Ritardi e contestazioni per la visita di Matteo Salvini a Cosenza. Ieri il leader della Lega avrebbe dovuto inaugurare la nuova sede del partito, ma, nonostante fosse atterrato all’aeroporto di Lamezia Terme poco dopo le 15:00, è giunto nella città dei Bruzi quasi quattro ore dopo, per via di alcuni ritardi nella tabella di marcia. L’ex ministro si è trovato davanti il corso transennato, perché andava in scena la protesta organizzata dal comitato “Stutamu Salvini” (“Spegniamo Salvini”), che ha radunato tramite i social tantissimi manifestanti e attivisti, nonostante il divieto espresso dalla Questura. Il corteo ha anche oltrepassato, in modo pacifico, la zona rossa, presidiata dalle forze dell’ordine, per accerchiare il teatro Morelli, in cui Salvini ha tenuto il comizio. Contestatori, che ha poi definito “figli di papà con la voglia di perdere tempo”, mentre ha asserito: “la Cosenza civile stasera è qui con me”. Ha poi parlato della strategia per le regionali in Calabria, assicurando l’alleanza con FI. “Per la prima volta nella storia la Lega sarà protagonista della storia del cambiamento in Calabria”, afferma sicuro (forse troppo), nonostante la città abbia dato segno di non stare dalla sua parte.
Adesso i dem rinuncino pure a Prodi & C.
L’imbarazzante fuga di Matteo Renzi dal Partito democratico non è solo l’occasione per capire una volta per tutte la vera natura di questo piccolo imprenditore del proprio potere, personale e di clan (inseparabile dallo “stantio odore di massoneria” captato per tempo da Ferruccio de Bortoli). È soprattutto l’occasione per il Pd di ripensare se stesso, e di ripensarsi a sinistra.
La grande anomalia italiana è l’affollamento che va dalla destra estrema al centro con vista a destra: cioè da Salvini a Fratelli d’Italia a Forza Italia a Italia Viva (fanno impressione, letti accanto, questi tre partiti-nazione, eh?) al Movimento 5 Stelle. La metà sinistra dell’arco politico è sostanzialmente vuota: e questo vuoto ha una relazione diretta (anche se naturalmente non esclusiva) con l’astensione elettorale di metà degli italiani. Ora il Pd deve decidere se stare a sinistra, o stringersi nell’ultimo segmento di quell’affollata congerie di centro.
I primi segnali non sono incoraggianti. Nicola Zingaretti che si fa fotografare mentre firma la tessera della Lorenzin racconta un Pd che rincorre Renzi al centro. Così come Minniti raccontava un Pd che rincorreva la Lega a destra (come dimenticare il Minniti di Maurizio Crozza, determinato a “non lasciare il fascismo ai fascisti”?).
Peggio ancora la notizia per cui Zingaretti avrebbe ceduto alle pessime sirene di Prodi e Veltroni, rinunciando subito all’idea di una legge elettorale proporzionale e anzi pensando a rafforzare il maggioritario. Un atto irresponsabile, che finirebbe col dare a Salvini l’arma-fine-di-mondo contro la Costituzione. Ma c’è qualcosa di più profondo, ed è proprio lì che il Pd dovrebbe avere il coraggio di guardare, e di cambiare.
Renzi, infatti, non è stato la causa, ma il principale sintomo dell’abbandono di ogni orizzonte di sinistra da parte del Pd: la cui radice sta proprio nella stagione ulivista di Prodi e Veltroni (e anche in quelle di D’Alema e di Bersani…). L’accettazione della precarizzazione dei rapporti di lavoro, con la sua scia di vite distrutte e povertà, la dobbiamo alla riforma Treu.
L’abbandono del ruolo dello Stato nell’economia (e dunque nella vita dei cittadini) è avvenuto in forza delle privatizzazioni incontrollate, e delle spesso altrettanto incontrollate liberalizzazioni, volute da governi di centrosinistra (si pensi alle tanto celebrate ‘lenzuolate’ liberiste di Bersani, che hanno inferto colpi mortali ai tessuti sociali delle città).
La mancanza di una seria legge contro la concentrazione dei mezzi di informazione è frutto di scelte compiute durante la prima legislatura dell’Ulivo. Il colpo finale alla progressività fiscale, cioè la strada aperta alla Flat Tax voluta dalla Lega, è venuto dalla stessa area politica, attraverso l’opera del ministro Vincenzo Visco. La “federalizzazione” dei diritti, che oggi ne impedisce l’uguale attuazione su tutto il territorio nazionale (pensiamo alla sanità!), è iniziata con le riforme di Bassanini. L’infinita stagione della distruzione della scuola e della aziendalizzazione dell’università si compie infine con la ‘riforma’ di Luigi Berlinguer.
È solo una piccola antologia, che dimostra una cosa: il Pd, e i suoi immediati antenati, hanno rinunciato da molto tempo a cambiare il mondo, a renderlo più giusto. Hanno preferito accettare i rapporti di forza creati dal mercato: avviandosi così a rappresentare solo i ‘salvati’, non più i sommersi. Quei sommersi che oggi non votano, ma combattono ogni giorno in quella ‘sinistra sociale’ che non ha rappresentanza politica.
La scelta tra proporzionale e maggioritario non è solo tecnica: è anche il bivio tra continuare a essere un partito di establishment sostanzialmente conservatore, o provare a essere un partito di massa di sinistra.
L’addio di Renzi toglie un alibi e offre un’occasione: l’ultima, probabilmente.
“Solo tecnici nella mia giunta. Liste pulite? No, caso per caso”
“Vado di fretta…”. Vincenzo Bianconi (47 anni), soldato mandato in trincea da Pd e M5S per respingere l’offensiva leghista in Umbria, è trafelato: dacché è candidato governatore, da mattina a tarda sera, deve partecipare a riunioni di cui fino a pochi giorni fa non immaginava nemmeno l’esistenza.
Bianconi, che liste saranno quelle che l’appoggeranno?
Oltre alla mia, ci saranno Pd, M5S, verdi e altre civiche. Nella mia lista metterò persone che non hanno mai avuto incarichi politici e provenienti da zone diverse dell’Umbria. Pd e M5S faranno le loro valutazioni.
Le liste saranno “liste pulite”, senza candidati con indagini o processi a carico?
Dipende, bisogna valutare caso per caso.
E l’ex candidato del Pd, Andrea Fora, che farà?
L’ho incontrato oggi, abbiamo parlato e mi sosterrà con convinzione. È un amico e una persona di grande valore: il suo lavoro sarà utile nella stesura del programma.
Sarà il suo vice?
Vediamo, mi piacerebbe molto perché con lui ho una grande empatia e lavorarci insieme è sempre un piacere. Se dovessi vincere farò una giunta di soli tecnici che non abbiano mai avuto esperienze politiche in passato.
La precedente Giunta del Pd è stata travolta dallo “Scandalo Sanità”: che pensa del lavoro di Catiuscia Marini?
Da uomo libero e imprenditore ho sempre pensato una cosa: chi sbaglia paga. In passato ci sono stati degli errori evidenti e chi ha sbagliato è sotto inchiesta. Poi la precedente Giunta ha fatto anche cose buone: l’Umbria non è la peggiore Regione d’Italia, ma io spero di riportarla sul podio.
Lei è parente di Massimo Bianconi, l’ex dg di Banca Marche, imputato per il crac e recentemente condannato in Appello per corruzione.
Massimo Bianconi è uno dei quattordici cugini di mio padre e come famiglia non abbiamo mai avuto alcun conto corrente in Banca Marche. A Norcia, la mia è una famiglia di imprenditori e non di banchieri e finanzieri. Invito chi ha sottolineato la cosa, come il senatore Borghi, a trovare persone nella Lega che abbiano la mia stessa rettitudine.
Lei e il suo gruppo avete richiesto i fondi regionali per la ricostruzione dopo il terremoto del 2016. Se venisse eletto, cosa farà per il suo potenziale conflitto d’interessi?
Come imprenditore ho visto crollare tre alberghi su quattro e, ovviamente, ho presentato il rapporto dei miei danni alla regione. Nel caso in cui dovessi essere eletto, non sarò io a firmare le procedure per ottenere i fondi. Poi mi sono dimesso da tutte le cariche che avevo.
Lei in passato ha sostenuto candidati di centrodestra e sostenuto che Centinaio era un “grande ministro”.
Sono casi diversi. Per quanto riguarda Centinaio, quando ha detto che la tassa di soggiorno era utilizzata scorrettamente dai Comuni io, come rappresentante degli albergatori, ho scritto che era un grande. Poteva essere anche un ministro di centrosinistra e avrei detto la stessa cosa. Sul mio sostegno ad Arianna Verucci con Forza Italia, la conosco da quando aveva 7 anni e durante il terremoto di Norcia ha perso tutto: si è messa in discussione e l’ho apprezzata. Poteva candidarsi anche con Rifondazione o i marziani ma io ho sempre sostenuto le idee e le persone.
Lei è di centrodestra?
Ho sempre votato per partiti diversi anche se non mi ricordo chi alle Politiche. Ma mai la Lega, non ce l’ho fatta: i loro toni così di odio e cattiveria non mi appartengono…
Un candidato “buonista”, direbbe Salvini.
Lo stile umbro non è quello che sentiamo urlare nelle piazze in questi giorni: è fatto di gentilezza, educazione, rispetto dei diritti e integrazione degli altri.
Caos in Senato: manca due volte il numero legale in commissione
I senatori leghisti avevano annunciato che avrebbero fatto pesare la loro presenza nelle Commissioni, e così è stato. Sembrerebbe l’avvio di una “guerriglia parlamentare”, una strategia per innervosire la nuova maggioranza. Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, ha approfittato della concomitanza dell’assemblea dei senatori del Movimento 5 Stelle e di quella di Italia Viva per chiedere la verifica del numero legale in commissione Affari costituzionali. E i lavori sono stati sospesi per mancanza della quota minima di partecipanti. “Da adesso i signori della maggioranza di Palazzo impareranno cosa significa avere un movimento come la Lega che fa opposizione! E questo è solo l’inizio! Lega-maggioranza 1-0”, ha esultato Calderoli. Sebbene poi abbia fallito nell’intento di realizzare lo stesso obiettivo in aula. A questo tipo di ostruzionismo, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha replicato duramente: “Salvini ha deciso di isolarsi all’opposizione e passare il tempo a esultare perché magari in una Commissione manca il numero legale, cosa che è sempre accaduta nella storia del Parlamento. Mi dispiace che si sia ridotto così”.
“Renzi è come i pazzi: si crede Napoleone. Ma è una pernacchia”
“Davvero mi chiamate alla immensa età di 92 anni per chiedermi di commentare le operazioni di Renzi?”. Rino Formica, pezzo di storia della Repubblica, ex ministro a più riprese negli anni di Craxi, coniatore di aforismi celeberrimi sulla politica (il più inflazionato: “È sangue e merda”), non ha alcun desiderio di ragionare sull’argomento che gli sottoponiamo: al Senato i renziani di Italia Viva si sono associati al Psi di Riccardo Nencini. Così hanno potuto formare un gruppo autonomo invece di dover confluire nel Misto. Formica è recalcitrante. Si abbandona a una lunga e dotta riflessione sulla crisi della democrazia italiana (dei partiti, dei sindacati, della stampa, della magistratura); sull’anomalia del sistema istituzionale fino alla fine della Guerra fredda e ancora oggi; sui nodi irrisolti dell’integrazione europea. E poi, dopo lunghi minuti, cede: “Noi siamo distratti dai suoni di fondo. Ecco, la nascita del gruppo di Renzi al Senato è appunto un rumore di fondo. Direi una pernacchia”.
L’immagine è nitida.
È un espediente: il regolamento del Senato, a differenza di quello della Camera, non consente la costituzione di un gruppo parlamentare se non sotto le insegne di un partito che aveva partecipato alle elezioni. È come i vecchi teatri del Sud che venivano costruiti con il contributo delle famiglie benestanti. Queste famiglie conservavano un “diritto di plateatico”: avevano un palco tutto loro durante gli spettacoli. I socialisti al Senato hanno offerto il loro diritto di plateatico a Renzi. Ma cosa cambia assistere dal palco oppure dal loggione? Spettatore eri e spettatore rimani. Nella vita civile di un Paese attraversato da incubi di ogni genere – reali o immaginari – cosa vuole che cambi se un senatore di Italia Viva, o come cacchio si chiama, parli a nome del suo gruppo oppure a nome di un sottogruppo del Misto?
Non le dispiace vedere il nome del Psi associato a Renzi?
L’eredità del Psi è già stata liquidata, stravolta. Sono trent’anni che si vanno a offrire in giro per uno strapuntino nell’autobus dell’uno o dell’altro partito. Non me ne occupo più. I simboli hanno un senso se mantengono la capacità di trasmettere i loro valori originali.
Tralasciando Nencini e il Psi, cosa ne pensa dell’operazione di Renzi?
Evidentemente era a disagio nel Pd, quel partito non gli dava più soddisfazione. Renzi è nato qualche secolo dopo Napoleone, eppure non è l’unico Napoleone in giro, ce ne sono ancora tanti. Però in genere sono nei manicomi.
Bene.
Poi ci sono gli amici che hanno seguito Renzi in Italia Viva. Per questioni di fedeltà e lealtà, che non sono mica un disvalore. Da buoni amici, si comportano come i medici dei pazzi: devono dirgli di sì. Sono Napoleone? Sì, è vero, sei Napoleone. È la pazienza dei medici dei pazzi.
Benissimo. Questo gruppetto napoleonico però ha un potere di ricatto sul nuovo governo.
Guardi, questo governo si troverà presto a fare i conti con problemi ben più vitali.
Sarà nelle condizioni di affrontarli?
Per ora il Conte bis è come l’aspirina: è servito ad abbassare la febbre, il che è un fatto positivo. Ma ha dei limiti. È diretto da un avvocato. Il quale avvocato, proprio per indirizzo culturale e professionale, ha il compito di difendere il proprio cliente. Finora ha difeso bene il cliente “governo”. Ma è un segno della crisi: quando si chiamano gli avvocati significa che c’è da proteggere una posizione precaria. La politica non ha bisogno di avvocati, ma di condottieri, pensatori, guerrieri, lottatori. Un buon avvocato invece serve a difenderti dalle cause, a cercare di sfuggire alla durezza del giudizio e invocare la clemenza dei giudici.
Se il giudice è l’Europa, sembra guardare con una certa benevolenza all’avvocato Conte.
Credo che l’Europa, piuttosto, guardi con una certa preoccupazione l’eventuale precipitare della situazione.
Poniamo che questo governo sia un’aspirina, come dice lei. Una volta che passa l’effetto, si rischia una febbre da cavallo. Quando si andrà a votare Salvini non sarà ancora più forte?
La crisi ha radici molto più profonde di Salvini. È il continuo deperire dei corpi organizzati della democrazia. Il male è alla radice, non nelle foglie; non è in un settore, un partito o un singolo personaggio. Salvini magari potrà pure essere accantonato: poi rimarrà il salvinismo della destra italiana. Io temo piuttosto che la disgregazione dei corpi, della trama organizzata della democrazia italiana, rischi di aprire le porte a soluzioni autoritarie.
Zinga e l’app anti-correnti
Zingaretti sostiene di aver scoperto la chiave per avere un partito senza correnti: è un’app che gli iscritti dovranno scaricare sul telefono alla modica cifra di un euro. Spiega il segretario: “Fra qualche settimana lanceremo un nuovo modo di iscriversi al Pd. Ne discuteremo all’assemblea perché bisognerà cambiare lo statuto dato che è una App che si potrà scaricare dal cellulare”. Una rivoluzione quasi grillina: il passaggio alla democrazia digitale. Uno strumento rivoluzionario che richiederà addirittura la modifica dello statuto. Aggiunge Zingaretti: “Ogni iscritto che avrà la App potrà contribuire con le sue idee alle politiche che si fanno nel Pd. Potrà scrivere o partecipare a dei referendum; potrà, anche se non iscritto a un circolo, rimanere in contatto con il gruppo dirigente. Potrà essere parte di questa grande vicenda collettiva”. Sembra quasi Rousseau! “Questo – ha concluso Zingaretti – sarà anche un modo di superare il correntismo”. D’altro canto, nella storia del partito i capibastone sono stati in grado di manovrare i congressi con una certa agevolezza. Controllare pacchetti di tessere è facile, vuoi mettere quanto è complicato controllare pacchetti di App?
La polemica di Delrio: “Scissione a freddo, la colpa è di chi va via”
Duro attacco di Graziano Delrio, ex ministro renziano, nei confronti dello “scissionista” Matteo Renzi. “La sua separazione è avvenuta a freddo – ha detto il capogruppo del Pd alla Camera, ospite di Skytg25 – non c’è stato un solo momento in cui il segretario Zingaretti abbia detto o fatto intendere che il Pd non fosse la casa di tutti”. Delrio ha aggiunto: “Se c’è una separazione la sconfitta è di tutti”, ma chiaramente “chi se ne va ha più responsabilità degli altri”. Anche perché “chi se ne va non tiene presente che ha un debito verso la comunità che ci ha eletto: questa comunità chiede sempre di non dividersi”. Al contrario Delrio ha dato il benvenuto a Laura Boldrini, ultima arrivata nel Partito democratico: “La sua adesione è una buona notizia. Conferma che la nostra comunità è la casa delle culture e delle persone interessate al cambiamento e determinate a lottare per una società più giusta, più solidale e libera da discriminazioni di ogni genere. A lei come a Serse Soverini e Beatrice Lorenzin il benvenuto mio personale e di tutti i deputati democratici”.
Ora si cerca il politico che mise il renziano in contatto con i Toto
C’è un punto chiave sul quale gli investigatori della Guardia di Finanza stanno facendo luce in queste ore: dare un nome al tramite tra Patrizio Donnini e la società Renexia del gruppo Toto. Il sospetto è che si tratti di un politico di alto livello dell’area renziana. È una domanda fondamentale e vediamo perché.
Patrizio Donnini è un imprenditore fiorentino, creatore della Dot Media, società di comunicazione che ha lavorato anche per la kermesse renziana, la Leopolda. È accusato dalla Procura di Firenze di autoriciclaggio e appropriazione indebita in concorso con l’amministratore delegato di Renexia Lino Bergonzi. Tra il 2016 e il 2017 la Immobil Green Srl (di cui Donnini detiene una quota del 5 per cento) vende alla Renexia Spa cinque aziende operanti nell’eolico: riesce così, piazzandole al quadruplo del prezzo d’acquisto, a incassare una plusvalenza di 950 mila euro in totale. Il punto è che Donnini non s’è mai occupato prima di eolico. E non si limita a fare da mediatore per l’affare, ma rischia in proprio: acquista e poi rivende. Da qui il sospetto (per ora tale) degli investigatori: era forse certo che avrebbe rivenduto a Renexia? E – in caso affermativo – da dove traeva quella certezza?
Intanto un perito incaricato dai pm di Firenze sta passando al setaccio il contenuto dei cellulari di Donnini e di Alfonso Toto, legale rappresentante della Toto Costruzioni Generali spa: i cellulari di entrambi sono stati sequestrati.
Gli investigatori stanno verificando se ci siano stati contatti precedenti all’operazione – e di quale natura – tra l’imprenditore fiorentino, la Renexia e lo stesso Alfonso Toto. Peraltro, considerato che Bergonzi è indagato per appropriazione indebita, la Renexia risulta la parte lesa. A meno che Bergonzi non abbia agito con il consenso di alti componenti del gruppo.
Il contenuto dei cellulari di Donnini e Toto, anche su questo punto, potrebbe fornire una risposta. Ma soprattutto, l’analisi di entrambi i telefoni, può portare a sciogliere il dubbio iniziale: chi ha messo Donnini in contatto con uomini e società del gruppo Toto?
Il telefono dell’imprenditore fiorentino conterrà inevitabilmente contatti con il mondo renziano che, a meno di risultare penalmente rilevanti, non saranno utilizzabili nell’inchiesta. La vicinanza di Donnini al Giglio Magico è infatti nota: il 20 per cento della Dot Media da lui fondata, giusto per fare un esempio, appartiene ad Alessandro Conticini, fratello di uno dei cognati di Matteo Renzi. E così per evitare che siano depositati messaggi che non riguardano l’inchiesta in corso, i legali di Donnini hanno chiesto ai pm la distruzione di tutto ciò che non sia attinente all’indagine.
I finanzieri inoltre nei giorni scorsi hanno bussato anche alle porte della sede della Dot Media: ciò è avvenuto non perché questa società rientri dell’indagine, ma perché le fiamme gialle hanno perquisito i luoghi che potevano essere nella disponibilità di Donnini. E qui hanno anche sequestrato un pc in uso a Lilian Mammoliti, vecchia amica di Donnini, che detiene il 50 per cento delle quote della Dot Media.
C’è però un’altra inchiesta fiorentina che riguarda un renziano della prima ora: quella che vede indagato Alberto Bianchi, ex presidente della fondazione Open, la cassaforte del renzismo, per traffico di influenze. Anche in questo caso c’è un collegamento con il gruppo Toto, dal quale Bianchi ha ricevuto un incarico per un contenzioso con Autostrade, con parcella di più di un milione di euro. Due terzi della somma sarebbero stati versati da Bianchi al suo studio associato, un terzo per sé. Dal suo conto il legale avrebbe poi versato alla Open, che in quel momento era in difficoltà economiche, circa 200 mila euro. Salvo riprenderne – secondo fonti vicine all’avvocato – circa 190 mila euro quando la Fondazione stava per chiudere. Bianchi non ha soltanto dato una mano alla Open. Ha anche finanziato il comitato per il “Sì” al referendum costituzionale del 2016. Nessuna conferma che anche questa parte di finanziamento sia al vaglio degli inquirenti. Il suo legale oggi presenterà ricorso al Riesame per chiedere l’annullamento dei sequestri eseguiti dalle Fiamme gialle.
Matteo non prende incarichi e comanda via WhatsApp: la Boschi fa la capogruppo
È una specie di capo supremo che muove i fili da lontano (anzi, per essere precisi via Whatsapp), ma non si vede Matteo Renzi per Italia Viva. I coordinatori (o i leader formali, che dir si voglia) saranno Ettore Rosato e Teresa Bellanova. Saranno loro a gestire la Leopolda, Renzi sul palco dovrebbe apparire ogni tanto. Ieri i gruppi si sono costituiti in maniera formale al Senato e alla Camera. A Palazzo Madama, l’ex premier in Assemblea non si è fatto neanche vedere. Pare portare all’estremo un’abitudine antica: quando era presidente del Consiglio e segretario del Pd, quasi mai i ruoli formali corrispondevano esattamente al lavoro svolto. Renzi ha sempre lavorato con il suo circolo più stretto. E ora che fa il suo partito piazza i fedelissimi nei ruoli chiave, mentre lui continua a girare per il mondo.
Dunque, a Palazzo Madama, il capogruppo è Davide Faraone, la vice la Garavini e il tesoriere Francesco Bonifazi. Dovrebbe fare il tesoriere anche per il partito. Daniela Sbrollini, conquistata alla causa in extremis, farà il segretario d’aula. Primo posto “sottratto” al Pd. Chi c’era racconta che la riunione è stata piuttosto confusa e nervosa: non è ancora chiara la direzione politica del partito renziano, tanto meno i dossier su cui potrà differenziarsi. Per ora, c’è il Family Act a cui sta lavorando il ministro della Famiglia, Elisa Bonetti. Ma i provvedimenti non sono ancora pronti. E poi, si vedrà. “Stiamo lavorando. Come sempre siamo partiti, prima ancora di strutturarci”, dice Maria Elena Boschi, che è diventata capogruppo alla Camera. “Che tipo di soggetto politico sarà? Lo capiremo alla Leopolda. Nel frattempo, mi pare di essere ringiovanita, di essere tornata al 2012”. Il suo vice è Luigi Marattin, che in questi mesi l’ha assistita e accompagnata in moltissime uscite pubbliche. E il tesoriere Mauro Del Barba, ex tesoriere del gruppo Pd al Senato, nonché protagonista di uno degli spot per il sì al referendum.
Da ricordare che i gruppi vogliono dire prima di tutto soldi: circa 1 milione e mezzo di euro alla Camera, circa 1 al Senato.
Alla Leopolda verrà presentato pure il simbolo (Renzi ci sta lavorando da mesi, ma non è pronto) e la app per le iscrizioni (evidentemente, va di moda, visto che la fa pure il Pd). Al netto degli effetti speciali, lì si capirà che tipo di soggetto politico sarà Italia Viva: si vuole leggero e civico, come si vedrà.
Nel Pd, intanto, un po’ di nervosismo si registra: chi era molto vicino all’ex premier e ha deciso di non uscire ha subito pressioni dirette anche molto forti. Dopodiché si è in piena atmosfera congressuale. “Abbiamo perso un terzo dei gruppi parlamentari con una scissione, abbiamo fatto il governo con i Cinque Stelle: un congresso straordinario a questo punto è necessario”, dice Matteo Orfini. “Magari non subito: lasciamo stabilizzare il Conte 2 e facciamo le Regionali. Ma dopo si deve fare”. Al Nazareno parlano di “ripensamenti”, di “semi-congressi”, di “cambiamenti”. Come, non è ancora dato sapere. Per ora, c’è una tre giorni a Bologna organizzata da Gianni Cuperlo. “Ci sarà una specie di congresso, ma non sarà quello”, dice Andrea Orlando. Si pensa anche a un nuovo tipo di assise, diverso dalle primarie e simile al Parteitag dei partiti tedeschi dove si votano mozioni politico-programmatiche.
Ieri è entrata nel Pd anche Laura Boldrini, ex presidente della Camera. Il primo ingresso di tanti alla spicciolata, da sinistra? Non proprio. L’obiettivo di Liberi e Uguali è ripensare il contenitore Pd e solo in quel caso magari farne parte. Questo mentre Base Riformista di Luca Lotti e Lorenzo Guerini fa la sua partita per conquistare pezzi di partito e pezzi di elettorato.
Politico e oratore: Renzi (ri)organizza le sue casse
Matteo Renzi fa tante cose. A volte troppe. Ha preparato la Leopolda di ottobre, il congresso del renzismo più mistico e più mondano, per glorificare la scissione dal Pd. Poi s’è scisso prima per la brama di agguantare il destino del governo di Giuseppe Conte. Così ha esaurito i colpi di genio. Con spirito realistico, proprio per il raduno di Firenze, ieri ha firmato un comunicato per reclutare volontari e donatori per i comitati “azione civile”, motore di Italia Viva e della stazione Leopolda. Pure cinque euro fanno la differenza, ha declamato con modestia ragionieristica. Il complesso “assetto finanziario” di Renzi, doppia versione di impresario e politico di se stesso, però, è studiato e ponderato.
Il 4 marzo 2018, dopo la sberla del voto, Renzi ha ordinato carichi di pop corn per assistere dal divano all’alleanza gialloverde e all’inesorabile estinzione dei dem. Non s’è mai seduto. Ha girovagato per il mondo, tra Cina e Qatar, a ungere quei contatti che ha avviato nei mille giorni a Palazzo Chigi. Ha esordito in televisione con un documentario. Ha convertito il potere, anzi il sapere sul potere in ben retribuite conferenze. Con il partito agonizzante, quello vecchio s’intende, in neppure una decina di mesi ha incassato – dice orgoglioso agli amici – più di un milione di euro. E non ha intenzione di smettere con la libera professione di oratore o consulente per gli investitori stranieri in Italia e il pubblico impegno di senatore e ispiratore di un contenitore (movimento?) centrista. Tant’è che ha creato, lo scorso maggio, con il Conte I ancora in salute, la società Digistart per i suoi lavori personali, per fatturare. Un accorgimento tecnico per organizzare gli affari che, si presume, siano in aumento. Vuol dire che i guadagni del 2018 saranno diffusi con la prossima dichiarazione dei redditi da depositare in Senato, mentre quelli del 2019 finiranno nei bilanci di Digistart.
Renzi crede molto in Renzi. E ha annunciato l’apertura di una fondazione intitolata, ovvio, a Renzi. Al momento, ha registrato un paio di indirizzi in Internet. A che serve la fondazione? A drenare soldi per la “sua” prossima campagna elettorale. Renzi è convinto che i grossi industriali siano disposti a spendere per Renzi e non per un partito valutato al 4-5 per cento.
Il decreto chiamato “spazza corrotti”, bandiera dei Cinque Stelle, ha imposto la trasparenza pure alle fondazioni, spesso strutture opache, ma essenziali per capi e capetti del Parlamento. Anche le fondazioni devono rendicontare il denaro raccolto dai 500 euro in su, purché ci sia un legame con un politico o un partito. Renzi assicura che la fondazione sarà limpida e verrà dichiarato “ogni singolo centesimo”. Una promessa ineludibile, mentre l’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente di Open, la cassaforte renziana capace di raccogliere 6,7 milioni di euro in sette anni, è indagato per traffico di influenze. Ai comitati “azione civile”, invece, spetta il compito di gestire l’economia di Italia Viva, che riceve i contributi degli eletti e avrà i fondi destinati ai parlamentari. Gli imprenditori Daniele Ferrero di Venchi e Lupo Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli, sono il carburante del ritorno all’attività politica di Renzi, non soltanto per il denaro già versato ai comitati – 100.000 euro Ferrero e 60.000 Rattazzi – ma perché sono anche ascoltati consiglieri. Dopo una prima cospicua iniezione di soldi, “Azione civile” – cioè Italia Viva – dovrà sopravvivere con le risorse dei parlamentari e le piccole offerte degli iscritti: erano 2.800 euro a luglio, per adesso sono 34.000 a settembre.
Per ragioni diverse, per organizzare la Leopolda, Renzi deve rinunciare al sostegno di Bianchi e Luca Lotti. Adesso è il tempo di lasciare il “lampadina” Lotti nel litigioso recinto dem (per ripartire da zero, hanno suggerito a Renzi di mollare Boschi al Nazareno del segretario Nicola Zingaretti, ma Maria Elena non ha accettato e Matteo s’è adeguato). Per la Leopolda e le tessere, dunque, a Matteo non resta che Ettore Rosato. Fedele, è fedele. Non è Lotti, però.
Appena rientrato da una “brevissima missione in Cina”, come ogni divinità che si rispetti, l’ex premier non bada alle distanze, adesso Renzi deve riempire il palco vuoto della Leopolda. Adora scrivere: un sorriso, a prestissimo.