Berlino: il nucleare non è green. Ma Parigi: è essenziale

La battaglia formalmente prosegue e s’intende quella sulla “tassonomia Ue” sulle fonti energetiche da considerare utili a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti: le fonti, in soldoni, su cui potranno convergere fondi pubblici, anche comunitari, e investimenti “verdi”. La battaglia, come detto, prosegue, ma sarà difficile cambiare qualcosa rispetto al compromesso raggiunto: com’è noto nella bozza predisposta dalla Commissione Ue sono inclusi gas e nucleare ed entrambi con standard non proprio “green”. Sul gas si può discutere al massimo sui dettagli tecnici, tutti i Paesi lo vogliono, il nucleare è quello che sta spaccando il continente in due: la Francia, che ha metà dei reattori Ue, lo pretende (“per noi è essenziale”) insieme ad altri 11 Paesi e lo vuole proprio com’è scritto ora, cioè per finanziare l’allungamento della vita delle sue vecchie centrali; Berlino ieri ha ribadito il suo “chiaro no” all’inclusione dell’atomo nella tassonomia (la Germania guida un fronte che comprende Austria, Danimarca, Lussemburgo, Portogallo e, in modo meno ferreo, Spagna).

La Commissione, che ha messo la sua bozza in consultazione pubblica, ha invece deciso di prendersi qualche giorno in più prima di ufficializzarla: dopo il 20 gennaio a ridosso di un decisivo Consiglio Ue (i governi). L’Italia, considerata storicamente anti-nucleare, continua a non dire una parola ufficiale, ma di fatto a inizio dicembre ha dato il suo via libera alla bozza facendo asse con Parigi (le dichiarazioni pubbliche del ministro Cingolani, peraltro, non sono state timide sul tema). Nonostante le prese di posizione di Pd e M5S, difficile che il nostro governo torni nel fronte dei contrari: più probabile che alla fine decida di astenersi, sancendo di fatto la vittoria francese. Anche per questo ieri l’Osservatorio sulla transizione ecologica ha rilanciato la sua raccolta firme – gemellata con una omologa tedesca – per spingere Draghi e soci a bloccare la bozza di tassonomia.

I prof diventino pifferai di libri

I ragazzi italiani sono buoni lettori? Frequentano con gioiosa assiduità librerie o scaricano con malandrina passione testi gratis dalla Rete? Passano pomeriggi scambiandosi opinioni sulle letture fatte?

Onestamente: no, direi proprio di no. Non voglio passare da disfattista, da moralista amareggiato, da fustigatore patetico delle inclinazioni culturali dei nostri studenti. Voglio solo essere chiaro e sincero. In Italia si legge pochissimo, è un dato di fatto. Chiunque abbia passato i confini nazionali per una gita a Parigi, Londra, Berlino avrà notato che nelle metropolitane europee è facile incontrare persone con una mano appesa a un sostegno e con l’altra a reggere un libro. E nei caffè è normale trovare qualche ragazza concentratissima nella lettura, indifferente ai rumori e al viavai dei clienti. Sono figure abituali che testimoniano che altrove la lettura, sia pur in crisi, resta un’abitudine diffusa.

In Italia non si vede mai nessuno con un libro in mano. I politici meno che mai. Un amico che gestiva una libreria davanti a Montecitorio mi raccontava che nessuno dei deputati e dei loro assistenti entrava per comprare un romanzo, o un saggio storico, o almeno le barzellette di Totti. Al limite si facevano avanti timidamente per provare a rivendere qualche libro arrivato in omaggio dalle case editrici. La nostra classe dirigente è riluttante alla lettura: del resto nelle mille interviste a deputati e senatori non vediamo mai nessuno che tenga un volume tra le mani, al massimo la mazzetta dei giornali. Il mio amico libraio, dopo molti tentativi di eroica resistenza, è fallito, schiantato dall’affitto e dalla mancanza di clienti. È così, il pesce puzza dalla testa, e figuriamoci cosa può accadere in coda. Quasi sempre, però, i nostri politici mandano alle stampe le loro memoriette, la loro microstoria, le scaramucce vinte o perdute. Il nome del politico appare a grandi caratteri in copertina, ma sotto, più piccolo, molto più piccolo, c’è il nome di un giornalista, che ha scritto veramente il libro, sbobinando le chiacchiere del politico e cercando di dar loro una forma decente, di sistemare i congiuntivi, di collegare frammenti gettati nella confusione. Anche la classe borghese nazionale non sembra particolarmente affezionata alla lettura. Prima c’è il padel, la partita di calcio, la magnata con gli amici al ristorante, il film “per farsi quattro risate”. Niente di male, solo che in questa giungla di impegni ludici non c’è spazio nemmeno per un haiku.

Tutta l’industria culturale italiana si regge sulle “cammelle”, così vengono chiamate affettuosamente nel cinico e spiritoso mondo del cinema le donne tra i 45 e e i 70 anni che pagano il biglietto per il film vincitore a Cannes o a Venezia, per uno spettacolo teatrale o per una conferenza, per un concerto e persino per un libro recensito bene sull’inserto letterario del quotidiano. Sono donne curiose, vedove, separate, mal coniugate, tendenzialmente poco felici, che cercano nella cultura quello che non hanno trovato nella vita, perché la vita spesso è cattiva. Loro, le cammelle, reggono sulla gobba tutto il peso della cultura, stanno in fila alle mostre delle Scuderie del Quirinale o per le conferenze di storia all’Auditorium. Loro leggono. I loro mariti o ex mariti no, e pure i figli poco o niente. O forse leggono i manuali universitari, perché bisogna finire in fretta e bene gli studi e trovarsi un buon lavoro, un lavoro redditizio. E gli studenti delle scuole? I professori ci provano, assegnano letture per l’estate, e d’inverno propongono qualche romanzo da commentare in due paginette scritte come si deve. Però i risultati sono scarsi, forse anche perché per troppo tempo ha imperato il sistema strutturalista secondo il quale i romanzi vanno frantumati in sequenze, e poi bisogna individuare protagonisti, deuteragonisti, antagonisti, sottolineare le similitudini e le metafore, le digressioni in giallo e le descrizioni in verde, come un motore da smontare in garage. (…) La lettura dovrebbe spalancare spazi mentali aperti come praterie, come palazzi illuminati o tenebrosi, come cieli azzurri o tempestosi, e invece si chiudono le porte e si pretende la consegna per lunedì di un commento scopiazzato su Wikipedia.

C’è un problema di metodo, dunque, ma forse anche di scelte. Ai ragazzi vengono proposti spesso titoli ormai troppo coriacei per i loro denti, I Malavoglia, Fontamara, Senilità, Il giardino dei Finzi Contini, eccetera. Ho l’impressione che molti insegnanti siano, come me, avanti con gli anni e forse non abbiano rinnovato più di tanto le loro letture. Per agganciare gli studenti serve qualche titolo più in linea con la loro immaginazione e le loro attese, e che però sappia sorprenderli.

(…) È comunque un’impresa titanica far leggere i nostri ragazzi, lo so bene. Spesso ho l’impressione che non colgano il ritmo della frase, il senso preciso delle parole: leggono capolavori assoluti come fossero anonimi verbali, inciampando sui termini più rari, a volte quasi balbettando. E allora devo essere io a riprendere in mano il testo e a dare un timbro e un tono a tutte le voci dei dialoghi, abbassando la voce, rialzandola, gesticolando, inventandomi attore e seguendo le curve del racconto. Molti ragazzi confessano candidamente: “Mi dispiace prof, ma a me non piace leggere”, e se io insisto, magnificando la bellezza di tanti libri, la loro capacità di modificare, di approfondire i nostri pensieri, di commuoverci o rallegrarci, mi guardano senza replicare, ma come guarderebbero un povero matto innamorato dei vasi etruschi di Cerveteri. Del resto, la concorrenza è spietata: serie televisive a valanga, partite di calcio a tutte le ore, giochi e giochetti sulla Play, TikTok e trap e chat: il silenzio e la concentrazione necessari per immergersi in un romanzo sono svaniti, e di conseguenza sono svaniti anche i romanzi. Naturalmente ci saranno mille sacche di resistenza, ragazzi molto vivaci capaci di dividersi su tanti fronti e dunque di sapersi ritagliare qualche mezz’ora anche per leggere un libro, però la situazione complessiva non mi appare entusiasmante. Vanno bene i libri per l’infanzia, quando i bambini ancora obbediscono alle speranze dei genitori: ma quando quei bambini crescono e diventano più indipendenti, i libri vengono accantonati.

Detto questo, non bisogna farsi prendere dallo sconforto, non bisogna perdere fiducia. L’associazione “Piccoli Maestri”, ad esempio, sta svolgendo un ottimo lavoro nelle scuole, portando in classe scrittori che raccontano un romanzo del Novecento che per loro è stato fondamentale. Anche io sono stato coinvolto spesso e devo dire che sono incontri felici. I ragazzi si rendono conto che gli scrittori non sono busti di marmo impolverati, nomi morti su una pagina ingiallita, ma persone vive, appassionate di quello che scrivono, di quello che leggono: e allora ecco che un libro di Murakami o Salinger o London diventa un’esperienza da condividere, parole che si trasformano in nuovi pensieri. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”, dice il Vangelo di Giovanni: le parole hanno una potenza imprevedibile e generativa, piantata nelle origini come una radice profonda, e pronte a fiorire ogni giorno. Le parole hanno qualcosa di sacro, nominano, indicano, creano, ma oggi questa dimensione interiore della letteratura, della poesia, sembra prosciugata. E allora, che fare? Teorie astratte ne girano molte, ma soluzioni sicuramente vincenti non ce ne sono. Credo che l’unica possibilità sia il contagio subliminale: è inutile che il professore magnifichi a chiacchiere il valore sublime della lettura o che si indigni con gli zoticoni impuntati davanti all’ostacolo del libro, ciò che forse può smuovere la curiosità è solo la fiducia che riesce a conquistarsi, dimostrando con la sua vita stessa, con il suo modo di essere, che la cultura è energia propellente, una ricarica continua, una spinta generosa. Il professore che legge, va al cinema, ama la musica e l’arte è mille volte più vitale e interessante di chi invecchia appiattendosi sulla miseria dell’esistenza, ripetendo tutti i giorni lo stesso giorno. Così il professore diventa, a sua insaputa, un maestro, uno che traccia una strada vivace e pensosa, la strada stessa dell’esistenza. Così qualche studente lo prenderà come punto di riferimento e forse comprerà un libro, e forse lo leggerà, per capire, per sollevarsi, per continuare quella strada.

 

Addio a Silvia Tortora. Figlia di Enzo, aveva 59 anni

Giornalista di tv e carta stampata, Silvia Tortora è morta a 59 anni. Nata a Roma il 14 novembre 1962, figlia del giornalista e conduttore tv Enzo Tortora, aveva lavorato a Mixer e poi a La storia siamo noi realizzando una serie di grandi interviste. Dopo aver collaborato con il settimanale Epoca, ha pubblicato anche diversi libri tra cui Cara Silvia (Marsilio 2002) che raccoglie le lettere che il padre Enzo le scrisse dal carcere. Dal 2009 ha condotto Big con Annalisa Bruchi. Ha sposato l’attore francese Philippe Leroy, con cui ha avuto due figli, Philippe e Michelle.

Si stacca una benna, muore operaio 63enne

È rimasto schiacciato dalla benna dell’escavatore l’operaio 63enne morto ieri a Novate Milanese, in un cantiere stradale. L’uomo, dipendente della Pavimental è morto poco dopo il suo arrivo in ospedale. “Pavimental, a nome di tutta la comunità dei lavoratori del Gruppo Autostrade per l’Italia, esprime il più profondo cordoglio per la scomparsa del proprio operaio – si legge in una nota della società – L’intero gruppo manifesta la più sentita vicinanza ai familiari del lavoratore e la massima disponibilità per ogni supporto concreto. La Società di costruzioni ha già confermato la piena collaborazione alle autorità competenti”.

Molestie piazza Duomo, vittime salgono a nove

Sale da 5 a 9 il numero delle vittime delle aggressioni sessuali nella notte di Capodanno in piazza del Duomo a Milano sulle quali la Procura indaga per violenza sessuale di gruppo. Delle 4 ulteriori “persone offese”, 3 sono state aggredite negli stessi momenti in cui il branco ha circondato una 19enne (il fatto più grave) e una sua compagna, che poi è riuscita a fuggire aiutata da un amico. L’episodio è stato filmato e il video è finito sul web. La Procura sta visionando i filmati delle telecamere di sicurezza e acquisirà la denuncia presentata a Mannheim da due 20enni tedesche che hanno messo a disposizione degli investigatori anche alcune immagini.

Presa Fabiola Moretti, ‘narcos’ della Magliana

Il volto femminile della Banda della Magliana torna in carcere e ancora una volta per una storia di droga. Fabiola Moretti, 66 anni, è tra gli arrestati di un’operazione antidroga a Roma conclusasi con l’arresto di 21 persone. Operazione messa a segno dai carabinieri della compagnia di Pomezia e della stazione Roma Divino Amore. La donna è accusata di traffico di droga. Per il gip di Roma era lei “la leader del gruppo”, “una che ha fatto del narcotraffico la sua professione”. Fabiola Moretti è stata, negli anni 80 e 90, compagna di personaggi di spicco della Banda della Magliana come Antonio Mancini e Danilo Abbruciati.

“Verbali Amara, Greco archiviato”. Poi Brescia frena

La mattina indagato, il primo pomeriggio prosciolto e archiviato, in serata ancora indagato. Questa è stata l’altalena su cui ieri è salito Francesco Greco, fino a novembre 2021 procuratore della Repubblica a Milano. Ieri si era diffusa la notizia che il giudice delle indagini preliminari di Brescia aveva accolto la richiesta d’archiviazione presentata dalla Procura di Brescia. In serata, invece, una nota diramata dal Tribunale bresciano e firmata dal magistrato responsabile per la comunicazione istituzionale, Cesare Bonamartini, ha comunicato che il gip Andrea Gaboardi “non ha adottato alcun provvedimento sulla richiesta di archiviazione”.

Greco è accusato di ritardo nelle iscrizioni sul registro degli indagati a proposito delle rivelazioni dell’avvocato Piero Amara sulla cosiddetta loggia Ungheria. “Corre l’obbligo di precisare che il gip assegnatario del fascicolo, allo stato, non ha adottato alcun provvedimento”. Nei prossimi giorni si capirà se l’archiviazione proprio non esiste o se invece esiste ma non è ancora stata depositata dal gip. A ottobre 2021, il procuratore bresciano Francesco Prete e il sostituto Donato Greco avevano chiesto l’archiviazione, non ravvisando reati nei comportamenti dell’allora procuratore di Milano: non spettava a lui procedere con le iscrizioni nel registro degli indagati, poiché dell’inchiesta si occupavano l’aggiunto Laura Pedio e il sostituto Paolo Storari. Inoltre, secondo i pm, non è ipotizzabile alcun ritardo, perché le iscrizioni sono state fatte a maggio e le richieste di procedere scritte da Storari sono della fine d’aprile.

Sassoli ricoverato in condizioni molto serie: “Grave disfunzione al sistema immunitario”

David Sassoli è in ospedale per una malattia del sistema immunitario. Il presidente del Parlamento europeo, 65 anni, è ricoverato dallo scorso 26 dicembre, le sue condizioni sono molto serie. L’ha reso noto il portavoce Roberto Cuillo: “Il ricovero si è reso necessario per il sopraggiungere di una grave complicanza dovuta a una disfunzione del sistema immunitario. Per questo ogni attività ufficiale del presidente dell’europarlamento è cancellata”. Per Sassoli è purtroppo la seconda volta in pochi mesi che si rende necessario il ricovero. Il 15 settembre scorso era stato ospedalizzato a Strasburgo a causa di una forte polmonite ed era stato dimesso dopo una settimana, tornando a casa per le cure. Per tutto il mese di ottobre aveva presieduto le riunioni del Parlamento da remoto, mentre alla fine di novembre era tornato per una sola volta in aula di persona per una seduta plenaria. Aveva definito la sua malattia “una polmonite molto cattiva”, non legata a un’infezione da Coronavirus. L’assemblea plenaria della prossima settimana a Strasburgo sarà anche l’ultima presieduta da Sassoli, visto che a breve il Parlamento eleggerà il suo nuovo presidente e l’esponente del Pd ha rinunciato alla ricandidatura per evitare spaccature nella maggioranza europeista composta da socialisti, Ppe e liberali. Ma in questo momento la politica e gli impegni istituzionali sono davvero l’ultima delle priorità.

Che la preoccupazione per le sue condizioni sia profonda lo dimostrano anche la quantità e il tenore dei messaggi di auguri che lo stanno raggiungendo in queste ore. “Caro David, a te va il mio pensiero nella tua battaglia per la salute. Il mio augurio per una rapida e piena guarigione. Bon courage, come spesso sei tu a dire”, ha scritto su Twitter la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Messaggi di incoraggiamento e di vicinanza sono arrivati da tutti i gruppi politici e da segretari e leader. Enrico Letta e Paolo Gentiloni (“Forza David”, “Con David”), Giuseppe Conte (“Un grande abbraccio a David Sassoli e a tutta la sua famiglia. Non mollare David!”), Silvio Berlusconi (“Auguri e un abbraccio a David Sassoli, presidente del Parlamento europeo del quale abbiamo apprezzato passione ed equilibrio. Caro David, ti aspettiamo presto in Aula”). Non sono mancati i deliri cospirativi di qualche utente no-vax sui social network, che ha messo in relazione la malattia del sistema immunitario con l’assunzione del vaccino. Una rumorosa minoranza in un momento di apprensione e riserbo.

Processo Epicentro, “800 anni di carcere”

I pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria non hanno dubbi: Giorgino “Malefix” De Stefano va condannato a 20 anni di carcere per essere uno dei giovani boss di quella che è stata definita una ‘ndrangheta “destefanocentrica”. Figlio del mammasantissima defunto Paolo De Stefano, Giorgino è il compagno dell’influencer Silvia Provvedi e si era trasferito in Lombardia dove fino al 2020 gestiva “L’oro di Milano”, la catena di ristoranti frequentate da personaggi famosi. Secondo l’accusa, in realtà era un capo cosca assieme al fratellastro Carmine De Stefano. Anche per lui i pm hanno chiesto 20 anni di carcere così come per altri 13 boss. Le richieste sono arrivare nel maxi-processo “Epicentro”, nato dalla riunione delle inchieste “Malefix”, “Metameria” e “Nuovo corso”. Dopo la ricostruzione delle indagini, fatta in queste settimane dai pm Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Giovanni Calamita, il procuratore capo Giovanni Bombardieri ha chiesto quasi 800 anni di carcere per i 59 imputati che hanno scelto di farsi processare con il rito abbreviato.

Assolto il pm Padalino: “4 anni di massacro”

Era imputato in abbreviato davanti al gup di Milano per corruzione in atti giudiziari e abuso d’ufficio nell’inchiesta su presunti “favoritismi” nella procura di Torino. Ieri l’ex pm Andrea Padalino, ora giudice civile a Vercelli, è stato assolto. Per lui la Procura aveva chiesto 3 anni. Tra le accuse mosse all’ex pm c’era anche l’aver ricevuto “il pagamento” di “una cena per 19 persone” da 590 euro. Padalino, sempre per l’accusa, avrebbe anche fornito “supporto” a un imputato “per vari reati connessi alla sfruttamento della prostituzione”. E in cambio avrebbe ottenuto “soggiorni e cene tra il 2015 e il 2016”. “È la fine di un incubo – ha commentato il suo difensore, Massimo Dinoia –. Dopo ben 4 anni di autentico massacro mediatico è stata proclamata la totale innocenza”.