“Grazie allo screening i tumori calano un po’. Ma non può bastare”

Per la prima volta diminuiscono gli italiani che si ammalano di tumore. Nel 2019 sono stati stimati 371 mila nuovi casi, cioè duemila in meno rispetto allo scorso anno. Ma ancora “non si può cantare vittoria” avverte Massimo Rugge, presidente dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum), che insieme a quella di oncologia medica (Aiom), ha curato l’ultimo rapporto sui numeri del cancro in Italia, presentato ieri. In realtà, spiega l’esperto, “non è una variabilità molto significativa, per un successo lo scarto dovrebbe essere molto più elevato. La situazione è semplicemente sotto controllo”.

È comunque una bella notizia, professor Rugge. A cosa dobbiamo questo calo, seppur lieve?

All’estensione dei programmi di screening oncologici per la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud Italia. Prima si scopre la malattia e più facile sarà curarla e guarire da essa. Nel 2017 sono stati registrati 14 milioni di inviti e oltre 6 milioni di test eseguiti. Significa che hanno ricevuto la lettera di invito fra l’80 e il 90 per cento delle donne in età target (tra i 50 e 69 anni) per lo screening mammografico e per quello cervicale (25-64), e circa il 75 per cento della popolazione target (50-69) per lo screening al colon retto. I numeri più alti sono ancora al Nord, dove per esempio la copertura della mammografia raggiunge il 98 per cento contro il 59 nel Sud e nelle isole.

Ci sono importanti differenze geografiche anche in termini di adesione ai test.

Esatto. Al Nord in generale su cento persone chiamate rispondono in 65. Al Sud, 41. Riprendiamo il caso dello screening mammografico: nell’Italia settentrionale la partecipazione è del 68 per cento, nel Meridione del 46. Se poi consideriamo che la diffusione degli inviti qui è minore il gap si allarga. Per aumentare l’adesione sono necessari programmi di educazione alla prevenzione anche nelle scuole, a partire dalle elementari. La risposta ai test oggi dipende molto anche dal contesto culturale ed economico. Una bambina che cresce in una famiglia informata all’età di 12 anni farà il vaccino contro l’hpv.

Il carcinoma al seno continua a essere il più frequente, con 53.500 nuovi casi nel 2019. Seguito da quello del colon-retto (49 mila), polmone (42.500), prostata (37 mila) e vescica (29.700). L’incidenza più alta è stata rilevata in Friuli Venezia Giulia (716 casi per 100 mila abitanti), la più bassa in Calabria (559). Un’altra differenza geografica: da cosa dipende?

La causa ultima ci è sconosciuta. Sicuramente i fattori di rischio, cioè ciò che fa aumentare la probabilità di sviluppare la malattia, sono legati all’ambiente, quindi all’inquinamento dell’aria, ma anche allo stile di vita: fumo, alcol, attività fisica, ore di sonno. All’alimentazione del soggetto, che deve essere bilanciata, ricca di frutta e verdura, senza demonizzare la carne, perché senza carne i bambini non crescono bene e si ammalano. Influisce anche il livello culturale, e a sua volta economico. Il cancro si può dire che è una malattia sociale. Chi vive in un contesto meno attento alla prevenzione con un servizio sanitario poco organizzato sarà meno fortunato. Per questo al Sud anche se ci si ammala di meno la mortalità è più elevata.

Decisivo potrà essere lo sviluppo delle reti oncologiche (come le breast unit) su tutto il territorio nazionale. Sancite con l’intesa Stato-Regioni del 2011, e un’altra del 2014, funzionano solo in metà delle regioni e non per tutti i tumori ancora.

Le reti sono strategiche e sono più rodate al Nord infatti. Sono un modello organizzativo che garantisce qualità e sicurezza, collegando gli ospedali periferici a quelli centrali e consentendo la presa in carico del paziente lungo un percorso di diagnosi e terapia condiviso da un team multidisciplinare. Per evitare che il paziente si affidi al fai da te, si perda tempo e si facciano esami inappropriati.

L’Italia è il secondo Paese più vecchio al mondo (dopo il Giappone). Cambieranno dunque anche le priorità in oncologia?

Direi di sì. Dal 1999 al 2019 gli over 75 sono aumentati del 5 per cento. E i tumori sono più frequenti proprio tra gli over 75. Questo significa che avremo sempre più malati di cancro e la nostra diventerà un’oncologia geriatrica con obiettivi mirati a cronicizzare la malattia: nuovi modi di accudimento e terapie più conservative, meno aggressive, perché il paziente anziano, più fragile, non potrà reagire come un 50enne.

Mail Box

 

La vera difesa degli italiani è quella contro i “parassiti”

Salvini aveva impostato la “difesa degli italiani” proponendo meno migranti, meno Europa, meno tasse… Ma dimenticandosi che la priorità per gli italiani è la “difesa dai parassiti’’. Questa categoria, da decenni, sottrae al Paese circa 100 miliardi all’anno. Su questo terreno, ogni sua proposta è inesistente, in quanto la Lega fa parte del parassitismo nostrano. Il vero cambiamento passa attraverso la demolizione dei privilegi e delle rendite immotivate. Il taglio dei vitalizi è legge grazie a 5Stelle trainanti, con Lega obtorto collo.

Vedremo come si comporterà Salvini sull’ultimo passaggio del taglio dei parlamentari, sullo stop alle trivelle, sul taglio degli enti inutili, la limitazione delle consulenze, ecc..

Francesco Degni

 

La premonizione di Bob Dylan: “Il mondo intero ci osserva”

Leggendo il resoconto di quanto Greta ha detto all’Onu, non posso non riconoscere nelle sue parole lo stesso tono e le stesse “minacce” che Bob Dylan proferiva già nel 1964. Anche se all’epoca l’ambiente era nei pensieri solo di qualche scienziato visionario, Dylan, con la canzone The ship comes in, simbolo dell’oppressione di qualunque sistema, ammonì verso un non ben specificato nemico, che “affogherà nei flutti, perché non ci sarà nessuna pietà quando la nave entrerà nel porto”. Mi piacerebbe che questa canzone così premonitrice venisse adottata per la causa ecologista, che Greta tanto caparbiamente difende e che tutti noi dovremmo condividere, innanzitutto con i nostri comportamenti quotidiani.

Salvatoreantonio Aulizio

 

L’educazione va rilanciata: è la base della società

Vorrei rilanciare il ruolo di centralità e di rilevanza sociale che un tempo si ascriveva alla scuola in quanto “comunità educante”, e non azienda. In primis, auspico la cancellazione dei test Invalsi, in particolare nella Scuola Primaria, per sostituirli con un esame da somministrare alla fine della classe quinta. Quindi, proporrei la cancellazione totale del cosiddetto “bonus premiale” (poiché è un meccanismo assai discriminante per tutti gli insegnanti che non si risparmiano nella didattica attiva svolta in classe) e dei fondi riservati alle “funzioni strumentali”, oltre che di tutti quei progettini inutili e insignificanti, in modo da destinare le risorse per finanziare un dignitoso incremento stipendiale ai docenti italiani. Servirebbe concedere più spazio, valore e visibilità reale alla didattica attiva, eliminando la muffa e la fuffa burocratica. I dirigenti scolastici antepongono le aride cifre statistiche, che non hanno alcun riscontro effettivo con le istanze formative, psico-socio-culturali degli studenti, considerati come gli “utenti” della scuola-azienda. Se il neo ministro avesse la forza, la volontà e la possibilità di porre in essere simili obiettivi, diventerebbe un eroe nazionale.

Lucio Garofalo

 

DIRITTO DI REPLICA

Sul Fatto del 23 settembre è uscito un articolo a firma di Tomaso Montanari dal titolo “Ambiente? Il ricatto di Renzi per l’aeroporto di Firenze”. Senza entrare nel merito delle questioni generali trattate nell’articolo, perché essendo tutte visioni opinabili porterebbe via molto spazio a questa mia lettera e sappiamo bene le opinioni del dottor Montanari in proposito essendo tra i principali oppositori della nuova pista aeroportuale, voglio però significare che nell’articolo vi è scritto: “L’ossessione per l’aeroporto di Firenze (la cui Società è presieduta dall’eterno amico Marco Carrai, che ha da poco offerto il domicilio anche all’ultima Società creata da Renzi, la Digistart srl)…”. Io non ho offerto nessun domicilio all’azienda creata da Renzi. Digistart srl ha la sede legale, così com’è possibile per Legge, presso un commercialista di Firenze che essendo anche il mio commercialista vede lì anche la sede legale di alcune mie Società. Il dottor Montanari tanto apparentemente attento e scrupoloso non lo è quando si tratta di diffondere la cultura del sospetto. Bastava un semplice controllo e non sarebbe incappato in questa menzogna per cui richiederò il risarcimento del danno che come tutti quelli vinti negli ultimi anni devolverò in beneficenza.

Marco Carrai

Non si tratta di una menzogna, ma di una mia deduzione: al più di un’innocua imprecisione, della quale prendo atto. Se è vero come è vero che i grandi amici Carrai e Renzi si servono dello stesso commercialista (al momento assai più indaffarato per la mole di affari del primo), deve essere avvenuto per caso, forse perfino senza che se lo siano mai detto. Sta di fatto che presso quello stesso studio sono domiciliate sia la Digistart di Renzi che la Carfin di Carrai. Nessuna cultura del sospetto (vista poi la marginalità del dettaglio): semmai l’abitudine dello storico a connettere i dati di fatto per interpretare la realtà. E giudicarla.

Tomaso Montanari

 

I NOSTRI ERRORI

Sul Fatto Quotidiano di ieri a pagina 9 abbiamo pubblicato la foto del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia al posto di quella del ministro Francesco Boccia, citato nell’articolo. Ce ne scusiamo con i diretti interessati e con i lettori.

FQ

La saggezza di Luigi Di Maio applicata ai conti pubblici

Sì, anche noi ne siamo sorpresi. Forse è merito dell’osmosi con la proverbiale saggezza dei diplomatici che ora guida, ma Luigi Di Maio sull’accordo di Malta sui migranti ha detto una cosa assai scaltra: “Attenzione ai facili entusiasmi”. Ecco, ci permettiamo di estendere l’invito alla prossima manovra, che sarà anticipata domani dai cosiddetti “saldi” di finanza pubblica: quanto deficit, quanto Pil, etc. Da giorni sui meglio giornali si rincorrono i numeretti del 2020: la crescita, si sa, bene che vada sarà bassa; il deficit invece è un mistero. A fine 2019 sarà all’1,6% del Pil (Messaggero), anzi all’1,9 (Il Sole) e il governo potrebbe – ovviamente in accordo con l’Ue – “lasciarlo scivolare nel 2020 al 2,1-2,2%” (Messaggero), anzi “al 2,2, forse al 2,3%” (CorSera) e infatti “può salire al 2,3” (conferma Repubblica), fermo restando che “il sogno proibito è il 2,6%” (Il Sole). È vero, i numeri con la virgola sono noiosi, ma mettiamola così: se si blocca l’aumento dell’Iva, a fine 2020 il famoso deficit è stimato sfiorare o sforare l’altrettanto famoso limite del 3%; se la manovra partorirà qualunque numero sotto quella cifra significa che, durante una recessione, il nuovo governo si appresta ad aumentare tasse-imposte e/o a tagliare spese “aiutando” la recessione. E quindi sì, per carità, il clima in Europa è cambiato… ora l’Italia non è più un paria… le politiche orientate alla crescita… Ursula ci vuole bene… la riforma dei Trattati… il Green New Deal coi fichi secchi… però, ecco, “attenzione ai facili entusiasmi” e, soprattutto, “dagli amici mi guardi Iddio”.

Monopattini. Tra regole e pericoli, tutto è stato demandato ai sindaci

 

C’è qualcuno, oltre a me, che vede la pericolosità dei monopattini? Lungi da me polemizzare sulla mobilità sostenibile, anzi, uso mezzi a metano, diesel o gpl da sempre. Il problema è la sicurezza. Domenica pomeriggio, durante una passeggiata sul lungomare, cerco di attraversare ed ecco che mi vedo sfiorare da un ragazzo senza casco che sfreccia sul monopattino, fra auto parcheggiate e non, pedoni, ciclisti. Magari si va anche relativamente piano, ma ormai le strade fra ciclabili, spartitraffico, rotatorie sono un cordolo continuo… E se si perde il controllo? Cadi, sbatti il cranio, qualcuno chiama soccorsi, ma intanto stai 5/8 minuti in ipossia. Dopo sono tutti bravi a fare associazioni, raccolte fondi per cure, proposte di legge… Ma la prevenzione?

Elena Cenerelli

 

Gentile Elena, a quanto pare, a pensarci ci stanno pensando, però abbastanza lentamente. Tanto che sia il Comune di Milano, sia quello di Torino, hanno dovuto bloccare l’uso dei monopattini elettrici in città nonostante sia un mezzo ecologico e alla portata di molti. Il decreto sulla micromobilità elettrica, entrato in vigore a luglio, ne avrebbe dovuto regolarizzare l’uso, ma in realtà ha delegato alle amministrazioni locali l’applicazione pratica del provvedimento. E chiaramente, più una norma si frammenta più diventa difficile regolare il fenomeno. Come ha spiegato qualche tempo fa Patrizia De Rubertis sul Fatto, il decreto prevede che in via sperimentale i monopattini possano circolare nelle aree pedonali, nei percorsi ciclopedonali e nelle zone con limite di velocità a 30 chilometri all’ora. E che i Comuni che intendono partecipare alla sperimentazione installino appositi cartelli per segnalare le aree nelle quali i mezzi possono circolare. Ed è qui che si annida il problema: in questo limbo giuridico, i sindaci non vogliono assumersi la responsabilità di comportamenti contro legge. Anche perché le regole ci sono. I limiti di velocità, ad esempio, devono essere inferiori a quelli delle biciclette a pedalata assistita: su aree pedonali e ciclabili non si può superare il limite di 6 km all’ora, mentre nelle zone 30 e nelle strade con limite di velocità a 30 km all’ora, non può viaggiare a più di 20 km orari. Certo, sono un po’ complesse però non così difficili. Forse andrebbe stabilito l’obbligo di un limite di età, di una preparazione, anche un patentino. Ma questo potrebbe arrivare solo dopo una diffusione molto più capillare di quella odierna.

Virginia Della Sala

Matteo&Matteo: il finto duello tra un talent e Temptation Island

Italia e Germania allo stadio Azteca di Città del Messico (1970). Muhammad Ali e George Foreman allo stadio di Kinshasa (1974). Renzi e Salvini a Porta a Porta a Roma (2019). C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico, eccetera eccetera. E c’è anche qualcosa di patetico nell’annunciare con un mese d’anticipo un allenamento tra sparring partner come se fosse uno scontro tra campioni. Del resto quando la propaganda politica si incrocia con il promo televisivo non c’è da aspettarsi molto (e questo è l’antico). Si annuncia però il primo scontro per il nuovo modello di leader: il leader generalista (e questo è il semi-nuovo).

Dei motivi si sa tutto: i due Mattei hanno interesse ad accreditarsi a vicenda come nemici, uno tiene su l’altro, per dirla veloce. L’arbitro del match spera di aggiungere un altro mattoncino a quel castello di cartone e conformismo che qualcuno chiama “la terza camera dello Stato” (e qui sì che servirebbe una riforma costituzionale che riduce le Camere, da tre a due). Il contesto è noto, dunque, senza nemmeno fare grandi sforzi di fantasia se ne potrebbe scrivere la cronaca prima che accada.

I character in campo si conoscono, è una battaglia culturale, perché ogni venditore di aspirapolveri ha il suo stile e il suo linguaggio. Uno va alla fiera della cipolla (popolare, a contatto col territorio, qui si lavora, via i negher! Super-local-medievale), e l’altro discetta di “intelligenza artificiale” (le tecnologie, il futuro, che palle i lavoratori! Super-global-su-Saturno).

Dunque il format Renzi-Salvini di metà ottobre sarà paragonabile ad altri format televisivi. Il talent, prima di tutto, perché un così considerevole scontro tra ego non si vedeva da tempo e le probabilità che venga ambientato in una seconda media sono piuttosto alte. Uno che dice mojito! E l’altro con i faldoni della cronaca nera (solo quella dei neri) sotto il braccio. Sarà anche un po’ Temptation Island, però, con il gioco di seduzione, le occhiatine, le spiritosaggini, le ciglia che sbattono. Già se ne sanno i toni, già si immaginano le pose e le mossette. Di Salvini sappiamo quella passione per gli elenchi con le dita che contano, metà arbitro di pugilato e metà dizionario dei sinonimi. Di Renzi si sa la finta autoironia e certi guizzi teatrali. Uno spingerà sul vittimismo – che gli vogliono tutti male, che lo odiano, che c’è il complotto contro di lui –, l’altro farà intendere alla platea che tutto questo non esisterebbe se gli italiani non fossero stati così scemi da non capire il suo referendum (e ogni volta che apre bocca sull’argomento, la gente corre all’inginocchiatoio per ringraziare il Cielo di aver votato no). Si prenderanno a colpi di Bibbiano in faccia, e vabbè.

E poi ci sarà spazio per il leader generalista, il mio format preferito. Renzi pare espertissimo in ogni tipo di sport purché si vinca: Formula Uno, pallavolo, scherma, ginnastica artistica, farà la battutina sui viola; Salvini farà il Berlusca e detterà la formazione del Milan (o qualcosa di polemico, come uno della curva, ma ancora a piede libero). Parleranno dei figli, “da papà”.

Non si dimentichi, nella Gran Sagra del Prevedibile, la reazione dei social, come si fronteggeranno i sostenitori del “Capitano” (ossignùr, ndr) e i Renziani Rinati del Settimo Giorno (già #senzadime). Le tifoserie, assiepate tra le tivù e gli smartphone, potranno intonare i loro cori, dare pagelle, urlare “merde!” agli altri. Poi diranno che il loro beniamino ha “asfaltato” l’avversario, e qui vedremo linguaggi perfettamente sovrapponibili, le stesse identiche parole, in scala uno a uno, persino nella sciatteria sintattica e nell’avventurismo grammaticale. Niente di collettivo, mi raccomando, solo esercizi di stile privati esibiti in pubblico, come è giusto per tifosi personali di partiti personali, privati, esibiti in pubblico.

Scuola: il permesso di disobbedire non si può chiedere

Il neo ministro per l’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha chiesto alle scuole di giustificare gli studenti che manifesteranno venerdì in occasione della mobilitazione contro il climate change. Una cosa simile è accaduta a New York, dove la settimana scorsa il sindaco Bill de Blasio ha chiesto di giustificare gli studenti (oltre un milione) che hanno disertato le lezioni per scendere in strada. I presidi per ora non hanno raccolto la proposta di Fioramonti: “Mi sembra un provvedimento di problematica attuazione”, ha risposto il presidente dell’Associazione nazionale presidi. “Come facciamo a sapere perché un ragazzo non si presenta a scuola? Ci può essere chi rimane a casa a dormire”. Rispondendo alla Stampa sul perché ha deciso questa “sanatoria” verde, il ministro ha detto: “La battaglia per un mondo sostenibile deve entrare in modo permanente nel mondo della scuola. L’obiettivo è di formare cittadini responsabili in un mondo dove protagonisti sono l’economia circolare, la digitalizzazione, l’innovazione. Intendo innovare la didattica nelle scuole introducendo temi legati alla sostenibilità in ogni materia, dalla scienza alla storia. Vorrei che la sostenibilità diventasse il fil rouge che caratterizza la didattica nelle scuole italiane”.

Messa così sembra un po’, con pardon parlando, una supercazzola perché sarebbe davvero bizzarro che gli studenti si ritrovassero a studiare la sostenibilità dell’impresa di Fiume, della battaglia di Austerliz, del pensiero di Kant o di quello di Heidegger. Bene, anzi benissimo, che gli studenti si appassionino al tema ambientale e che ne facciano una loro battaglia. Di venerdì in piazza, ma anche di lunedì, domenica e giovedì, quando per esempio gettano i rifiuti o consumano plastica inutile. Ed è sacrosanto che ci sia attenzione all’educazione su un tema che davvero riguarda la qualità della vita delle future generazioni. Questo purché poi lo Stato non chiuda gli occhi sull’inquinamento delle fabbriche o sul traffico di rifiuti tossici e incentivi davvero nuovi fonti energetiche e l’uso di veicoli non inquinanti.

Quanto alla giustificazione, non diremo che davanti alla telecamere che riprendevano i primi F4F (fridays for future) moltissimi studenti non sapevano nemmeno cosa fosse il surriscaldamento globale o l’innalzamento del livello dei mari. Diremo invece che è assai diseducativo fornire una giustificazione “automatica” ai ragazzi. E non certo per qualche furbo che potrebbe preferire le braccia di Morfeo a quelle di Greta: sono piccinerie. Il punto è che la disobbedienza porta con sé la responsabilità di una scelta. E qui stiamo parlando di una disobbedienza piccola e già ampiamente accettata dalle famiglie e dalle istituzioni scolastiche: chi è stato giovane negli anni 60 e 70 sa che andare alle manifestazioni era un atto di rottura certamente non condiviso né apprezzato. E anche più avanti, negli anni Ottanta, fare politica (e questo è certamente un tema politico, sia chiaro) dentro o davanti alla scuola era un’attività assai poco ben vista. Molti studenti temevano che prendere posizione su argomenti come la guerra o le riforme scolastiche influenzasse il giudizio dei professori. Altri no, ed erano quelli che si prendevano la responsabilità delle proprie idee. Con il tempo, il valore “rivoluzionario” delle battaglie studentesche si è sempre più affievolito, dalle occupazioni che ormai sono quasi sempre concordate fino alla giustificazione di massa, concessa addirittura dal ministro. Ma non si può chiedere l’autorizzazione a disobbedire: tutto il senso del gesto si vanifica. Certo è difficile disobbedire mentre tutti ti applaudono, financo i ministri.

I due pesi di Feltri l’azzeccagarbugli

Su Libero del 20 settembre Vittorio Feltri, che ne è il direttore editoriale non il responsabile così le querele se le becca tutte il povero Senaldi, in un articolo intitolato “Giustiziamo i giustizialisti di sinistra”, a proposito di Diego Sozzani di cui la magistratura aveva chiesto l’arresto (ai domiciliari naturalmente perché questa detenzione soft è riservata a lorsignori, parlamentari e non, mentre gli altri, nelle stesse condizioni, vengono sbattuti in carcere senza tanti complimenti e anche questa è una discriminazione sociale intollerabile) ha scritto: “Troviamo assurdo privare della libertà un signore, fosse anche colpevole, prima di essere processato e condannato. La gente, di qualunque tipo, non va punita se non dopo sia stata dimostrata con regolare processo la sua partecipazione a un reato… Basta ricevere un avviso di garanzia per essere sputtanato a vita, esposto al pubblico ludibrio”.

Il Feltri si concede qui la parte del Cesare Beccaria del Dei delitti e delle pene (meglio cento colpevoli in libertà che un innocente in galera). Ma il Feltri Beccaria lo deve aver letto abbastanza di recente o forse è uno scambio di persona tanto diverso è dal Feltri che diresse l’Indipendente dal 1992 al 1994. Quell’Indipendente fu il quotidiano più “forcaiolo” della storia del giornalismo italiano. Fu Feltri a sbattere in prima pagina, con goduto compiacimento, una grande foto dell’onorevole Carra in manette. Fu sempre Feltri a coniare per Bettino Craxi, in quel momento raggiunto solo da un avviso di garanzia, il termine “cinghialone” dando a una legittima inchiesta della magistratura il sapore di una caccia sadica che non fu estranea al vergognoso lancio di monetine davanti all’hotel Raphael. Fu ancora Feltri ad attaccare pesantemente i figli di Craxi, Stefania e Bobo, come se i figli avessero le colpe dei padri. Avallò anche i suicidi che avvennero durante la stagione di Mani Pulite: “Craxi ha commesso l’errore… di spacciare i compagni suicidi (per la vergogna di essere stati colti con le mani nel sacco) come vittime di complotti antisocialisti”. Il Feltri diventò “ipergarantista” quando nel 1994 passò alla corte di Silvio Berlusconi. Era stato l’ammiratore più fanatico dei magistrati di Mani Pulite, Di Pietro in testa, ne divenne un altrettanto fanatico accusatore. Da questo “forcaiolo”, poi pentitosi al momento in cui gli conveniva pentirsi, non accettiamo quindi lezioni postume di “garantismo”.

La carcerazione preventiva certamente dolorosa per qualsiasi indagato, soprattutto se poi risulterà innocente, si rende necessaria in tre casi: quando i magistrati ravvisino il pericolo di fuga o la possibilità di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato. Ma seguiamo pure l’ultimo Feltri o il Feltri numero 2 o lo pseudo Feltri, che di diritto ne sa quanto la mi zia, nel suo ragionamento e aboliamo quindi la carcerazione preventiva. Non si capisce allora però perché questa immunità dal gabbio lo indigni particolarmente quando di mezzo c’è un parlamentare. Non gli ho sentito emettere simili lai quando in carcere preventivo, e non ai più comodi domiciliari, sono stati sbattuti senza tanti complimenti presunti ladri di galline, presunti rapinatori, presunti stupratori. In questo caso la linea è anzi quella di madama Santanchè che fa parte del suo giro o comunque del movimento politico, la destra, cui si rifà: “In galera subito e buttare via le chiavi”. Cioè in galera senza che nemmeno ci sia un processo. Il Feltri o lo pseudo Feltri appartiene a quella linea politica, sempre la destra, che quando Pietro Valpreda era in galera da quattro anni senza processo voleva che vi rimanesse a vita.

La carcerazione preventiva è una dolorosa necessità che esiste in tutti gli ordinamenti. Ma se si vuole abolirla, come sottintende il Feltri, allora va abolita per tutti e con la stessa indignazione che Feltri riserva al parlamentare di Forza Italia. Insomma, nonostante il lacrimoso e intellettualmente disonesto articolo di Feltri, siamo alle solite: due pesi e due misure, due diritti, uno per lorsignori e gli amici degli amici l’altro per i cittadini comuni.

Mi colpisce l’inerzia di questi ultimi. I privilegi di lorsignori rimangono intatti tant’è che Feltri li difende fingendo di farlo per tutti e noi non ci ribelliamo mai. Qualsiasi partito si sia votato o non si sia votato la cittadinanza intera dovrebbe insorgere. Invece no. Siamo solo pecore da tosare, asini al basto, maiali che si fanno docilmente portare al macello senza emettere nemmeno un grugnito, preda per soprammercato degli azzeccagarbugli alla Vittorio Feltri.

Dieci anni in libertà

Lunedì abbiamo festeggiato i nostri primi dieci anni in edicola: qui pubblichiamo altre lettere di auguri inviateci in questi giorni dai nostri lettori. Grazie a tutti per l’affetto, la passione e il sostegno. Continuate a scriverci e a leggerci numerosi.

 

Il “Fatto” per me è una poesia

Il Fatto per me è la prima lettura della giornata,/ è la prima pagina che a volte mi scuote e che a volte mi diverte./ È la soddisfazione per aver letto qualcosa che altri non scrivono, e l’incazzatura immediatamente successiva di averla letta./ È l’impegno civile che ti impone di prendere posizione, e che ti costringe a esporti. (Soprattutto con te stesso)./ È un punto di riferimento per quando non riesco a interpretare un momento e a volte il punto di vista diverso rispetto al mio./ Un punto di vista di cui però mi posso fidare perché è genuino./ Perché è “fatto” da persone perbene che credono in quel che fanno, che sono i giornalisti, ma anche noi lettori./ Per cui grazie al Vostro impegno quotidiano, anche quando non è facile, e grazie anche ai tanti lettori che permettono di tenere in vita questo giornale.

Valentina Felici

 

Siete un quotidiano obiettivo e professionale

Complimenti e auguri per la prosecuzione del vostro lavoro così utile per tutti noi. Quotidiano onesto, obiettivo, che svolge con grande professionalità il compito di tenerci sempre informati e di tenere sempre desta la nostra attenzione. Non dimenticheremo certo che ha anche aiutato tutti noi nella dura battaglia che abbiamo dovuto sostenere nel 2016 in difesa della nostra Costituzione. 10 anni spesi bene. Vi leggo dall’inizio e ormai solo il vostro, ma anche un po’ mio, quotidiano. Grazie!

Albarosa Raimondi

 

Somigliate a Trilussa: lunga vita “A zent’anni”!

All’inizio proprio non vi sopportavo, credevo che tutto il livore contro Berlusconi fosse soltanto dettato dall’invidia (?!?). Ebbene sì, ho fermamente creduto che B. potesse, da imprenditore, risolvere i drammi di tante partite Iva, come me. Ma il tempo è stato galantuomo: mi ha permesso di capire la realtà delle cose anche grazie alle vostre battaglie. Ora sono un vostro abbonato. Quello che apprezzo di voi è la libertà intellettuale che vi permette di potervi mantenere a giusta distanza dal potere, rifiutandone lusinghe e prebende, proprio come un gigante della nostra letteratura: Trilussa. Ecco vi auguro in sassarese “A zent’anni”!

Carlo Tomassetti

 

Più che una testata, ormai siete un rito

Dieci anni fa c’ero, andavo all’università e insieme ad altri compagni di corso sfogliammo il primo numero del Fatto (che custodisco ancora): finalmente un giornale che condivideva i miei principi e le mie battaglie. Ed è così da quel giorno: il rito (quotidiano) di recarsi in edicola a comprare il Fatto. Un grazie a tutti voi: con le vostre inchieste e la vostra determinazione siete riusciti a tenere alta l’attenzione su tematiche che i “giornaloni” ignorano o nascondono.

Francesco Bertelli

 

La carica dei 101 (nostri lettori)

Attento lettore del Fatto. Grazie a tutti voi per la freschezza mentale quotidiana che ci regalate.

Biagio Palmiro Garofalo

 

Leggervi è come respirare aria pulita

La nascita del Fatto l’ho vissuta con un grande sospiro di sollievo, e una grande speranza, ci ho creduto, l’ho sostenuto e letto: ne sono soddisfatto perché a distanza di dieci anni, che sono volati, leggervi è sempre come respirare aria pulita, fatta di libertà, di giustizia, di verità, di democrazia, di solidarietà verso i più deboli e di Costituzione, senza guardare in faccia nessuno. Bravi, complimenti, siete una squadra meravigliosa.

Giorgio Zangelmi

 

Ogni giorno una sfida contro i poteri e le caste

Dieci anni fa, un gruppo d’incoscienti ben attrezzati moralmente decisero di fondare un nuovo quotidiano. Nella loro utopia, doveva essere un quotidiano diverso, lontano dai partiti, vicino veramente ai lettori. Qualcosa di scomodo per le coscienze perché avrebbe voluto far riflettere, impegnare le menti, onorare il decoro intellettuale. Ogni giorno una sfida contro i poteri consolidati, contro le caste, a partire da quella politica. Dare informazioni esatte, senza nascondere niente. “Non sarebbe durato”, pensò qualcuno, di questo Fatto Quotidiano. Beh non aveva visto giusto. Dopo dieci anni siamo qui a sfogliarlo ancora, ammirandolo per la forma letteraria, snella e incisiva, e per i contenuti mai banali. Ma c’è di più: il quotidiano è vivo, è un organismo che cresce giorno dopo giorno, che concettualmente non si ripete. E pazienza per qualche difetto: anzi meglio, è segno di umanità.

Dario Lodi

 

Di voi mi piace pure il fruscio della carta

Naturalmente complimenti per il Nostro giornale che senza di voi non potremo leggere!!! Eh sì perché… se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Forza e andiamo avanti così! Vi faccio una confidenza: mi piace proprio sfogliare la carta, ho provato per un periodo a leggerlo online ma niente da fare… sono tornata alle origini. Un saluto a tutta la redazione e un abbraccio a tutti, ma proprio tutti.

Giusi

 

La mia prima copia impaginata in Svizzera

Care ragazze e ragazzi del Fatto Quotidiano, grazie per esserci, e per essere stati così in gamba a portare avanti il vostro giornale nonostante la crisi che ha investito il settore dei media dopo l’avvento di Internet. Non posso neanche immaginare cosa leggerei e come mi informerei se non ci foste voi. Carissimi auguri dunque per i vostri primi 10 anni e in bocca al lupo per i vostri prossimi 100! Vi mando una foto con un’impaginazione originale del vostro primo numero: stampato qui in Svizzera visto che non potevo comprare la prima copia cartacea in Italia. Un caro saluto da una vostra fedele lettrice

Cinzia Dal Zotto

 

Non fate sconti con le vostre inchieste

Buon compleanno al Fatto Quotidiano! Sono dieci anni che compro il vostro giornale perché è l’unico modo per avere un’informazione seria e non schierata, anche se non sempre sono d’accordo con ciò che leggo, so che siete rigorosi e seri, e non fate sconti a nessuno. Mirabili le vostre inchieste e gli approfondimenti. Come regalo, accetto di pagare trenta centesimi in più a copia, senza lamentarmi. Compro anche Millennium e diversi libri scritti da voi.

Ermanno Migliorini

 

Siete come un amico a cui non si può rinunciare

Spettabile redazione, sono un vostro ignoto lettore ed estimatore dell’unico giornale libero in Italia. Ammiro la compagine di giornalisti così diversi per i loro caratteri, ma uniti dal filone comune della sincerità, della lealtà e della libertà di pensiero. Il vostro giornale non solo mi informa, ma riesce ad anticipare alcuni miei pensieri, mi aiuta a interpretare alcune mie intuizioni. Non ho mai gettato, dopo averla letta una copia del Fatto: non ci riesco, non posso vederlo avvolgere il pesce o la frutta. Devo conservarlo, come un amico del quale non si può fare a meno. Quando all’edicola o in strada, vedo qualcuno con il vostro giornale in mano, non manco mai di fargli i complimenti per la sua scelta… Sono trascorsi 10 anni: tanti auguri al Fatto e ai suoi eroici giornalisti, per questi primi meravigliosi anni e per altri secoli, al servizio degli italiani coscienti e incoscienti!

Enrico Migliaccio

 

Leggo diversi giornali, ma il vostro è il “mio”

Tanti auguri per i dieci anni e che ci siano tante altre decine! Sono vostro abbonato dall’inizio; ho scaricato su cd o su hard disk tutti i vostri numeri. Leggo anche un altro quotidiano, ma il vostro è il “mio” giornale di riferimento: un giornale che racconta i fatti, li analizza, esprime opinioni non faziose ma motivate. Spesso si possono leggere anche opinioni diverse: ciò aiuta a vedere le cose da angolazioni diverse, senza paraocchi, e stimola e accresce il senso critico.

Enrico Malacarne

 

Dal primo numero non vi ho più lasciato

Umilmente mi annovero tra i grandi personaggi che si sono complimentati per il vostro anniversario. Ho acquistato il Fatto dalla prima uscita, anelando, da troppo tempo, un giornale che rispecchiasse in toto le mie idee: finalmente esisteva e da allora non vi ho più lasciato!

Anna Maria Benaglia

 

Nella mia mazzetta non mancate mai

Ogni giorno da 10 anni nella mia mazzetta di giornali c’è il Fatto (chi di voi ha inventato il nome della testata?…) e, al di là delle diverse opinioni, trovo sempre una notizia, una inchiesta, un fatto che gli altri non hanno.

Buon compleanno.

Chiara Beria di Argentine

 

Un abbraccio a tutti, anche a chi non c’è più

Il 23 settembre 2009 mi si sono aperti non solo gli occhi, ma la mente e il cuore. Una vera emozione: avevo trovato il mio giornale. Grazie a tutti voi della prima ora, a quelli che si sono aggiunti strada facendo e a quelli che ci hanno lasciato.

Lidia Tarenzi

 

Grazie a voi l’Italia s’è desta (meno a destra)

Il Fatto è un giornale indipendente che aiuta a formare l’opinione della gente. Da voi l’editore fa rima con lettore: l’unico che a voi garba soddisfare… Continuate a lottare. Volevano cambiare la Costituzione, ne avete contrastato la disinformazione. Volevano portare il Paese a destra, ma grazie anche a voi l’Italia s’è desta.

Giulio Rho

Rafforzata la scorta a Ruotolo: “Segnale preoccupante”

A febbraio il ministro dell’Interno Matteo Salvini stava per revocargli la scorta. A settembre, ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il comitato per la sicurezza e l’ordine pubblico della Prefettura di Roma, dove risiede l’interessato, ha alzato il livello di protezione, rafforzandogli la scorta e assegnando un’auto blindata. A dimostrazione che, purtroppo, il pericolo che circonda la vita e il lavoro di Sandro Ruotolo non si era mai dissolto. E recentemente si è aggravato. Il giornalista 63enne di Fanpage anche negli ultimi tempi ha firmato servizi sul clan dei Casalesi. La scorta gli fu assegnata nel 2015 in seguito alle minacce di morte pronunciate dal boss Michele Zagaria recluso nel carcere di Opera (Milano). E nel solco delle intimidazioni dei Casalesi sarebbero maturate le condizioni per il rafforzamento della protezione, in seguito al racconto – ritenuto credibile – di un confidente degli inquirenti. La notizia si è saputa per caso: Ruotolo è stato ospite a Napoli di ‘Imbavagliati’, il festival del giornalismo civile, e l’auto blindata non è passata inosservata. “Segnale preoccupante”, scrive la Fnsi che chiede un incontro urgente al ministro.

Il seggio di Sgarbi in bilico per “colpa” del museo

Si considera l’erede di B. ed è pronto a guidare il Rinascimento di Forza Italia. A Vittorio Sgarbi non fanno difetto né vivacità né fantasia ma ha dimenticato di fare i compiti a casa che potrebbero costargli molto più caro di una nota sul registro. La Giunta per le elezioni della Camera, chiamata a valutare incompatibilità ed eventuali decadenze dal seggio, gli ha scritto per richiamarlo all’ordine: non ha comunicato una serie di incarichi che potrebbero essere incompatibili con il mandato parlamentare.

“Ai sensi del regolamento è tenuto a comunicare al Presidente della Camera le cariche in enti pubblici o privati anche di carattere internazionale, nonché le funzioni e le attività imprenditoriali o professionali svolte entro il termine di 30 giorni, decorrente dalla data della nomina o della designazione alla carica o ufficio” si legge nella missiva della Giunta di Montecitorio che annota come Sgarbi, a inizio legislatura, abbia comunicato esclusivamente la carica di Presidente della Fondazione Cavallini-Sgarbi di Ferrara. Ma poi si era scoperto che qualcosa non tornava.

“Da notizie di stampa risulta tuttavia che Lei ricopre anche altre cariche e, in particolare, quella di presidente dell’Associazione culturale Rinascimento di Forlì, di presidente della Fondazione Canova con sede a Possagno (TV) e la carica di presidente del consiglio di amministrazione del Mart (il Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto, ndr)”.

Una dimenticanza a cui ora Sgarbi dovrà rimediare in fretta integrando le informazioni fornite all’assunzione del mandato parlamentare. E specificando nel caso dell’incarico al Mart se gli siano state conferite deleghe gestionali “al fine di una compiuta valutazione della carica alla luce delle disposizioni in materia di incompatibilità parlamentari”. Ora Sgarbi dovrà presentare una memoria per comunicare ciò che manca e soprattutto specificare se agli incarichi corrispondano altrettante attribuzioni gestionali, incompatibili con il seggio da deputato. A partire dal Mart su cui la Giunta proseguirà l’istruttoria che non è stata chiusa nemmeno dopo la lettera che il presidente dell’Anac ha inviato sul caso a Montecitorio. L’autorità anticorruzione infatti ad aprile aveva stabilito che non vi fosse incompatibilità con il mandato parlamentare perché il presidente del Mart, almeno da statuto, avrebbe solo la rappresentanza legale del museo. Ma sempre nello stesso parere Cantone aveva anche messo le mani avanti: nessuna incompatibilità “a condizioni che non vengano attribuite al presidente del cda del Mart specifiche deleghe gestionali”.

Ora il dubbio è che Sgarbi una qualche delega la abbia. E non solo perché qualche giorno fa aveva ventilato l’interruzione di future collaborazioni tra il Mart e Verona di fronte alle resistenze che aveva incontrato per entrare nottetempo nel museo di Castelvecchio. Stuzzicando l’attenzione del consigliere regionale trentino del Pd Alessio Manica che ne ha chiesto conto a Maurizio Fugatti, presidente leghista della provincia autonoma di cui il Mart è ente strumentale. Già messo sulla graticola dall’esponente dem che gli aveva pure chiesto se esistesse correlazione tra l’incarico di presidente del Mart assegnato a Sgarbi e una mostra con le opere della famiglia dello storico dell’arte (quelle della Fondazione Cavallini-Sgarbi) alla cui organizzazione aveva contribuito la stessa provincia con 100 mila euro.