Thomas Cook non vola più. È la Dunkerque dei turisti

“Siamo molto dispiaciuti di dover annunciare che il Thomas Cook Group ha interrotto la sua attività con effetto immediato. Vi preghiamo di visitare il nostro sito per maggiori informazioni”. Un messaggio laconico per raccontare la fine di un mondo: il fallimento di uno dei simboli popolari del Regno Unito. Chiude così l’agenzia della working class britannica, quella che sogna tutto l’anno la settimana alle Canarie e riempie le località turistiche del Mediterraneo, pacchetti tutto incluso e alcolici no limits.

Risultato: chiusura immediata di più di 500 agenzie della società sul territorio, a terra i 94 aerei della flotta, pacchetti di vacanza e prenotazioni di voli cancellati definitivamente, perduti 21 mila posti di lavoro, di cui 9.000 solo nel Regno Unito.

E l’avvio immediato di Operation Matterhorn, la più massiccia operazione di rimpatrio britannico del dopoguerra dopo quella di 110 mila persone seguita al fallimento della compagnia aerea Monarch nel 2017. Stavolta sono oltre 150 mila i connazionali da recuperare in tutto il mondo – mezzo milione la cifra totale – con un’avvertenza chiara sulla pagine del sito della Civil Aviation Authority: “I voli di rimpatrio saranno operativi solo per le prossime due settimane, fino al 6 ottobre 2019. Dopo questa data dovrete organizzare il viaggio da soli”. La pianificazione è di 1000 voli da oltre 55 destinazioni internazionali. Maxi-rimpatrio, va chiarito, a carico dei contribuenti, per una spesa prevista di 600 milioni di sterline: quasi tre volte la somma richiesta al governo per garantire il salvataggio, è la contestazione dell’opposizione laburista e dei sindacati.

Una nuova Dunkerque, dalle spiagge e dagli scali di mezzo mondo ad aeroporti inglesi che ieri erano già nel caos. Il piano è coordinato dalla aviazione civile britannica, ma è appunto su scala bellica in tempo di pace, e ieri i notiziari erano pieni di storie, come quella storia di Jackie e Amy, madre e figlia di Newcastle, finalmente a Maiorca per una vacanza costata anni di risparmi. Jackie, malata di cuore, aveva portato scorte del suo farmaco salvavita solo fino a ieri: incappata nel fallimento, rischiava di non tornare a casa in tempo per salvarsi. Uno sconosciuto le ha pagato il biglietto di ritorno con un’altra compagnia. O il gruppo trattenuto in Tunisia dal personale dell’albergo che chiedeva il pagamento del conto.

O la storia nella storia: la coppia di fidanzati che con la compagnia fallita aveva pianificato per fine ottobre il proprio matrimonio a Rodi, compreso di soggiorno per una trentina di invitati, e ora niente, tutto saltato, li aspetta un mesto ritorno. Lui si chiama Thomas Cook: proprio grazie a questa omonimia gli agenti di viaggio gli avevano promesso una bella sorpresa prematrimoniale. Ma il totale in vacanza con Thomas Cook è di circa 600 mila persone, dalla Turchia a Cuba. Fra questi anche 140 mila tedeschi, tanto che la compagnia area Condor, sussidiaria tedesca di Thomas Cook, avrebbe chiesto aiuto al governo di Berlino per riportarli a casa.

E il fallimento sta già avendo un impatto sentito molto oltre i confini britannici, in particolare in Spagna, Turchia e Grecia, dove i contratti con il tour operator rappresentano una alta percentuale dei proventi turistici.

Intanto scatta la speculazione: ieri a Manchester i prezzi della compagnie concorrenti per i voli cancellati da Thomas Cook erano già alle stelle.

Luce e gas, verso il rinvio dello stop al mercato tutelato

Il conto alla rovescia verso la fine del mercato tutelato di luce e gas fissato al primo luglio 2020 è sempre più probabile che slitti di nuovo (sarebbe la terza volta). In corso c’è un braccio di ferro al ministero dello Sviluppo economico tra M5s e Pd sull’assegnazione della delega sull’energia. Vorrebbe tenersela il ministro Stefano Patuanelli su pressing dell’ex sottosegretario Davide Crippa (entrambi M5s). Ma ci sono i dem – nel 2015 il regalo alle aziende energetiche fu deciso dal premier Renzi – che scalpitano affinché la delega vada allo zingarettiano Gianpaolo Manzella. Non solo il Mise dovrà scrivere il complicato decreto attuativo che specifichi le misure per garantire il passaggio, oggi è anche calendarizzato presso l’Arera, l’Authority dell’energia, un documento di consultazione che metterà nero su bianco che il passaggio obbligatorio di tutti gli italiani al mercato libero (il 60% delle famiglie è ancora nel tutelato) è ancora incompleto perché va anche regolamentato il passaggio automatico al servizio di salvaguardia o, in alternativa, allo stesso fornitore che opera nel libero, con delle aste che dovrebbero scattare tra i vari fornitori per “spartirsi” i clienti che non sono passati al mercato libero.

Mazzette nigeriane, in Italia la valigia del mediatore

La valigetta di documenti più contesa della Svizzera sarà finalmente mandata a Milano, dove è attesa dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale che sta indagando sulle presunte corruzioni internazionali di Eni.

Dopo tre anni di braccio di ferro e sei pronunce delle autorità giudiziarie elvetiche, ieri la suprema corte svizzera ha deciso di consentire alla Procura di Ginevra di condividere con l’autorità giudiziaria italiana la documentazione sequestrata più di tre anni fa a Emeka Obi, uno dei due mediatori già condannati in primo grado a 4 anni di carcere, con rito abbreviato, per la supertangente che sarebbe stata pagata da Eni e Shell in Nigeria per ottenere la concessione del campo d’esplorazione petrolifera off-shore chiamato Opl 245.

Tutto inizia nell’aprile 2016, quando le autorità giudiziarie elvetiche fanno perquisire l’ufficio a Ginevra di Olivier Couriol, un fiduciario svizzero indagato per tutt’altra vicenda: un investimento di 15 milioni di euro realizzato dalla compagnia franco-tedesca Airbus in una miniera d’oro in Mali, sospettato di coprire una tangente per l’acquisto di elicotteri Super Puma e velivoli cargo Airbus da parte del governo del Mali.

L’inchiesta su questo affare è ancora in corso in Francia e in Svizzera. Ma tra il materiale sequestrato a Couriol quella mattina d’aprile, il procuratore di Ginevra Claudio Mascotto trova anche un trolley che il banchiere dice appartenere a un amico e cliente, Emeka Obi, che gliel’ha dato in custodia. Il trolley contiene documenti, un hard drive con 41 mila file elettronici, passaporti britannici e africani e chiavette usb. Poiché Obi nel 2016 è già indagato per corruzione internazionale dalla Procura di Milano, Mascotto comunica subito la notizia del ritrovamento di documenti al suo collega italiano Fabio De Pasquale.

La Procura di Milano avvia una rogatoria internazionale per ottenere la valigetta. A questo punto inizia una intricatissima gimkana giudiziaria. Couriol sostiene di essere un fiduciario tenuto al segreto professionale e chiede dunque che alla valigetta di Obi, che non contiene documenti attinenti all’inchiesta ginevrina all’origine della perquisizione, siano apposti i sigilli. Parte così quella che in Svizzera viene chiamata “procedura interna”. Si pronuncia il Tribunale penale federale di Bellinzona e, in seconda istanza, il Tribunale federale di Losanna. Entrambi respingono i ricorsi di Obi. La valigetta torna nella disponibilità della Procura di Ginevra, che dispone il trasferimento in Italia. Obi si oppone ancora davanti al Tribunale penale federale di Bellinzona, che però sostiene che il materiale sequestrato può avere “potenziale pertinenza” nel procedimento italiano e può dunque essere inviato in Italia senza violare la legge svizzera. L’ultimo ricorso è presso il Tribunale federale di Losanna, che ieri ha preso la decisione finale e inappellabile: la valigetta può essere trasmessa alla Procura di Milano, che valuterà se far entrare i documenti in essa contenuti nel processo in corso su Opl 451. Imputati sono le società Eni e Shell, oltre a 13 persone fra le quali l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni. L’accusa ipotizza che siano state pagate tangenti per 1,092 miliardi di dollari su 1,3 miliardi versati nel 2011 da Eni e Shell per avere Opl 245. Eni ribatte di aver versato i soldi, dopo regolare contratto, su un conto ufficiale del governo nigeriano. Ora arrivano i documenti svizzeri.

Il Russiagate tocca l’Eni: i pm si fanno consegnare le carte

Il caso Russiagate ora tocca ufficialmente anche l’Eni. Nella prima settimana di settembre, infatti, la Procura di Milano ha inviato una richiesta di acquisizione atti alla sede centrale del colosso petrolifero. Richiesta alla quale la società del cane a sei zampe ha risposto esibendo alla Guardia di finanza quanto chiesto dai pm Gaetano Ruta e Sergio Spadaro. Si tratta di un’acquisizione di atti e non di una perquisizione. Al momento nessun dirigente di Eni risulta iscritto nel registro degli indagati. Ma certo il passo della Procura, arrivato dopo tre mesi dall’acquisizione dell’audio dell’hotel Metropol e dall’iscrizione di Gianluca Savoini per corruzione internazionale, è di quelli importanti perché segna con chiarezza la direzione presa dall’indagine.

Al centro dell’inchiesta c’è una compravendita di petrolio per 1,5 miliardi di dollari (6 milioni di tonnellate metriche di gasolio). Vende uno dei colossi russi (Rosneft e Gazprom), acquista, stando all’audio registrato il 18 ottobre ai tavoli dell’hotel Metropol di Mosca, proprio l’Eni che, però, fin dal luglio scorso, quando si è saputo dell’inchiesta giudiziaria, ha negato ogni suo coinvolgimento. Da questa vendita, spiegherà l’avvocato d’affari Gianluca Meranda – anch’egli indagato per corruzione internazionale come pure il consulente finanziario Francesco Vannucci (entrambi presenti al Metropol con Savoini e tre russi) – dovranno uscire 65 milioni di dollari da far arrivare sui conti della Lega di Matteo Salvini in vista delle elezioni europee del maggio scorso. In quel momento, Savoini rappresenta l’uomo dell’allora vicepremier per i rapporti con personaggi influenti vicini a Putin. La richiesta avanzata dalla Procura all’Eni riguarda elementi emersi durante l’indagine. I pm hanno delegato la Finanza ad acquisire tutti i documenti relativi a rapporti finanziari tra società del gruppo Eni e società terze. Il riserbo resta massimo. Sul tavolo della Procura, al momento, non sono arrivate informative relative all’analisi degli atti che sono ancora in via di acquisizione e di studio da parte degli esperti della Guardia di finanza.

Rapporti tra società terze e società del gruppo Eni sono già emersi in atti pubblicati dall’Espresso e acquisiti dalla Procura. Durante l’incontro del Metropol, al quale sono presenti due russi legati all’entourage del presidente Putin, Meranda spiega: “Abbiamo Eni che sarà dalla parte italiana. Abbiamo una compagnia petrolifera russa e abbiamo due società nel mezzo. La banca e una società russa che firmerà il contratto con la banca”. Meranda, nel periodo del presunto affare, è il general counsel della banca d’affari londinese Euro-Ib che già il 29 ottobre 2018 prepara una richiesta di fornitura a Rosneft. I parametri sono quelli discussi al Metropol. Su tavoli diversi si muove Savoini che invia una richiesta di fornitura anche a Gazprom. La società russa, però rifiuta perché, spiega, non è specificato l’acquirente, che dall’audio del 18 ottobre dovrebbe essere Eni.

Savoini invia la lettera a Meranda che l’8 febbraio gli risponde allegando un documento di referenze commerciali firmato da Eni Trading and Shipping (società del gruppo Eni) a favore della Euro-Ib di cui Meranda è consulente. L’avvocato, nella lettera, spiega a Savoini che la banca acquista per vendere a Eni. Questo quanto emerso dalle indagini. Al momento, però, non vi è conferma che gli atti acquisiti in Eni riguardino proprio il rapporto tra Euro-Ib ed Eni Trading and Shipping. Di certo, come scritto dal Fatto, anche Savoini ha avuto rapporti con il colosso petrolifero italiano. Una fonte politica qualificata lo colloca con Salvini a un incontro con l’ad di Eni Claudio Descalzi avvenuto a primavera. Incontro che la società ha negato. Nessun mistero, invece, sulla reciproca stima tra l’ex vicepremier e Descalzi. Oggi, intanto, si terrà l’incidente probatorio per acquisire i messaggi della chat segreta di Savoini. Mentre dai dati analizzati negli altri telefoni si capisce che la preparazione del vertice al Metropol inizia a giugno con un primo incontro con i russi avvenuto a Roma già nel mese di luglio.

Arrestato per armi ex capogruppo leghista ad Avellino

Damiano Genovese, ex capogruppo Lega al consiglio comunale di Avellino in quota Lega, è stato arrestato dai Carabinieri di Avellino per detenzione illegale di arma e ricettazione aggravata. L’abitazione del 36enne è stata perquisita nel corso delle indagini sull’attentato dinamitardo avvenuto nella notte tra sabato e domenica ai danni dell’auto di un imprenditore di Avellino, nel quartiere di Rione Mazzini. Nella casa del 36enne è stata trovata una pistola risultata, poi, proveniente da un furto in un’abitazione avvenuto nel 2015. Figlio di Amedeo Genovese, considerato il capo del clan del Partenio e condannato all’ergastolo, Damiano, dopo essere stato consigliere d’opposizione durante l’amministrazione Ciampi, caduta a novembre 2018, aveva annunciato la candidatura alle recenti amministrative, alla guida di una lista civica salvo poi venire escluso dalla commissione elettorale perchè la documentazione presentata era incompleta. Genovese è stato trasferito presso il carcere di Bellizzi Irpino (Av) e verrà ascoltato nei prossimi giorni.

Chiamò “mitomane” la nostra cronista. Mannino condannato per diffamazione

Non era “il delirio di una mitomane” o la “provocazione di una spia in servizio”, ma il corretto esercizio di una testimonianza civile e, poi, del diritto di cronaca: per quelle frasi ritenute diffamatorie, ieri l’ex ministro dc Calogero Mannino è stato condannato dalla Corte di appello di Roma a pagare 30 mila euro a Sandra Amurri, redattrice di questo giornale e testimone dell’accusa nel processo della Trattativa Stato-mafia.

Quelle frasi, scrivono i giudici che hanno condannato Mannino anche al pagamento delle spese processuali, “costituiscono un attacco alla persona dell’Amurri e alla sua professionalità di giornalista, impegnata in inchieste su appalti, mafia e politica e in generale per la legalità, membro della fondazione Antonino Caponnetto e consulente della fondazione Francesca Morvillo e Giovanni Falcone”.

Prima sul Fatto e poi nell’aula del processo, la collega raccontò di avere assistito nei primi mesi del 2012 in un bar di piazza Venezia, a Roma, a un colloquio tra Mannino e il suo collega Giuseppe Gargani, ex presidente della commissione Giustizia della Camera, in cui il primo, preoccupato, metteva in guardia l’altro dai rischi delle indagini, in particolare della testimonianza di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito: “Questa volta ci fottono, spiegalo a De Mita, dobbiamo dare tutti la stessa versione, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito tutto. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità”. Era il periodo in cui le indagini condotte dai pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo stavano entrando nel vivo delle responsabilità politiche, e tra gli imputati, poi stralciato (e assolto in primo e in secondo grado) c’era anche Mannino, che non ha mai negato il colloquio, ma solo il contenuto, accusando la collega di avere inteso “lucciole per lanterne”, “frutto di una fantasia eccitata”. E dopo un primo giudizio che ha dato ragione all’ex leader della sinistra dc in Sicilia, ieri la Corte d’appello ha ribaltato il verdetto: “La conversazione – è scritto – non è stata né origliata né abusivamente captata, poiché è avvenuta in un luogo pubblico”, e la Amurri, “arrivata per prima, si era seduta a un tavolino e aveva ordinato un cappuccino in attesa dell’on. Di Biagio e quindi non era affatto tenuta, come sostenuto dal convenuto (Mannino, ndr) ad allontanarsi per non sentire la conversazione, che la stessa ha percepito del tutto casualmente”.

“Con umiltà e orgoglio penso di aver contribuito, con la mia testimonianza, a ricostruire un piccolissimo tassello di verità sulle ragioni che hanno portato a eliminare Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte – ha commentato su Facebook la collega – e, questo, oggi, mi ricompensa di tante amarezze subìte’’.

“Notizie segrete a Montante”. Indagato il questore di Roma

La Procura di Palermo indaga su una presunta rivelazione di segreto compiuta dall’attuale questore di Roma Carmine Esposito nel 2014 quando era questore di Trapani. La vicenda (già emersa nel provvedimento di arresto del Gip di Caltanissetta contro Antonello Montante del maggio 2018) è ancora tutta da chiarire e riscontrare. Per questa ragione il pm di Palermo Giovanni Antoci, dopo avere ricevuto la notizia di reato dai colleghi di Caltanissetta, ha iscritto alla fine del 2018 il questore Carmine Esposito per rivelazione di segreto e nei giorni scorsi ha sentito alcuni testimoni.

Tutto inizia nel 2015 quando nel corso delle indagini sull’allora presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante, gli investigatori si concentrano sui rapporti con il fratello del questore: l’allora direttore dei servizi segreti Aisi, il generale Arturo Esposito.

Poi nel febbraio 2016 l’imprenditore Pietro Di Vincenzo, già presidente degli industriali della Sicilia, in pessimi rapporti con Montante, racconta ai magistrati di essere a conoscenza di un episodio riferitogli da un amico imprenditore del settore costruzioni: Davide Tedesco. L’amico di Di Vincenzo aveva pranzato il 1° aprile 2014 al ristorante Charme di Palermo e aveva origliato una chiacchierata di Montante con il questore dal tavolo vicino: “Ebbe modo di udire i due discutere di un sequestro di prevenzione che doveva essere applicato nei confronti di Pietro Funaro, imprenditore del Trapanese”. La notizia della misura contro Funaro però sarà data dall’Ansa solo 4 mesi dopo, il 5 agosto del 2018. Nel lancio l’agenzia precisa che il sequestro è stato emesso “su proposta del questore”.

L’imprenditore Tedesco, convocato a stretto giro nel 2016, conferma e offre altri particolari ai pm: “Il giorno 1 aprile 2014 mi recai a pranzo in questo locale assieme ad un mio amico, il professore Giovanni M. (….) A un certo punto entrarono nel locale Montante e un altro soggetto, distinto e ben vestito, e si accomodarono nel tavolo ubicato alla mia sinistra. (…) essendo stato sempre molto critico nei confronti del Montante, confesso di essere stato estremamente attento nel cercare di capire il contenuto della conversazione (…) rimasi molto colpito allorché ebbi modo di comprendere che i due stessero discutendo anche di una misura di prevenzione patrimoniale da eseguire nei confronti di un imprenditore di Trapani, Pietro Funaro (…) non avevo letto alcuna notizia stampa su un sequestro eseguito nei confronti del Funaro”. A quel punto Tedesco offre ai pm la possibilità di cercare qualche riscontro: “Subito dopo essermi allontanato dal locale, inviai un sms all’avvocato Gioacchino Genchi per chiedergli un incontro che in effetti avemmo di lì a poco nello studio di questi (…) a tal proposito produco alla S. V. la stampa di uno ‘screenshot’ del mio telefono cellulare riportante lo scambio di sms avuto con Genchi in quell’occasione”.

Proprio insieme a Genchi, Tedesco riuscì a individuare “chi potesse essere l’interlocutore del Montante”. Tedesco mette le mani avanti sul suo convitato: “Non credo che il professor M. abbia ascoltato la conversazione tra Montante ed Esposito”. Gli inquirenti, sempre nel febbraio 2016 a Caltanissetta, ascoltano Genchi che conferma la visita di Tedesco quel giorno al suo studio e la ricerca sul web per individuare l’interlocutore di Montante.

Genchi racconta: “Verificammo su internet che non era stata data alcuna notizia di una misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di imprenditori del Trapanese sicché la circostanza rafforzò la certezza che i due stessero discutendo di notizie riservate”. Qualche tempo dopo, racconta sempre Genchi ai pm, Tedesco gli telefonò per segnalargli che il sequestro da 25 milioni contro l’imprenditore Funaro era stato effettuato. Negli articoli si faceva notare che tre mesi prima “Funaro era stato sospeso da Confindustria Trapani in quanto a suo carico c’era una interdittiva antimafia”. Effettivamente già il 29 gennaio 2014 la Prefettura aveva emesso un’interdittiva antimafia e l’impresa Funaro era stata esclusa da una gara.

Esposito è indagato per ragioni di competenza territoriale dal pm di Palermo. Nell’ordinanza di arresto del Gip di Caltanissetta contro Montante (che aveva avuto un’ampia diffusione su internet) l’episodio era citato. Allora era indagato però solo il fratello generale dell’Aisi, ora a processo a Caltanissetta, per altre rivelazioni di segreto a beneficio di Montante che nel frattempo è stato condannato a 14 anni.

Nell’ordinanza del Gip si legge che il 31 marzo i cellulari di Montante e del questore Esposito si scambiano attorno alle 20 e 20 tre sms. Il giorno dopo il cellulare di Montante si sposta da Serradifalco a Palermo e poi aggancia una cella vicina al ristorante Charme dalle 11 e 47 fino alle ore 15 e 21. Nell’informativa si citano altre telefonate tra i due cellulari in quel periodo e una sovrapposizione di celle il 13 maggio 2014. Non c’è riscontro invece sulla presenza del telefonino del questore il primo aprile nella cella del ristorante. Contattato dal Fatto, il questore ha declinato l’invito a parlare.

Le correnti travolte dallo scandalo provano a risorgere

Da un lato, per la prima volta, la presentazione in streaming, sotto gli occhi di tutti, dei 16 candidati per l’elezione di due consiglieri Csm, in quota pubblici ministeri, segnale di trasparenza che ha voluto lanciare l’Anm. Dall’altro, le brutte abitudini dure a morire, nonostante lo scandalo nomine abbia proiettato all’esterno quello che quasi tutti sapevano e che in diversi hanno accettato: la spartizione “uno a te uno a me” delle correnti con accordi pure fuori dal Consiglio e con la politica in mezzo.

Per queste elezioni più che altro c’è tanto “fuoco amico”. La corrente più “balcanizzata” è Unicost, centrista, fino a maggio dominata da Luca Palamara, l’ex consigliere Csm e pm di Roma, indagato per corruzione a Perugia, sospeso da funzioni e stipendio. È noto che fu protagonista di un incontro notturno con l’amico Cosimo Ferri, leader ombra di Magistratura Indipendente (i conservatori) nonché deputato della neo Italia Viva, ex dem renziano, come un altro presente, Luca Lotti, pure imputato a Roma, rimasto, però, nel Pd. Parlavano di come pilotare la nomina del procuratore di Roma con i consiglieri del Csm Morlini e Spina (Unicost), Cartoni, Lepre e Criscuoli (Mi) tutti dimissionari e sotto procedimento disciplinare.

Secondo quanto risulta al Fatto, Unicost va in tre direzioni: una porta al sostegno di Alessandro Crini, procuratore di Pisa. Al suo fianco Massimo Forciniti, giudice a Crotone, fedele alleato di Palamara alla scorsa consiliatura del Csm e Alberto Liguori, pure lui ex Csm e amico di Palamara. Con Crini anche le toghe di Mi rimaste al fianco di Ferri (più avanti spiegheremo perché). Un’altra via porta a Francesco De Falco, pm napoletano. A sostenerlo, l’ala “anti palamariana” del neo presidente Mariano Sciacca. Ne fanno parte pure i partenopei di Unicost come l’ex consigliere Francesco Cananzi. C’è anche una sponda dentro l’attuale Csm: i consiglieri Michele Ciambellini e Marco Mancinetti. La terza via, infine, è quella dell’astensionismo: diversi magistrati del Centro-Nord non stanno né con i vecchi né con i nuovi referenti.

E veniamo a Mi, l’altra corrente che esce a pezzi dalle intercettazioni di Perugia. Il candidato iscritto alla corrente è Antonio D’Amato, procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere. In questa campagna in cui c’è la gara fra candidati a chi è meno “correntizio”, ripete come un mantra che la sua candidatura è “autonoma”. Forse dai ferriani, visto che non intendono votarlo e confluiscono su Crini, con i palamariani di Unicost, per una lotta interna. D’Amato, infatti, è più vicino a Claudio Galoppi, ex Csm e ora consigliere giuridico della presidente del Senato Elisabetta Casellati. È Galoppi che vorrebbe rubare la leadership a Ferri, tuttora al timone.

Anche dentro Area, la corrente progressista, ci sono divisioni. Giuseppe Cascini, capogruppo al Csm ed Eugenio Albamonte, neo segretario di Area ed ex presidente dell’Anm, entrambi pm della procura di Roma, sostengono Anna Canepa, pm della Dna. Fa da contraltare Fabrizio Vanorio, pm di Napoli, insofferente, come una parte di Area, alla “romanocentricità” della corrente. Viene appoggiato da chi pensa che al Csm “la linea del gruppo non può essere decisa sostanzialmente dal solo Cascini”. Inoltre, le toghe milanesi di Area votano per l’indipendente Tiziana Siciliano, procuratore aggiunto. Forse non è un caso che il favorito di questa corsa sia il pm antimafia Nino Di Matteo, il più lontano da giochi di corrente e che ha avuto un rapporto “conflittuale”, suo malgrado, con il Csm, che lo ha penalizzato più volte. Il suo seguito è tra i magistrati della base, disincantati, a torto o a ragione, dai colleghi più interni alle correnti.

 

 

Nino Di Matteo
Promette autonomia anche da Davigo

Pm della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. A maggio scorso è stato defenestrato dal pool stragi per aver rilasciato un’intervista in ricordo di Falcone, durante la quale si è limitato a raccontare fatti noti. Ma secondo il procuratore Cafiero de Raho ha espresso valutazioni oggetto di discussioni interne al pool. Il provvedimento è all’esame del Csm. La carriera di Di Matteo è segnata da inchieste antimafia prima a Caltanissetta e poi a Palermo dove, tra l’altro, ha ottenuto le condanne in primo grado al processo trattativa Stato-mafia. Sulla sua eventuale elezione al Csm scrive: “Ho piena consapevolezza della fondamentale importanza di conservare a ogni costo piena autonomia di giudizio anche rispetto ai colleghi del gruppo di AeI che, insieme a tanti altri, mi hanno incoraggiato a candidarmi”. Sul sistema delle nomine, aggiunge: “Tutti dobbiamo contribuire ad arginare l’evidente degenerazione delle correnti oggi assimilabili a veri e propri centri di potere e clientele. Vorrei che diventasse prassi l’audizione dei concorrenti e che si prevedessero incisive forme di interlocuzione con i magistrati degli Uffici di provenienza dei candidati”.

 

Anna Canepa
Vuole più politica e meno clientele

Pm della Direzione nazionale antimafia dal 2009, in magistratura dal 1987. È stata in Procura a Genova e per un anno, dal 2008 al 2009, applicata, volontaria, a Gela, in Sicilia, dominata dalla mafia degli “stiddari”. Una vita professionale nell’associazionismo. Già vicepresidente dell’Anm e segretaria di Magistratura Democratica, la corrente delle “toghe rosse”. È stata tra i fautori della nascita di Area, che ha messo insieme Movimenti per la Giustizia e Md. Difende il diritto di esistere delle correnti: “È il deficit di politica, e non l’eccesso, che ha lasciato spazio a personalismi e clientele, causando questo disastro… Le correnti devono tornare al loro ruolo originario: luoghi di riflessione collettiva e di elaborazione di idee e proposte per la giurisdizione. In tanti, poi, hanno sottolineato gli effetti distorsivi del sistema elettorale entrato in vigore nel 2002, critiche che condivido”. Nel presentarsi parla anche della sua malattia: “Ho visto la morte in faccia per una devastante emorragia cerebrale. Sono sopravvissuta. Sono uscita ferita nel corpo ma indomita nello spirito”.

 

Alessandro Crini
Vicino a Palamarae agli uomini di Ferri

Procuratore di Pisa, magistrato da quasi 40 anni, la sua lunga carriera l’ha trascorsa soprattutto a Firenze dove è stato impegnato in indagini contro la criminalità organizzata. Ha collaborato con Gabriele Chelazzi e altri colleghi all’inchiesta sulle stragi del 1993. È stato tra i pm che hanno ottenuto la condanna di Mario Vanni e altri cosiddetti “compagni di merenda” per uno dei processi al cosiddetto mostro di Firenze. Mette in rilievo che la sua candidatura la deve “alla raccolta delle firme dei colleghi pisani”. Vicino a Unicost, la corrente centrista dominante tra le toghe, almeno fino al caso Palamara. Crini, nella sua autopresentazione per le suppletive Csm, non fiata in merito allo scandalo nomine: “Non entro nel merito delle ragioni che hanno condotto a questo drammatico appuntamento elettorale”. È appoggiato dai “palamariani” di Unicost e da chi in Magistratura Indipendente, la corrente dei conservatori, vuole ancora che il leader ombra sia Cosimo Ferri, deputato Dem che ha seguito Matteo Renzi nella sua Italia Viva.

 

Francesco De Falco
Corre con il sostegnodella “nuova” Unicost

Pm della Procura di Napoli, fa parte della Direzione distrettuale antimafia. Sua l’inchiesta sulla “paranza dei bambini” e sul clan Di Lauro di Secondigliano. Nella sua presentazione come candidato al Csm, De Falco a proposito dello scandalo nomine, scrive: “La vicenda che ha condotto a queste elezioni suppletive è una ferita nella giurisdizione e, in generale, nell’assetto democratico, rappresentando un corto circuito nei rapporti tra la componente togata del Csm la politica”. Su di sé scrive: “Comincerei con lo specificare quello che non sono e cosa non ho mai fatto: non sono un ‘addetto ai lavori’, non sono mai stato iscritto a una corrente e non ho mai ricoperto cariche o incarichi associativi; non sono mai stato collocato ‘fuori ruolo’; non ho mai ricevuto incarichi extragiudiziari significativi (solo 2 o 3 lezioni alle forze di polizia); non ho mai ricoperto un incarico direttivo o semidirettivo”. Fu Unicost, però, con successo, a candidarlo al Consiglio giudiziario di Napoli. E la gran parte di Unicost “post Palamara” lo sostiene per questa elezione.

 

Antonio D’Amato
“Indipendente” ma è iscritto a Mi

Procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere, dove coordina il dipartimento “crimini economici”, è magistrato dal 1987. Fresco di toga va nella difficile Palmi. Nella sua carriera alterna la Calabria alla Campania, dove fa il pm anche a Napoli ai tempi di Agostino Cordova e segue indagini su massoni e altri poteri forti. La sua autopresentazione è il segno di uno dei periodi più difficili della storia del Csm. Si dichiara candidato “indipendente”, anche se è iscritto fin dalla prima ora a una corrente. È Magistratura Indipendente, la corrente conservatrice, quella che insieme alla centrista Unicost è uscita con le ossa rotte dallo scandalo nomine, con diversi consiglieri Csm costretti alle dimissioni. “Ho deciso di presentare una candidatura personale – scrive – poiché desidero offrire la mia esperienza in piena autonomia, quale ‘magistrato qualunque’ che crede nei valori costituzionali. Porto con me anche il bagaglio dei valori e principi di Mi, cui sono iscritto dal 1988”. È vicino a Claudio Galoppi, fuori ruolo come consigliere giuridico della presidente del Senato Casellati, che vorrebbe scalzare Cosimo Ferri come leader di Mi.

 

Fabrizio Vanorio
Ha difeso Woodcock e le toghe scomode

Pm della Procura di Napoli, dal 2012 è in Direzione distrettuale antimafia. Si è occupato del clan dei Casalesi, in particolare dei suoi collegamenti con ambienti politici e imprenditoriali. È stato il pm, con i colleghi Woodcok e Milita del processo sulla compravendita dei senatori, imputati Berlusconi e altri. Come primo incarico, nel 1997, ha chiesto di andare a Palermo dove è rimasto 8 anni. Lì è stato anche presidente dell’Anm locale. Iscritto ad Area, per rimarcare la sua personalità “indipendente” anche rispetto al suo gruppo, scrive: “Personalmente sono intervenuto con un’intervista a difesa dei magistrati della Procura di Napoli e in particolare di quelli ingiustamente attaccati da più parti per l’indagine Consip (Woodcock, Carrano, ndr) ora da quasi tutti ‘riabilitati’. A Palermo ho effettuato decine di interventi a tutela dei magistrati impegnati nei processi più delicati e solo per questo oggetto di campagne denigratorie”. Ci tiene a specificare, dato il periodo, che il suo impegno associativo non ha mai prevalso: “Pur dedicandomi all’attività associativa, ho sempre messo al primo posto l’impegno quotidiano nella giurisdizione”.

 

Tiziana Siciliano
Le inchieste sulla sanità e lo stop su Cappato

Nel processo che più l’ha coinvolta, quello a Marco Cappato per istigazione al suicidio di Dj Fabo, ha concluso la sua requisitoria chiedendo l’assoluzione: “Io mi rifiuto di essere l’avvocato dell’accusa. Io rappresento lo Stato”. Procuratore aggiunto a Milano, Tiziana Siciliano è stata la pm che ha indagato negli anni per corruzione quasi tutte le cliniche private e gli ospedali pubblici lombardi. È la pm dei casi Ruby 3 e Imane Fadil.

 

Andrea Laurino
In aula contro i verticidi Banca Marche

Quella di Andrea Laurino, 54 anni, sostituto procuratore ad Ancona, pm del processo per bancarotta contro l’ex dg di Banca Marche, è una candidatura indipendente. Iscritto da sempre all’Anm è stato presidente della giunta distrettuale. Da due anni è giudice tributario. Vuole contribuire a “porre fine al metodo di selezione basato su criteri familistici, alle pratiche per posti direttivi decise ‘per ritorsione’, ai concorsi per la Cassazione decisi altrove…”.

 

Anna Chiara Fasano
Reati ambientali tra Calabria e Campania

Nel video di presentazione sottolinea di non essere mai stata iscritta a una corrente. Magistrato da quasi sei anni, Fasano è stata pm a Paola, applicata alla Dda di Catanzaro per inchieste sul caporalato e i centri di accoglienza ad Amantea, su reati comuni e di pubblica amministrazione, su presunti abusi demaniali e sulla depurazione della fascia costiera calabrese. Da poco più di un anno Fasano è pm a Nocera Inferiore (Salerno), si occupa per lo più di pubblica amministrazione e ambiente.

 

Grazia Errede
Oltre 20 anni da giudice poi è passata in Procura

Risale a pochi giorni fa l’ultima condanna ottenuta da Grazia Errede, pm di Bari che si occupa di malattie professionali e infortuni sul lavoro: due anni in primo grado a un noto medico dell’ospedale “Di Venere” accusato di assenteismo. Lasciava sguarnito il reparto e si allontanava in scooter mentre risultava in servizio. In magistratura da quasi 28 anni, Errede fino al 2014 è stata giudice civile e penale tra Bari e Lecce, dove per un anno è stata coordinatrice del Tribunale del Riesame.

 

Paola Cameran
In prima linea contro discariche e amianto

Paola Cameran, 61 anni, unico candidato del Nord-est, fa parte del Movimento per la Giustizia e della componente di Area. Da pm, a Padova, si occupò di penale del lavoro e inchieste su discariche, valvole killer e amianto. Rinviò a giudizio gli ammiragli della Marina Militare per l’amianto sulle navi. A Trieste ottenne le condanne per i morti da amianto a Monfalcone. È sostituto pg a Venezia. (G. Pietrobelli)

 

Lorenzo Lerario
Indagava su caporalato e mafia del Gargano

Sostituto procuratore generale a Bari, è entrato in magistratura nel 1987 e ha fatto in tempo a fare il pretore. È stato pm a Bari, sezione criminalità economica e poi Dda, dove si è occupato di caporalato e di mafia del Gargano. Le sue indagini hanno contribuito a ispirare alcuni libri dello scrittore Alessandro Leogrande. “Ho maturato – dice – la convinzione che la divisione in correnti sia diventato un fenomeno dannoso”.

 

Francesco De Tommasi
L’obiettivo è tagliarem compensi e immunità

Sostituto procuratore a Milano, Francesco De Tommasi nella corsa al Csm si dichiara distante da ogni tipo di “politicizzazione” della magistratura. Nel suo programma: la riduzione degli emolumenti dei consiglieri del Csm, l’abolizione dell’immunità per i consiglieri e un organo terzo per l’autoriforma del consiglio, elemento decisivo, secondo il candidato, per superare “il sistema delle correnti”.

 

Alessandro Milita

Ha processato B., Cosentino e le Ecomafie

A Napoli ha condotto con i colleghi Piscitelli, Woodcock e Vanorio il processo che ha portato alla condanna di Silvio Berlusconi per la compravendita dei senatori, poi è arrivata la prescrizione. E ha fatto condannare in primo grado a sette anni l’ex sottosegretario Pdl all’Economia, Nicola Cosentino, per concorso esterno in associazione camorristica. Milita ha indagato anche sul boss stragista Giuseppe Setola e sull’inventore delle Ecomafie, l’imprenditore Cipriano Chianese.

Gabriele Mazzotta
Tra Cecchi Gori e il mostro di Firenze

Gabriele Mazzotta, 59 anni di Lecce, è tornato un anno fa come procuratore aggiunto a Firenze, dove era già stato dal 1991 al 2010 prima come giovane pretore e poi come sostituto procuratore. A lui si devono le inchieste sul crac della Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori, sui fallimenti pilotati a Firenze ma anche sugli insabbiamenti nell’inchiesta sul mostro di Firenze. Dal 2010 al 2018 sostituto procuratore generale in Cassazione. (G. Salvini.)

 

Simona Maisto
Dal caso Orlandi ai veleni di Malagrotta

Nata a Oristano, è figlia dell’ex giudice Afro Maisto. In magistratura nel ’95, è sostituto procuratore a Roma. Si è occupata dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, ma anche di tutela ambientale (gassificatore di Malagrotta) e infortuni sul lavoro. Si candida come indipendente e nella sua lettera di presentazione promette “energia e grinta” per “contribuire a ricostruire, non solo l’immagine, ma l’istituzione della magistratura”.

Lucio Presta e il format “Matteo Renzi alla Leopolda”

“Gestisco io l’evento”. Gestisce lui, Lucio Presta, l’agente di Benigni, Bonolis e tanti altri Vip televisivi. Gestisce lui, come gestiva l’evento Pippo Baudo, solo che al posto di Sanremo c’è la Leopolda. “Matteo, tu sei una star, ti devi comportare da star”, dunque devi avere me come agente – è fattuale, direbbe Feltri – nella speranza che Beppe Caschetto sia troppo radical chic per occuparsi di Salvini. In attesa di vedere Bonolis condurre il Festival della Leopolda in diretta da Firenze, questa alleanza strategica dà già due certezze. Renzi è davvero figlio non tanto di Berlusconi, ma della deriva scellerata che, nel corso del decennio in cui B. consolidava il suo polo televisivo, ha trasformato la politica italiana in un reality-show permanente. Se B. avesse le tette, disse Biagi, avrebbe fatto anche l’annunciatrice; gli bastò scendere in politica e le tette non servirono più. Venticinque anni dopo, le ideologie sono morte, le scuole di partito roba vecchia. Per Italia Viva ci vuole “il format giusto”, come per Il Grande Fratello, e un indizio arriva dal documentario Firenze secondo me, sempre a cura della ditta Renzi-Presta. La Politica secondo me avrà probabilmente la stessa struttura: Renzi mattatore in primo piano, al centro, a destra, a sinistra, sopra e sotto, mentre ogni tanto sullo sfondo si intravede qualcosa. Nel documentario Matteo impallava Giotto, Michelangelo, Leonardo. Qui oscurerà Ettore Rosato, Davide Faraone, Maria Elena Boschi. Sta maturando.

Mail Box

 

Su Sozzani il governo si spacca: ma quali alternative ci sono?

Anche se Renzi non avesse provocato la scissione del Pd, sul voto Sozzani non sarebbe cambiato nulla perché la realtà è quella che esce dal voto segreto. Spero solo che i fautori del tanto agognato governo M5S, Pd e LeU almeno un minimo di scuse la debbano agli elettori cittadini dell’area gialloverde.

Michele Lenti

 

Il voto sull’arresto del deputato FI è ancora l’aperitivo. Mancano sempre il primo, il secondo e la frutta. Questo è il Pd, e non altro. Tempo 15 giorni e ci si ricrederà sulla bontà dell’accordo.

Stefano Strano

 

Siccome tutti gli altri partiti hanno votato come metà Pd, secondo voi quale alternativa c’è? Un monocolore 5 Stelle (senza maggioranza)? Oppure un governo con tutti i partiti che hanno salvato l’inquisito?

M. Trav.

 

Siti di confronto sui conti correnti: attendiamo le regole

Nell’articolo pubblicato da Patrizia De Rubertis, sul quotidiano del 23 settembre in tema di siti internet di confronto dei conti correnti, correttamente si riporta che il motore di ricerca ComparaConti è attualmente sospeso dato che manca ancora l’adeguamento alla nuova direttiva europea sui conti di pagamento. A riguardo, si sottolinea che le nuove regole sui siti di confronto devono ancora essere completate attraverso l’emanazione di specifiche disposizioni e decreti di attuazione da parte delle competenti Autorità.

Gianfranco Torriero, Vicedirettore generale Abi

 

Cara Greta, pensando ai figli abbiamo scordato la Natura

A Greta, icona della lotta contro l’inquinamento, e a tutti i ragazzi della sua generazione, voglio chiedere perdono per come vi abbiamo fatto trovare questa Terra. La mia generazione ha combinato parecchi guai, come anche la generazione precedente e poi la successiva. Ora sono un vecchio, che non è stato mai bambino. Non si poteva nei terribili anni 40, vissuti in una Napoli piegata da bombardamenti, miseria e fame. Non meno duro è stato il Dopoguerra. Il sogno di tutti noi “figli della guerra” era quello di dare ai nostri figli tutto ciò che non avevamo avuto noi. Pur se in buona fede, abbiamo sbagliato, non siamo stati all’altezza di gestire questo difficile passaggio generazionale. Per costruire case abbiamo cementificato i giardini delle città, deturpato le coste e sventrato le colline. Abbiamo realizzato altiforni, industrie e fabbriche ma abbiamo reso l’aria irrespirabile. E quale è stato il risultato? Abbiamo inguaiato il pianeta, abbiamo fatto sì che pochi diventassero ricchi, e abbiamo messo in ginocchio miliardi di poveri! Mi dispiace, cara Greta, se anch’io, sfruttando indiscriminatamente le risorse, ho contribuito a creare un clima e una società profondamente inquinati!

Raffaele Pisani

 

La guerra non è etica o epica, è solo una strage senza ragione

Massimo Fini ha affrontato il tema della guerra e ne illustra l’evoluzione dai tempi di Achille ai giorni d’oggi. La tecnologia militare più sofisticata fa perdere alla guerra moderna quegli aspetti epici ed etici che caratterizzavano i conflitti bellici dell’età antica e medievale, sostiene. Non riesco proprio a cogliere i “valori etici” che hanno ispirato Giulio Cesare durante la campagna delle Gallie, che è costata quasi un milione di vittime: un autentico genocidio. Così come non hanno nulla di etico le stragi e le atrocità perpetrate nel corso delle Crociate. I valori umani più nobili e autentici non vanno ricercati nella guerra, che nasce dagli istinti peggiori. Bensì nella ragione: espressione della vera natura dell’uomo, che nel corso dei secoli ha saputo guidarci verso una società civile, non più regolata dalla legge della giungla, ma fondata sul diritto, che disciplina in modo pacifico i rapporti fra le persone.

Maurizio Burattini

 

Renzi e Salvini, le due facce della stessa moneta

Renzi e Salvini sono le facce di una stessa moneta, quella che compra e vende il potere in questo Paese.

Sono gemelli: identici nella voglia di apparire, presenziare e lucrare vantaggi personali fingendo di pensare ai cittadini; diversi nella platea a cui si rivolgono e che alimenta il loro io spropositato. Uno ama le adunate popolari terra-prato, l’altro gode di legami nazionali ed internazionali dei poteri finanziari ed industriali, che lo accolgono credendolo un fine politico e intellettuale. Ma fra i due restano gli Italiani, in attesa di qualcosa di diverso, finalmente civile e veramente repubblicano e democratico.

Maria Valeria Tarpini

 

Le nuove formazioni politiche vanno al centro, ma il Paese no

Si stanno creando diverse formazioni politiche di “centro” da parte di Tosi, Parisi, Renzi… ma credo che manchi l’elettorato, che preferisce idee chiare e nette, quindi estreme. Dopo la formazione del governo M5S-Pd, si è creato un vuoto politico, con i delusi che hanno accolto con favore la politica salviniana contro immigrati e Ong, ma in disaccordo con la flat tax. Servirebbe una nuova formazione politica che sia di estrema destra per la politica migratoria e di estrema sinistra per la politica giudiziaria e che tenga in conto i bisogni di perequazione sociale ed economica.

Maurizio Pace