Il Pagellista Cairo dà il voto a Belotti

Un primo gol di rabbia e potenza e un secondo condito da acrobazia e – perché no? – un pizzico di comicità. In cinque minuti, giovedì sera, Andrea Belotti ha ribaltato una partita che pareva persa schiantando il Milan. I tifosi del Torino si godono il bomber ed evocano – con il dovuto rispetto al mito – paragoni con i giganti del passato, Paolino Pulici, il bomber dei bomber della storia granata, su tutti. Anche i quotidiani – non solo quelli sportivi – il giorno dopo dedicano al “Gallo” pagine e titoli celebrativi. Non fa eccezione, ovviamente, la Gazzetta dello Sport che – tuttavia – si premura di inserire non uno, ma ben due box (a pagina 19, dedicata a Belotti, e a pag.22, dedicata al Magic campionato) per specificare che “per un errore” il voto attribuito a Belotti in Torino-Milan è “7,5” e non “7”. Premura probabilmente inedita; d’altronde, si sa, il Fantacalcio è una faccenda maledettamente seria per schiere di italiani. E tacciano le malelingue che pensano a un eccesso di zelo per Urbano Cairo, presidente del Torino che – come tutti i tifosi – si gode giustamente il momento magico del suo bomber e (sia detto a titolo di cronaca) è anche l’editore della Gazzetta dello Sport.

La Regione Siciliana: stop al costoso affitto da Montante

Dopo che il Fatto ha scritto degli uffici del Centro per l’impiego di Caltanissetta in affitto nello stabile dell’imprenditore Antonio Calogero Montante, la Regione Siciliana ha fatto sapere di aver avviato la procedura di “disdetta del contratto di locazione” e deciso di trasferire altrove i dipendenti.

Già presidente della Camera di commercio nissena, Montante è stato per anni il paladino dell’antimafia e ha scalato i vertici di Sicilindustria e poi della Confindustria nazionale, entrando anche nel consiglio direttivo dell’Agenzia dei beni confiscati. Noto per i molteplici legami con la politica, le forze armate e l’intelligence, è stato condannato lo scorso maggio a 14 anni in primo grado, rito abbreviato, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Al momento ai domiciliari, è anche imputato per concorso esterno in associazione mafiosa.

La Regione precisa che il contratto stipulato con la AD Architettura Design Srl, posseduta al 46% da Montante, risale al 1998. Il canone era “di 188 milioni di lire annui” per sei anni, rinnovabili. Per ventuno anni la Regione ha pagato Montante, e lo avrebbe fatto fino al 2022, per 114 mila euro annui. I pagamenti, precisano i dirigenti regionali, sono stati “effettuati regolarmente fino al 22 aprile 2019”, perché dopo “un’attività di ricognizione sui 147 immobili locati”, e venendo a conoscenza “dell’esiguità numerica del personale dell’ufficio”, è stato dato mandato di spostare i dipendenti. Dalla Prefettura non sono “emersi elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa”, quindi non c’è stato il presupposto di “decadenza o sospensione” del contratto. “La disdetta rientra in un’operazione più ampia di razionalizzazione degli affitti, con risparmi consistenti per la Regione”, spiega l’assessore all’Economia Gaetano Armao.

Il corvo e il ritorno di Totuccio. Ombre su Sica e La Barbera

Fu Domenico Sica, allora Alto Commissario antimafia, a telefonare negli Usa 30 anni fa al pentito Totuccio Contorno, attraverso funzionari dell’Ambasciata americana a Roma, poco prima che Contorno tornasse in Sicilia aggregato agli uomini di suo cugino, il boss Gaetano Grado, in un periodo in cui gli omicidi si contavano a decine. Almeno fino al momento dell’arresto dei due cugini, catturati dagli uomini di Arnaldo La Barbera il 26 maggio 1989 a San Nicola l’Arena con modalità operative che la commissione antimafia definisce “frettolose”, non furono approfondite, come forse sarebbe stato opportuno, circostanze singolari, non furono compulsati approfonditamente testimoni che avrebbero forse reso abbastanza più difficile l’assoluzione di Contorno dal reato di detenzione di armi”.

La desecretazione degli atti della Commissione antimafia porta a galla i misteri dell’estate rovente dell’89, segnati dal ritorno in armi in Sicilia del pentito Totuccio Contorno, dal fallito attentato dell’Addaura al giudice Falcone, dai veleni del Corvo e dall’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino e della giovane moglie, Ida Castelluccio. Le carte rilanciano ombre sull’operato di Sica e di La Barbera, entrambi defunti, il primo regista in quei mesi anche dell’operazione Corvo, le impronte digitali prelevate al pm Alberto Di Pisa, poi assolto dall’accusa di essere autore di una serie di lettere anonime circolate nei palazzi istituzionali con accuse infamanti nei confronti di Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro, allora direttore del nucleo anticrimine della Criminalpol.

Dalle carte, finora secretate, emerge anche, come dice l’ex pm Roberto Tartaglia, consulente della commissione, “l’isolamento” del giudice Falcone: “Quel che viene fuori in modo drammatico – dice Tartaglia– è quanto la vicenda Contorno venne usata strumentalmente per isolare Falcone e per colpire investigatori come Gianni De Gennaro che avevano mostrato particolare bravura pur tra mille oggettive difficoltà”. E se la relazione di maggioranza del comitato presieduto da Giuseppe Azzaro (Dc) si affretta a chiudere i lavori decidendo di non allargare le audizioni (oltre quelle di Contorno, De Gennaro e La Barbera) è il senatore dei Verdi Franco Corleone a sottolineare i “buchi neri’’ dell’operazione Contorno che richiederebbero, a suo avviso, l’apertura di un vera e propria inchiesta: “Mentre Contorno era in America ha ricevuto una telefonata attraverso funzionari dell’Ambasciata americana nella quale gli si diceva che l’Alto commissario voleva parlargli ed era disposto ad incontrarlo in qualunque posto – scrive Corleone nella relazione di minoranza –. Contorno parla con Sica dall’America. Cosa si dicono? Non lo sappiamo: Contorno dice che essendo a “lutto stretto” non può parlare e perciò rimanda ad un momento successivo. Ma Buscetta nella deposizione al dottor Celesti dice testualmente “è stato pregato di tornare in Italia’’. E, poche righe più sotto aggiunge: “Vale inoltre la pena di ricordare che il prefetto Sica non ha mai chiarito a sufficienza il rapporto con Contorno, così come mai è stata esaurientemente spiegata la fuga di uno pseudopentito da una discoteca romana, per non parlare poi del tentativo d’incastrare Badalamenti’’.

Sono le ombre gestionali di un ufficio, l’Alto Commissariato, al centro delle manovre occulte di quegli anni, organizzato, scrive Corleone, come ‘‘un piccolo servizio’’: “Il nostro Paese ha vent’anni di storia e anche di stragi (non ci sono soltanto le stragi della mafia) in cui le responsabilità si intrecciano. Per questi motivi non credo che ci serva un servizio segreto in più’’. Servizi da dove proveniva La Barbera, nome in codice Rutilius nell’86 e nell’87, che dieci giorni prima, si scopre dalle carte, aveva avvertito De Gennaro, intercettato con Contorno: “Mi disse: ti abbiamo sentito in diretta – ha riferito l’ex capo della polizia ai commissari –, pensavo che si riferisse alla televisione o ad altro, mentre mi disse che avevano intercettato una telefonata’’.

Il blitz a San Nicola scattò dieci giorni dopo, e gli uomini della Mobile di Palermo trovarono nel covo di Grado un revolver calibro 357 magnum, un fucile Breda calibro 12, un fucile calibro 12 sovrapposto, una penna pistola; armi tutte non catalogate, con relative munizioni. E in una roulotte parcheggiata accanto una pistola Smith and Wesson calibro 38, un fucile a canne mozze, una fondina e un giubbotto di marca statunitense. E le chiavi di un’auto, trovata due giorni dopo, con un bossolo Fiocchi, calibro 12. “Pochi giorni fa alla Commissione è arrivata la notizia che le chiavi dell’automobile trovate nella roulotte vicino alla casa di Grado dove c’erano armi, eschimo, cartuccera, pistole e munizioni, erano di una macchina che è stata trovata, due giorni dopo, il 29, con un bossolo Fiocchi calibro 12 – scrive Corleone – quindi è stata sequestrata perché è una macchina indiziata e quelle chiavi trovate nella roulotte aprono la portiera sinistra e avviano il motore. Quindi in quella roulotte c’è la chiave di volta del caso. Noi su questo abbiamo avuto dal dottor La Barbera risposte incredibili: si trovano delle armi in una roulotte e non si sigilla, non si mette sotto sequestro, non si chiama il proprietario. Ecco: dire allora che tutto va bene, madama la marchesa, a mio parere, è inaccettabile: io ritengo che la Commissione sia in condizione di iniziare l’inchiesta e debba decidere in tal senso”.

Silvio Novembre, l’altra metà dell’eroe borghese

Aveva sorriso, quando aveva visto se stesso interpretato sullo schermo da Michele Placido: “Io non sono così bello”, aveva sussurrato. Lui era Silvio Novembre, il film era Un eroe borghese, che raccontava la storia dell’avvocato Giorgio Ambrosoli.

Se n’è andato nella notte, a Milano, a 85 anni. Era un giovane maresciallo della Guardia di Finanza quando un incarico ricevuto dai suoi comandanti gli cambiò la vita. Fu mandato ad assistere un giovane avvocato milanese nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, definito da Giulio Andreotti il “salvatore della lira”, ma finito in un crac clamoroso, ricercato e latitante in America, ma protetto e sostenuto in Italia.

Da principio tra i due costretti a lavorare insieme non c’era feeling. Silvio era un ragazzone silenzioso e spigoloso, Giorgio un professionista che aveva subito capito di essere finito in mezzo a una storia pericolosa, in cui non poteva fidarsi di nessuno. Poi i due si annusarono, il ghiaccio si sciolse, tra loro si saldò un’alleanza forte, un’amicizia vera, la complicità di chi è finito per caso in una vicenda che incrocia finanza e politica, potere e criminalità, e sceglie di fare il suo dovere fino in fondo, senza cedere a blandizie, pressioni, ricatti, minacce.

Ambrosoli, l’“eroe borghese” raccontato da un indimenticabile libro di Corrado Stajano, l’11 luglio 1979 fu ucciso dal killer mafioso arrivato dall’America. Sindona fu condannato come il mandante dell’omicidio. Silvio Novembre restò vivo e continuò negli anni a testimoniare l’eroismo antieroico che aveva condiviso con Ambrosoli. Negli anni in cui fu a fianco dell’avvocato, il maresciallo fu suo assistente e guardia del corpo, autista e amico.

Sei anni dopo, fu tra i fondatori del circolo Società civile, promosso da Nando dalla Chiesa, che si impegnava a diffondere i temi della legalità, negli anni della “Milano da bere” e del negazionismo criminale (“A Milano la mafia non esiste”). Era in buona compagnia: tra i soci fondatori di Società civile c’erano Corrado Stajano e Camilla Cederna, Giorgio Bocca e David Maria Turoldo, Armando Spataro e Ilda Boccassini, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo…

Per Silvio fu una nuova giovinezza, s’impegnò nelle attività del circolo, girò per le scuole a raccontare. Dopo un funerale in cui si era ritrovato solo accanto ai familiari di Ambrosoli, dopo anni di silenzio e di beffe sottili (Andreotti: “Certo è una persona che in termini romaneschi ‘se l’andava cercando’”), contribuì a far diventare il commissario liquidatore un esempio per l’Italia che voleva reagire ai sistemi criminali in cui s’intrecciano corruzione e mafia. Sempre senza enfasi, senza retorica, con una punta semmai d’ironia: “Bravo Michele Placido, ma io non sono così bello”.

Exodus, sospetto di intercettazioni illegali degli 007

C’è un’indagine molto delicata della Procura di Roma. È un’inchiesta che mira a capire se in passato i servizi segreti italiani abbiano effettuato intercettazioni illegali o se le eventuali conversazioni captate dall’intelligence siano finite in cloud non autorizzati. Il fascicolo sul quale si tiene il massimo riserbo è quello che riguarda Exodus, un software che secondo alcune indagini della Procura di Napoli sarebbe stato utilizzato per registrare dati e comunicazioni senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, intercettando anche persone estranee alle inchieste penali, per poi conservare in un cloud in Oregon (Usa) il materiale.

Il punto è che anche l’Aise, i servizi segreti esteri, hanno avuto in passato un contratto di sperimentazione con la società che gestiva il software, la E-Surv di Catanzaro. Che la Procura di Roma avesse aperto un fascicolo è noto. Inediti i reati per i quali si procede: frode nelle pubbliche forniture e intercettazioni illegali. Nessuno iscritto nel registro degli indagati. Gli accertamenti sono in corso: i pm stanno cercando di capire meglio i limiti del contratto di sperimentazione stipulato alla fine del 2016 tra l’Aise e la E-Surv.

Per prima cosa quindi bisogna accertare se e per quali indagini gli 007 abbiano utilizzato quel software, per poi capire – in caso di risposta affermativa – di che tipo di intercettazione si tratti. Intanto sulla scrivania dei magistrati sono già arrivate le memorie dell’Aise e una lettera dell’attuale direttore Luciano Carta (che non era a capo del dipartimento quando è partito il contratto di sperimentazione con la E-Surv).

Nella lettera Carta, riportando quanto gli è stato riferito, ha spiegato che quel software in realtà non sarebbe mai stato utilizzato. E proprio questo sta accertando la Procura. Qualora si stabilisse che l’Aise non ha mai usato il software, la questione potrebbe chiudersi. Diversamente in caso opposto: bisognerà capire che tipo di intercettazioni siano state fatte e se fossero autorizzate.

L’inchiesta della Procura di Roma è stata aperta dopo che i colleghi di Napoli hanno messo i sigilli alla E-Surv. A febbraio del 2019 infatti il tribunale partenopeo (che riceve a sua volta gli atti da Benevento) dispone il sequestro preventivo della E-Surv, la società di Catanzaro “sviluppatrice di piattaforme informatiche e di software per lo svolgimento di intercettazioni telematiche mediante captatore informatico”.

Di proprietà della E-Surv, come già detto, è anche la piattaforma informatica Exodus, utilizzata per le intercettazioni tramite captatore informatico. Questo software è stato venduto in passato anche a un’azienda che poi si è aggiudicata gli appalti di alcune procure italiane, come Benevento o Catanzaro. In altre parole, Exodus è il software che veniva utilizzato dalla Polizia giudiziaria per le intercettazioni. Dopo il sequestro, a maggio scorso arrivano le misure cautelari, con due imprenditori della E-Surv che finiscono ai domiciliari. Le accuse sono accesso abusivo al sistema informatico per aver distribuito in Internet programmi software che, una volta scaricati, hanno consentito di captare comunicazioni e dati senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria; e intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche, per aver distribuito una sorta di “trojan-virus” che avrebbe infettato anche i telefoni di persone estranei alle indagine. I dati, secondo i pm di Napoli, venivano conservati in spazi cloud della piattaforma Amazon, con sede in Oregon (Usa). Qui, per gli investigatori, sono finiti circa 80 terabyte di dati riferibili ad attività investigative e di intercettazione di numerose procure italiane.

L’inchiesta di Napoli, che a oggi conta 18 indagati, è ancora in corso. Per il prossimo 4 ottobre nel capoluogo partenopeo è stato fissato l’incidente probatorio. Quel giorno verrà conferito l’incarico ad un perito che dovrà acquisire il contenuto della piattaforma Exodus “in modo da non alterare il contenuto dei reperti” e analizzare “le modalità di funzionamento della piattaforma Exodus, illustrando in particolare se emergano dati, documenti o tracce informatiche relative all’attività criminosa contestata”, come si legge nell’ordinanza di ammissione di incidente probatorio. In altre parole, sarà una verifica su come avveniva la presunta infezione dei cellulari, sulle modalità con le quali gli utenti scaricavano particolari app che rendevano – secondo le accuse – i loro telefonini intercettabili.

Novità potrebbero dunque arrivare presto da Napoli. Come pure dalla Procura di Roma.

Def, mancano 7 miliardi: rischio tagli e aumenti Iva

A meno di 48 ore dal Consiglio dei ministri che dovrà licenziare la Nota di aggiornamento al Def, il governo non è ancora riuscito a far quadrare i conti. E il rischio che si arrivi ad aumenti selettivi dell’Iva è sempre più concreto. L’ipotesi è allo studio del ministero dell’Economia guidato da Roberto Gualtieri.

Al momento all’appello mancano 7 miliardi. Il quadro, in sintesi, è questo. A bilancio per il 2020 ci sono 23 miliardi di aumenti automatici dell’Iva, disinnescandoli il deficit arriverebbe al 3,2% del Pil. Gualtieri, però, non ha ottenuto da Bruxelles più del 2,2 (forse 2,3%). All’appello manca almeno un punto di Pil (17 miliardi). Il governo può beneficiare di maggiori risparmi da Reddito e Quota 100 per 5 miliardi, da sommare agli 11 grazie al maggior disavanzo e ai 4 di risparmi dalla spesa per interessi sul debito. E questo il quadro solo per disinnescare l’Iva, poi restano da finanziare le spese indifferibili (2 miliardi) e il taglio del cuneo fiscale da 5 miliardi promesso, che rischia di slittare.

Al momento queste coperture non esistono. Dovrebbero arrivare dalla “lotta all’evasione” che in realtà si traduce in aumenti selettivi dell’Iva. Al Tesoro, con l’avallo di Pd e M5s, si studia un meccanismo per far pagare di più l’imposta a chi paga in contanti e meno (tramite rimborso) per chi usa la carta. Alla base, però, c’è il “riordino” delle aliquote Iva: alcuni beni passeranno da quelle più base (4 e 10%) a quella più alta (22%) – o addirittura introducendone una quarta intermedia –, cercando di evitare questo passaggio per i beni di largo consumo delle famiglie a medio-basso reddito. Premura difficile da realizzare se l’obiettivo è recuperare 7 miliardi. Per questo si studiano anche tagli di spesa e riduzione degli sconti fiscali, materia politicamente esplosiva. Matteo Renzi, per dire, ha detto che Italia Viva porrà il veto ad aumenti di tasse.

Il grande business miliardario che fa felici i big delle carte

La lotta al contante per combattere l’evasione e recuperare gettito è il cuore dei piani della maggioranza per la prossima legge di Bilancio. Per favorire la diffusione dei pagamenti digitali tracciabili il governo punta ad azzerare le commissioni per chi fa pagare beni e servizi con carte e bancomat e di ridurre l’Iva per chi le usa. Il meccanismo dovrebbe premiare chi userà bancomat e carta di credito con un rimborso fiscale dal 2 al 4% della spesa, restituita mese per mese, e i lavoratori autonomi, esercenti e commercianti che favoriranno i pagamenti con moneta elettronica con un credito d’imposta. Per farlo, l’esecutivo cerca anche un accordo con l’Abi, la Confindustria delle banche.

Ma i problemi non mancano: siamo tra gli ultimi Paesi al mondo per uso dei pagamenti digitali. Secondo l’ultimo rapporto Assofin-Nomisma-Crif, nel 2018 in Italia le carte sono state usate per acquistate beni e servizi del valore di 80 miliardi, in crescita del 5% sul 2017. Nel nostro Paese circolano 15 milioni di carte di credito e 56,3 milioni di carte di debito ma restiamo al 24° posto su 28 Paesi europei per rapporto tra transazioni effettuate con carte e Pil.

L’uso del contante è spinto dall’economia “in nero” e dalle mafie, ma a depotenziare le carte ci sono anche le commissioni. Una ricerca di Banca d’Italia spiegava che il “costo sociale” dei pagamenti nel 2010 era pari a 15 miliardi (l’1% del Pil), dei quali 8 riferiti al contante e 7 a carte, bonifici e assegni. Questi ultimi però “valevano” appena un ottavo delle transazioni totali. Non esistono dati sulle commissioni pagate in Italia per le carte, che di certo non mancano: i commercianti ne pagano due tipi alla banca acquirente, una in valore percentuale sul valore della transazione e una fissa per il noleggio dei terminali Pos. Alla banca acquirente viene poi addebitata una commissione percentuale interbancaria dalla banca emittente. Infine, la banca che emette la carta imputa altre commissioni, oltre a un canone annuo, al cliente titolare.

Per mettere ordine nel caos delle commissioni, per nulla trasparenti e molto diverse da Paese a Paese, l’Unione europea nel 2015 ha introdotto un regolamento e nel 2018 una direttiva, oltre a fissare accordi con i primi due player delle carte, Visa e Mastercard. Per la Ue le commissioni a carico dei venditori non devono superare lo 0,2% del valore delle transazioni per le carte di debito e lo 0,3% per quelle di credito, mentre per i pagamenti sul web le percentuali salgono all’1,15% per le carte di debito e all’1,5% per quelle di credito. Anche l’Antitrust italiana ha ricordato a chi vende beni e servizi che è vietato introdurre commissioni aggiuntive per chi paga con le carte. Con la legge di Stabilità del 2016, infine, chi vende beni o servizi ha l’obbligo di dotarsi di Pos e di accettare pagamenti con carta.

Ma quanto vale il mercato delle carte? Secondo il Nilson Report i primi cinque operatori globali (Visa, Mastercard, Amex, JCB e Diners) nel 2017 a livello mondiale hanno gestito 271,16 miliardi di transazioni, pari a 17.276 miliardi di dollari, dei quali 12.862 miliardi per pagamenti, su un totale di 5,35 miliardi di carte in circolazione. Il 2018 è stato un anno da incorniciare per il settore. Secondo i bilanci societari di fine anno, Visa ha realizzato ricavi netti per 20,6 miliardi di dollari e un utile netto di 10,3 miliardi (+53,8%), Mastercard ha fatto segnare ricavi netti per 14,95 miliardi di dollari (+19,6% su base annua) e un utile netto di 5,86 miliardi (+49,7%), American Express ricavi per 40,3 miliardi di dollari (+9,4%) e un utile netto di 6,9, aumentato del 151,9% su base annua. I primi tre operatori mondiali hanno guadagnato dopo le tasse quasi 23,1 miliardi, 10 miliardi in più del 2017. Ma nei loro bilanci le fonti di ricavo sono indicate con perifrasi che rendono estremamente difficile capire da dove davvero arrivi il giro d’affari. Il rendiconto di Amex parla di commissioni commerciali dai venditori di beni e servizi pari a 24,7 miliardi (su 40,3 di ricavi totali), seguite da 3,4 miliardi di commissioni nette pagate dai titolari delle carte, altre commissioni per 3,2 miliardi e “altri ricavi” per 1,4 miliardi circa, oltre a un margine d’interesse netto di 7,7 miliardi circa.

Nessuna delle grandi società delle carte però disaggrega i dati su base nazionale. Quello che si sa è che nel Vecchio Continente nel 2018 tutte le carte emesse da Visa, Mastercard, American Express e Diners Club hanno generato un volume di acquisti pari a 3.045 miliardi di dollari, in crescita del 14,9% sul 2017, dei quali un terzo acquistati con carte di credito. Nel mondo, per volumi acquistati nel 2018 Visa era prima con una quota di mercato del 60%, seguita da Mastercard con il 30%, Amex con il 6%, Jcb con il 2 e Diners che “pesava” l’1% circa.

Casaleggio va all’Onu. I dem: “È un enorme conflitto di interessi”

La notizia l’ha gentilmente fornita lo stesso Davide Casaleggio al Corriere della Sera pubblicata ieri: “Interverrò all’Onu nel corso di un evento dal titolo ‘Digital Citizenship’ (…) L’Associazione Rousseau è da sempre in prima linea per difendere i diritti che possono essere esercitati attraverso Internet”. Insomma, Casaleggio parlerà alle Nazioni Unite di “cittadinanza digitale” non come imprenditore, ma con la maglietta di presidente dell’Associazione che è l’hardware del Movimento 5 Stelle. Qual è il problema? Questo: “L’evento è stato organizzato e promosso dal governo italiano, attraverso la Rappresentanza Permanente italiana all’Onu” all’epoca del governo gialloverde (alla Farnesina c’era Enzo Moavero, Luigi Di Maio era vicepremier). Ovviamente, spiega Casaleggio, “non viaggerò con la delegazione del governo e le mie spese le gestirò in autonomia”. Soldi a parte, l’erede della Casaleggio Associati non avrebbe però lo status “personale” per partecipare a un cosiddetto side event (eventi a margine) della settimana in cui si riunisce l’Assemblea generale Onu, sia pure uno tra i quattro o cinque sponsorizzati dalla diplomazia italiana al Palazzo di Vetro (“parlerà come membro della società civile”, dicono dagli uffici di New York). Per questo tutti i partiti, compreso l’ormai alleato Pd, parlano di conflitto di interessi: “Casaleggio è stato multato dal Garante per la privacy, incredibile che parli a un evento collaterale all’Onu a nome del governo italiano. Chi lo ha deciso?”, dice il capogruppo dem in Senato Andrea Marcucci; “Casaleggio continua a evitare il macigno che pesa sulla democrazia italiana: il conflitto d’interessi tra la sua azienda privata e il partito dai cui parlamentari riceve finanziamenti obbligatori”, ha scritto il deputato Andrea Romano. La reazione dei 5 Stelle arriva a sera dopo una giornata di polemiche “pretestuose e strumentali”, dicono fonti anonime alle agenzie: “Si ricorda che solo un anno fa, il 27 settembre 2018, la Rappresentanza Permanente all’Onu ha organizzato un evento invitando tra gli altri Romano Prodi come presidente della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli”. Risulta, però, che Prodi sia pure un ex premier italiano, ex presidente della Commissione Ue e già a capo di un gruppo di lavoro dell’Onu sull’Africa: non proprio lo stesso curriculum di Casaleggio.

Legge elettorale: la scissione dem blocca tutto

Il 7 ottobre arriverà in aula la riforma costituzionale che taglia i parlamentari. Il voto è previsto per il giorno dopo. Nel frattempo, la legge elettorale non solo non si farà in contemporanea, ma neanche si capirà qual è il sistema che accompagnerà il taglio, se non in maniera generica. Le discussioni si sono arenate, per due motivi. Il primo, riguarda tutti: in genere, una volta fatta una riforma elettorale, la legislatura si chiude. Ed ecco perché anche in questo caso, la legge elettorale si farà solo alla fine della legislatura in corso. Il secondo, riguarda i rapporti del Pd con Italia Viva di Matteo Renzi: Zingaretti punta ad un sistema che assomigli a un maggioritario, magari un proporzionale con soglie di sbarramento alto. Ma Renzi non può accettarlo, visto che la sua creatura nei sondaggi non arriva neanche al 5%. Il 7 ottobre la Camera darà il via al ddl Fraccaro, con la quarta lettura (quella definitiva).

 

Il ddl Fraccaro

Il testo si compone di quattro articoli. E prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e quella del numero dei senatori da 315 a 200. Un taglio che vale anche per gli eletti all’estero. Alla Camera passerebbero dagli attuali 12 a 8, mentre al Senato scenderebbero da 6 a 4. Si prevede anche che il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque. Infine, si stabilisce che la riduzione deve partire dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano passati sessanta giorni.

 

Il referendum

Qualora una riforma costituzionale non raggiunga la maggioranza dei 2/3 si può chiedere il referendum confermativo. Per quel che riguarda il taglio dei parlamentari, la richiesta è già possibile, visto che alla terza lettura in Senato, tale soglia non è stata raggiunta. Possono chiederlo: 500.000 elettori o 1/5 dei membri di ciascuna camera del Parlamento o 5 Consigli regionali. La richiesta di referendum deve pervenire entro 3 mesi dalla pubblicazione. Questo dicono le norme. Ma poi, la questione è politica: il referendum verrà chiesto, non fosse altro per il fatto che tutte le forze politiche hanno bisogno di tempo, prima di arrivare alla legge elettorale. Così, si guadagna un anno.

 

Le norme per le urne

Il taglio del numero dei parlamentari si ripercuote sulla legge elettorale, visto che le regole attualmente in vigore prevedono per la Camera 232 collegi uninominali e 63 collegi plurinominali; per il Senato 116 collegi uninominali e 33 collegi plurinominali. Il disegno di legge costituzionale non interviene su questa materia, che è rimessa alla legislazione ordinaria. Nell’accordo tra Pd e Cinque Stelle, i dem mettevano come precondizione per votarlo il fatto che il taglio dei parlamentari fosse accompagnato da una serie di contrappesi, tra cui proprio la riforma della legge elettorale. Inizialmente, l’idea era lavorare a un proporzionale. Se ne parlerà a fine legislatura. E si studia un marchingegno di accompagnamento alla riforma per dire che deve entrare in vigore solo quando ci sarà la nuova legge. In questa settimana, si lavorerà per arrivare a un accordo sui Regolamenti parlamentari.

 

La fiducia

Due le linee portanti. La prima: cambiare i numeri, ad esempio, per costituire un gruppo parlamentare o per azionare alcune prerogative in Assemblea (dalle proposte di modifiche dell’odg alla richiesta di verifica del numero legale). La seconda è garantire alla maggioranza il voto in una data sicura per i provvedimenti del governo e bilanciare questa scelta, limitando la possibilità di ricorrere al voto di fiducia.

“Noi siamo favorevoli allo ius culturae, ma ora altre priorità”

Lo ius culturae, torna alla ribalta del dibattito politico. Dal 3 ottobre sarà il relatore Giuseppe Brescia del M5S a portare la discussione sul tavolo della commissione Affari Costituzionali della Camera, di cui è presidente. Un dibattito preliminare, perchè come lui stesso spiega: “Siamo ben lontani dalla discussione di un testo base e c’è anche un testo a prima firma Polverini che introduce lo ius culturae. Ora comunque le priorità in commissione sono altre, a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari che approveremo martedì. Daremo il tempo ai gruppi di presentare le proposte e saranno tanti i soggetti che vorranno venire in audizione”.

Come relatore Brescia raccoglie il testimone da Roberto Speranza di LeU, oggi ministro della Salute, che durante il Conte I guida la discussione sul ddl sulla cittadinanza a prima firma Boldrini: “Credo che lo ius culturae sia una soluzione di civiltà – spiega Brescia – che favorisce l’integrazione e premia i minori di quelle famiglie che hanno dimostrato di volersi inserire positivamente nel nostro tessuto sociale”.

Le nuove norme dovrebbero prevedere infatti (mai i particolari ancora non si conoscono) che ai minori stranieri sia consentito l’accesso alla cittadinanza italiana se hanno frequentato almeno un intero ciclo scolastico in Italia. Attualmente, invece, può richiedere la cittadinanza chi abbia almeno un genitore italiano (ius sanguinis) o abbia vissuto 10 anni legalmente sul territorio dello Stato (per i minori al compimento dei 18 anni, ma senza alcun automatismo).

Tra quelle depositate in Parlamento, però, manca una proposta di legge del M5S, cioè del partito del nuovo relatore: “Per presentare un nostro testo – spiega Brescia – abbiamo un iter ben preciso da seguire, che passa anche dalla consultazione degli iscritti a Rousseau”, ma comunque si lavorerà per evitare i potenziali abusi. Si potrebbe “prevedere la possibilità dei genitori residenti regolarmente da almeno 5 anni nel nostro Paese di richiedere la cittadinanza per i figli che completino un ciclo di studi”.

L’apertura del governo giallorosso verso i migranti, per ora non comprende la riforma della legge Bossi-Fini: “La sua revisione non è in agenda. Certo, ci sono diversi aspetti che andrebbero riconsiderati, ad esempio il sistema d’accoglienza che necessita di ritocchi importanti se vogliamo assicurare davvero ordine e sicurezza”.

Per Brescia una delle sfide sarà far capire le dimensioni e l’incidenza di una riforma della cittadinanza: “Stando ai dati del ministero dell’Istruzione circa 826mila sono gli studenti stranieri presenti in Italia, di questi più della metà (circa 503mila) sono nati in Italia. Parliamo di meno del 6% di tutta la popolazione studentesca. Le audizioni del ministero e dell’Istat serviranno a fare chiarezza sui numeri”.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ovviamente, hanno già iniziato la loro campagna contro la “cittadinanza facile”. Brescia, che appartiene all’ ala “sinistra” dei 5 Stelle, replica così: “La loro unica idea politica è alimentare le paure delle persone, creare divisioni sociali per tornaconto elettorale. Io credo che nel Paese ci siano invece tante persone che si aspettano dalla politica soluzioni concrete a tante questioni lasciate irrisolte proprio per timore di perdere consensi”.

D’altro canto, per Brescia sono molti i cittadini favorevoli alla riforma: “I diritti dei minori stranieri sono un tema e lo dimostrano le tante lettere ricevute in queste ore. Lo ius culturae premia i minori delle famiglie inserite positivamente nel nostro tessuto sociale. Nomi e cognomi stranieri, ma cuori italiani con diplomi di maturità col massimo dei voti e brillanti storie personali”.