L’accusa di Proietti: “Il Pd non voleva candidare donne”

“Adesso posso dire la mia”. Stefania Proietti, 44 anni, dal 2016 è sindaca di Assisi e nell’ultima settimana è passata da candidata in pectore del M5S (ma non del Pd) alla Regione Umbria a incontrare Papa Francesco per organizzare “Economy of Francesco”, l’evento che tra un anno riunirà ad Assisi premi Nobel dell’Economia, ricercatori e cattolici da tutto il mondo. “Ho parlato con il Santo Padre e mi ha fatto capire che ho fatto la scelta giusta a rimanere sindaca – si emoziona Proietti di ritorno da Roma – mi ha detto: ‘Hai ancora tanto da fare’”.

Proietti, senza il veto del Pd adesso lei sarebbe in corsa per la Regione.

Sì, ma col senno di poi devo dire che mi hanno fatto un favore: avrei dovuto scegliere tra la città più bella del mondo e la Regione Umbria. Sarebbe stato bello essere la Giovanna d’Arco contro Salvini ma la mia città è più importante.

Il paradosso è che i dem la appoggiano in Comune ma poi non la vogliono alla Regione. È rimasta delusa?

No, perché sono rimasta a fare il lavoro che amo. Però il Pd con me non si è comportato bene: Zingaretti non si è mai fatto né vedere né sentire mentre il veto su di me l’ho appreso dalle dichiarazioni del commissario Walter Verini ai giornali. Non proprio un grande stile. I motivi per cui non mi sostenevano, poi, erano abbastanza assurdi.

Dicevano che era “inferiore” al candidato Andrea Fora e che non ha buoni rapporti con gli altri sindaci umbri.

La prima è un’affermazione pericolosa, soprattutto per un partito di sinistra: non candidare una donna perché “inferiore” a un uomo è una motivazione sessista che si commenta da sola. La seconda, invece, è completamente falsa: molti sindaci di centrosinistra mi hanno sostenuta fino a ieri, mentre ho buonissimi rapporti anche con quelli di centrodestra, come il sindaco di Perugia Andrea Romizi.

Allora perché il Pd non la voleva?

Sono sempre stata troppo libera per loro. Troppo poco legata a giochi di partito. Al Pd lo dissi già tre anni fa, quando decisero di sostenermi a sindaca: ‘Sono una candidata civica e sono libera da qualunque giochetto politico. Posso andare a casa anche domani mattina, ho un lavoro da docente universitaria che mi aspetta’. Probabilmente queste mie posizioni non sono piaciute.

Il M5S e Di Maio invece hanno insistito sul suo nome.

Sono stata onorata che abbiano pensato a me anche se non ero una di loro. Se un movimento che ti fa opposizione, poi ti chiede di candidarti vuol dire che in questi anni ho lavorato bene.

Si dice che lei, per sbloccare la trattativa, abbia proposto Francesca Di Maolo, che però poi ha rifiutato. Vi siete sentite?

Siamo amiche da una vita e abbiamo vissuto insieme questa vicenda. Con lo stesso esito: lei vuole continuare a occuparsi di ragazzi in difficoltà, io a fare la sindaca. La sua però sarebbe stata una candidatura eccezionale.

Sosterrà Vincenzo Bianconi, il candidato di M5S e Pd?

Certo, convintamente, perché è un grande imprenditore che ha un vantaggio rispetto alla candidata leghista: dentro di lui ha il fuoco della sua terra martoriata dal terremoto e da una ricostruzione che non è mai partita. Scriverò con lui il programma e gli darò dei suggerimenti.

Cosa gli chiederà se venisse eletto?

Lavoro, ambiente e ricostruzione delle zone terremotate. E poi un impegno per la mia città: l’Umbria non può prescindere da Assisi.

Morti sul lavoro, il governo vede le parti sociali: “Emergenza”

“La sicurezza sul lavoroè un tema decisivo. Abbiamo avviato oggi il dialogo con le forze sociali per un pacchetto di misure che affronti questa emergenza”. Lo ha scritto su Facebook il ministro della Salute, Roberto Speranza, a seguito dell’incontro sul tema “Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” con il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, Inail, Inl, Inps e i sindacati. E ribadisce: “Il lavoro è vita. Non deve mai trasformarsi in morte”. Numerosi gli argomenti da affrontare: dall’analisi dei dati alla formazione, dai piani operativi alle modifiche allo sblocca cantieri riguardo le gare al massimo ribasso. La sottosegretaria al Lavoro, Francesca Puglisi, ripercorre i numeri, agghiaccianti, delle cosiddette “morti bianche”: “Ci sono oltre 600 morti sul lavoro dall’inizio dell’anno, quasi tre al giorno. Rappresentano un tributo di vite sul quale riflettere e proprio per questo si è scelto di aprire il tavolo”. “L’obiettivo di questo governo è garantire tutele a chi lavora e contrastare le numerose morti sul lavoro”, conferma la ministra Nunzia Catalfo, che ha annunciato a stretto giro un prossimo incontro, per entrare nel vivo della fase operativa.

Umbria: mal di pancia dem e 5S per Bianconi

Il giorno dopo è quello della strategia, degli incontri e dell’organizzazione della campagna elettorale. Il turbinio di emozioni che nelle ultime ore ha travolto Vincenzo Bianconi, presidente di Federalberghi Umbria e candidato alle prossime regionali dal tandem Pd-M5S, non lo ha fatto nemmeno dormire. Il suo telefono nelle ultime ore è esploso e lui si è trovato tutto d’un tratto a scrivere il programma e comporre le liste entro sabato a mezzogiorno.

Dopo la trattativa estenuante di domenica con i proconsoli di Di Maio e Zingaretti, Andrea Liberati e Walter Verini, ieri Bianconi ha partecipato ad una serie di riunioni con associazioni e liste civiche umbre per la composizione delle liste. Oggi incontrerà M5S e Pd che lo “aiuteranno” a scrivere il programma e, si scommette, gli imporranno temi e nomi su cui puntare per fronteggiare la candidata leghista Donatella Tesei (anche se Di Maio ieri ha detto che “in caso di vittoria Bianconi avrà mani libere sulla giunta”). Oggi Bianconi dovrebbe vedere anche Andrea Fora, il presidente di Confcooperative già lanciato dal Pd e che non ha preso bene sia il veto del M5S sul suo nome sia la candidatura dell’imprenditore di Norcia. Ieri Fora ha scritto un post su Facebook molto duro in cui non ha fatto riferimento alla possibilità di sostenere Bianconi e non ha escluso l’ipotesi di uno strappo clamoroso e di una candidatura in solitaria che potrebbe mettere in seria difficoltà Pd e M5S: “Da parte mia ricevo da ore telefonate e messaggi di persone arrabbiate per come questa storia si è sviluppata e anche più di qualcuno che non è contento di come sia andata a finire. Comprendo lo sconcerto: ci sono molti elementi abbastanza incomprensibili in ciò che è accaduto nelle ultime settimane e negli ultimi giorni”.

Bianconi ha provato a placarlo definendolo “un uomo di grande valore che stimo moltissimo e che ha fatto tanto per questa regione”. Nelle prossime ore i due si incontreranno per ricucire e trovare una soluzione condivisa, magari con un ticket presidente e vice. “Fora sta riflettendo perché deve convincere anche tutto il mondo del lavoro e delle associazioni che era con lui – spiega una fonte dem – però alla fine dovrebbe sciogliere i suoi dubbi sostenendo Bianconi”.

Nel frattempo, quella di ieri è stata la giornata degli attacchi del centrodestra che il 27 ottobre proverà a riconquistare la regione dopo cinquant’anni di governi rossi. Matteo Salvini ieri ha definito l’accordo raggiunto “una roba senza vergogna, senza dignità, senza visione e senza pudore”. Un altro leghista, Borghi, dopo aver definito Bianconi “fan di Centinaio”, quando questi era ministro, ha fatto una domanda su Twitter: “Ma è vero che il Bianconi pescato a caso come candidato M5S-Pd per l’Umbria è parente di quel Bianconi di Banca Marche?”. Un nervosismo che fa pensare al timore che Bianconi possa confluire su di sé buona parte del mondo imprenditoriale, cattolico e delle associazioni umbre. Clima teso anche tra i dirigenti del M5S umbri che ieri pomeriggio si sono riuniti a Perugia: molti non sono convinti di Bianconi accusato di venire dall’area di centrodestra. Tutto rientrerà. Ormai la macchina è partita e non si può più fermare.

Pd derenzizzato, primo atto: Lotti e i suoi già battono cassa

Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, siede in prima fila. Rosy Bindi riprende il suo posto, dopo una lunga assenza nell’era renziana. L’applauso celebra la consacrazione di Paolo Gentiloni come Commissario europeo. Intanto, il vice segretario, Andrea Orlando racconta di una scissione fatta per “motivazioni personali”. E Nicola Zingaretti annuncia una “fase straordinaria”. Nella prima direzione Pd post-scissione, che si riunisce non al Nazareno, ma al Centro Congressi Cavour, spiccano le assenze di Maria Elena Boschi e Teresa Bellanova, di Ettore Rosato e Luigi Marattin. Renzi aveva l’abitudine di non partecipare, quindi il fatto che non ci sia non è una novità.

A parte qualcuno che ha particolarmente patito l’uscita dell’ex segretario (Alessia Morani, Simona Malpezzi, Alessia Rotta), l’atmosfera più che di lutto o di preoccupazione, è di svolta. La convivenza di due partiti in uno è finita. E a questo punto, chi resta deve “solo” inventarsi una formula (politica, ma pure tecnica, attraverso una legge elettorale maggioritaria) che spinga Italia Viva ai margini. D’altra parte, Goffredo Bettini ieri sul Foglio continuava a indicare la strada del futuro come la possibilità di mescolare gli elettorati Pd e Cinque Stelle. È “la vocazione maggioritaria” all’ennesima potenza. E non a caso, Romano Prodi si riavvicina.

“Questa scissione è un errore imperdonabile”, dice Lorenzo Guerini, ministro della Difesa e leader di Base Riformista (insieme a Lotti). Ma derubricato il dolore, ecco la rivendicazione: “A chi critica le correnti ricordo che se non ci fosse stata una corrente forte gli effetti sarebbero stati ben peggiori”. E poi la richiesta: “Siamo in una fase straordinaria: ritengo imprudente aprire un congresso straordinario ma occorre dare il senso che affrontiamo questa fase con strumenti straordinari. È una fase che oggettivamente cancella l’esito del congresso”. Nel suo intervento, c’è già quasi tutto: la minoranza è di fatto quasi maggioranza; chi resta nel Pd si prepara a coprire tutto lo spazio politico a disposizione, da sinistra al centro; non c’è una messa in discussione di Zingaretti, ma un ripensamento degli equilibri interni sì. Il segretario, che a garantire tutti è da sempre maestro, la mette così: “Vorrei chiarire che non c’è stato un istante nel quale ho vissuto l’ipotesi di scissione come una liberazione. Ma l’esatto opposto”. Perché “ho fatto della gestione unitaria la mia cifra”. Ora la sfida è salvaguardare quello spirito. Dice il segretario: “C’è bisogno di più e non di meno di un partito a vocazione maggioritaria”. La promessa: “Più della scissione, la nascita del governo ci pone delle domande nuove rispetto alla dinamica congressuale, chiediamo a tutte e a tutti di starci, apriamo porte e finestre”. Zingaretti rifarà la segreteria: posti per Br garantiti. Trattative in corso, fino a martedì prossimo, quando la direzione si è riaggiornata. E poi, soprattutto, c’è l’iniziativa in programma a Bologna dall’8 al 10 novembre: una specie di conferenza programmatica, a cui sta lavorando Gianni Cuperlo, il “Manifesto per gli anni 20 del nuovo secolo”, per “Un’italia più verde, giusta e competitiva”.

Non un vero congresso, ma qualcosa che gli somiglierà, favorendo i ritorni (da Bersani in giù) e gli ingressi. Piccola notazione: il verde è già uno dei cavalli di battaglia di Italia Viva.

Tocca a Orlando mettere il dito nella piaga: “Con la scissione, riverberi negativi sul governo”. E pure avvertire: “Chi è indeciso se restare, lasci gli incarichi”. Il riferimento è a chi sta sui territori. I renziani rimasti lo vedono come una minaccia. Ma la vera partita è un’altra: capire chi garantisce davvero il loro futuro, se il Pd o Italia Viva.

Su Dailymotion continua la guerra Mediaset-Vivendi

Martedì 8 ottobre si terrà la prima udienza della causa di appello promossa da Dailymotion, controllata da Vivendi, che ha impugnato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma lo scorso 15 luglio con cui Dailymotion veniva condannata a pagare 5,5 milioni di euro per l’utilizzo illecito di 995 video Mediaset coperti da diritto d’autore. Lo fa sapere Mediaset in una nota. La sentenza in questione ha concluso il primo grado della prima di sette diverse cause di Mediaset contro Dailymotion, i cui esiti si attendono a breve. “Considerando i criteri economici riconosciuti nella prima sentenza – evidenzia la nota – tali cause potrebbero dare luogo a un risarcimento complessivo superiore ai 200 milioni di euro”. La piattaforma web francese (un tempo seconda nel mondo, con sette milioni di utenti e 40 milioni di pagine viste al giorno, solo a YouTube) aveva condiviso materiale prodotto dalla rete televisiva. Il tema del “diritto d’autore” (e le susseguenti cause), è uno dei problemi del “canale”. Anche Tf1, importante tv francese, ha chiesto a Dailymotion diversi milioni di euro di indennizzo.

Salzano, l’urbanista

In un Paese di palazzinari e abusivismo, di condoni e varianti speciali, mancherà la parola indomita e garbata del sommo urbanista napoletano Edoardo Salzano (1930), spentosi domenica notte a Venezia dove viveva da 45 anni (insegnò a lungo allo IUAV).

Prima come consigliere comunale del PCI in Campidoglio e poi, tra il ’75 e l’’85, come assessore all’Urbanistica nelle giunte socialiste di Venezia, Salzano vide arrivare, e tentò di prevenire e combattere, sia le lottizzazioni che sfigurarono il volto e i contorni di Roma, sia lo spolpamento turistico di Venezia avviato con le fanfare dell’era Cacciari e mai più arrestatosi.

Fedele all’idea della città come bene comune, alla priorità assoluta del controllo pubblico della polis

sopra il vantaggio privato, non si limitò alle parole: suo il Piano particolareggiato per il centro storico di Venezia (rapidamente accantonato con le “privatizzazioni” e le “valorizzazioni” degli anni ‘90), suo il Piano paesaggistico della Sardegna, suoi mille interventi nelle grandi e piccole città d’Italia, tutti volti a creare città veramente “sostenibili”, in dialogo con i loro contesti, incentrate sulla condivisione e l’incontro dei cittadini, sulla riduzione delle diseguaglianze, sulla creazione e la difesa di una “qualità urbana” scissa dalle logiche del profitto.

Mai rassegnato e sempre fiducioso nei giovani, continuerà a parlarci, tra l’altro, dal prezioso sito eddyburg.it

. Solo poche settimane fa era a manifestare contro le Grandi Navi: un nonagenario che, nipote del generale Diaz, aveva vissuto da vicino l’attentato di via Rasella e la fallita riforma urbanistica di Fiorentino Sullo, l’autunno caldo del ‘69 e la riforma Lupi, sapeva ancora incantare decine di liceali rapiti spiegando loro il rapporto inscindibile fra Venezia e la sua Laguna.

Scontro fra titani dalla D’Urso. Salvini sfida ben cinque “vip”

Mark Caltagirone è un argomento ormai logoro, per cui domenica sera Barbara D’Urso ha deciso di invitare nel suo programma Matteo Salvini. Come passare da un personaggio mai esistito a uno che non esiste più, insomma. Matteo Salvini, dal canto suo, è in una fase di eroismo estremo e dunque, dopo aver rifiutato il confronto con Carola Rackete da Formigli perché il giovedì ha pilates, ha deciso di prendere il coraggio a quattro mani e affrontare quel temibile plotone di esecuzione formato da cinque sicari implacabili, ovvero: Asia Argento, Iva Zanicchi, Alda D’Eusanio, Alba Parietti e Idris. Della serie: come passare nel giro di due mesi dal litigare con Macron perché gli ha detto: “Non prendiamo altri migranti” al litigare con Asia Argento perché “mi hai detto mmmerda”. Lo sottolinea pure la conduttrice che, convinta di aver imbastito il confronto televisivo del secolo, una roba da far sembrare il confronto Nixon-Kennedy un falò di Temptation Island, lo presenta così: “Una cosa è confrontarsi con gli avversari politici, una cosa è confrontarsi coi vip e tu hai avuto questo coraggio!”. In effetti il contraddittorio con Idris è la cosa più temuta dai politici dopo la procedura d’infrazione, è risaputo. Sempre la conduttrice sottolinea poi come tanti vip che avevano litigato con lui sui social si siano però rifiutati di affrontarlo in tv nel suo salotto. “Non hanno avuto il coraggio”, dice. Che uno possa vergognarsi di andare in tv per chiudersi in una palla di vetro come il souvenir della Torre Eiffel sotto la neve, oltretutto tra Iva Zanicchi e Alda D’Eusanio, è un’ipotesi che non la sfiora neppure. A quel punto Salvini viene rinchiuso in un box e quella sarebbe la prima grande idea del format “Non è la D’Urso”, ma purtroppo la prigionia dura poco. La voce narrante del programma, quella che con il tono enfatico di chi sta per annunciare l’invasione della Polonia annuncia “Marco Predolin oggi ci racconta della sua ostinata costipazione!”, dichiara: “Preparate l’elmetto!”. E in effetti, quella a cui si assiste di seguito, è una battaglia di una brutalità disarmante. Asia Argento è il primo sicario. “Una volta lei mi hai detto che dovevo farmi una camomilla!”. Salvini, spalle al muro, replica: “Ma tu cosa mi avevi scritto, vuoi dirlo?”. E qui la conversazione si fa esilarante. “Io avevo scritto Salvinimmmerda”. “Ah, e perché?”. “Perché lei SBERLEFFA la festa della Liberazione e io ho un nonno partigiano! Le avevo anche mandato una commemorazione dei partigiani!”. “Ma prima o dopo Salvinimmmerda?”. “Insieme!”. E qui non si capisce cosa lei gli avesse mandato, forse un collage con la faccia di Salvini, una bandiera italiana, le pietre del Carso e una merda fumante, non lo sapremo mai. La conversazione prosegue sui massimi sistemi, con la Argento che lo definisce “bellissimo fanciullo” e l’ex ministro dell’Interno che a una battuta sulla sua pancia replica: “Omo de panza omo de sostanza”. Il pensiero “Questo era il nostro ministro dell’Interno fino a neanche due mesi fa” si fa prepotente.

Altre violente bordate gli arrivano da Alba Parietti, la quale prima gli ricorda che “a Pontida ha portato la bambina di BIBBIANA sul palco” (è l’unica rimasta a non sapere che la bambina non era di Bibbiano e per la verità pure che Bibbiana al massimo è una contea del Signore degli anelli) e poi che “L’Oemmegì hanno portato circa trecento persone con sbarchi reali!”. Il consenso di Salvini, in quel momento, tocca il 98%.

La conduttrice lancia poi delle appassionanti schede su Salvini da cui apprendiamo che gli piacciono i funghi. Una scheda, poi, è sul tema “Salvini ha reso razzisti gli italiani?”. In una palla di vetro, in rappresentanza degli immigrati, c’è Idris, che è in Italia dall’ultima invasione degli Unni, ma siccome è nero, evidentemente per gli autori del programma evoca i ragazzoni bellimbusti sbarcati con l’iPhone. Idris riesce a pronunciare mezza frase di senso compiuto, la conduttrice lo interrompe bruscamente perché ci mette troppo a formulare le domande e insomma, Salvini mica c’ha tempo da perdere. Ha ancora il contraddittorio con la Zanicchi da affrontare e poi domani ha la pulizia del viso alle nove, non è che si può ignorare la sua agenda politica con questa strafottenza. Poi dice che uno li rimanda a casa loro.

La Zanicchi è pericolosamente incalzante: dice che ai suoi tempi quelli razzisti erano i tedeschi. Asia Argento aggiunge: “Io sono una signora!” e il pubblico la fischia. Se la prende con Salvini. “Vede? Lei ha tolto la museruola a questi cani!”. Finita la trasmissione, Asia Argento e Matteo Salvini fanno un selfie insieme. Lui voleva essere a capo del Paese, lei a capo del movimento femminista, sono finiti a chiedere la parola a Barbara D’Urso. Se devo pensare a un karma peggiore mi viene in mente solo l’illusionista che rimase chiuso in un armadio Ikea.

Riace, l’accoglienza sparisce dai cartelli. Ma sbagliano santo

Da “Riace, paese dell’accoglienza” a “Benvenuti a Riace, il paese dei Santi medici e martiri Cosimo e Damiano” il passo è breve. L’importante per la nuova amministrazione comunale, a trazione leghista, è che, nel piccolo paese che si affaccia sullo Jonio, non rimanga traccia di Mimmo Lucano e del modello di accoglienza dei migranti che ha reso famosa Riace (Reggio Calabria) in tutto il mondo. Il sindaco Tonino Trifoli, simpatizzante del partito di Salvini, ha rimosso e sostituito i cartelli stradali all’ingresso del piccolo borgo calabrese. Durante l’inaugurazione, il primo cittadino ha anticipato che ce ne saranno degli altri tra gli applausi dei due sacerdoti don Giovanni Coniglio e don Giovanni Piscioneri. Neanche la presenza dei due preti, però, gli ha fatto notare che, nel cartello appena installato, il nome di San Cosma, uno dei gemelli martiri di origini arabe che avevano studiato l’arte medica in Siria, è stato italianizzato in “San Cosimo”. “Riace è una fiaba esistita che non potrà mai essere cancellata. – ha commentato l’ex sindaco Lucano – L’accoglienza e l’integrazione dei migranti è un’opera che non può conoscere rovine”.

Tav, la Francia festeggia e l’Italia non c’è

“La Lione-Torino avvicina Francia e Italia. Il nuovo governo di Roma mi ha assicurato che procederà con la massima determinazione”. Ci sono le parole trionfali del neo ministro francese Jean-Baptiste Djebbari (che quando è nato il Tav era ventenne). E quelle sarcastiche degli operai francesi che lavorano al tunnel e la sera si raccolgono davanti al pub del paesino di Saint Michel: “Quando il Tgv arriverà al confine si schianterà contro la roccia. Ogni mese cambiate idea”.

Ieri a pochi chilometri dal confine italiano è andata in scena la festa per celebrare l’arrivo della fresa Federica, ma anche su questo gli operai scherzano: “Il nome della talpa è il principale contributo italiano”. La solita rivalità Parigi-Roma che si ripete dai tempi di Coppi? Chissà. In effetti non c’è quasi niente che veda le parti d’accordo. Nemmeno i 9 chilometri di galleria: sì, ci passerà il treno, ma per ottenere i finanziamenti Ue era stata presentata come galleria geognostica. Cos’è davvero?

Alle 11 di ieri l’ultimo diaframma di roccia dura, nera come le montagne intorno è venuto giù. E fa davvero effetto veder spuntare dal cuore della montagna un volto, poi uscire gli operai. Applausi, musica, bandiere. Mario Vairano, direttore generale di Telt (Tunnel Euralpin Lyon Turin), prende la parola: “Dove siamo adesso passeranno i treni. Il tunnel sarà lungo 57 chilometri, abbiamo scavato il 18%”. O forse no, almeno a sentire l’ingegnere Alberto Poggio, membro della commissione tecnica dei comuni contrari all’opera: “C’è un tunnel per ogni senso di marcia, quindi sono 115 chilometri, più le gallerie di collegamento (circa 200, ndr). Anche contando le discenderie realizzate (7 km in Italia), non si finirà per il 2030”. “Rispetteremo le scadenze”, ripete il ministro. Poi mitiga con un “sono convinto”. Non è l’unica incognita: “I vostri cantieri sono fermi”, sibilano gli operai del versante francese: seicento tra transalpini, italiani, europei dell’Est. È vero? L’unica attività è la manutenzione del cantiere di Chiomonte. Il prossimo passo sono le gare. I francesi giurano di essere in grado di chiuderle entro la prossima estate. Gli italiani parlano di fine 2020. “Ad oggi – dice Poggio – Telt non dispone di tutti i soldi. La Francia non ha messo nulla a bilancio, l’Ue non ha pubblicato i bandi di finanziamento”.

Non c’è accordo nemmeno sull’ambiente. Ancora Djebbari: “Ogni anno al confine tra Francia e Italia transitano 3,5 milioni di camion, l’opera sarà essenziale per la sfida ecologica”. Poggio non ne è convinto: “Per realizzare il tunnel sarà emessa una quantità di anidride carbonica maggiore di quella risparmiata. E con la stessa somma si potevano realizzare opere essenziali per la mobilità urbana, una delle maggiori cause del cambiamento climatico”. Il Governo francese (a parole, perché poi stenta a toccare il portafogli) ci crede e scava. Il Governo italiano ieri non ha mandato nessuno; c’erano i componenti della Commissione parlamentare trasporti (escluso il M5S). Sono venute, però, Adele Olivero e Roberta Castellino, ‘madamine’ Sì-Tav: “Finalmente si è partiti davvero, speriamo che in Italia le imprese possano lavorare in serenità, non sotto scorta”. Si vedrà se ha ragione il ministro francese o gli operai che scavano e scavano, convinti che il tunnel non finirà mai.

Migranti, primo sì in Europa su redistribuzione e sbarchi

Riuniti a Malta, i ministri dell’Interno di Paesi dell’Ue fanno un passo avanti “concreto” e “molto importante” verso “una vera azione comune europea” sui migranti: redistribuzione dei richiedenti asilo, avvicendamento dei porti, concetti tabù fino a poche settimane or sono. Il giudizio positivo è del ministro italiano Luciana Lamorgese, all’esordio a un tavolo multilaterale.

Ci vorranno verifiche per capire se l’ottimismo è fondato, ma il clima dell’incontro è ben diverso, per esempio, da quello di Innsbruck, dove, nel luglio del 2018, esordì nel ruolo di ministro dell’Interno Matteo Salvini, che mandò all’aria l’ipotesi di riforma del Trattato di Dublino e fece comunella con gli amici sbagliati, a partire dal ministro dell’Interno austriaco Herbert Kickl, poi “licenziato”.

“Ho trovato un clima davvero positivo, perché la politica migratoria va fatta insieme agli altri Stati. Noi abbiamo sempre detto che chi arriva a Malta e in Italia arriva in Europa. E oggi questo concetto fa parte del comune sentite europeo”, spiega la Lamorgese.

Il concetto che chi sbarca in Italia, o a Malta, in Grecia, in Spagna, sbarca in Europa è, di per sé, un’ovvietà. Il problema è assumerne le conseguenze; e allargare le basi dell’intesa di Malta ad altri Paesi Ue. Difficile che l’accordo possa coinvolgere tutti i Paesi europei, vista l’indisponibilità del Gruppo di Visegrad. Possibile, invece, un numero di adesioni sufficiente per una cooperazione rafforzata prevista dai Trattati, i cui esempi maggiori, e di grande successo, sono l’euro e Schengen.

Il mini-vertice al Forte di Sant’Angelo ha riunito i ministri dell’Italia e di Malta, Michael Farrugia, di Francia, Christophe Castaner, e di Germania, Hors Seehofer, presenti il commissario europeo Dimitri Avramopoulos e il ministro finlandese Maria Ohisalo, in rappresentanza del Consiglio dell’Ue – la Finlandia esercita la presidenza di turno –.

Sono quattro i punti su cui c’è stata un’intesa, da sottoporre ora agli altri Paesi Ue, forse già prima del Vertice di Bruxelles del 17 e 18 ottobre. Si prevede la redistribuzione di tutti i richiedenti asilo e non solo di coloro che hanno già ottenuto lo statuto di rifugiato. E poi c’è la “rotazione volontaria” dei porti di sbarco, non solo quando quelli di Italia e Malta sono saturi. “E questo non era scontato”, osserva la titolare del Viminale, che, a domanda, conferma che gli accordi tra l’Italia e la Libia restano validi.

L’accordo prevede inoltre la “redistribuzione dei migranti su base obbligatoria”, secondo un sistema di quote che verrà stabilito quando si saprà quanti dei 28 ci staranno; e tempi dei ricollocamenti “molto rapidi” (quattro settimane). L’intesa non riguarda, però, gli sbarchi cosiddetti autonomi. Una volta fissata la quota da ridistribuire, i migranti saranno direttamente inseriti nella banca dati del Paese di destinazione, che si farà anche carico dei rimpatri, qualora la domanda d’asilo fosse respinta. Ci saranno sanzioni per chi non aderirà? La “linea” sarebbe quella, ma nella bozza non ve n’è traccia, anche perché, fin quando non si tratta di decisione comunitaria, non può essere cogente per chi non vi aderisce.

La Lamorgese ha parlato di “grande collaborazione” e della “volontà di procedere insieme”: “Siamo partiti con il piede giusto e ci sono novità sia per l’accoglienza sia per il salvataggio in mare”. Significativo l’abbraccio tra l’italiana e il tedesco Seehofer, che, fino alla batosta elettorale nella sua Baviera, “flirtava” con Salvini e faceva la fronda alla Merkel: ora, riapre la porta alla riforma di Dublino. Luigi Di Maio, ora ministro degli Esteri, fa i complimenti ma puntualizza: “La redistribuzione dei migranti non è la soluzione, la risposta al fenomeno migratorio è il blocco delle partenze”.