La sequenza è stata rapida, ma senza sorprese: prima è stata diffusa la bozza, poi è arrivata la comunicazione ufficiale sul fatto che gas e nucleare saranno inserite nella tassonomia Ue. Una vittoria per (quasi) tutti sul gas, per alcuni – Francia in testa – sul nucleare. Ma anche una immediata ondata di protesta alla quale l’Italia non ha preso parte, anzi. L’inclusione ha però poco a che vedere con il reale impatto ambientale, molto di più con le dinamiche geopolitiche e con la tutela delle imprese europee e degli investimenti fatti finora dai diversi Paesi. La tassonomia è green solo di facciata. Ma andiamo con ordine.
Cos’è. Quando si parla di tassonomia Ue ci si riferisce alla classificazione delle attività economiche che l’Ue considera sostenibili. Serve a dare al settore privato (ma anche, seppur più in là, al pubblico) un’interpretazione comune di investimento verde, necessaria per accedere ai fondi del Piano d’investimento del Green Deal. Con degli atti delegati si stabiliscono criteri e soglie entro cui una certa attività è considerata tale.
I progetti legati gas e nucleare, ad esempio, sono inclusi per un periodo di tempo ristretto e a patto di rispettare determinate condizioni, in primis non produrre un danno significativo agli obiettivi ambientali dell’Unione. Per il nucleare vi rientrano quindi le fasi “pre commerciali” come ricerca e sviluppo ma anche la costruzione di reattori di nuova generazione (con permesso rilasciato entro il 2045) o l’estensione dell’uso delle centrali già esistenti se autorizzata entro il 2040. Tutto, incluso il complesso smaltimento delle scorie. Per il gas, le restrizioni ammettono solo quello utilizzato per generare energia elettrica o per produrre in sistemi ad alta efficienza energia e calore o nei “distretti di tele-riscaldamento o raffreddamento” ( quindi con distribuzione di calore nelle condutture). Il limite della produzione di C02 sarà di 100 grammi per chilowattora (270 grammi fino al 2030) oppure, ed è una eccezione, meno di 550kg di CO2 per kW in media all’anno misurato su un periodo di 20 anni.
A chi conviene (e a chi no). Il testo ha generato molte opposizioni e proteste, a partire dagli Stati membri che di fatto si stanno posizionando sulla base degli interessi industriali ed energetici del proprio Paese. Ad oggi, l’Austria ha annunciato che farà causa contro la decisione pro-atomo mentre Berlino l’ha respinto esplicitamente definendolo “pericoloso” e al contempo riconoscendo di aver bisogno “del gas naturale come tecnologia ponte”. La Germania ha infatti grossi interessi nell’opporsi al nucleare: ha appena chiuso le sue ultime tre centrali segnando l’epilogo di in un processo di dismissione iniziato nel 2010 che l’ha spinta prima verso il carbone, poi verso il gas, alternativa al momento indispensabile. Eppure, quando il testo andrà al voto potrebbe semplicemente astenersi, avendo ottenuto vantaggi sul gas: se i Verdi al governo hanno fatto della lotta al nucleare una componente identitaria, i socialdemocratici – primo partito della coalizione – sono sostenitori del gasdotto Nord Stream 2. Il Lussemburgo ha invece accusato il testo di greenwashing mentre la Spagna, che è stata la più decisa nel condannare entrambe le fonti di energia, ha ribadito che gas e nucleare non possono essere considerati tecnologie verdi o sostenibili. Sulla stessa linea, Portogallo e Danimarca. Molti i anche i Paesi favorevoli: dalla Bulgaria alla Croazia, dalla Finlandia all’Ungheria, la Polonia, la Romania e Slovacchia e Slovenia: hanno reattori in funzione o hanno progettato di aumentarne la dotazione o provano ad allontanare il momento della dismissione con relativi problemi e costi. Ovviamente le critiche sono arrivate dalle associazioni ambientaliste e dall’Organizzazione dei consumatori europei. Ma pure una parte dello stesso comitato di esperti voluto da Bruxelles ha promosso una protesta per l’inclusione del nucleare.
Dopo la bozza, inviata ai diversi Stati, nei prossimi giorni dovrebbe arrivare il testo definitivo da sottoporre al voto di Consiglio e Parlamento europeo. Avranno quattro mesi per approvarlo o respingerlo. L’ultima ipotesi è possibile solo in caso di opposizione di venti esecutivi che rappresentino almeno il 65% della popolazione Ue mentre in parlamento occorre la maggioranza assoluta dell’Aula. In Parlamentola situazione è meno netta. Il gruppo dei Verdi/Alleanza Libera per l’Europa pare voglia respingere l’atto, così come il gruppo della Sinistra, mentre il gruppo maggioritario che annovera Socialisti&Democratici e Renew Europe non hanno ancora preso posizione. Tra le ipotesi c’è che gli eurodeputati votino seguendo le indicazioni dei loro Paesi e dei loro partiti.
L’italia e il nucleare In Italia le aperture più o meno velate al nucleare non si contano più. C’è un filo che ci lega alla Francia e ad oggi nulla lascia pensare che l’Italia si opporrà al nucelare. Il silenzio delle scorse settimane è un chiaro assenso e il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, prova costantemente a nascondersi dietro la narrazione del dare una possibilità alla innovazione e al nucleare di terza e quearta generazione che sarebbe più sicuro è con meno scorie.
Ma il problema è sempre lo stesso: il nucleare, oltre che già bocciato via referendum, non ha vantaggi superiori alle rinnovabili o comunque da una seria analisi di costi-benefici ne uscirebbe sconfitto. È costoso (anche più del gas rincarato), si porta dietro problemi irrisolti da decenni e non è ancora sicuro. “La società francese Edf e il governo inglese hanno chiuso un’intesa sul prezzo dell’energia nucleare, che verrà prodotta dalla centrale Epr di Hinkley Point, pari a 123 /Mwh, prezzo sterilizzato per i prossimi 35 anni” ha spiegato Angelo Bonelli dei Verdi qualche giorno fa sulla Stampa. Alcune settimane fa, l’asta sul fotovoltaico ha assegnato, in Portogallo, un prezzo record di 14,76€/Mwh. “Chi sostiene che il nucleare di oggi sia diverso da quello di Fukushima – ha continuato Bonelli – sbaglia perché la fisica di funzionamento dei reattori a fissione è sostanzialmente identica. La centrale nucleare in via di costruzione a Flamanville, in Francia, appartiene alla III generazione, i lavori sono iniziati nel 2007 e non sono ancora terminati: doveva costare 3 miliardi di euro, ha raggiunto la cifra da capogiro di 19 miliardi, tanto da indurre la Corte dei Conti francese a mettere sotto accusa la filiera”. Inutile parlare, per la transizione, di fusione: i tempi sono biblici.
Gas col trucco Sul gas siamo invece di fronte a una situazione molto strana: la tassonomia Ue, di fatto, sembra non premiare la filiera italiana tanto che Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’energia si è lagnato che “così com’è” la bozza, che premia la produzione diretta soprattutto all’elettricità invece che ai processi industriali, favorirebbe per lo più Francia e Germania. E questo nonostante i limiti della tassonomia siano – come rileva il Think Tank “Ecco” – finanche troppo permissivi con clausole di eccezione per chi non rispetti i limiti di emissione che non sono previste per partecipare al capacity market dell’energia. Sono persino più permissivi di quelli previsti dalla Banca europea degli investimenti che applica un limite di 250g CO2 per kWh senza alcuna eccezione. “Che la tassonomia offra una clausola di eccezione per nuove centrali contrariamente a quanto fatto per limiti imposti in precedenza, anche più stringenti, rappresenta un passo indietro rispetto alla direzione di sviluppo degli standard verdi necessari per il raggiungimento degli obiettivi del Green Deal” si legge. La scelta dell’Italia potrebbe essere molto più miope di quanto non appaia già ora.