbaud, delle opere di Palazzeschi e Pasolini.

Non mi pare che il teatro sia stato – mai – un mondo di educande, e accorgersene oggi è solo ridicolo. Salvo, ripeto, quando si manifestino lati odiosi. E sarebbe ancora più bello se la stessa sorveglianza si estendesse al mondo della pubblica amministrazione e a quello dell’Università: ove comportamenti di molestie si configurano anche sotto il profilo penale.

Vorrei venire all’ultimo caso del quale si sta parlando, di un tenore aretino che adesso è un idolo, a quel che sembra, al Metropolitan e al Covent Garden, tale Vittorio Grigòlo. Sono andato su Youtube a vedere delle manifestazioni della sua arte. Mi pare ben plausibile che uno con quel modo di muoversi quando sotto i riflettori si dirige verso i fan (canta anche musica leggera) abbia una stravolta idea del suo ego e dei rapporti col pubblico. E ho sentito qualcuno dire che canta come Claudio Villa! Ossia: uno dei più grandi vocalisti degli ultimi decennî. A volte alla ggente bisognerebbe consentire di parlare solo di football.

Impedirgli di cantare perché avrebbe messo una mano in culo a una corista mi pare una superfetazione calvinista. Ma per ben altri motivi bisognerebbe vietargli l’attività del canto, o quanto meno far sì che lui paghi un cospicuo biglietto a tutti coloro che vanno ad ascoltarlo.

Bela, singhiozza, piagnucola, non rispetta il ritmo. Diciamo che del pezzo musicale classico ha un’interpretazione, più che arbitraria, caricaturale. Se fossi un direttore d’orchestra il quale accetta di dirigere una recita operistica nella quale costui partecipa, mi vergognerei per mancanza di dignità. Mi vergognerei molto più di lui. Fa i suoi interessi; lo pagano; chi se ne frega della musica. Va bene che oggi direttori d’orchestra del suo livello abbondano. Ma il direttore d’orchestra è, o dovrebbe essere, il responsabile artistico dell’opera eseguita sotto la sua bacchetta.

Uscirà sempre qualcuno a dire che esagero. Facciamola corta. Invito chi mi legge ad ascoltare (c’è su Youtube) la Romanza dell’Elisir d’amore Una furtiva lacrima. Prima nel massacro di Grigòlo. Poi, in ordine crescente di perfezione, cantata da tre angeli: Beniamino Gigli, Tito Schipa, Enrico Caruso. E mi voglio rovinare. Persino Pavarotti, a confronto dell’aretino, fa un figurone.

Emma esce dall’ospedale e rincuora i fan: “È stata dura, ma è andata bene”

Il peggio sembra passato per Emma Marrone. Dopo l’annuncio, il 20 settembre scorso, dei problemi di salute e la conseguente sospensione del tour, la 33enne cantante salentina rassicura sulle sue condizioni di salute. Sui social una foto la ritrae mentre si toglie il braccialetto identificativo dell’ospedale, forse al termine di un’operazione. “Ho finalmente tolto questo braccialetto ma lo conserverò per sempre, è stata dura… ma è andata!”, commenta Emma. Tuttavia il ritorno sul palco non sembra vicino: “Ho bisogno del tempo necessario per recuperare le forze, ma credetemi non vedo l’ora di tornare da tutti voi, e lo farò al più presto”. I fan restano al centro dei suoi pensieri, così come tutti coloro che le sono stati vicino in questo periodo di incertezza, lasciandole messaggi di incoraggiamento e affetto. Fra gli altri anche le colleghe Laura Pausini, Giorgia, Alessandra Amoroso e Noemi, e tanti vip come l’ex Marco Bocci e soprattutto Maria De Filippi, che le aveva dedicato una lettera sulla pagina di Amici, il talent che nel 2009 lanciò la carriera della cantante.

Emma non dimentica chi ancora non ha superato la malattia: “Mando un bacio a tutte le persone che hanno avuto un pensiero per me e ringrazio per tutto l’amore che ho ricevuto e che mi ha dato la spinta a combattere con più forza e coraggio del solito. Mando un bacio molto più grande a tutte quelle persone che ancora non possono smettere di combattere: tenete duro, io sono con voi!”. Non un commento invece per gli haters, che non si sono fatti scrupoli in un momento così delicato, inondando di insulti il post con cui lei annunciava la malattia e augurandole il peggio per le sue idee anti-salviniane.

La cantante non ha ancora dichiarato da quale patologia si sia fatta curare. In molti hanno temuto che si trattasse dell’insorgere di un nuovo tumore all’utero e alle ovaie, una neoplasia di cui Emma era stata vittima 10 anni fa. Una teoria che era stata avallata da un servizio del Tg1, che la performer, però, non ha mai confermato. Sembrerebbe comunque che, in questo caso, la conclusione positiva del percorso di cura sia giunta in tempi brevi, tanto che Emma ha terminato il suo messaggio confessando il sollievo per l’esito della terapia: “La serenità sta pian piano prendendo il posto della paura… Piango di gioia finalmente!”.

“Il mio Sindaco rap tra De Filippo e Muhammad Ali”

“Non ho guardato il sindaco di Eduardo, né quelli di Anthony Quinn o Carlo Giuffré. Ho visto Eros Pagni, ma era un’altra cosa. Mi sono fidato solo di quel testo di sessant’anni fa, e vi ho trovato un sound diverso: il rap”. Attivo a teatro e al cinema, prezioso e orgoglioso “operatore culturale” al Nest di San Giovanni a Teduccio, la periferia di Napoli dove è nato e vive, Francesco Di Leva è l’“uomo d’onore” chiamato a dirimere tra “gente per bene e gente carogna”, ovvero il sindaco del rione Sanità Antonio Barracano. Una prova, la sua, che avvince per prestanza fisica e possanza attoriale, ma non dissimula un’alterità: il personaggio di De Filippo aveva 75 anni, Di Leva ne ha 41 all’anagrafe, 38 nella finzione.

Quindi? Nulla, anzi, tanto meglio: “Parole messe su carta tra il 1959 e il 1960 sembrano scritte cinque giorni fa, e Barracano ringiovanisce insieme a loro”. Dopo l’applaudita anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, Il sindaco del rione Sanità diretto da Mario Martone arriva in sala: per tre giorni, da domani a mercoledì.

Di Leva, Napoli è stata troppo protettiva con Eduardo: che si prova ad averlo tirato fuori dalla teca?

Dalla teca, da napoletano, non posso dirlo, di certo con Martone abbiamo provato a sdoganarlo, a dargli il profilo internazionale di uno Shakespeare. Senza snaturare l’autore, piuttosto liberandolo da un grande peso: in fondo, si fatica a staccare Eduardo dal macrotesto, dal tipo eduardiano. Accostandolo, il problema è sempre quello: non impadronirsi della drammaturgia, ma… chi interpreta Eduardo? La persona ancor prima del suo personaggio.

Il sindaco trova un arrangiamento rap: come ci siete arrivati?

Per atteggiamento, voce e movenze, mi è stato fondamentale Muhammad Ali, che poi il rap l’ha inventato lui. Utilizzava la forza, la prepotenza, ma anche l’ironia: le paure, le sue e le nostre, ce le ha mostrate fino in fondo. Sicché ho deciso di presentarmi in scena con la tuta nera, il cappuccio calato e fare gli addominali: un boss palestrato, come tanti nei nostri quartieri. Ah, Ali faceva anche altro…

Dica.

Spiazzava sempre, tutti. Atterrato in Africa, all’intervistatore che gli chiede del prossimo incontro risponde con un monito sulla carie, invitando i bambini a mangiare pochi zuccheri e lavarsi i denti. Così il mio sindaco: smentisce quel che tutti si aspettavano un secondo prima, è immarcabile, imprevedibile.

E ha un’ironia fin qui sconosciuta.

Non è peregrina, è il vero dramma dei nostri quartieri: ci si innamora, di questi criminali. Simpatici, disinvolti, eleganti, danno sempre del lei, e il popolino ne cerca l’ammirazione, fa a gara per la loro approvazione. Ma si sbaglia, e di grosso: i boss non hanno solo la battuta pronta, un attimo ridono, quello dopo uccidono.

Che fare?

Non fidarsi di loro, ma prestare fede alle parole: hanno scelto di fare la malavita, ossia hanno deciso di vivere male la propria vita. Stanno sempre rinchiusi in casa, non vivono con i figli per paura di ritorsioni, non si godono le proprie donne, in nove casi su dieci peraltro bellissime. Non è un caso che il mio Barracano abbia 38 anni, oggi non ci sono in giro boss che abbiano superato i 40: o stanno dentro o sono morti prima.

Li ha raccontati anche Gomorra.

Ma qui il potere è alla parola, non all’azione. Avevo monologhi da quattro minuti, vale a dire altrettante cartelle Word, e non c’è da stupirsi: con Martone stiamo sulla parola di Eduardo per raccontarla in un altro modo, rimettiamo la poesia al centro del villaggio. Ma quanto sentiamo la mancanza oggi di testi che prendano posizione, che siano atti politici, poetici e profetici, perché Il sindaco ha 60 anni?

Cosa può insegnare Barracano ai ragazzi di Napoli?

Che non vale la pena intraprendere la carriera camorristica. In realtà, lo fa anche Gomorra: a chi si sono ispirati Roberto Saviano, Maurizio Braucci se non al nostro sommo drammaturgo, e segnatamente al Sindaco del rione Sanità? Pure lì muoiono tutti, ma con una differenza sostanziale: Barracano ha paura di morire, si commuove e piange, non è un mito, ma un uomo, un padre; in Gomorra anche in punto di morte il boss non batte ciglio, guarda negli occhi l’avversario e gli intima: “Spara”.

Ettore contro Achille?

Chi è Ettore, chi Achille? Sì, forse il mio sindaco è Ettore, ma lui la morte non l’accetta.