Il suo volto figura in un murales a pochi passi dalla plaza de la Dignidad, che fu l’epicentro delle rivolte sociali del 2019 a Santiago: Gabriel Salazar, 85 anni, è uno dei più eminenti storici cileni, specialista della storia sociale del Paese. Militò nel Movimento della sinistra rivoluzionaria, il Mir, e fu fatto prigioniero nel 1975 sotto la dittatura di Pinochet. Lo incontriamo a La Reina, a nord-est di Santiago, pochi giorni dopo la vittoria di Gabriel Boric alle presidenziali dello scorso 19 dicembre. Anche se ha votato per il candidato della nuova sinistra cilena (eletto con il 56% dei voti), contro José Antonio Kast dell’estrema destra, Gabriel Salazar dubita della sua capacità di entrare nella storia.
Queste elezioni sono un’eccezione nella storia del Cile come lo furono quella del 1964, vinta dal democristiano Eduardo Frei, che condusse grandi riforme strutturali, e soprattutto quella del 1970, con la vittoria di Salvador Allende?
Il confronto è interessante. All’epoca si parlava molto di rivoluzione, Eduardo Frei parlava di “rivoluzione nella libertà”, e si moriva per farla, ma nessuno pensava di cambiare la Costituzione illegittima del 1925. Che contraddizione! Allende si suicidò per questo: perché il suo mandato era “costituzionale”. Quando gli operai, preoccupati per il tentato di colpo di Stato del giugno 1973, gli chiesero di governare appoggiandosi al potere del popolo, lui rifiutò. Oggi la rivoluzione non si fa dal governo, ma dalla strada. La rivolta dell’ottobre 2019, ed è questo che la rende bella, veniva dal popolo. E, ironia della sorte, il popolo oggi non parla più di rivoluzione, chiede invece di cambiare la Costituzione!
Perché è così scettico nei confronti dell’elezione di Gabriel Boric?
Che legittimità ha un presidente eletto secondo la Costituzione del 1980 che si sta modificando? La grande questione politica ed etica oggi è di sapere se l’attuale governo potrà o meno arrivare al termine del suo mandato dal momento che è in corso un processo costituente. Durante queste elezioni il processo costituente è stato totalmente ignorato. Nel suo discorso dopo il primo turno, Boric ha appena sfiorato l’argomento. Ne ha parlato brevemente anche la sera del ballottaggio. Ma cosa può fare un governo che nasce già condannato a morte? È la Convenzione costituzionale che dovrebbe governare. Boric non potrà mantenere tutte le sue promesse. Non può neanche contare sulla maggioranza in Parlamento.
Non gli si può almeno riconoscere la missione storica di garantire che il referendum per l’approvazione della nuova Costituzione vada a buon fine?
Sì, ed è molto positivo. Ma il problema di fondo resta: o Boric governa seguendo il suo programma personale, o governa facendo in modo che la Convenzione esprima la volontà del popolo. Ma nel suo discorso ha detto: “Sono il presidente di tutti i cileni”. Il che vuol dire che privilegerà una politica di dialogo tra partiti presumibilmente antagonisti, come fece Patricio Aylwin nel 1990, il primo presidente eletto dopo la dittatura di Pinochet. Ecco perché i giovani sono indignati. Boric rischia di perdere gran parte degli elettori che hanno votato per lui. Non ha un destino storico.
Eppure ha partecipato alla nascita di una nuova corrente di sinistra in Cile, conosciuta come “autonomista”…
La politica cilena, con la transizione dalla tirannia militare alla democrazia neoliberale, ha suscitato molte delusioni. Tra il 1990 e il 2000 la grande maggioranza dei giovani ha abbandonato i partiti politici: Pc e Ps, le formazioni del centrosinistra e persino il Mir, sono delusi dal sistema politico tradizionale e dalla democrazia rappresentativa elettorale. È così che nel 2006 è nata la generazione “pingüina”, con gli studenti che hanno manifestato per l’istruzione pubblica gratuita. Nel 2011 gli stessi giovani hanno partecipato al movimento studentesco. Questi giovani contestano i partiti politici e si impegnano in organizzazioni sociali e culturali, per lo più anarchiche. L’idea di rivoluzione, che fino al 1973 denotava un cambiamento profondo ottenuto attraverso un’organizzazione collettiva, è cambiata: a partire dagli anni 2000, la rivoluzione è diventata una sfida personale.
Che cosa pensa di questa generazione di trentenni che si prepara a governare?
È una generazione divisa in due. Da un lato ci sono quelli che hanno fatto carriera politica. Sono i leader studenteschi che guidavano la Fech, la Federazione degli studenti dell’Università del Cile, e hanno approfittato della notorietà acquisita per diventare deputati: Camila Vallejo, Giorgio Jackson, Karol Cariola e lo stesso Gabriel Boric. Dall’altro ci sono quelli che al Parlamento hanno preferito la strada, che si sono impegnati in movimenti di protesta locali, che sostengono l’autonomia e boicottano le urne. La cultura della protesta di strada è ancora viva. Solo così si può capire la contestazione del 18 ottobre 2019. Ma il 19 dicembre 2021 la grande maggioranza di questi giovani sono andati a votare. Se Boric non si rende conto di aver vinto anche grazie alla generazione pingüina non politicizzata, non in senso istituzionale, le cose per lui sono destinate a andare male.
Si sente ottimista sul processo costituente?
Sì e no. Sì, perché le persone sono stanche della vecchia politica: il rigetto dei partiti è passato dal 57% nel 1990 a oltre il 90% tra il 2018 e il 2020. In Cile restano molti problemi storici irrisolti, tra cui la lotta della comunità mapuche per recuperare le terre occupate, che alimenta l’esasperazione. Tra due anni si farà un bilancio dell’azione della Convenzione e credo che la gente non sarà soddisfatta. La rabbia è profonda. Ci si può aspettare una nuova esplosione sociale e a quel punto Boric si troverà di fronte ad un dilemma: far scendere o no l’esercito nelle strade? Ma i militari non avevano obbedito a Piñera nel 2019, dubito che obbediranno a Boric.
Questo aspetto rientra nel lavoro della Convenzione?
Il grosso problema di questa Convenzione è l’esercito, semplicemente perché lo ignorano. Ma l’esercito è cambiato, oggi è composto da quadri che studiano in Usa o in Francia. Le donne ne rappresentano il 17%. Dobbiamo costruire una politica dell’esercito, concepito non come un’istituzione isolata, ma con il popolo. Se Boric fosse un vero statista, spingerebbe per dare alla Convenzione almeno altri sei mesi supplementari per consegnare il suo testo. Perché se la gente non sarà soddisfatta, scenderà di nuovo nelle strade e Boric dovrà decidere se schierarsi con gli altri politici o impegnarsi con il movimento rivoluzionario.
Lei è stato un militante del Mir negli anni ‘70. Che eredità resta?
Sfortunatamente la vera storia si conosce poco. Mi unii al movimento il giorno dopo la vittoria di Allende, il 5 settembre 1970. L’ho fatto perché era un “movimento”, l’idea era agire dall’interno. A lu È così che nel 2006 è nata la generazione “pingüina”, con gli studenti che hanno manifestato per l’istruzione pubblica gratuita. Nel 2011 gli stessi giovani hanno partecipato al movimento studentesco. Questi giovani contestano i partiti politici e si impegnano in organizzazioni sociali e culturali, per lo più anarchiche. L’idea di rivoluzione, che fino al 1973 denotava un cambiamento profondo ottenuto attrano solo alcuni eroi, come Carmen Castillo. Durante la dittatura, i dirigenti venivano formati a Cuba e tornavano clandestinamente in Cile per armare i guerriglieri. È stato un fallimento. Mi ero opposto. Avevo avvertito che sarebbero morti tutti. Ma la linea militare era maggioritaria. Il Mir è ricordato come l’unica organizzazione che non è caduta nel parlamentarismo, che portò invece alla morte di Allende e della vecchia sinistra. Ecco perché oggi esistono molti piccoli Mir. Ma per i giovani è spesso associato alla sola azione di rottura e violenta, e non a un’organizzazione che stava pianificando un processo rivoluzionario. E questo è un peccato. (Traduzione di Luana De Micco)