Prima di diventare un eroe dell’hacktivism, Edward Snowden era un patriota impegnato nella guerra contro il terrorismo dichiarata da George W. Bush. Per la prima volta, nella sua autobiografia “Memorie vive”, uscita il 19 settembre in Francia, l’ex analista della Nsa, spiega come ha scoperto le derive del governo americano e perché ha deciso di sacrificare il suo futuro per denunciarle. Contro di lui, il più famoso dei whisteblower – per aver rivelato i documenti confindenziali più importanti della storia degli Stati Uniti – le autorità americane, che perseguono una politica di tolleranza zero contro gli informatori, sono state spietate. Martedì scorso, mentre Snowden promuoveva il suo libro, la giustizia Usa ha aperto una procedura per violazione della clausola di riservatezza inclusa nel contratto che lo vincolava ai servizi segreti. La causa intentata dal tribunale federale di Alexandria, vicino a Washington, richiede il sequestro dei proventi generati dalla vendita del libro e dalle sue conferenze. “Non c’è migliore prova di autenticità: il governo che avvia una procedura contro di te dicendo che il libro è troppo realistico e quindi che scriverlo è contro la legge”, ha reagito su Twitter l’informatore dal suo esilio in Russia. Il libro non contiene nuove rivelazioni shock sui programmi ultrasegreti della Nsa. Rivela invece alcuni aneddoti sul funzionamento interno delle agenzie di intelligence Usa. Ma l’autobiografia è interessante per un altro motivo: ci fa conoscere meglio un giovane che niente sembrava destinare a diventare un eroe dell’hacktivism. “Mi chiamo Edward Snowden – il volume si apre così -. Prima lavoravo per il governo, oggi sono al servizio di tutti. Mi ci sono voluti 30 anni per capire la differenza, e quando l’ho colta, ho avuto qualche problemino in ufficio”. Nato nel 1983 a Elizabeth City, nella Carolina del Nord, Snowden è venuto al mondo patriota. Il padre è ingegnere della guardia costiera. I suoi antenati, dei quakers britannici, immigrarono nel Maryland nel XVII secolo. Un ramo della famiglia era talmente ricco da possedere una vasta proprietà, poi ceduta all’esercito per installarvi il Fort Meade, la sede della Nsa. La madre “è discendente diretta dei padri fondatori”, i primi americani arrivati nel 1620 per fondare la colonia di Plymouth, nel Massachusetts. Gli antenati di Snowden hanno patecipato a tutti i conflitti della storia americana, dalla guerra di indipendenza alla Seconda guerra mondiale: “La mia famiglia ha sempre risposto alla chiamata del dovere”.
Edward ha nove anni quando il padre viene trasferito nel quartier generale della guardia costiera e la famiglia si trasferisce a Crofton, nel Maryland. La madre trova un impiego presso “una compagnia assicurativa indipendente della Nsa” e trascorre gran parte del suo tempo a Fort Meade. In questo quartiere residenziale, in molti lavorano per l’esercito: “Nell’ambiente in cui sono cresciuto, nessuno parlava del suo lavoro. Spesso gli adulti non avevano il diritto di parlarne neanche in famiglia”. È il padre che lo inizia molto presto all’informatica e gli insegna le basi della programmazione. I videogiochi diventano una passione divorante. Il giovane Snowden è timido, riservato, trascorre la maggior parte del suo tempo libero a casa: “A scuola mi prendevano in giro perché portavo gli occhiali, non mi interessavo allo sport e parlavo con accento del sud”.
Snowden è un bambino prodigio, ha un QI di 140. Ma il suo percorso scolastico è caotico. A 15 anni lascia il liceo e si iscrive all’università, ma si laurea solo diversi anni dopo. Se la scuola non gli interessa, è anche perché appaga la sua sete di conoscenza su Internet. Come tutti, attraversa una crisi adolescenziale, che vive a modo suo: “Mi sono lanciato nella pirateria informatica, che, per quanto ne sappia, resta il modo più sano, ragionevole ed educativo per i giovani di rivendicare la propria autonomia e di rivolgersi agli adulti alla pari”. È solo nella sua auto quando il primo aereo dirottato da Al Qaeda si schianta contro una delle torri del World Trade Center. Il giovane, come gran parte del paese, precipita nella rabbia e nel desiderio di vendetta. Appoggia la decisione di George W. Bush di invadere l’Iraq in nome della “guerra contro il terrorismo”: “È il più grande rimpianto della mia vita”. Si arruola nell’esercito ma, durante un’esercitazione, si frattura la tibia e trova un altro modo per servire il paese: per aggirare le regole di bilancio, le agenzie d’intelligence americane ricorrono spesso a prestatori esterni che fungono da copertura. Ma per lavorare in questo tipo di strutture bisogna prendere un’abilitazione. E Snowden la ottiene con successo. Nello stesso periodo, su un sito di incontri, conosce Lindsay Mills: “La compagna e l’amore della mia vita”. Lavora allora presso la sede della Cia a Langley, in Virginia, dove trascorre notti intere a leggere rapporti classificati da tutto il mondo. A 24 anni, è inviato a Ginevra come responsabile della “gestione dell’assistenza tecnica delle operazioni della Cia”. Nel 2009, è in Giappone per integrare un servizio della Nsa, il Pacific Technical Center, con sede nella base aerea di Yokota, periferia ovest di Tokyo. All’epoca, anche se alcune informazioni cominciano a circolare nei media, Snowden non sospetta ancora che il suo paese stava portando avanti dei programmi di sorveglianza di massa in tutto il mondo. È anche il caso ad aprirgli gli occhi. Nel luglio 2009 viene reso pubblico un “Rapporto sul programma di sorveglianza del Presidente”. La versione diffusa però è stata svuotata dei contenuti sensibili. Qualche tempo dopo, una versione del rapporto, classificata “informazioni sottoposte a controllo straordinario”, arriva “per errore” sulla sua scrivania. “Solo alcune decine di persone in tutto il mondo erano autorizzate a leggerlo”, scrive. Il documento contiene “un resoconto dei programmi di sorveglianza più segreti della Nsa, la lista delle sue direttive e la presentazione della linea strategica adottata dal ministero della Giustizia per eludere la legge e violare la Costituzione Usa”, ricorda. “Dopo aver letto quel rapporto”, Snowden trascorre “settimane, forse mesi, come in trance”.
Nel 2011, torna negli Usa e inizia a lavorare per la Cia. Ma sta male, comincia ad avere delle crisi di epilessia. Nel 2012, viene inviato alle Hawaii, a Tunnel, una base della Nsa installata in una ex fabbrica aeronautica “nascosta in un campo di ananas”. È responsabile della gestione di Sharepoint, un programma di gestione interna dei documenti di Microsoft. Questo posto gli dà accesso a molte informazioni e decide di “indagare”: “Volevo sapere se il mio paese aveva messo in atto un sistema di sorveglianza di massa e, se sì, come”. Gli viene un’idea audace: sviluppa un software di nome Heartbeat, un sistema di centralizzazione dei diversi canali d’informazione della Nsa. “La quantità di informazioni che poteva aspirare era mostruosa: ha succhiato documenti da tutti i siti interni, gli aggiornamenti degli ultimi progetti di ricerca crittografica, i verbali delle riunioni del Consiglio di sicurezza nazionale – spiega -. Quasi tutti i documenti che ho poi divulgato sono stati recuperati grazie a Heartbeat”. I suoi timori si confermano: il suo Paese ha messo su, con l’aiuto dei suoi alleati, un sistema di monitoraggio di massa delle comunicazioni a livello globale. Decide che queste informazioni devono essere pubblicate e si mette alla ricerca di giornalisti che hanno già lavorato su questioni di sicurezza nazionale. Trova Laura Poitras, documentarista che lavora sulla politica estera degli Usa dall’11 settembre, e Glenn Greenwald, militante per i diritti civili e reporter al The Guardian. Prepara il trasferimento dei documenti raccolti via Heartbeat. Pur conoscendo i sistemi di sorveglianza della Nsa, vuole sapere come vengono applicati nella pratica e cosa l’agenzia riesce a sapere. “Il programma che rende possibile questo accesso è Xkeyscore. Una sorta di Google che, invece di mostrare pagine pubbliche, propone i risultati trovati nelle tue e-mail, chat, file privati”. Alle Hawaii, l’unico accesso a Xkeyscore si trova al National Threat Operations Center (Ntoc), il centro delle operazioni per la lotta contro le minacce nazionali. Risponde allora a un annuncio per lavorare come “analista alle infrastrutture” presso una società in subappalto, la “Booz Allen Hamilton”. Qui può accedere a Xkeyscore. Sarebbe stato possibile persino fare una ricerca con il nome del presidente. Dice di non averlo fatto ma “tutte le comunicazioni erano nel sistema”.
Ora che ha le prove, prepara la sua fuga. Svuota i suoi conti bancari, nasconde i contanti prelevati e formatta i suoi computer. Sceglie Hong Kong per incontrare la stampa. “In partenza per lavoro. Ti amo”, annota su un biglietto per Lindsay. A Hong Kong, però, i giornalisti non ci sono. Laura Poitras ha accettato l’incontro, ma vuole prima convincere Glenn Greenwald ad accompagnarla. Per dieci giorni, Snowden resta chiuso in albergo. I giornalisti arrivano il 2 giugno. Con loro c’è anche Ewen MacAskill del Guardian. Il resto della storia è noto. Il 5 giugno, il quotidiano britannico pubblica il primo articolo con i dettagli dei documenti di Snowden. Il 9 giugno, diffonde il video in cui spiega i motivi del suo gesto. Da quel giorno Snowden diventa un “bersaglio mobile”. Il 14 giugno, giorno del suo 30esimo compleanno, il governo Usa lo accusa di violazione dell’Espionage Act. Intorno a lui si forma un gruppo di attivisti, giornalisti, avvocati. “È a questo punto che entra in scena Sarah Harrison, giornalista ed editrice a WikiLeaks”. La sua esperienza in materia di esilio, accumulata con Julian Assange, bloccato all’ambasciata ecuadoriana a Londra, è preziosa. Parte il piano per raggiungere l’Ecuador, passando per la Russia e Cuba. Ma a Mosca, Snowden e Sarah Harrison vengono accolti da un agente dell’Fsb, gli 007 russi, che lo informa che il suo passaporto è stato annullato dagli Usa. I due trascorrono 40 giorni in aeroporto. Chiedono l’asilo a 27 paesi, invano. Il primo agosto laRussia gli concede un asilo temporaneo che da allora viene rinnovato.
Ora Snowden vive in un due stanze a Mosca, dove Lindsay Mills lo ha raggiunto tre anni fa. Si sono sposati. La vita di Snowden è quasi normale. Il gioco è valsa la candela? È certo che, da allora, in tutto il mondo, sono nati dibattiti sulle questioni legate alla privacy, alla sorveglianza e alla sicurezza informatica. Negli Usa, “le rivelazioni del 2013 hanno incendiato il Congresso e le Camere hanno creato diverse commissioni d’inchiesta per far luce sugli abusi della Nsa”. Lavori sfociati nell’Usa Freedom Act del 2015 che rivede delle disposizioni del Patriot Act. In Europa è stato adottato il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (Rgpd). Le aziende del web, colte in flagrante delitto di collaborazione con l’intelligence, hanno modificato le loro pratiche e gli strumenti di crittografia per il pubblico si sono moltiplicati. Ciò non significa che la battaglia è vinta. Lo stoccaggio dei dati personali è esploso. Per far fronte alle nuove minacce, Snowden conta sulla “nuova generazione”: “Nata dopo l’11 settembre, essa ha vissuto con lo spettro della sorveglianza. Questi giovani, che non hanno conosciuto altri mondi, ne stanno immaginando uno, ed è la loro creatività politica e il loro ingegno tecnologico che mi danno speranza”.
(traduzione Luana De Micco)