Appello Stato-mafia: B. non difenderà l’amico Dell’Utri

Si apre una partita interessante sull’audizione dell’ex premier Silvio Berlusconi al processo di appello sulla Trattativa Stato-mafia a Palermo. La difesa di Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a 12 anni, aveva chiesto di sentire il leader di Forza Italia, che non è mai stato indagato in questo procedimento, come testimone. L’audizione era fissata per il 3 ottobre e già si scaldavano le telecamere dei tg nazionali. Invece i legali Ghedini e Coppi (dopo essere scesi a Palermo una decina di giorni fa per capire che aria tirava) hanno inviato una nota alla Corte d’Assise d’Appello per far sapere che Berlusconi ha già un impegno istituzionale connesso con la sua carica di eurodeputato. A parte il solito legittimo impedimento, la parte più importante della nota è la seconda: Coppi e Ghedini, dopo aver premesso che Berlusconi è comunque disponibile a deporre, hanno chiesto ai giudici di chiarire preliminarmente in quale veste verrebbe sentito. Questione cruciale: se l’ex premier fosse indagato di reato connesso, allora potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere o mentire senza conseguenze. Se invece non fosse indagato, sarebbe un testimone puro, tenuto a rispondere e a dire la verità. La corte dovrà ora sciogliere il nodo.

La questione non è teorica perché da due anni i quotidiani scrivono che Dell’Utri e B. sono indagati dalla Procura di Firenze come mandanti esterni occulti delle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Ipotesi ovviamente tutta da riscontrare e già archiviata due volte ma rinverdita nel 2017 dalle intercettazioni di Giuseppe Graviano in carcere. La Procura Generale di Palermo guidata da Roberto Scarpinato ora dovrà chiedere ufficialmente ai colleghi di Firenze se Berlusconi è ancora indagato per strage. L’ex premier non ha diritto a saperlo: l’inchiesta, in corso, è segreta.

La questione assume un aspetto diverso se la si guarda dal punto di vista mediatico o da quello giudiziario. Nella veste di indagato per reato connesso la testimonianza potrebbe servire molto meno alla difesa ma essere occasione di uno show senza pericoli per B. che potrebbe dire la sua davanti a giudici e giornalisti senza grandi rischi. A meno di dichiarazioni auto-indizianti (tipo: “È vero vostro onore, Dell’Utri mi disse che Mangano…”) improbabili a dire il vero. La difesa di Dell’Utri, rappresentata dall’avvocato Francesco Centonze, ha chiesto di sentire in aula l’ex premier “a proposito delle minacce mafiose subite dal governo da lui presieduto nel 1994”. Infatti Dell’Utri è stato condannato in primo grado a 12 anni per minaccia a corpo dello Stato perché avrebbe trasmesso quella minaccia “nella sua funzione di intermediario” all’imprenditore Berlusconi “nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994”. Così facendo avrebbe rafforzato “il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992”. Per la Corte non c’era la “prova diretta dell’inoltro della minaccia” ma solo “ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con Cosa nostra mediati da Mangano”. La difesa di Dell’Utri riteneva “indispensabile la testimonianza diretta” della presunta vittima. Chissà cosa risponderà B. alla domanda: “Dell’Utri le riferì le minacce della mafia veicolate da Mangano?”. Se rispondesse “no”, nella veste di testimone, la difesa segnerebbe un punto. La Procura generale potrebbe a quel punto contro-interrogare B. ricordandogli, per esempio, che nel 1986 aveva mostrato di capire il linguaggio minaccioso della mafia quando, intercettato, diceva a Dell’Utri che Mangano non comunicava con una raccomandata ma con le bombe.

Però, prudentemente, la Procura generale – pur associandosi alla richiesta di audizione – ha messo le mani avanti a luglio. Quando si è associata alla richiesta di audizione della difesa ha infatti aggiunto: “Fermo restando che andrà valutata l’attendibilità di Berlusconi, anche rispetto alle forme con le quali deve essere sentito, se come teste puro o, più correttamente, come teste assistito o imputato di reato connesso”. Non resta che capire se Berlusconi sia indagato a Firenze con Dell’Utri come mandante esterno delle stragi. Anche perché quell’indagine dovrebbe essere giunta ormai alla fine del secondo anno e quindi a breve dovrebbe essere chiusa.

Riace, per il Viminale il nuovo sindaco non era candidabile

Ineleggibile. Il ministero dell’Interno non ha dubbi: lo scorso maggio il simpatizzante della Lega Tonino Trifoli non poteva essere eletto sindaco di Riace in quanto dipendente del Comune. Il parere del Viminale “sulla sussistenza della causa ostativa all’espletamento del mandato da sindaco” è arrivato alla prefettura di Reggio Calabria il 13 settembre ed è già stato trasmesso al Comune “per le conseguenti valutazioni da parte dell’organo consiliare”. In sostanza, avendo Trifoli con l’amministrazione “un rapporto di lavoro di carattere subordinato, a tempo parziale (26 ore settimanali) e determinato” non poteva godere dell’aspettativa per motivi elettorali. Per il ministero dell’Interno, quindi, la sua “condizione lavorativa rende applicabile la disciplina” prevista dal “decreto legislativo 267/2000” secondo cui sono ineleggibili a sindaco “i dipendenti del Comune”.Il parere del Viminale, adesso, sarà depositato il primo ottobre in Tribunale di Locri dove ci sarà l’udienza per l’ineleggibilità di Trifoli che, ha inizio settembre ha già visto il consigliere della Lega Claudio Falchi dimettersi perché condannato a due anni per bancarotta fraudolenta e, quindi, incandidabile.

Nave Ocean Viking, i 182 profughi sbarcano a Messina

Sono stati sbarcati ieri a Messina i 182 migranti a bordo dalla Ocean Viking, la nave di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere. I profughi, tra cui numerose donne e una decina di bambini, erano stati soccorsi la settimana scorsa al largo delle coste libiche. La decisione di indicare Messina come porto sicuro era stata presa dal Viminale (il primo caso, dopo il cambio di linea nei confronti delle Ong da parte del nuovo governo Conte) dopo che la Commissione europea aveva raggiunto un accordo sulla redistribuzione dei migranti in cinque Paesi dell’Ue. “I migranti ci hanno raccontato di aver subito violenze, torture e abusi sessuali e di essere stati detenuti mentre erano in Libia”, dice Luca Pigozzi medico della Sos Mediterranee che si trova sulla nave. I profughi più giovani, tra loro un bimbo di soli 10 giorni e due fratellini di 1 e 3 anni, sono sbarcati per primi insieme alle donne. Dopo lo sbarco i 182 profughi sono stati trasferiti nell’hotspot di Bisconte, allestito nella caserma Gasparro. A Lampedusa, intanto, teatro nei giorni scorsi di diversi sbarchi 38 persone sono state trasferite dall’hotspot e imbarcate sul traghetto di linea per Porto Empedocle (Ag) dove sono giunti in serata.

“Io accolgo”, oltre 40 associazioni contro i decreti Sicurezza di Salvini: “Abrogateli”

“Il Decreto Sicurezza sta avendo un impatto negativo sulla protezione umanitaria. Se credi ancora nei diritti umani, esci allo scoperto: non sei solo”. È il messaggio della campagna “Io accolgo”, voluta da oltre 40 organizzazioni sociali (fra cui Caritas, Medici senza frontiere, Arci, Cgil e Uil) per chiedere di cambiare le stringenti politiche migratorie imposte dall’ex ministro dell’Interno Salvini. Nel presentare l’appello di abrogazione dei due decreti Sicurezza al Parlamento e al governo, le richieste avanzate sono: reintrodurre la protezione umanitaria; abrogare la norma riguardante la residenza dei richiedenti asilo; ristabilire un sistema nazionale di accoglienza che promuova l’inclusione sociale; abrogare i divieti per le navi impegnate nei salvataggi. Particolarmente urgente anche rivedere la posizione verso la Libia. “L’accordo di Malta è un primo passo positivo verso la revisione del Regolamento di Dublino. Ma non ci è piaciuto il riferimento alla guardia costiera libica che fa un buon lavoro. Tutti sanno che riporta le persone nei lager dove vengono uccise, torturate e violentate”, spiega Filippo Miraglia, presidente dell’Arci, durante la conferenza stampa di presentazione della campagna. Le iniziative di “Io accolgo” entreranno nel vivo con la prima mobilitazione, prevista per domenica in Piazza San Pietro, dove verranno raccolte le firme a sostegno della mozione. Data significativa: il 29 settembre ricorre la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato.

Richieste d’asilo e rapporti con la Libia: cosa c’è e cosa manca nella Dichiarazione

Lunedì scorso si è svolto a La Valletta un vertice a cui hanno partecipato Francia, Germania, Italia e Malta, oltre al Commissario europeo all’immigrazione e alla Finlandia (in quanto Presidente di turno del Consiglio Ue). La riunione aveva lo scopo di ridurre le tensioni causate dai salvataggi di migranti in mare e dall’individuazione di un porto di sbarco sicuro. Ne è scaturita una Dichiarazione comune di intenti. Come va inquadrata?

Essa descrive un ipotetico progetto pilota, e si pone come una proposta aperta ad altri Stati europei. Non è giuridicamente vincolante né troppo precisa, trattandosi del primo passaggio di una partita negoziale più ampia. Se l’iniziativa riscuoterà un consenso abbastanza ampio, si tradurrà in una temporanea e concordata deroga al regolamento di Dublino, valida per almeno sei mesi. Alcune scelte dovranno essere adottate o perfezionate con il contributo fattivo di altri Stati (che altrimenti si sentirebbero esclusi) e della futura Commissione europea, senza escludere del tutto il nuovo Parlamento europeo. La prossima riunione del Consiglio Ue dell’8 ottobre offrirà indicazioni interessanti, ma il processo – ove proseguisse positivamente – richiederà mesi di lavoro.

Venendo al testo della Dichiarazione, cosa dice e cosa tace? Si applica solo in situazioni di pressione migratoria sproporzionata per uno degli Stati partecipanti (per ora, Italia o Malta, poi si vedrà) e per salvataggi operati in alto mare da qualsivoglia nave (militare, Ong, commerciale ecc.). Arrivi spontanei e salvataggi in acque territoriali non sono inclusi. Inoltre, lo Stato di sbarco è individuato con certezza solo se a soccorrere è stata un’imbarcazione militare. Negli altri casi nulla di certo è stabilito, mentre si auspica che gli Stati europei offrano volontariamente un porto sicuro.

L’intento della Dichiarazione è di sdrammatizzare tale aspetto offrendo allo Stato di sbarco la prospettiva ragionevole che un gruppo di Stati “virtuosi” si faccia carico delle persone sbarcate secondo procedure certe (massimo 4 settimane) e quote prestabilite (ma per ora non specificate). Occorre precisare però che gli Stati partecipanti allo schema volontario – ammesso che siano numerosi e ben predisposti – accetteranno i richiedenti asilo e non qualsiasi migrante. La domanda sorge spontanea: se le persone sbarcate si autodefiniranno tutte richiedenti asilo, saranno in default ricollocate negli altri Stati? O lo Stato di sbarco dovrà comunque operare un filtro di credibilità della domanda di asilo, in aggiunta allo screening sanitario e di sicurezza? Questo aspetto deve essere chiarito nei successivi colloqui.

Vi è poi un aspetto che solleva perplessità. Alle Ong viene intimato di non ostruire il lavoro delle Guardie costiere, inclusa quella libica. Viene poi auspicato il rafforzamento delle guardie costiere degli Stati nordafricani, incoraggiando Unhcr e Iom a sostenere processi di sbarco nei Paesi rispettosi dei diritti umani. Dunque, la Guardia costiera libica sarebbe un partner autorevole e affidabile, nonostante le ripetute denunce dell’Onu e di tutti gli enti specializzati in diritti umani? E la Libia sarebbe un porto sicuro di sbarco nonostante le censure della stessa Ue? In entrambi i casi la risposta è no. Nessuno Stato europeo può ordinare a una nave soccorritrice di dirigere verso la Libia o di “lasciar fare” alla Guardia costiera libica, fino a che le cose non cambieranno nel Paese nordafricano.

Sulla riforma del sistema Dublino la Dichiarazione ribadisce che s’ha da fare, prendendo come punti fermi i disequilibri attuali e l’introduzione di regole specifiche (finora assenti) sulle persone soccorse in mare. Sono precisazioni non marginali: sta al nostro governo sfruttare questa finestra di opportunità, coniugando fermezza nel sostenere le proprie priorità (purché ragionevoli) e metodo diplomatico.

*Professore di Diritto internazionale (Università di Pisa)

Lo “scettico blues” del solito diffidente di sinistra-sinistra

Il patto europeo sui migranti? Bah, chissà se poi funziona, ci credo poco. L’accorato appello sul clima di Greta all’Onu? Ma dai, tra una settimana non ne parla più nessuno. Tassare gli zuccheri per raggranellare qualche soldo e abbassare la glicemia? Figuriamoci, una merendina in più o in meno cosa cambia? Nello Scettico blues (italianizzato “blu” dal fascismo) di Ettore Petrolini, un tipo in frac e smorfia amara va “senza lusinghe pel mondo ramingo” da quando “il suo primo amor gli sconvolse la viiita”. “Cosa m’importa se il mondo mi rese glacial, se di ogni cosa nel fondo non trovo che il mal”, canta pure lo Scettico rouge dei nostri giorni, imbronciato cronico perché lui è così talmente di sinistra, laico, democratico, antifascista e antirazzista che, per nulla convinto dal governo giallorosso, mette in guardia “chi si illude d’amor e d’inganno non sa che c’è il fango quaggiù in funzion di virtù”.

Nei tremendi quattordici mesi appena trascorsi, lo Scettico sbarrava porte e finestre temendo l’arrivo delle squadracce del camerata Matteo Salvini, e stipava la dispensa di derrate e generi di prima necessità accingendosi a una lunga, perigliosa resistenza. Poi, inopinatamente dileguatesi le camicie nere, giunge l’alba del nuovo giorno, ma lui “guarda e sogghigna giocondo non si lascia ingannar”. All’occhio scettico dello Scettico rouge non sfugge infatti la natura ambigua, trasformista, voltagabbana del premier che pure prese a ceffoni il ducetto verde in pieno Senato. Eh no, troppo facile dopo che nei hai sottoscritte le porcate, bofonchia disincantato il nostro evidentemente forgiato nella fucina del ferro e del fuoco.

Quando lo Scettico, indefettibile e immarcescibile presenzia nei talk si distingue per lo sguardo glaciale e il canepino zeppo di rimostranze. Di Maio? Ma come, un ministro degli Esteri che non mastica le lingue? Gualtieri? Ma come un ministro dell’Economia che di mestiere fa lo storico?

Nella sua marmorea fissità intellettuale, lo Scettico emette sentenze senza appello (in genere preda di malumori esistenziali o digestivi). Il suo pensiero, crepuscolare tendente all’oscurità, lamenta sempre e comunque l’assenza di sinistra (di cui si ritiene tra i pochi depositari, insieme al Cipputi di Altan). Egli si proietta anelante verso l’inevitabile apocalisse, ovvero il ritorno trionfale di Salvini sui colli fatali di Roma.

Nella sua insofferenza verso quella che considera una finta liberazione (e forse anche un tradimento) lo Scettico rouge si trova sovente a convenire con le tesi del nemico (sempre da sinistra, naturalmente). E dunque, i naufraghi salvati dalle navi della Marina Militare non sono più quei poveri disgraziati che il malvagio Capitano lasciava cuocere dal solleone, bensì un preoccupante segnale di buonismo che potrebbe tornare comodo al malvagio Capitano.

E se il ministro dell’Istruzione chiede ai presidi di chiudere un occhio con gli studenti che intendono partecipare alla marcia sul clima, lo Scettico si duole del lassismo che imperversa nella scuola pubblica. In realtà, lo Scettico rouge tutto d’un pezzo si spezza ma non si spiega. Non sa quello che vuole basta che non lo vogliano gli altri. Aborre ogni tipo di badoglismo. E in cuor suo non vede l’ora di tornare a imbracciare (metaforicamente) il fucile contro l’oppressore, e di salire (metaforicamente) in montagna cantando “passano le gioie e dolor, sento il soffio del ben, sento il soffio del mal, la nequizia e il candor”.

“A Malta un buon primo passo. Ora va cambiata la Bossi-Fini”

“Un buon primo passo”. Marco Minniti, ex ministro degli Interni, sul tema migranti ha le idee chiare e ci tiene a esporle seguendo un filo logico.

Cosa pensa degli accordi di Malta?

La ministra Lamorgese ha fatto un eccellente esordio. Si tratta di un buon primo passo, senza trionfalismi perché ci sarà ancora da lavorare.

In che direzione?

Verso una strategia italiana di governo dei flussi con l’obiettivo di una strategia comune dell’Europa. Quella dei porti chiusi non era e non sarà mai una strategia, ma una drammatica “propaganda” che serviva a nascondere due cose: gli sbarchi nel nostro Paese non si sono mai fermati, anzi il 90% degli arrivi è direttamente gestito dagli scafisti, quindi con un trionfo della illegalità.

L’altro aspetto?

Lo scacco sui rimpatri. Si era diffusa l’idea che in pochissimo tempo potessero essere rimpatriate 5-600 mila persone, ma non si è fatto nulla. Neanche la revisione di accordi già firmati.

Che strategia propone?

Una ipotesi basata su quattro pilastri. Il primo riguarda la redistribuzione e i rimpatri. A Malta un gruppo di Paesi ha convenuto sulla redistribuzione automatica degli arrivi nei due primi approdi nel Mediterraneo centrale, Malta e Italia. Costituisce una assunzione molto importante di responsabilità. Per la prima volta siamo a una rottura del linguaggio e nelle vicende diplomatiche esprime una potenzialità. Ci siamo trovati di fronte a un’Europa più consapevole che sul terreno delle migrazioni si gioca un destino comune.

Non è forse merito di Salvini?

No, l’Europa ha visto con i suoi occhi l’abisso verso il quale si stava dirigendo e ha capito che quell’abisso poteva essere particolarmente contagioso. La sfida delle democrazie, del resto, è tenere insieme due principi che l’ex ministro degli Interni aveva contrapposto: sicurezza e umanità. A Malta si è capito che la sfida ai nazional-populismi non è possibile in un Paese solo.

È una svolta storica?

Quando si tratta di mettere d’accordo numerosi Paesi la prudenza è d’obbligo ed è bene non farsi prendere dai trionfalismi. Consiglierei di esibire i risultati una volta ottenuti.

Gli altri pilastri?

Il secondo riguarda la sicurezza del Mediterraneo centrale. L’Europa aveva messo in campo la missione Sophia, divenuta una missione navale senza navi in mare… per lo meno contraddittorio. Va ripristinata interamente e contrastati quindi gli arrivi diretti.

Ma ci saranno sempre degli arrivi…

La vera partita si gioca in Africa e il tema non riguarda soltanto Malta e Italia, ma tutta la Ue. Sulla rotta balcanica l’Ue ha investito 6 miliardi di euro, sull’Africa non ci si può fermare a pochi milioni. Guardiamo a cosa sta avvenendo in Tunisia, Algeria, Egitto, per non parlare della Libia. Pensiamo che quello sahariano è ormai il vero confine dell’Europa. Serve una politica unitaria dell’Europa verso l’Africa e una politica univoca verso la Libia. Qui occorre un cessate il fuoco che riattivi un processo di stabilizzazione e un immediato piano europeo di carattere umanitario.

Le intenzioni finora si sono sprecate.

È arrivato il momento di un progetto comune tra Ue, Onu e Unione africana per svuotare i centri di accoglienza in Libia, definire tramite l’Onu direttamente in Libia chi ha diritto alla protezione internazionale per arrivare in Europa con corridoi umanitari. E poi gestire il rimpatrio nei Paesi di provenienza assegnando un budget a ogni migrante.

Non serve una visione più complessiva?

Infatti il quarto pilastro è di sistema. Da affrontare con un doppio movimento: il superamento dei decreti Sicurezza di Salvini sulla base di un’istanza di sicurezza, e inserendo la parola integrazione, fondamentale per rendere un Paese più sicuro. E poi con una legislazione che contrasti ogni forma di illegalità e apra canali di legalità.

Propone di superare la Bossi-Fini?

Sì, occorre superarla per gestire l’immigrazione con i Paesi di provenienza. Gestire la componente di solidarietà con i corridoi umanitari e quella economica attivando nelle ambasciate le liste di coloro che vogliono venire nei nostri Paesi.

Conte si muove nella giusta direzione?

Un governo non nasce per evitare le elezioni, deve darsi una missione e la missione di questo governo è prosciugare il brodo di coltura del nazional-populismo alimentato da rabbia e paura. Una politica moderna, di governo dei flussi migratori che tenga insieme sicurezza e umanità è la chiave per prosciugare tutto ciò. La seconda chiave è quella di affrontare le diseguaglianze sociali. Se lo farà il governo ha vita, altrimenti quello che è uscito dalla porta rientrerà dalla finestra più forte di prima.

Fronda anti-Di Maio a Palazzo Madama: “Serve un comitato”

Seduta tesa dei senatori M5S riuniti in assemblea per decidere il nuovo capogruppo, a seguito della promozione di Stefano Patuanelli a ministro dello Sviluppo economico. Il discorso si è spostato anche su altri temi, fra cui la richiesta di maggiore collegialità e condivisione delle decisioni al vertice. Alcuni hanno chiesto addirittura di istituire un “comitato a 10 che prenda il posto di Luigi Di Maio”. Il senatore Mario Michele Giarrusso ha confermato che alcuni senatori pentastellati stanno lavorando a una proposta in tal senso, ma per realizzarla occorre ottenere prima le firme necessarie e l’approvazione di Beppe Grillo, per le eventuali modifiche allo statuto. A ridimensionare la questione è stato il presidente M5S della commissione Antimafia, Nicola Morra: “Nessuna tensione. È emersa la volontà di cambiare qualcosa. La volontà di portare il Movimento su rotte più sicure e più tranquille c’è da parte di tutti”. E sui social scrive: “Il sale della democrazia è il confronto, il dibattito in cui tutti possono dire la loro venendo ascoltati. Se il M5S si confronta, per alcuni media diventa in automatico lite e baruffa, mentre in verità è stato solo esercizio di democrazia aperta a collegialità e condivisione”.

All’Onu è il giorno dei sovranisti

“Il futuro è dei patrioti. Non dei globalisti”: Donald Trump prende in contropiede chi l’aspettava sulla difensiva, mentre gli scoppia intorno la polemica sul Kievgate, le sue mene con gli ucraini per danneggiare Joe Biden, suo potenziale rivale democratico a Usa 2020. Dalla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il magnate presidente lancia un monito all’Iran – ci saranno nuove sanzioni, se Teheran continua nel suo “comportamento irresponsabile” –, se la prende con il Venezuela e anche con la Cina, per Hong-Kong e i fronti economico e commerciale.

Trump il bilateralista chiede ai leader del Mondo di dare la priorità ai propri Paesi, ai confini sicuri e ad accordi commerciali bilaterali. “Il futuro – dice – appartiene a Paesi forti e indipendenti”, dopo che il “globalismo ha esercitato un’attrazione religiosa sui leader del passato facendo sì che finissero con l’ignorare gli interessi nazionali. Quei giorni sono finiti”.

È un vero e proprio manifesto dell’internazionale sovranista. Le voci d’impeachment? “Ridicole”. Ma s’impegna, con un tweet, a pubblicare il testo integrale della telefonata incriminata, avvenuta il 25 luglio, con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. I riti dell’Onu vogliono che il discorso d’apertura spetti al presidente del Brasile, seguito da quello degli Stati Uniti.

Così, dopo la mobilitazione dei giovani contro il riscaldamento globale e il Vertice sul clima di lunedì, l’Assemblea generale si apre con i discorsi di due “negazionisti in capo”: Trump non dice una parola sull’ambiente. Il brasiliano Jair Messias Bolsonaro, all’esordio assoluto, nega che l’Amazzonia sia “patrimonio dell’umanità” – per lui, lo è degli speculatori -: dice che la regione è “virtualmente intatta”, gli incendi devono essere un’invenzione degli ambientalisti. Dopo Trump parlano l’egiziano al-Sisi e il turco Erdogan, due “patrioti”: sovranisti e “democrature” mettono in vetrina i loro campioni.

Fra i protagonisti della kermesse diplomatica c’è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, accompagnato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Al pranzo offerto dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ai leader arrivati a New York da tutto il Mondo, Conte accosta Trump: gli si avvicina sorridente, con una leggera pacca sulla spalla; e il magnate ricambia con un sorriso, prima di prendere posto al tavolo principale, dove c’era pure la cancelliera tedesca Angela Merkel. Secondo quanto filtra da fonti della delegazione italiana, Conte, nei suoi contatti, s’è dato da fare per normalizzare la situazione in Libia, parlandone con Trump e con Erdogan e incontrando pure l’inviato dell’Onu Ghassan Salamé.

“Patto contro l’evasione: ora arrivano le manette”

Al ricevimento a casa dell’ambasciatrice Maria Angela Zappia, rappresentante permanente per l’Italia presso le Nazioni Unite, hanno mangiato poco. Non che il rinfresco non fosse ricco: è che a una cena in piedi, se sei il presidente del Consiglio o il ministro degli Esteri, è difficile tu possa lanciarti nella mischia per afferrare una tartina o una crudité come un lottatore da buffet qualsiasi. Così, prima delle dieci di sera, erano già fuori dall’elegante appartamento con vista su Central Park. Strade separate, come in tutta questa trasferta newyorchese, del resto: Giuseppe Conte va nell’unico posto immerso nel verde della catena Shake Shack, quello di Madison Square Park, a mangiarsi un hamburger. Si fa il selfie con il panino in mano e le maniche di camicia tirate su e a qualcuno tornano in mente gli album di Matteo Salvini che aggiornava gli italiani da colazione a cena. Luigi Di Maio invece raduna una ventina di persone e va da Sorbillo, la celebre pizzeria napoletana che ovviamente ha una sede anche a Manhattan. C’è pure il titolare dell’Ambiente Sergio Costa: si festeggia il compleanno di un membro del suo staff, e i due ministri si cimentano persino con due margherite da stendere. Poi il brindisi, Renato Carosone in sottofondo e il leader dei Cinque Stelle, al suo debutto oltreoceano, scopre l’autoironia: “Tutto molto english, vero?”.

Ma, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu e dei bilaterali in agenda, di english, per dirla con Di Maio, Giuseppe Conte ha intenzione di portare a casa qualcosa. Un “patto con gli italiani”, lo chiama il presidente del Consiglio, tutto incentrato sull’uso dei pagamenti elettronici. Come qui, dove da sempre la carta si striscia anche per un caffè. Conte vuole convincere che “bisogna fidarsi” perché è solo con la lotta all’evasione, di cui il disincentivo al contante è pilastro fondamentale, che “pagheremo tutti meno tasse”.

Ha già aperto un tavolo di lavoro sul tema. E anche se tutto è ancora in divenire, il governo pensa di introdurre con la prossima Finanziaria una serie di misure innovative. Si ragiona sulla lotteria degli scontrini, un’idea che era circolata già in passato, ovvero una sorta di estrazione mensile a cui partecipa chi comunica il proprio codice fiscale quando chiede lo scontrino. O ancora, tra le ipotesi ci sono detrazioni fiscali proporzionali agli importi pagati in un anno con la carta. E una serie di accorgimenti per fare in modo che il pagamento elettronico non abbia commissioni eccessive, specialmente sui piccoli incassi.

Non sarà l’unico punto del “patto” con gli italiani: Conte ha deciso di accelerare sul carcere agli evasori, rimasto inattuato nel contratto gialloverde. “Dobbiamo dare segnali forti”, ragionano a Palazzo Chigi. E per farlo in fretta hanno previsto di inserire le pene per chi froda il fisco già nella riforma della Giustizia che dovrebbe essere pronta entro un mese. Anche qui, i tecnici stanno studiando: ma l’input della politica dice che le soglie di punibilità non dovranno essere altissime. Significa che il carcere non scatterà, nelle intenzioni del governo, solo in rari casi di evasioni milionarie. L’obiettivo è quello di far passare il messaggio chiaro che “la pacchia è finita”.

Anche qui, ci ricorda qualcuno, il premier in terra americana.