Il consigliere Cavaliere, il Verde nemico dei “tangentari”

“Era uno dei pochissimi che hanno interpretato il proprio ruolo politico con sensibilità e responsabilità assolute, l’unico capace di essere legittimato e rispettato dentro e fuori del Palazzo, anche dai giovani più arrabbiati”. Così nel 2009 lo studioso della politica e saggista Marco Revelli ricordava Pasquale Cavaliere (Gragnano, Napoli, 1958 – Cordoba, 1999), il consigliere regionale dei Verdi del Piemonte che dieci anni prima, il 6 agosto del 1999, si era tolto la vita a Cordoba, in Argentina. Chi era Cavaliere? Un uomo che stava dalla parte della giustizia, dei diritti, degli immigrati, degli umiliati e offesi, dei cittadini, della democrazia.

Era uno dei pochi che, dai tempi della sua militanza in Democrazia Proletaria e poi nei Verdi, non aveva esitato a denunciare tangenti e tangentari. La sua eredità politica e morale se n’è andata con lui. Il mondo è infatti ritornato indietro, il marciume politico e affaristico c’è sempre, ma nessuno o quasi nessuno lo porta allo scoperto come aveva fatto Pasquale. Sono trascorsi vent’anni da quando Cavaliere se n’è andato, e ora, il 28 settembre a Ciriè, in provincia di Torino, dove abitava, lo ricorderanno i vecchi amici dei Verdi con interventi, letture e musica.

A Ciriè era immigrato da bambino dalla Campania, con la sua famiglia, secondo di nove fratelli. Aveva poi fatto l’apprendista, l’operaio metalmeccanico, il delegato sindacale, fino alla militanza in Dp. È un piccolo grande ricordo, quello di Ciriè, che si scontra con il silenzio assordante dei palazzi della politica. Quei palazzi in cui Cavaliere con determinazione si era battuto contro soprusi e malefatte, ma aveva saputo anche mediare, con il suo sorriso, tra realtà antagoniste e istituzioni, come fece con gli squatter, con i centri sociali. La morte di Cavaliere ha lasciato un vuoto immenso tra gli uomini e le donne di civile sentire, di utopie possibili, quelle in cui credeva.

Nel Vecchio Continente addio ai ghiacciai “Nel 2100 ne sarà rimasto soltanto il 20%”

Il turismo in alta montagna? Al ritmo con cui si riscalda la terra, rischia concretamente di sparire, e a nulla potrà la neve artificiale. Ma questa è davvero la più lieve delle notizie contenute nell’ultimo Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, organo scientifico Onu che si occupa di clima), dedicato a “Oceano e Criosfera in un clima che cambia”.

Redatto da 104 autori di 36 paesi diversi e fondato su quasi 7.000 pubblicazioni, il Rapporto è stato rilasciato ieri a Monaco, mentre arrivavano le notizie sul possibile distacco del ghiacciaio di Planpincieux sul Monte Bianco. E proprio il ritiro e lo scioglimento dei ghiacciai (in Europa caleranno dell’80% entro il 2100, in assenza di azioni), unito alla perdita di massa delle calotte glaciali e alla diminuzione della copertura nevosa influenzeranno in futuro, negativamente, sia la disponibilità delle risorse idriche – nelle regioni di alta montagna (dove abitano 670 milioni di persone) come a valle – che la qualità dell’acqua, minacciata dalla mobilizzazione di contaminanti, soprattutto mercurio. L’apertura di nuove future, rotte commerciali nell’Artico, potenzialmente libero dai ghiacci a settembre, metterà a rischio l’ecosistema artico e le comunità costiere.

Proprio queste ultime, non solo ad alte latitudini ma ovunque (abitate da un totale di 680 milioni di persone), sono minacciate gravemente dall’innalzamento del mare: secondo le previsioni più negative, l’innalzamento sarà di 60-110 cm entro il 2100 o di 30-60 centimetri nello scenario meno infausto. Saranno sempre più devastate da cicloni tropicali, tempeste e piogge intense, specie se le emissioni resteranno alte, mentre le zone dove i ghiacci si ritirano sono messe in pericolo da frane, valanghe e alluvioni.

Ma l’oceano non muta solo di livello. Si riscalda – le ondate di calore marine sono raddoppiate dal 1982 – e si acidifica, con conseguente alterazione sui benefici di questi ecosistemi in termini di beni alimentari come di mitigazione dei cambiamenti climatici stessi. Il Rapporto prevede una diminuzione del 15% della produzione ittica globale, l’erosione delle comunità coralline, una perdita tra il 20 e il 90% della vegetazione costiera, con gravi conseguenza per i redditi e il sostentamento alimentare, specie dei paesi che dipendono dalla pesca.

Molte sono, però, le misure che si possono mettere in atto subito: ridurre la pressione antropica e l’inquinamento, ripristinare le zone umide costiere, introdurre pratiche di gestione sostenibile della pesca, prevedere sistemi di allarmi precoci per gestire i rischi connessi ad eventi estremi.

Ma per contrastare gli effetti dell’aumento delle temperature serve, anche, una riduzione urgente e ambiziosa delle emissioni di gas serra, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015. Obiettivo complicato, però, proprio dallo scioglimento dei ghiacci, visto che lo scongelamento del permafrost (25% entro il 2100 se il riscaldamento resta sotto i 2°C, 70% se le emissioni crescono), rilascerebbe biossido di carbonio e metano che aumenterebbero la concentrazione di gas serra. “Gli impatti dei cambiamenti climatici sull’oceano e la criosfera producono cambiamenti che in alcuni casi sono ormai irreversibili e la cui intensità aumenterà: per questo è indispensabile prendere in considerazione soluzioni per affrontarli”, ha detto Simona Masina del Centro Euro-mediterraneo sul Cambiamento Climatico, Focal point dell’Ipcc per l’Italia. Come i precedenti Rapporti (agosto 2019 e ottobre 2018), anche quest’ultimo Rapporto è uno strumento pensato per i decisori e i leader politici. Che dopo il Summit Onu, si vedranno alla 25esima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, in Cile, a dicembre. Ci sarà ancora Greta Thunberg.

L’Ue ambientalista preferisce muoversi con un jet privato

Più jet privati per i nuovi commissari europei. Mentre in questi giorni l’Ue a guida Von der Leyen si propone sulla scena mondiale come capofila della lotta al cambiamento climatico e alle emissioni di gas serra, generate anche dal traffico aereo, una voce di spesa del budget europeo fresca di ritocco verso l’alto sembra andare in direzione opposta. I fondi destinati agli spostamenti con voli non di linea destinati alle più alte cariche europee vedranno infatti un aumento di 3,5 milioni di euro, ovvero quasi il 50% il più.

La cifra per l’affitto di jet privati ammontava, secondo un appalto relativo al periodo 2016-2021, a 7,14 milioni. Pochi giorni fa, un documento pubblicato sulla Gazzetta ufficiale Ue ha resto noto come i fondi verranno aumentati fino a 10,71 milioni di euro, perché si sono dimostrati “non sufficienti a coprire le esigenze delle istituzioni europee”. Quello indicato sarà pur un tetto massimo, che non necessariamente verrà esaurito entro la scadenza dell’appalto (aprile 2021). Eppure il superamento del limite precedente non sembra essere un buon segnale.

Il caso è stato portato alla luce dal sito politico.eu, che punta il dito sui “taxi-aerei” usati non di rado dal presidente uscente della Commissione, Jean-Claude Juncker. Secondo quanto riporta il sito di affari europei, Juncker ha utilizzato voli privati 21 volte nel 2015, 18 volte nel 2016 e 25 volte sia nel 2017 che lo scorso anno.

La Commissione si è difesa sostenendo che i jet vengono affittati solo quando non ci sono altre opzioni disponibili, che la spesa va ripartita per il numero dei passeggeri a bordo (di solito, una decina), e che in ogni caso le spese della più alta carica Ue sono pubbliche.

In realtà l’ex premier lussemburghese era stato criticato per aver utilizzato i jet per spostamenti di corto raggio, come il trasferimento tra Bruxelles e Strasburgo. E proprio al Granducato riconducono le tre aziende vincitrici dell’appalto. Si tratta di Masterjet, Unijet e Abelag, che sono parte della lussemburghese Luxaviation Group, una società controllata al 33% dalla China Minsheng Investment.

Ma non c’è solo il caso Juncker ad agitare le acque della Commissione uscente e di quella nascente. Il problema dei “taxi-aerei” riguarda anche le altre istituzioni Ue. Il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, ha utilizzato i jet 23 volte nel 2018, anche se in cinque casi il volo è stato fornito dall’aviazione militare del Belgio. Nei tre anni precedenti, i voli erano stati complessivamente 26 nel 2015, 20 nel 2016 e 29 nel 2017. Per quanto riguarda il Parlamento europeo, funzionari di Bruxelles hanno confermato al Fatto come nella legislatura da poco conclusa (2014-2019), divisa tra la presidenza di Martin Schulz e quella di Antonio Tajani, i jet privati sono stati utilizzati quattro volte, anche se non si è trattato di voli che rientrano nell’appalto approvato nel 2016 e ora rivisto.

Clima, una ferita a occhio nudo sul gigante Bianco: “Il Planpincieux collassa”

L’estate rovente ha spaccato in due il ghiacciaio. Ha dato la spallata decisiva a 250 mila metri cubi di ghiaccio che potrebbero collassare da un momento all’altro.

Così si frantuma il Planpincieux, una lingua di ghiaccio che si insinua tra le guglie delle Grandes Jorasses. Quel massiccio di granito – a tratti nero, poi d’improvviso luccicante – ai margini del massiccio del Monte Bianco. Qui dove un altro colosso di ghiaccio è in bilico: è il seracco Whymper, 170 mila metri cubi. In tutto quasi mezzo milione di metri cubi pronti a collassare sulla Val Ferret, alle spalle di Courmayeur. Stefano Miserocchi, sindaco del famoso comune, giura: “Nessun pericolo. Abbiamo chiuso la strada che collega Courmayeur alla frazione di Planpincieux. Ma persone e case sono al sicuro”, ripete nella sala del Comune gremita di giornalisti e abitanti.

“Il Planpincieux potrebbe crollare stanotte o domani. Ma anche resistere settimane”, dice il glaciologo Simone Gottardelli della Fondazione Montagna Sicura che monitora la situazione. Ma i ghiacciai, come i vulcani, sono bestie misteriose. E come i crateri ogni tanto lasciano partire scariche di detriti – tonnellate, mica sassolini – per ricordarti la loro potenza. Anche il ghiacciaio emette boati, scricchiolii colossali. Bisogna accettare gli umori della montagna: se nevicasse e venisse freddo, l’enorme massa potrebbe resistere un altro inverno. Ed è inutile, spiegano i tecnici, usare la dinamite che “rischierebbe di peggiorare la situazione o di essere solo un enorme petardo”. L’uomo può solo stare a guardare.

Il Planpincieux era sotto osservazione dal 2011. Ogni anno scivolava più a valle. Ma quest’estate l’equilibrio si è rotto: “Colpa del riscaldamento globale”, non ha dubbi Jean Pierre Fosson, segretario di Montagna Sicura. Quello che Giuseppe Conte ha detto all’Onu qui te lo vedi davanti: il ghiaccio malato che ha riflessi acquosi, che crepita e si spezza.

Basta guardare le temperature registrate in valle: ad Aosta a luglio le massime mediamente toccavano i 29 gradi. A Courmayeur la temperatura media (tra massima e minima) è stata di 15 gradi. Il risultato lo vedi nelle analisi dei glaciologi: il Planpincieux ha preso ad accelerare fino a ‘correre’ mezzo metro al giorno. Nelle immagini colorate che rivelano le variazioni termiche il cuore del ghiacciaio diventa rosso a luglio e agosto, proprio nei giorni del massimo caldo. Intanto in superficie si apriva una voragine bianca, come una ferita.

La gente di Courmayeur che in sala guarda i grafici pare divisa tra la preoccupazione e l’orgoglio, il desiderio di non mostrare le proprie montagne ferite: “I monti non sono fatti per andare su, ma per venire giù”, sdrammatizza Leo che vive accanto a Planpincieux. Aggiunge: “Cadrà e speriamo che lo faccia presto. Del resto tanti altri ghiacciai sono collassati”. In sala c’è chi ricorda la tragedia del Mattmark (Svizzera). Era il 30 agosto 1965 quando dal ghiacciaio si staccò una massa di due milioni di metri cubi che uccise 88 operai di una diga.

Stavolta non c’è pericolo per Courmayeur. A morire, però, sono i ghiacciai. Il Planpincieux perderà il 20% della sua estensione in pochi secondi. “Il riscaldamento globale – spiega il glaciologo Daniele Cat Berro – colpisce soprattutto i ghiacciai cosiddetti temperati, come questo”. Perché a quote più basse tra il ghiaccio e la roccia corre l’acqua che rende tutto instabile. “Per il seracco di Whymper il crollo sarà provocato invece dalla neve accumulata dalle nevicate e dal vento sulla cima. Milioni di tonnellate che spingono a valle il seracco”, spiega Cat Berro. Almeno in questo caso il caldo forse non c’entra.

Ma nessun ghiacciaio è più al sicuro: “Il riscaldamento muta la consistenza del ghiaccio, lo rende più ‘plastico’ e aumenta la presenza di acqua sottostante”. Il caldo, quel nemico invisibile che le guide alpine di Courmayeur cercano di indicarti con il dito: “Vede là?”, proprio sotto le vette delle Grandes Jorasses, “Questa estate lo zero termico è arrivato lassù, a 4mila metri”.

Come ricorda Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente: “L’aumento di temperatura in montagna è doppio rispetto alla pianura. E gli effetti sono doppiamente drammatici. In un secolo abbiamo perso duecento ghiacciai alpini. Entro il 2050 secondo i dati del Cnr perderemo gli ultimi delle Dolomiti. E nel 2100 sulle nostre montagne non se ne vedranno più”.

Chissà se questa è l’ultima notte del Planpincieux; a tenerlo su potrebbe essere un lingua di ghiaccio sottile come un capello. Poi crollerà e del ghiaccio raccolto in centinaia di anni resteranno solo detriti, acqua. Alice Arrighini, 45 anni, viene quassù da decenni in vacanza. È forse l’unica che tifa per il Planpincieux, perché resista: “In quel ghiacciaio c’è ancora la neve degli anni in cui andavo a sciare con mio padre”.

Lombardia, indagato per abuso d’ufficio il difensore civico

Nuovo terremoto giudiziario in Regione Lombardia. Indagato per abuso d’ufficio il “difensore regionale” Carlo Lio. L’accusa è contestata dalla Procura di Busto Arsizio in relazione alla surroga di un consigliere di Legnano che ha permesso a marzo di non commissariare il comune mantenendo in vita la giunta del leghista Giambattista Fratus, arrestato a maggio per turbativa d’asta e corruzione elettorale. Si tratta dell’indagine Piazza pulita che coinvolge anche il vice sindaco di Fi Maurizio Cozzi e l’assessore all’urbanistica Chiara Lazzarini. I tre oggi sono anche indagati con Lio per istigazione all’abuso d’ufficio. Nuovo capitolo, dunque e nuovo fascicolo dentro al quale ci sono decine di intercettazioni con protagonisti i vertici nazionali di Lega e Forza italia, ai quali Fratus e amici si sono rivolti per non far decadere il consiglio comunale. Fratus, Cozzi e Lazzarini tentano di puntellare la giunta dopo le dimissioni di 13 consiglieri su 25 che dovrebbero portare al commissariamento. Lio, invece, stando alla Procura, nomina un commissario ad acta perché proceda alla surroga che riporterà in vita il consiglio. Il regolamento comunale però lo vieta. Da qui l’abuso d’ufficio.

Dal 2012 a oggi raddoppiate le indennità erogate

In diciassette mesi, dal gennaio del 2018 al maggio di quest’anno, la Guardia di Finanza ha scoperto frodi ai danni del sistema previdenziale e sociosanitario per un totale di 157 milioni. Truffe che hanno portato alla denuncia di oltre 13.500 persone. Lo scenario nel quale inquadrare i numeri è quello di una crescita esponenziale degli invalidi civili. Quelli che percepiscono la pensione – e in molti casi anche l’indennità di accompagnamento (quest’ultima svincolata dal reddito) – sono passati in diciassette anni, a partire dal 2002, da oltre 1,7 milioni a poco più di 3, 1.

Nelle regioni del Nord se ne contano in totale quasi 780 mila, in quelle del Centro oltre 471 mila. Salgono a oltre 908 mila nel Sud e nelle Isole. Fino ad ora però le grandi tornate di ispezioni straordinarie varate per individuare i falsi invalidi non hanno dato i risultati sperati. La prima, tra il 2009 e il 2012, con 800 mila controlli, ha portato a un recupero di 150 milioni generati dalle revoche delle pensioni o dalla loro riduzione. Il secondo round di controlli, 450 mila su tre anni, tra il 2013 e il 2015, ha generato un risparmio di 13,6 milioni.

Numeri ben lontani da quel miliardo che secondo le stime avrebbe dovuto essere recuperato con le ispezioni. Dal 2012 il ricavato dell’attività di controllo per stanare chi percepisce illegalmente pensione o indennità confluisce nel Fondo nazionale per le non autosufficienze. Le pensioni di invalidità oscillano mediamente intorno ai 300 euro, mentre le indennità di accompagnamento possono variare, sempre mediamente, tra i 256,86 euro e i 513 euro. Sono quasi 979 mila gli invalidi che percepiscono la sola pensione, in questo caso concentrati soprattutto nel Sud e nelle Isole, dove se ne contano più di 524mila.

II cieco al tavolo delle carte e altri miracoli di falsi invalidi

Chiamarli furbetti della pensione d’invalidità sarebbe una sintesi riduttiva. A Potenza (ma il fenomeno delle truffe all’Inps è diffuso in tutta Italia) quella messa in piedi era diventata una vera “fabbrica” che sfornava certificati fasulli, visite di comodo, periti compiacenti e medici complici secondo le regole della “catena di montaggio”, scrive il Gip convalidando gli arresti della Procura. Lo si capisce dalle parole del “capo officina’ della filiera, il broker che procura i falsi invalidi agli avvocati, intercettato in una conversazione con un sodale che andrebbe consegnata a uno sceneggiatore: “E pigli soldi, tutti i giorni, cinquanta da uno, cinquanta dall’altro e tu la giornata la pigli… Ma ne devo fare tante, come le tengo io, per esempio ne tengo quattro, cinquecento qua sopra. Allora tieni il giro, uno finisce l’altro… Una la fai (la pratica ndr) e l’altra finisce”. Si guadagna, calcola, circa 3.000 euro al mese. In nero. “Il mestiere è buono, ma lo devi sapere fare, ci vuole pazienza. I figli miei non sono capaci”. Figli di cui vergognarsi, forse. Peggio, forse costretti a vivere onestamente. Viene in mente il colloquio tra Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman ne I soliti ignoti: “Rubare è un mestiere impegnativo, ci vuole gente seria, mica come voi! Voi al massimo potete andare a lavorare!”.

Il cieco che gioca a carte

E non erano in braille. Erano carte napoletane. L’anziano che percepiva un sussidio di circa 515 euro mensili perché affetto da cecità grave è stato pedinato e fotografato mentre giocava a carte in un circolo. Camminava, attraversava la strada, apriva e chiudeva le porte.

Il cieco che guida

L’indagine non può produrre un video del miracolo ma solo da un’intercettazione tra il capobanda e uno dei clienti. In un’altra si spiega come il camionista aspirante non vedente viene istruito per superare la visita medica: “Dici ‘uno non vedo niente proprio e un altro vedo solo… che si muove… Quante dita sono? Che manco vedo”. Una pantomima ripetuta nei minimi dettagli. Ci sarebbe da ridere, se non fosse per il pensiero a chi non vede davvero.

Il cieco col terrore del bancomat

“Che tieni due soldi appresso”? “Ma perché non vai in banca a prelevare”? “Sempre per la cazzo di paura, piglia e ti vede qualcuno”. Già, come farebbe un non vedente a pigiare i tasti giusti del pin del bancomat? Furbo, anzi furbetto. E così aveva pure la scusa buona per farseli prestare.

“Non ci vede e fa la spesa da solo”?

Uno degli avvocati specializzati nelle truffe è consapevole che il gioco si sta facendo pericoloso. Invita a non esagerare. Cura il ricorso in Tribunale e vuole notizie precise sul ricorrente. Come se fiutasse l’odore del pericolo. “Questo ci vede o non ci vede? Non è che dobbiamo passare i guai per i fessi”. L’amico la tranquillizza. “Non ci vede, tiene una malattia, fra poco resta cecato… vede solo l’ombra”. “Vede l’ombra e va facendo la spesa da solo? E se gli fanno due fotografie”?

Il famoso cantante folk

Vertigini, cefalea cronica, sindrome ansiosa, artrosi, ernia, cardiopatia e altro. Patologie gravi, tutte contenute nel certificato medico di un uomo che percepisce un assegno di invalidità di circa 975 euro. Gli inquirenti si chiedono come abbia fatto a tenere 17 concerti folk tra l’aprile e il settembre del 2017. Le tappe del tour sono state diffuse da un comunicato stampa postato sulla pagina del Comune di Potenza. Lui è bravo. Ha il suo pubblico. La Mobile lo ha filmato durante i concerti..

La mamma della famosa cantante

Non ne precisiamo il nome per coerenza. Avendo scelto di non darne in pasto nessuno, applichiamo anche su di lei lo stesso metro. Però la notizia che tra gli indagati ci sia anche la mamma di Arisa è diventata di dominio pubblico e quindi la riportiamo. Aggiungendo che la signora si sarebbe presentata alla visita medica in sedia a rotelle e poi è stata vista dai poliziotti mentre si dedicava “ai lavori nei campi adiacenti alla sua abitazione”. Come un altro signore 77enne, ufficialmente invalido al 100% perché in preda a una grave artrosi invalidante: hanno scoperto che andava a zappare anche lui.

La mamma degli aspiranti invalidi

Una signora falsa invalida si era trovata così bene che avrebbe provato a fare lo stesso anche coi figli e con le rispettive mogli o mariti. Una faceva la cassiera in un supermercato.

Tariffe e provvigioni

La catena di montaggio era ben oliata. Il certificato fasullo aveva un costo di 100 euro, in qualche caso 92. Si ipotizzano corruzioni, ma secondo il Gip le prove sono deboli. Al falso invalido restava il 70% dei cosiddetti “arretrati”, ovvero le invalidità di cui si ha diritto dal momento della domanda al momento dell’approvazione. Spesso si tratta di migliaia e migliaia di euro. Il restante 30% veniva spartito tra intermediari e avvocati. Tra le carte fa capolino qualche avvocato ingordo che avrebbe preteso il 100%.

Sigarette elettroniche nona morte sospetta. Si dimette l’ad di Juul

La crisi sulle sigarette elettroniche è al suo apice e fa naufragare le nozze da 200 miliardi di dollari fra Philip Morris e Altria. Ieri Juul, la start up delle e-cigs ritenuta responsabile dell’epidemia di vaping negli Stati Uniti fra i giovanissimi, ha annunciato l’addio del suo ad Kevin Burns, dopo settimane di polemiche. La società si è anche impegnata a ritirare la campagna pubblicitaria accusata di dipingere le sigarette elettroniche come un’alternativa più sicura. Secondo le indiscrezioni, è già in corso una indagine penale delle autorità federali. Intanto, negli Stati Uniti si registra un’altra morte legata all’uso di sigarette elettroniche, la nona. La vittima è un uomo sui 50 anni che soffriva di altre malattie croniche. Cresce poi il bollettino di persone colpite dalla misteriosa malattia connessa allo svapo, tra 530-550 casi di disturbi respiratori, tosse e danni polmonari gravi. Esperti e autorità sanitarie brancolano nel buio sulle cause: “Non abbiamo ancora identificato un singolo prodotto, una marca o una sostanza presente in ogni caso”, ha detto la vice responsabile dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, Anne Schuchat, invitando comunque a non usare e-cig e prodotti per lo svapo.

Lo scandalo di Danske Bank fa il primo morto

Il corpo senza vita di Aivar Rehe, ex banchiere della filiale estone di Danske Bank, è stato ritrovato ieri dalla polizia di Tallinn. Era scomparso il 23 settembre, senza cellulare, con indosso solo una tuta da jogging. Non ha fatto ritorno a casa e i familiari hanno dato l’allarme. Non c’era timore per la sua incolumità, stando all’ultima nota delle forze dell’ordine lanciata prima del ritrovamento. Il cadavere è stato rinvenuto nel giardino della sua residenza. L’ipotesi è che si tratti di suicidio e le autorità estoni, vista l’assenza di segni di violenze sul corpo, escludono di proseguire le indagini. Non è stata però fornita nessuna spiegazione sul modo in cui si sarebbe tolto la vita.

Rehe ha guidato la filiale estone della danese Danske Bank dal 2006 al 2015. Dal 2008 fino alla fine della sua esperienza in Danske, nella sede estone sono transitati 230 miliardi di euro frutto di un complesso sistema di presunto riciclaggio noto come Laundromat, la lavatrice.

Soldi russi, azeri e moldavi – in buona parte di origine illecita – che attraverso società offshore sono finiti nella banca estone per poi essere reimmessi nel mercato europeo “puliti”. Sono serviti per acquistare di tutto: beni di lusso, abitazioni, mobili, consulenze in tutta Europa. Tante società anche italiane, il più delle volte totalmente inconsapevoli, sono state pagate in questo modo. E dopo la “lavatrice” della Danske ne sono emerse altre tre, funzionanti nello stesso modo. A settembre 2018 il numero uno della banca danese, Thomas Borgen, si è dimesso perché ha riconosciuto la responsabilità nel mancato controllo della filiale di Tallinn, nonostante gli avvertimenti delle operazioni anomale provenienti dalla banca centrale estone e da quella russa già nel 2010. Le transazioni passate dall’istituto diretto da Rehe sono oggi sotto indagine in vari Paesi, tra cui Germania, Estonia, Danimarca, Gran Bretagna e Stati Uniti. In Estonia le indagine sono cominciate a fine 2017. Riporta il quotidiano Postimees che il nome di Rehe non compare tra i dieci ex impiegati della filiale di Tallinn – chiusa dal 2019 – ritenuti a capo della struttura per il riciclaggio.

A marzo di quest’anno, in un’intervista, l’ex banchiere ha riferito di sentirsi responsabile per quanto accaduto. La Danske Bank è anche servita alla famiglia Aliyev, da sempre al potere in Azerbaijan, per “comprare” l’appoggio di parlamentari europei che sedevano all’epoca all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce). È quanto scoperto dal centro di giornalismo investigativo Occrp (Organized crime and corruption reporting project) nel 2017 in un’inchiesta sul filone azero della “lavatrice”, che si basa su un database di migliaia di transazioni. Scrive Occrp che da quattro società britanniche con conti corrente appoggiati alla filiale estone della Danske Bank sono stati pagati gli europarlamentari Eduard Lintner (Germania), Zmago Jelincic Plemeniti (Slovenia) e Luca Volontè. L’ex deputato dell’Udc al momento è sotto processo a Milano per corruzione (in primo grado ha ottenuto l’assoluzione per riciclaggio). In Germania l’inchiesta s’è allargata a Deutsche Bank, da cui sarebbero passati 889 milioni di dollari della “lavatrice” in quanto “banca di corrispondenza” per far arrivare i denari in Germania. Dal 24 settembre è in corso una perquisizione nella sede centrale dell’istituto, a Francoforte, per appurare la tempestività con cui la banca tedesca ha avvertito gli inquirenti di operazioni finanziarie sospette.

Dieselgate, manette a Detroit Vw sotto accusa in Germania

L’arresto del dirigente della Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Emanuele Palma, avvenuto ieri negli Stati Uniti, aggiunge un nuovo tassello all’infinita truffa del Dieselgate. La notizia giunge lo stesso giorno in cui in Germania le procure hanno messo sotto accusa i vertici Volkswagen e comminato alla Daimler una multa di 870 milioni di euro. Intanto il Fatto Quotidiano ha appreso che anche il management italiano della Vw rischia il rinvio a giudizio da parte della magistratura. Lo scandalo, scoppiato quattro anni fa, dimostra fino a che punto i colossi auto hanno giocato sporco.

Palma, arrestato dall’Fbi nello Stato del Michigan e indagato dalla Procura distrettuale di Detroit da inizio settembre, è l’ultimo dei manager dell’industria automobilistica travolti dal giro di vite contro le emissioni truccate dei motori diesel. Il dipartimento di Giustizia americano gli muove le stesse accuse in base alle quali nel 2017 ha condannato a 7 anni di reclusione Oliver Schmidt, il dirigente della Vw colpevole di cospirazione e di frode in relazione allo scandalo delle emissioni truccate, che ha poi travolto tutte le grandi case automobilistiche europee. Stessa sorte è toccata nel giugno 2018 all’amministratore delegato dell’Audi, Rupert Stadler, sottoposto ad arresto preventivo per impedire l’occultamento delle prove per ordine della Procura di Monaco di Baviera e poi scarcerato dietro il pagamento di una cauzione.

Il manager di Fca Palma avrebbe intenzionalmente acconsentito ad alterare la calibrazione dei sistemi di controllo del biossido di azoto, gas nocivo responsabile ogni anno di 75.000 decessi prematuri nella sola Europa, in modo che le emissioni delle auto diesel superassero i limiti di legge durante la guida su strada pur rispettandoli durante i test di omologazione governativi. In particolare, gli viene imputata la violazione del Clean Air Act, legge federale in vigore dal 1963, che fissa limiti per diversi tipi di inquinanti atmosferici tra i quali il biossido di azoto. Il reato risalirebbe al periodo (fino al 2016) in cui l’ingegnere quarantenne italiano guidava la Vw Motori, una società controllata da Fca, incaricata di progettare motori diesel per i veicoli venduti nel mercato americano. Il nuovo assalto della magistratura contro Fca riaccende la vicenda giudiziaria a stelle e strisce che pareva essersi conclusa nel gennaio 2019 quando il gruppo ha patteggiato con le autorità statunitensi una multa di circa 800 milioni di dollari per risarcire Stati e automobilisti per le emissioni fraudolente, senza tuttavia ammissione di colpa.

Intanto anche in Italia il procedimento penale sul Dieselgate arriva a una svolta. Fonti accreditate rivelano che lo scorso luglio la procura di Verona ha emesso un avviso di conclusioni delle indagini preliminari sul caso Vw. Ai dirigenti italiani della filiale della casa automobilistica tedesca, con sede a Verona, viene contestato il reato di frode in commercio. La fase preliminare del processo, avviato nel 2016 su esposto delle associazioni dei consumatori, si è protratto oltre misura per dissidi tecnici sui test condotti sui veicoli sequestrati.

Nella perizia presentata a marzo è emersa l’esistenza di dispositivi di bordo installati apposta per far risultare emissioni ufficiali inferiori a quelle reali, fuori legge. Ma il pm Marco Zenatelli ha atteso mesi prima di giungere a una decisione. La causa veronese segue quella avviata nel 2017 dalla magistratura romana contro tre dirigenti del ministero dei Trasporti per la questione dei filtri antiparticolato dannosi per la salute, montati sulle auto diesel.