Editoria, “Repubblica” caccia due precari. “Io, licenziato perché sono un sindacalista”

“Cacciati da Repubblica per aver chiesto un contratto”. Soprattutto, dopo essersi messi alla testa di un coordinamento di 90 precari. Minacciavano 40 cause, a oggi ne sono state avviate solo 4. La risposta dell’azienda, del resto, è stata molto diretta: i capofila della protesta sono stati messi alla porta. È il caso di Massimiliano Salvo, nerista genovese da “400 articoli l’anno”: “Mi hanno lasciato a casa dopo aver chiesto la stabilizzazione. Ero stato avvertito: il sindacato è rischioso per un precario”. La stessa sorte è toccata a Valerio Tripi, collaboratore da Palermo dal 1999. Oggi alle 12 la Fnsi ligure ha organizzato un presidio di solidarietà davanti alla sede della Regione Liguria. Nel frattempo la notizia è diventata virale senza comparire su alcun giornale. Non solo su Repubblica, testata in prima linea in battaglie contro il precariato (altrui) e per il riconoscimento di contributi all’informazione dei colossi della Rete. A dimostrazione che non sono sempre i social a copiare i media: capita anche che in Rete circolino notizie non pervenute altrove.

Mail Box

 

I pregiudicati come B. possono andare al Colle?

Complimenti per la campagna “B. al Quirinale? No, grazie”. Pazzesco solo il pensiero. Credo che prenderò in serio esame la restituzione del passaporto se i 1009 grandi elettori non riuscissero a trovare nessun altro degno di fare il presidente, se non B. In ogni caso vi scrivo per chiedere, chiedendo scusa della mia ignoranza: ma un condannato, anche se ha scontato la pena, può essere eletto presidente della Repubblica? Anche se ha interdizione ai pubblici uffici? Se la risposta è sì, non solo B. può essere eletto, ma anche qualsiasi criminale (mafiosi, omicidi, pedofili, stupratori ecc.) che abbia scontato la pena.

Claudio

 

Se il condannato non è interdetto in perpetuo dai pubblici uffici (come lo sono i condannati per molti dei delitti da lei citati), purtroppo la risposta è sì.

M. Trav.

 

Come donne al Quirinale vi suggerirei queste tre

Una donna al Quirinale! Giovanni Valentini ne ricava argomenti incontrovertibili, condivisibili, inevitabili, inderogabili. Proviamo: Maria Elisabetta del Battista e Gesù Alberti Casellati vien dal mare, principessa angelo dei cieli, Giulia Drusilla Arcore; Letizia Beatitudine Brichetto Arnaboldi Moratti Thatcher (già Tudor la sanguinaria, schiforma scuola); Marta di Betania Cartabia Emostasi in Giussani (già schiforma giustizia), un podio che non aspetta altro! Ovviamente, con tutte le eccezioni del caso.

Paolo Mazzucato

 

Caro Paolo, l’elenco potrebbe continuare, ben più nutrito, con decine di maschietti candidati.

M. Trav.

 

La politica siciliana non cambia mai

Aiuto! In Sicilia le ultime elezioni regionali di tre anni fa sono state vinte da una coalizione di destra che ha issato a presidente della Regione il leader di una forza politica locale comicamente chiamata “Diventerà bellissima”. Un auspicio e una promessa elettorale verso questa disgraziatissima regione, che da sempre, tranne qualche eccezione, viene dominata da fameliche forze politiche di destra che si dichiarano saldamente unite quando si presentano agli elettori, e invece dopo la vittoria alle elezioni cominciano ad avere problemi tra loro. Ma, strano a dirsi, anche con una maggioranza schiacciante, tutto resta immobile, malgrado ci siano problemi atavici da affrontare per migliorare la situazione. Ogni piccolo partito della coalizione comincia a prendere posizioni diverse, staccandosi l’etichetta ufficiale dell’unità politica per mostrare il suo peso in ogni delibera di governo, al fine di ottenere fette di potere esclusivo. Praticamente sono attratti dalla mangiatoia, che vede sommare le entrate fiscali regionali, i contributi di Roma quelli europei e gli appalti conseguenti. Intanto la Sicilia, nonostante le magnifiche bellezze naturali e culturali, diventa sempre più derelitta e in fondo a tutte le classifiche. Ogni tanto si scoprono legami con la mafia, anche ad altissimi livelli, ma nessuna di queste forze se ne vergogna. Inoltre questi potenti signori dei voti, una volta arrivati a una certa età o addirittura arrestati, non trascurano di tramandare ai figli i loro posti nelle liste politiche: il loro nome basta come garanzia.

Francesco Battaglia

 

DIRITTO DI REPLICA

Il mio team mi ha segnalato un commento di Salvatore Cannavò in relazione all’utilizzo dei fondi pubblici statali per lo svolgimento del progetto “Il Quotidiano in classe” promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori. Niente di più falso. Niente di più fuorviante. Tanto che proprio in concomitanza con l’emanazione della legge per sostenere la lettura dei giornali a scuola con i fondi pubblici, segnalai formalmente sia al sottosegretario Andrea Martella che al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel corso di un’apposita udienza che mi fu concessa, la mia personale contrarietà a detto provvedimento che – per coerenza – l’Osservatorio non ha mai e poi mai utilizzato. Vi sarei grato pertanto qualora voleste ristabilire la verità dei fatti, poiché se c’è una cosa di cui sono orgoglioso in questi anni di lavoro a favore dei giovani, è non aver mai fatto uso di soldi pubblici.

Andrea Ceccherini

 

Non abbiamo ipotizzato l’uso di soldi pubblici da parte dell’Osservatorio diretto da Andrea Ceccherini, ma solo fatto riferimento all’attività di pressione per iniziative rivolte alla diffusione della stampa quotidiana tra i giovani. Prendiamo atto della contrarietà al finanziamento delle scuole per acquisto di abbonamenti. Quanto alla più generale attività di pressione e iniziativa dell’Osservatorio, ci sembra sia ben visibile sui quotidiani che lo supportano.

S. Can.

Madre “sequestrata”. “È in struttura, vietato vederla: non sono vaccinata”

Volevo solo vederla almeno alla finestra, protetta con mascherina e plexiglass, io al freddo fuori, lei almeno al caldo… e invece niente, mi è arrivata la mail della struttura, dove mia madre risiede da quasi due anni, in cui vengono dettate le nuove rigide regole per la visita agli ospiti. lo non posso entrare neanche dal maestoso cancello né tantomeno nel grande giardino, non posso mettere piede, non posso vedere mia madre di 92 anni neanche per un saluto davanti alla finestra… sono in punizione perché non vaccinata. L’anno scorso ci incontravamo nella stanza degli abbracci, decantata anche sui giornali, ci facevano vedere i nostri anziani in questo gonfiabile con mascherina e un muro di plastica che ci divideva, abbiamo accettato, abbiamo sempre accettato tutte le loro regole, per il quieto vivere della nonna che in questa struttura si trova bene.

Ma quest’anno non si può accettare l’ennesima decisione politica, non scientifica, ricattatoria e punitiva contro chi non si è vaccinato per libera scelta o per cautela a causa di problemi di salute: proibire di vedere la propria madre anche solo dalla finestra, con mascherina ffp2, tampone negativo e tre dosi di vaccino per la nonna che neanche si sfiora. Questo è un sequestro di persona con retta mensile, nella pomposa struttura che tiene reclusa la nonna, combattendo ogni giorno con un virus che non sarà portato sicuramente da me che la guardo a distanza davanti a una finestra impenetrabile per dieci minuti, ma arriverà con i sanitari super vaccinati con tre dosi. E in questi giorni già è accaduto. Ma questo non conta per chi detta leggi insensate, fuori dalla realtà e dal buon senso. Follie legislative e burocratiche per punire persone che non commettono alcun reato, senza alcun beneficio sanitario. Mentre arrivano le prime terapie ufficiali e si ignorano volutamente quelle da tempo praticate con ottimi risultati, continuando invece a prescrivere Tachipirina e vigile attesa, spesso preambolo della terapia intensiva…

Dovrò combattere, come tanti altri cittadini che rispettano le regole, contro questo sequestro di persona con retta mensile e contro leggi soltanto punitive. Rabbia, delusione e tristezza sono emozioni quotidiane che ti legano il cuore.

(Chi scrive chiede l’anonimato per privacy e nel rispetto del genitore)

Pass, vaccini e contagi: che caos

Quando si assiste agli spettacoli di fuochi d’artificio, dopo un susseguirsi di scoppiettii che suscitano un’escalation di stupore, arriva la “santabarbara”. È un’accelerazione di scoppi e, al finale, tre botti a distanza l’uno dall’altro. La festa è finita. È quello che sta succedendo in questi giorni, anche se non siamo, purtroppo, sicuri che veramente si sia arrivati alla fine. Improvvisazione, annunci, spesso incoerenti o fuori tempo. Non si fa in tempo a leggere un provvedimento che ne arriva uno nuovo, non sempre conseguente al precedente. La realtà è che neanche noi addetti ai lavori riusciamo a comprenderli. La gente è disorientata. Se prima ricevevo qualche decina di mail con la richiesta di chiarimenti, oggi non faccio più in tempo neanche a contarle, né tantomeno a rispondere. Purtroppo la strategia è sempre la stessa da quasi due anni. Scappano i buoi e dopo si cerca disordinatamente di riacciuffarne qualcuno. Viene istituito il green pass ribadendo che si intende “lasciare la libertà di vaccinarsi”, dando l’opportunità del tampone, come alternativa. Viene istituito il green pass con tutte le conseguenze negative più volte descritte. Da più parti si sollecita un atto di responsabilità e chiarezza, che si ricorra all’obbligo. Le terapie intensive si affollano di non vaccinati e solo allora cambiano le regole: obbligo di vaccinazione. Viene riconosciuta validità al tampone rapido, mentre ancora una volta cerchiamo di far capire che crea falsi negativi che ignari circolano, infettando. Passano mesi, aumentano i contagi e arriva la proposta di limitarne l’uso. Le osservazioni scientifiche dimostrano che anche i vaccinati possono infettarsi e, a loro volta, infettare. Chi lo sosteneva era reputato un vero “bestemmiatore”, mentre la gente si sentiva autorizzata, se vaccinata, a non rispettare le misure di contenimento. Passano due mesi. “Attenti! I vaccinati possono contagiare!” Caos. Perché si procede senza cambiare metodo? Essenzialmente per due motivi. Perché non si segue un piano e perché le decisioni che si prendono sono soprattutto politiche anziché di sanità pubblica. Che sia il virus a mettere fine allo spettacolo!

 

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Tortora, le scuse di Gianni Melluso e Charlie Brown

Tortora. “Sono stato liberale perché ho studiato, sono diventato radicale perché ho capito” (Enzo Tortora).

Centrini. “Ma perché proprio Tortora, e non Tognazzi, Vianello, Corrado o qualche altra star capace di attrarre la morbosa attenzione da spalti del Colosseo? Per un’incredibile storia di centrini di seta. Un detenuto del carcere di Porto Azzurro, Domenico Barbaro, ne spedisce alcuni alla redazione di Portobello (il popolare programma televisivo allora condotto da Tortora, al cui interno, tra l’altro, si battevano all’asta oggetti inviati dai telespettatori – ndr) nella speranza che vengano messi all’incanto. Non vedendoli comparire (la trasmissione riceveva allora 2.500 lettere al giorno), Barbaro comincia a bombardare Tortora di telegrammi e lettere sempre più minacciose: essendo però analfabeta, le lettere gliele scrive il compagno di cella Pandico (Giovanni Pandico, camorrista – ndr). Alla fine, esasperato, Tortora risponde pure, in tono secco, avvertendo che passerà la pratica all’ufficio legale della Rai (nel frattempo, i centrini sono andati persi), che infatti provvede a rimborsare il detenuto con un assegno di 800 mila lire. Caso chiuso? Al contrario: Pandico decide di vendicarsi di Tortora, spiega ai magistrati che i centrini erano un nome in codice per indicare una partita di coca da 80 milioni, che il presentatore si sarebbe intascato fregando i compari. È la prima prova d’accusa presentata ai legali di Tortora, che la smontano in un secondo esibendo la corrispondenza tra Barbaro e Portobello. Risposta: ‘Trattasi di altro Barbaro’”.

Tortora. Tra i principali accusatori di Enzo Tortora, Gianni Melluso “fu l’unico di tutta la compagnia, magistrati compresi, a chiedere perdono ai familiari di Tortora, in un’intervista all’Espresso del 2010: ‘Lui non c’entrava nulla di nulla di nulla. L’ho distrutto a malincuore, dicendo che gli passavo pacchetti di droga, ma era l’unica via per salvarmi la pelle. Ora mi inginocchio davanti alle figlie’. Risposta di Gaia, la terzogenita: ‘Resti pure in piedi’”.

Cutolo. “Stupirà, forse, che nel tiro a Tortora non compaia mai il nome di Raffaele Cutolo, il capo di quella Nuova camorra organizzata che aveva messo a ferro e fuoco la Campania per prenderne il controllo e contro cui venne scatenato il grande blitz del 1983. Tempo dopo, i due, Cutolo e Tortora, che intanto era diventato presidente del Partito radicale, si incontreranno nel carcere dell’Asinara, dove ‘’o professore’ albergava all’ergastolo in una casamatta sorvegliata, chiamata ‘il pollaio’. Il boss fu anche spiritoso: ‘Dunque, io sarei il suo luogotenente’ (durante l’ordalia di bugie, spuntò anche questa: persino il signore di Camorra era al servizio del losco presentatore). Poi allungò la destra: ‘Sono onorato di stringere la mano a un innocente. Avevo chiesto di venire al processo di Napoli, per scagionarla, ma me l’hanno negato’”.

Trapani. A proposito di Trapani, “Pio La Torre, martire di Cosa Nostra, disse che era la seconda città più mafiosa d’Italia dopo la sua Palermo. ‘E infatti a Trapani non muore quasi mai nessuno. Di più: si può lasciare la macchina aperta con l’autoradio dentro e le chiavi nel quadro, e nessuno te la porta via. Tutto tace, tutto è tranquillo, e non ci vuole molto a capire il perché. Quando in Sicilia vedi una città senza morti, senza scandali, senza casini, è quella messa peggio’”.

Charlie Brown. “Charlie Brown, di spalle, sul pontile davanti a un laghetto: ‘Un giorno moriremo tutti, Snoopy’. Risposta: ‘Vero. Ma tutti gli altri giorni no’”.

1. ContinuaNotizie tratte da: Carlo Verdelli, “Acido. Cronache italiane anche brutali”, Feltrinelli, 2021

Le chiacchiere sulla serie Asl sbaragliate dalla “Giocovich”

La variante “Giocovich” si è fatta sentire anche qui. Redde rationem: variante perché si sostituisce per una volta alle discussioni sul campionato di serie ASL, Giocovich invece perché, essendo il tennis un gioco e praticandolo il serbo, il suo cognome ne subisce l’impronta e viene storpiato così. L’ora del dibattito è quella solita dell’ape, quando le tensioni della giornata si sciolgono e ciascuno si sente libero di esprimere ciò che pensa (o anche solo di orecchiare le opinioni altrui). Sul fermo del tennista sono quasi tutti d’accordo con minimali divergenze, quasi filosofiche sfumature: c’è il dubbio infatti di non conoscere appieno la vicenda che ha quasi dell’incredibile stante la fama del soggetto. Uno solo, silente sino a quel momento, se ne esce con una battuta che lascia i presenti basiti, affermando di voler offrire un broccardo che metterà tutti d’accordo. Ora, se c’è una cosa che da queste parti nessuno rifiuta è un bicchiere, soprattutto se colmo di vino. Il broccardo nessuno lo conosce, nemmeno il barista che ha seguito la discussione e l’uscita dell’offerente, sicuro di non avere nella sua cantina un vino che si chiami così. Tuttavia, davanti al sì che si leva in forma corale quale risposta all’offerta, comincia a meditare alternative in sostituzione del misterioso broccardo.

Nel silenzio che dovrebbe precedere l’ordine l’offerente cala l’asso: Dura lex, sed lex, afferma. La legge è uguale per tutti, spiega: in tanto consiste il broccardo, una frase che in poche, a volte pochissime parole esprime un concetto universale. Il sollievo del barista è evidente tanto quanto è patente la delusione dei presenti che si preparavano all’assaggio di un vino fino ad allora ignoto. Tuttavia quest’ultima viene lestamente medicata con il ricorso all’abituale chardonnay o chianti che sia. E il campionato di serie ASL riprende subito il primato perduto con buona pace di Giocovich e del suo esilio all’altro capo del mondo.

Il governo dei migliori mette a rischio l’industria dell’auto

Quest’anno Stellantis nei suoi stabilimenti italiani ex Fiat non ha raggiunto le 700.000 vetture prodotte. Carlos Tavares, ad del gruppo, ha usato un giornale di proprietà dell’azionista italiano Exor per mandare al nostro Paese due messaggi che ci devono far riflettere sulle prospettive e sugli errori che il governo Draghi sta commettendo sul futuro della produzione della mobilità nel nostro Paese. Il primo messaggio riguarda il mercato dell’auto che oggi vive la distorsione dell’assenza e dei ritardi nella fornitura di componenti strategici quali sono i microchip. Si prevede che nel secondo semestre di questa anno, pandemia permettendo, si rientri nelle forniture ordinarie e lì vedremo dove il mercato si assesterà. Tavares dice che se il calo del 25% si confermerà sarà necessario intervenire su occupazione e siti produttivi e lo dice all’Italia che quest’anno ha già chiuso una fabbrica, quella di Grugliasco in provincia di Torino, che portava il nome dell’Avvocato Agnelli, trasferendo l’occupazione nella cassa integrazione di Mirafiori. Il secondo messaggio è ancor più diretto, dice ancora Tavares, visto che i costi dell’auto elettrica nei prossimi anni saranno ancora superiori del 50% a quella tradizionale, se i governi non sostengono la domanda con incentivi, anche questo condizionerà le destinazioni produttive e le conseguenze occupazionali. Non ancora una “minaccia”, di sicuro un avvertimento. L’Italia non è solo uno dei pochi Paesi Ue che non hanno rinnovato gli incentivi per l’acquisto di auto elettriche o ibride, ma è l’unico che non ha un piano nazionale per la gestione della transizione alle nuove auto che giustifichi e indirizzi gli incentivi pur avendo fabbriche di un solo produttore. Questo ci rende particolarmente esposti a ciò che può accadere nel mercato e alle decisioni di Stellantis. Abbiamo negli scorsi mesi già subito la scelta della destinazione della Gigafactory Italiana di Stellantis annunciata per Termoli dallo stesso Tavares prima che il governo Italiano, come avrebbe dovuto, informasse e discutesse con parti sociali e istituzioni sulle ragioni, e i tempi ancora sconosciuti per quella destinazione, un “incidente” diplomatico non proprio casuale. Il ministro Giorgetti continua a tenere separati i tavoli di confronto sulla componentistica auto da quelli del produttore finale, un assurdo visto che almeno il 50% di quelle imprese, che hanno in corso da mesi una ristrutturazione carsica, lavorano per Stellantis e per i suoi 14 marchi, subendone le riorganizzazioni e le nuove politiche commerciali dovute alla fusione. In sovrappiù, il governo Draghi e il Mise hanno accettato di discutere con Stellantis, stabilimento per stabilimento, secondo le esigenze della multinazionale, senza che il nostro Paese conosca il piano e i prodotti per l’Italia, con gli effetti su ricerca, sviluppo e occupazione: un vero e proprio “volo cieco”. Infine, manca una visione autonoma del governo sull’importanza del prodotto mobilità per il futuro del nostro Paese, alla vigilia della rivoluzione elettrica degli autoveicoli e del programma di decarbonizzazione della Commissione europea. Manca un confronto che avrebbe dovuto essere condotto da Draghi direttamente, visto anche il coinvolgimento diretto del governo francese nell’azienda. Un confronto che impegni la grande nuova casa automobilistica nel nostro Paese garantendo piani sociali per le ristrutturazioni, insediamenti, occupazione e sviluppo dell’innovazione. Il governo rischia di lasciare il nostro Paese fuori, o ai margini, dalla rivoluzione del prodotto auto, perdendo l’occasione Stellantis, lasciando lavoratrici e lavoratori dell’auto da soli, crisi dopo crisi, caso per caso.

*Segretario Fiom-Cgil Piemonte

 

Quei lavori in corso al “cantiere Conte”: i nodi da sciogliere

Ieri Giuseppe Conte ha detto che lui e il Movimento 5 Stelle torneranno in Rai. Secondo Conte, occorre sospendere “l’assenza simbolica dalle testate del servizio pubblico radiotelevisivo” perché “in uno dei momenti più delicati e difficili di questa pandemia (…) è indispensabile metterci la faccia e avere un filo diretto con gli italiani”. La decisione, molto più giusta di quanto non fosse apparso l’Aventino mediatico di due mesi prima, è anche servita a ricordare ai più che il M5S esiste ancora. Dal governo Draghi in poi, i 5 Stelle non stanno praticamente toccando palla. E Conte? Quali sono i problemi che ancora deve affrontare?

– Transizione. Tralasciando i continui disastri del renziano Cingolani, chissà perché spacciato da Grillo per “grillino”, Conte deve affrontare una “transizione” assai peggiore di quella “ecologica”: quella della classe dirigente. Alla Camera lo sopportano in pochi e al Senato la situazione migliora di pochissimo. I parlamentari rispondono molto più a Di Maio e/o Grillo che non a Conte, percepito (non a torto) come qualcosa di nettamente diverso dal primo M5S. Deputati e senatori 5 Stelle godono oltremodo nel rendere la vita difficile a Conte, un po’ perché sanno che non verranno ricandidati e un po’ perché il livello politico-neuronale di molti parlamentari è appena sopra quello della cernia.

– Cunial, Baroni eccetera. Il problema della “classe dirigente” resta enorme, e non è solo una questione di fedeltà ma più ancora di qualità. Sin qui i 5 Stelle non hanno fatto alcuna selezione: bastava iscriversi ed essere incensurati. Un po’ poco. Infatti si è visto chi hanno fatto entrare nelle istituzioni: Barillari, Mastrangeli, Fucksia, De Pin, Gambaro, Cunial, Martelli, Baroni, eccetera. Ma stiamo scherzando? Conte dovrà radere democraticamente al suolo questa (non) classe dirigente, salvando chi merita di essere riconfermato (i nomi non mancano) e procedendo per il resto con la logica (metaforica) del lanciafiamme: se sei arrivato a portare gente come Cunial in Parlamento, vuol dire che il problema di competenza e meritocrazia neanche te lo sei posto.

– Leadership. Chi comanda nei 5 Stelle? Teoricamente Conte, di fatto (dicono) Di Maio e Grillo. Di Maio è bravo, scaltro e conosce l’ambiente molto più di Conte: o i due collaborano sul serio, o il “nuovo M5S” muore sul nascere. Quanto a Grillo: non è più politicamente lucido da mesi. Ha meriti enormi, anzitutto come artista coraggioso e visionario, ma dalla crisi del Conte-2 ha fatto quasi più danni di Renzi (ho detto “quasi”).

– Dibba. Conte piace agli italiani, ma l’amore non è eterno e lui non ha altre frecce a parte se stesso. Per questo ha bisogno di Di Battista, che ora gongola (giustamente) perché su Draghi e sull’attuale M5S sta avendo ragione su tutto. Di Battista può andare da solo, ma con le Lezzi e qualche scappato di casa ex grillino non va lontano (e lo sa). Finché i 5 Stelle staranno dentro il governo Draghi, Di Battista non rientrerà mai. Giusto. Ma entrambi sanno che hanno bisogno l’uno dell’altro (e Conte ha più bisogno di Dibba che non viceversa), soprattutto nella prossima campagna elettorale. Se Di Battista riuscisse a controllare la sua iper-coerenza guerreggiante, potrebbe portare al nuovo M5S carisma e voti, controbilanciando al tempo stesso la “spinta iper-pidina” che pare caratterizzare Conte. Difficile ma non impossibile. E lo sanno entrambi.

– Concludendo. Il “cantiere Conte”, l’unico a poter salvare i 5 Stelle, è ancora apertissimo. E il lavoro da fare è tanto.

 

In Italia i miti poi franano (anche quello di Draghi)

In un solo anno Mario Draghi è riuscito a ingarbugliare la matassa dell’epidemia più di quanto avesse fatto Giuseppe Conte in due. Ma mentre Conte è stato il primo premier europeo a dover affrontare un fenomeno sconosciuto quale il Covid, Draghi aveva alle spalle due anni di esperienze e di ricerche di epidemiologi, di virologi, di immunologi, di Case farmaceutiche che, pur confuse e contraddittorie, qualche dato utile alla battaglia contro l’epidemia lo devono aver pur dato. Ugualmente non è riuscito a giovarsene.

Io credo che Mario Draghi non sia stato aiutato dall’ossequio, pressoché unanime, da cui è stato circondato dal momento in cui andò al governo grazie a un irresponsabile colpo di mano di Matteo Renzi che fece cadere l’esecutivo, per motivi rimasti ai più incomprensibili, in piena pandemia. Osannato da tutte le parti come “il salvatore della Patria” Draghi ha perso il senso della realtà e soprattutto dei propri limiti. Ha creduto di essere onnipotente e di avere sempre ragione. Non è la prima volta che capita in Italia, anche con personaggi ben più attrezzati di Draghi almeno politicamente (SuperMario non è un politico, è un banchiere che è mestiere del tutto diverso). Bettino Craxi a furia di circondarsi di yes men (“la corte dei nani e delle ballerine” come la chiamò Rino Formica) perse quell’intuito politico che era stata la sua forza ed è finito com’è finito chiudendo la sua carriera con personaggi come Giorgio Tradati e l’ex barista Maurizio Raggio, oltre che con una condanna alla reclusione di oltre 10 anni e la contumacia ad Hammamet. Per salire a piani ben più alti, Benito Mussolini, a furia di sentirsi dire che aveva sempre ragione, ha finito per crederci con i risultati che conosciamo. A Leandro Arpinati che gli faceva notare che un certo gerarca era un cretino, rispose: “Lo so, ma preferisco i cretini perché ubbidiscono”.

Mario Draghi non farà certo la fine né dell’uno né dell’altro. Ciò che intendo qui dire è che in politica, ma probabilmente anche in qualsiasi altra disciplina, l’ossequio, senza contraddittorio, è pericoloso per chi lo riceve oltre che per gli stessi cittadini quando vengono trattati da sudditi. E infatti adesso, dopo una serie di decreti che hanno il tono degli ordini perentori più che delle leggi, il mito di Mario Draghi comincia a scricchiolare. Sul Giornale, fino a ieri schierato con Draghi, Vittorio Macioce scrive: “È ormai chiaro che l’azione del suo governo è stata meno efficace per il gran ballo del Quirinale”. Ora noi non sappiamo se le ambizioni quirinalizie di Draghi c’entrino qualcosa, quel che conta è che lo stesso Giornale ammette che la sua azione di governo è stata poco efficiente. A Sky Tg24 Economia, fino a ieri totalmente appiattita su Draghi, alcuni ospiti, di varia estrazione politica, hanno cominciato a mettere in dubbio, sia pur timidamente, le azioni di Draghi anche dal punto di vista di quell’economia che dovrebbe essere il suo forte.

Ma ciò che più di tutto ha sconcertato i cittadini, sottoponendoli a uno stress non più sopportabile, sono i cinque decreti a seguire che il governo, o per meglio dire la misteriosa “cabina di regia”, ha emanato fra dicembre e i primi di gennaio. Sono tutti contraddittori l’un con l’altro, ma soprattutto l’ultimo, quello del 5 gennaio, oltre a essere contraddittorio con i precedenti è così causidico, fatto di misure, di sottomisure, di sottosottomisure che, quand’anche avesse una sua logica, un cittadino di normale intelligenza non ci capisce più niente. È una sorta di delirio giuridico, totalmente scompaginato e in buona parte frutto di non dicibili compromessi fra le varie forze politiche che compongono questa squinternata maggioranza. Mario Draghi è finito in questo pantano, la sua responsabilità maggiore non sta tanto e solo nel non essere stato in grado, alla lunga (ma in fondo è passato solo un anno) di fronteggiare l’emergenza ma di aver fatto credere, con grande sicumera, di poterlo fare. A furia di essersi sentito ripetere ossessivamente che era “l’uomo della Provvidenza” si è sentito tale. Ultimamente reagiva con dispetto e quasi con indignazione alle pur prudenti critiche che gli venivano avanzate da qualche ministro.

L’Italia non ha bisogno di nessun “uomo della Provvidenza”, tutte le esperienze in questo senso, se ci limitiamo alla contemporaneità, sono state fallimentari. Né vale rifarsi alla latinità con la figura del dictator pro tempore il cui più famoso esponente fu Quinto Fabio Massimo detto “il temporeggiatore”, che invece di affrontarle direttamente usurò con l’aiuto del tempo le truppe di Annibale. Perché oggi non è affatto il caso di “temporeggiare”, come pare stia facendo il governo Draghi rimandando decisioni di mese in mese, ma di agire e subito. Altrimenti a logorarsi ulteriormente sarà solo la popolazione già usurata da due anni di stress, di stop and go, di indecisioni o, peggio, di decisioni immediatamente rimangiate.

Ciò di cui abbiamo bisogno è di tornare a un regime parlamentare democratico. E quindi a elezioni il più presto possibile bypassando anche la snervante competizione per la Presidenza della Repubblica. Poi vinca il migliore o quantomeno colui che avrà il maggior consenso. E Draghi vada a fare il “nonno” a Città della Pieve, togliendoci d’attorno la sua ingombrante, inutile e, alla fine dannosa, presenza.

 

La paura per Deltacron, la lotteria in Spagna e gli aghi dei veterinari

In un Paese dove tutto va a commedia, e i parlamentari arrivano a ricattare il governo per paura di perder la pappa, niente di meglio che affidare il nodo delle inquietudini contemporanee alle proprie Pagine di diario.

 

E ovviamente, a furia di paventarla, ma quasi evocata dai tg, moderni tamburi tribali, è arrivata la nuova variante del coronavirus, un incrocio di Delta e Omicron. Omicron non mi faceva paura, ma questo Deltacron sì. Già dal nome: Deltacron. Sembra un cattivo dei fumetti Marvel. “I Fantastici Quattro contro Deltacron”. Cazzo! Spero che Figliuolo abbia in agenda il cellulare di Galactus. Sintomi del Deltacron: gengive sanguinanti quando vi spazzolate i denti, sobbalzi ai rumori improvvisi, peli nel naso. Se avete due o più di questi sintomi non state a infastidire il vostro medico perché è già troppo tardi.

 

È rischiosissimo, per i genitori cattolici, deludere i figli sull’esistenza di Babbo Natale, poiché i pargoli non ci metteranno molto a estendere quell’inesistenza all’altra fola, Dio. In più, ne ricavai un sentimento di presa in giro: mi vergognai di essere stato così stupido. Il presentimento oscurissimo di realtà umane in tutto diverse da quelle fra le quali fino ad allora avevo vissuto mi convinse che gli adulti tenessero nascoste, a noi bambini, chissà quante altre cose, come mi confermò la rivelazione, anni dopo, della seconda funzione, insospettata e alquanto inverosimile, del pisello. Arrivata finalmente la pubertà, passavo le mie estati a studiare il più interessante tra tutti gli animali estivi, la ragazza straniera in topless, e presto persi il controllo del mio pene. Una volta mi venne un’erezione mentre stavo consolando una mia amica con bocce sublimi cui era appena morta la madre, anche lei con bocce sublimi. Piangeva: io l’abbraccio, lei si struscia, mi viene dritto. Lei mi rimprovera, offesa, e io: “Scusami, sono desolato. Cerco di mantenermi fedele ai miei principi, ma il mio cazzo è un ipocrita. No, davvero, è terribile che tua madre sia morta. Aspetta, lascia che ti aiuti a toglierti il reggiseno…”.

 

Ogni anno, verso la fine, compro un biglietto della lotteria. In Spagna costa 20 euro. Il primo premio è 2 milioni, poi ci sono tanti sottopremi fino ai premiolini. Non vinco mai niente, ma quest’anno l’ultimo numero del mio biglietto era uguale all’ultimo numero del biglietto vincente, e questo è un premiolino: 20 euro. Buffo il pensiero che tutta l’enorme macchina della Loteria del Estado sia servita, in pratica, a ridarmi i 20 euro che avevo speso.

 

Quando eravamo in emergenza e non si trovava personale per iniettare i vaccini, si pensò di reclutare medici, infermieri e specializzandi, e di richiamare in servizio i medici in pensione. Non si pensò però ai veterinari, nonostante maneggino siringhe tutto il giorno e riescano a infilare aghi perfino nei pit-bull, che non sono meno permalosi dei no-vax. Escludere i veterinari fu una scelta specista. “Non voglio che mi infili un ago un veterinario. Non sono un cavallo”. Cos’hai paura, di diventarlo come effetto collaterale?

 

Trovata un’altra fossa comune in Uganda. Questi massacri etnici rovineranno l’industria turistica locale. Proprio adesso che avevo cominciato a pensare all’Uganda come a un posto sicuro dove potevo andare a morire di fame, essere divorato da una belva feroce o beccarmi l’Aids.