Il “fascista di Roma” che sognava le Bahamas

“I sordi puliti valgono er doppio oh! Perchè vedi, te lo dimostra Ernesto (Diotallevi il cui patrimonio è stato attinto da una misura di prevenzione patrimoniale), fai tutto tutto, poi arrivi ad un certo punto che arriva l’operazione e ti levano tutto, tutto quello che hai fatto. Allora era meglio che c’avevi la metà de quello che c’avevi, capito?”. Fabio Gaudenzi – 42 anni, fascista, arrestato ieri per possesso di armi da guerra – aveva paura che i suoi guadagni finissero sotto sequestro. Lo dice chiaramente in una intercettazione agli atti dell’inchiesta Mafia Capitale dove era inizialmente indagato con l’accusa di aver partecipato all’associazione mafiosa capitanata dall’ex Nar Massimo Carminati. Da questa accusa Gaudenzi ne è uscito con una richiesta di archiviazione ma è stato condannato a due anni e 8 mesi per usura per aver fatto da mediatore su un prestito di 30 mila con un tasso usuraio. La vittima era Filippo Maria Macchi poi divenuto testimone spaventato del processo Mafia Capitale, quando prima di andare a deporre in aula confessò a un maresciallo tutte le proprie paure. Proprio a Macchi, Gaudenzi si rivolge quando deve cercare finanziatori per un suo nuovo progetto, come ricostruito dalle carte dell’inchiesta romana.

Nel 2014 infatti era uscito di prigione – è scritto nelle carte – dopo la detenzione subita per un omicidio commesso durante una rapina alla Banca Commerciale Italiana nel 1994, in cui persero la vita a seguito di conflitto a fuoco il rapinatore Di Scala Elio, detto ‘Kapplerino’ e la guardia giurata Tortorella Alfonso. Gaudenzi rimase ferito. Una volta fuori riprende a frequentare gli amici di un tempo: Carminati e l’uomo ritenuto il suo braccio destro, Riccardo Brugia. Lo dimostrazione, come ricostruiscono gli inquirenti, i pedinamenti e le intercettazioni che “rivelavano i nuovi interessi del Gaudenzi che, pur essendo invalido ed ufficialmente privo di attività di lavoro, disponeva di proprietà immobiliari in Brasile ed intendeva realizzare un complesso residenziale (un villaggio turistico, comprensivo di unità abitative di lusso, ristorante e uno stabilimento balneare) alle Bahamas”. Tra le intercettazioni agli atti ce n’è una del 29 aprile 2014 quando con Macchi nomina Fabrizio Piscitelli – l’ultras della Lazio freddato da un colpo di pistola ad agosto – di cui si dice “molto amico” e parla anche di Opposta Fazione, un gruppo di tifoseria romanista “collocato nell’aria di estrema destra”. Parlando di alcune persone dice: “È tutto… il nostro gruppo diciamo dell’Opposta Fazione, io ne ho reclutata tanta di gente, cioè portare quelli della politica dentro lo stadio, per da lì creare il gruppo e che durante la settimana si occupava di alcune cose e poi la domenica di altre, tanto per non farsi mancare nulla”.

“So chi ha ucciso Diabolik”. Parla l’amico di Carminati

L’arresto è arrivato dopo che i vicini di casa, avendo sentito esplodere dei colpi di pistola nella sua casa, hanno chiamato la Polizia: Fabio Gaudenzi da ieri è nel carcere romano di Rebibbia con l’accusa di possesso di arma da fuoco, una mitraglietta e una revolver 357. Quel che dovranno scoprire gli investigatori della squadra mobile di Roma, guidati da Luigi Silipo, è se davvero – come ha dichiarato su Facebook prima di farsi arrestare – Gaudenzi conosce i mandanti dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, capo della tifoseria laziale, noto come Diabolik, ucciso il 7 agosto. Di certo, l’uomo un motivo per farsi arrestare deve averlo. Se voleva denunciare i mandanti dell’omicidio di Diabolik poteva contattare direttamente la Questura. Invece ha fatto due scelte: farsi arrestare e lanciare messaggi. Una lunga militanza nell’estrema destra capitolina e l’antica amicizia con Massimo Carminati, condannato in appello con l’accusa d’essere il capo di “Mafia Capitale”. Nella stessa indagine era finito anche Gaudenzi: è stato condannato per usura con il rito abbreviato.

 

“Sono in un gruppo di estrema destra”

“Mi chiamo Fabio Gaudenzi – dice nel video pubblicato ieri su Facebook – sono nato a Roma il 3 marzo 1972. Appartengo dal 1992 a un gruppo elitario di estrema destra denominato ‘I fascisti di Roma Nord’, con a capo Carminati. E ora vi do la lista: Fabio Gaudenzi, Fabrizio Piscitelli, Luca Caroccia, Fabrizio Caroccia, Elio Di Scala, Maurizio Boccacci, Brugia Riccardo e Massimo Carminati. (…) Carminati la mafia fa schifo, la droga fa schifo e anche a me fa schifo (…). Mi sto consegnando al Questore di Roma e parlerò del mandante dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli e di tanto altro, ma solo con il dottor Gratteri (procuratore capo di Catanzaro, ndr). Perché questa è la mafia vera, e non quella del 2014. Grazie e a presto”. Presto quindi sarà sentito dalla Dda di Roma che sta indagando sull’omicidio di Piscitelli e solo dopo gli investigatori valuteranno l’attendibilità delle sue parole e se davvero è a conoscenza di elementi utili per l’inchiesta.

 

“Avete tre mesi per lasciare Roma o morirete con i vostri cari”

Ma c’è anche un secondo messaggio, secondo il sito fanpage.it, che sostiene di averne visionato il contenuto, in cui Gaudenzi consegna altri messaggi che paiono vere e proprie minacce. “Faremo di tutto per vendicarti Fabrizio, sto consegnando al diavolo una lista di nomi di donne, uomini, giovani, vecchi, che in 30 anni hanno pensato bene di comportarsi da merde nei nostri confronti, partendo da quell’infame di vecchia che sta sull’Ardeatina, o come Claudio Oggiaro, Filippo Maria Marchi e tanti altri, tra cui il maresciallo della caserma de Le Rughe, Bartolomeo Laudando (…). Avete tutti tre mesi di tempo per lasciare la nostra città, dopodiché il diavolo vi verrà a cercare, e se sarete a Roma, non morirete solo voi, ma anche i vostri cari…”.

Spread in calo a 166 punti, gli interessi giù per 800 milioni

Una giornata positiva: ieri lo spread tra Btp e Bund ha aperto a 169 punti base – in lieve calo rispetto ai 170 della chiusura di venerdì 30 agosto – e poi ha continuato in discesa durante la mattinata, chiudendo la giornata a quota 166. Chiusura in rialzo, invece, per Piazza Affari. L’indice Ftse Mib ha guadagnato lo 0,61% a 21.451 punti. Bankitalia ha fatto sapere che ad agosto il calo dello spread e la conseguente discesa dei rendimenti dei titoli di Stato ha fatto scendere ancora il Rendistato, ovvero il tasso medio dei titoli pubblici a reddito fisso, che si attesta all’1,003%. A luglio il valore era pari all’1,152% mentre a febbraio aveva superato – dopo diversi anni – il 2%.

Grazie al miglioramento dello spread “gli interessi sui titoli di Stato presentano una diminuzione di circa 800 milioni”, ha invece sottolineato una nota del ministero dell’Economia che, però, ha anche comunicato che ad agosto il saldo del settore statale si è chiuso, in via provvisoria, con un fabbisogno di 2.200 milioni, con un peggioramento di circa 3.400 milioni rispetto al corrispondente mese dello scorso anno (+1.206 milioni).

“Io, navigator e dirigente Pd, vittima di De Luca”

Sulla vicenda dei 471 navigator vincitori di selezione che la Regione Campania si rifiuta di far assumere, il Pd da che parte sta? Difende i diritti del lavoro e dei lavoratori, o i limiti caratteriali del suo governatore in Campania, Vincenzo De Luca”? È la sintesi delle proteste che un ragazzo di 28 anni, Gennaro Quaranta, nella sua duplice veste di dirigente nazionale dei Giovani Democratici e di navigator rimasto a spasso, rivolge in una lettera a Nicola Zingaretti e in un colloquio con il Fatto. E Zingaretti, a sua volta, ha due parti in questa commedia che per i navigator disoccupati campani ha il sapore della farsa: quella di segretario dei dem, il partito di De Luca che l’anno prossimo punta al bis, e di governatore del Lazio, “Regione che, come tutte le altre a eccezione del Trentino che è autonoma e non ha aderito – ricorda Quaranta – ha assunto i navigator applicando una legge dello Stato”.

La storia è nota: la Regione Campania non vuole firmare la convenzione con Anpal Servizi, senza la quale i 471 navigator campani, fabbisogno calcolato al tavolo della conferenza Stato-Regioni, non possono essere assunti e dare il via alla fase due della legge sul reddito di cittadinanza. Il rifiuto, a sentire De Luca, si inserisce nella sua lotta al lavoro precario: l’Anpal è già infarcita di dipendenti a tempo determinato da stabilizzare e i contratti di 21 mesi destinati ai navigator rappresenterebbero una nuova sacca di precariato. Nei giorni scorsi cinque vincitori hanno alzato il livello della protesta, iniziando un presidio davanti a Santa Lucia e uno sciopero della fame interrotto dopo che due di loro hanno avuto un malore. Secondo uno degli scioperanti, il 58enne Carlo Del Gaudio, la risoluzione della vertenza campana “dovrebbe diventare uno dei punti dell’accordo del nascente governo Pd-Cinque Stelle”. I cinque hanno rivolto un appello a Conte. E ora c’è la lettera a Zingaretti, che su questo governo ci sta mettendo la faccia. L’ha scritta uno dei 471, Gennaro Quaranta. Fa parte della direzione nazionale dei Gd e si è fatto largo nella vita studiando fino a laurearsi in Management strategico e “lavorando sin da quando avevo 16 anni, facendo d’estate l’operaio in aziende conserviere e andando ad Amsterdam per una startup: “Ho esperienze nell’associazionismo universitario, in Cgil, ora mi occupo di consulenze nel settore degli investimenti industriali”. Quaranta dà ragione a chi sostiene che i navigator campani siano vittime della guerra che si stanno combattendo De Luca e Di Maio nelle vesti di presidente campano e ministro del Lavoro. “Io credo che il punto sia proprio questo, solo che non dovrebbero combatterla sulla nostra pelle e contro una legge dello Stato”. Possibile che i dem napoletani non riescono a dialogare con De Luca? “Il Pd locale non è forte e radicato. Noi abbiamo provato a interloquire coi consiglieri regionali, ma nessuno prende posizione. Stanno tutti con De Luca, l’anno prossimo si vota… Mi chiedo: se persino il Pd nazionale è riuscito a sedersi a un tavolo coi Cinque Stelle, possibile che nessuno riesca a sedersi a un tavolo con De Luca, a convincerlo a riceverci”? Lei come lo spiega? “De Luca è un bravo amministratore, ma ha limiti caratteriali… (ride, ndr). Ecco perché ho scritto a Zingaretti, sollecitandolo a intervenire e ricordando che i governatori dem hanno assunto ovunque i navigator”. Oggi il presidio a Santa Lucia ricomincia. Con l’appoggio morale di Giuseppe Provenzano, responsabile nazionale dem del lavoro: “De Luca firmi, i navigator hanno maturato un diritto che deve essere riconosciuto. Punto”.

Lo Sport dopo Giorgetti: in ballo l’impero Coni (e gli omaggi vip)

La tribuna dello stadio Olimpico, disertata da Malagò&C. da quando Sport e Salute (la nuova società governativa creata da Giorgetti per gestire l’intero settore) ha ridotto all’osso il prezioso carnet di biglietti omaggio in dotazione al Coni, è diventato il luogo fisico dello scontro. Quelle poltroncine vuote durante il derby della Capitale sono il simbolo del cambiamento innescato dalla riforma dello sport. E in qualche modo finiscono persino nella trattativa di governo.

Nella spartizione delle poltrone del nuovo esecutivo Pd-M5S (Rousseau permettendo) c’è anche lo sport. Non poteva essere la priorità fra i due partiti, alle prese con nodi più spinosi, dai vicepremier ai dicasteri pesanti, tanto che la questione non è ancora stata esplicitamente sollevata. Eppure intorno a questa delega minore si muove un mondo di interessi e consensi.

Giancarlo Giorgetti, sottosegretario uscente, lo aveva capito bene. Appena arrivato a Palazzo Chigi l’aveva pretesa per sé, mettendo a tacere le timide rimostranze del M5S, e nell’ultimo anno l’ha utilizzata ampiamente. La riforma Coni con la creazione di Sport e Salute (dove ha piazzato il manager Rocco Sabelli), gli impianti di Sport e periferie, la giustizia del calcio, l’enorme legge delega sui temi più disparati, ecc. Senza di lui tanto può essere rimesso in discussione.

Il momento è delicato: la riforma ha cambiato l’intero sistema sportivo italiano, col Coni ridimensionato solo alla preparazione olimpica e tutto il resto (dal sociale alla scuola, passando per il finanziamento delle Federazioni) lasciato all’esecutivo. Ma ora va portata a regime. Ci sono i decreti attuativi da scrivere per definire le nuove competenze, ma ci sono anche tante resistenze interne, a cui si aggiungono quelle del Cio che è sceso in soccorso dell’amico Malagò minacciando addirittura di sospendere l’Italia per “ingerenze politiche”. Senza dimenticare i Giochi invernali di Milano-Cortina 2026, affare da oltre un miliardo, con la scelta imminente dei manager che li gestiranno.

La strada che prenderà lo sport italiano dipende anche da chi avrà la delega. Pd o M5S? Un ministro vero (difficile) o un sottosegretario (più probabile)? Non è un mistero che il M5S, pur avendo subito l’iperattivismo di Giorgetti, abbia sposato la sua linea. Così come invece sono noti i rapporti privilegiati di buona parte del Pd (in particolare quella renziana) con Malagò, che sarebbe felicissimo di ritrovare un dem a Palazzo Chigi e ha già riallacciato i contatti con i vecchi amici. Detto che qualche aggiustamento andrà fatto per forza (anche per evitare guai col Cio), con lo sport al Movimento i principi fondamentali verrebbero confermati: non a caso Alessandro Di Battista in uno dei suoi ultimi post ha rilanciato proprio “la riforma dello sport per togliere potere clientelare a Malagò”. Viceversa, c’è chi teme – o spera, questione di punti di vista – che col Pd sarebbe smontata: di sicuro il Coni avrebbe una sponda importante, mentre Sabelli si ritroverebbe a Sport e Salute senza copertura politica (e potrebbe addirittura meditare un passo indietro).

Bisogna pure trovare il giusto profilo. Se fosse un 5 stelle, la soluzione naturale sarebbe Simone Valente: già sottosegretario ai Rapporti col Parlamento, segue la materia da anni. Nel Pd circolano i nomi di diverse donne, tra cui Paola De Micheli o la responsabile sport Daniela Sbrollini (o l’orlandiano Andrea Martella). Occhio però alla terza via, per non scontentare nessuno.

Il pallino ce l’ha Conte. Nelle ultime ore la soluzione più probabile è che resti nelle mani del sottosegretario principale alla Presidenza del Consiglio o di un altro sottosegretario ad hoc (come era ad esempio Vincenzo Spadafora: anche lui, 5 stelle con buone entrature a sinistra, stavolta corre per il ruolo di Giorgetti). L’attesa rischia di allungarsi visto che nella lista con cui il premier scioglierà la riserva dovrebbero esserci solo ministri e non pure i sottosegretari. In palio c’è il controllo dello sport italiano. E pure un bel pacco di biglietti omaggio.

De Gregorio denuncia B. alla Procura e scrive alla Consob

“Silvio Berlusconi era proprietario ed editore di fatto del quotidiano L’Avanti!, l’organo di stampa della Cooperativa International Press scarl di Valter Lavitola. In questo ruolo, laddove accertato dalla magistratura, non avrebbe potuto detenere concessioni televisive fin dalla metà del 1998”. È quanto sostiene l’ex senatore Sergio De Gregorio, già socio fondatore del Pdl e condannato per la compravendita dei parlamentari di B., in un esposto-denuncia presentato alla Procura della Repubblica di Roma. Scrive De Gregorio: “A più riprese Valter Lavitola ha confermato di essere un dipendente di Berlusconi e di aver ricevuto cospicue sponsorizzazioni da parte del suo dominus. Ritengo che lo stesso Berlusconi avrebbe dovuto rispondere della bancarotta fraudolenta del quotidiano, reato per il quale Lavitola sta attualmente scontando gli arresti domiciliari”. L’ex senatore ha anche documentato i fatti inviando una memoria dettagliata a Paolo Savona, presidente di Consob, cui la stessa Mediaset ha di recente indirizzato un esposto contro presunti “sabotaggi” della maxi-fusione transnazionale oggetto dell’assemblea degli azionisti della società, prevista per domani, mercoledì 4 settembre.

Riace, la maggioranza che ha battuto Lucano perde un consigliere

C’è aria di bufera al Consiglio comunale di Riace (Reggio Calabria). Il segretario locale della Lega Claudio Falchi ha presentato le dimissioni da consigliere della maggioranza guidata da Tonino Trifoli, il sindaco simpatizzante del partito di Salvini che ha vinto le elezioni dello scorso maggio. Il presidente dell’assemblea cittadina Claudia Rullo ha convocato per domani pomeriggio i consiglieri in sessione straordinaria e urgente per discutere della “surroga del consigliere dimissionario Claudio Falchi”. È stato quest’ultimo ad aprire la sezione della Lega a Riace e a impostare la campagna elettorale delle ultime comunali puntando il dito contro l’ex sindaco Mimmo Lucano coinvolto nell’inchiesta giudiziaria sulla gestione dell’accoglienza dei migranti.

“Falchi si sta dimettendo per motivi familiari. – ha dichiarato il sindaco Trifoli –. Non ci sono motivi importanti”. In paese, invece, si rincorrono voci che dietro le dimissioni ci siano ragioni più serie che avrebbero provocato malumori all’interno dell’amministrazione Trifoli. E c’è chi dice che oltre al segretario locale della Lega ci sia un secondo consigliere di maggioranza pronto a seguirlo.

Ferlenghi, il manager vicino ai russi che unisce la Lega al colosso italiano

C’è un personaggio che resta misterioso nella vicenda russa dei negoziati sulle presunte tangenti alla Lega: Ernesto Ferlenghi, dirigente dell’Eni, che guida Confindustria Russia e anche il Foro di dialogo italo-russo su imprese e sanzioni, nominato in quel posto da Palazzo Chigi con la doppia raccomandazione di Claudio D’Amico e Gianluca Savoini, i due uomini di collegamento tra la Lega salviniana e Mosca.

Ferlenghi era alla cena nel ristorante Ruski la sera del 17 ottobre, prima del famoso incontro al Metropol tra Savoini e gli emissari russi che discutono di presunte tangenti che avrebbero dovuto riguardare un contratto petrolifero intermediato dall’Eni (l’azienda smentisce tutto). Lo ha confermato lo stesso Ferlenghi in risposta a un articolo del Fatto di luglio, quando si è limitato a precisare di non aver partecipato all’incontro del Metropol. Sempre il 17 ottobre aveva anche presieduto l’assemblea annuale di Confindustria Russia.

Il 20 luglio 2018, dopo un’altra visita di Salvini in Russia, Libero pubblica un’intervista a Ferlenghi. La firma Savoini in persona, un lungo encomio alla “coerenza” di Salvini e al suo approccio illuminato al tema delle sanzioni contro la Russia, sottolineato dagli “interlocutori politici e del mondo del business” russi. Se lo dice Ferlenghi, c’è da crederci. Perché questo 51enne romano non è un semplice dirigente Eni, ma ha entrature tali a Mosca che lo rendono indispensabile per chi vuole accedere alla cerchia petrolifera di Vladimir Putin.

Nel 2014 se ne va da Eni. Secondo l’azienda si tratta di una “risoluzione consensuale” per permettere al manager di “cogliere opportunità professionali maggiormente diversificate, continuando a collaborare con la società come consulente esterno”. Nel marzo del 2014, l’Unione europea e gli Stati Uniti avevano varato le prime sanzioni contro la Russia per l’annessione della Crimea. Gli strettissimi contatti di Ferlenghi con personaggi ora radioattivi, tipo Igor Sechin, capo del gigante petrolifero Rosneft, rischiano di diventare il genere di problema che diplomazia e servizi di intelligence preferiscono prevenire.

L’allora amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, trasforma quindi il contratto di Ferlenghi per tenere il manager agganciato all’azienda ma senza che questa risulti del tutto responsabile delle sue attività russe. In quella fase Ferlenghi era anche indagato per corruzione dalla Procura di Milano, un’inchiesta che riguardava il sospetto di mazzette per 23 milioni di euro pagate per sfruttare il giacimento del Kashagan, in Kazakhstan. Mario Reali, il predecessore di Ferlenghi alla guida dell’Eni in Russia, aveva denunciato nel 2006 alla Procura di Roma: “Ferlenghi mi riferì con abbondanza di dettagli tecnici e finanziari le operazioni che erano state eseguite negli ultimi tempi dai funzionari Eni e da un operatore italiano[…]. Mi disse che società fornitrici di macchinari e impianti alle quali venivano fatte vincere le gare pagavano tangenti poi destinate in gran parte alle autorità del Kazakistan e in parte a funzionari Eni e altri”.

La Procura di Milano chiede l’archiviazione per gli indagati nel gennaio 2017. E a settembre Ferlenghi viene riassunto in Eni come dirigente dell’area business gas, “a fronte della necessità di consolidare il presidio di un’area strategica per il business e delle mutate prospettive personali”. In azienda molti restano stupiti della decisione: perché l’ad Claudio Descalzi vuole di nuovo al suo fianco un uomo legato alla gestione precedente, quella di Scaroni? I suoi rapporti con Sechin di Rosneft sono sempre preziosi, anche se di grandi affari non se ne fanno, ma Eni resiste alla pressione internazionale per rompere la joint venture con Rosneft nel Mar Nero.

Descalzi viene riconfermato dal governo Gentiloni nel marzo del 2017. Il manager, anche se imputato a Milano per corruzione internazionale in Nigeria, punta da subito al terzo mandato nel 2020. La riassunzione di Ferlenghi, chissà se per buona sorte o raffinata strategia, si rivelerà un utile tassello del tentativo (riuscito) di Descalzi di costruire rapporti con quello che già a fine 2017 si annuncia un protagonista nella nuova legislatura: Matteo Salvini, che Descalzi coltiverà in mille modi, dalle assunzioni di giovani al posto dei pensionati con Quota 100 al sostegno alla diplomazia libica dell’ormai ex ministro dell’Interno. Chissà se ora, con il governo giallo-rosso alle porte, avere Ferlenghi in azienda si rivelerà un punto di forza o di debolezza, in vista delle nomine dei vertici Eni a marzo 2020.

La giunta del Senato pronta a convocare il pluri-indagato Siri

“Anche in caso di scioglimento delle Camere, qualora non ci fosse la fiducia al governo, sul caso di Armando Siri daremo comunque una risposta ai magistrati. Cominceremo ad affrontare la questione già la prossima settimana”. Parola di Maurizio Gasparri, senatore forzista e presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato. È qui infatti che si discuterà la richiesta di autorizzazione della Procura di Milano per sequestrare due pc in uso a Siri, sottosegretario leghista alle Infrastrutture e ai Trasporti fino all’8 maggio scorso quando ne era stata decisa la rimozione data la gravità delle contestazioni giudiziarie mosse all’esponente politico vicinissimo a Matteo Salvini.

Chi lo accusava era la Procura di Roma dove è ancora indagato per corruzione con l’accusa di aver promosso provvedimenti per favorire l’imprenditore Paolo Arata in cambio di 30 mila euro, dati o promessi. L’inchiesta è ancora in corso. Poco dopo una stangata anche da Milano che lo ha iscritto nel registro degli indagati per autoriciclaggio: al centro dell’inchiesta, un mutuo concesso senza garanzie dalla Banca Agricola Commerciale di San Marino utilizzato per l’acquisto di una casa a Bresso intestata alla figlia.

Sono proprio i pm meneghini infatti ad aver chiesto alla Giunta per le autorizzazioni a procedere di sequestrare due pc che sarebbero stati utilizzati da Siri. Così l’ex sottosegretario, il 30 agosto scorso, ha inviato una memoria e ha chiesto di essere sentito.

Dopo la decisione della Giunta, quindi, si potrà dare un’accelerata alle indagini della Procura di Milano dove con Siri è indagato anche colui che era il capo della sua segreteria, Luca Perini: per i pm Gaetano Ruta e Sergio Spadaro i due in concorso tra loro “avendo partecipato alla commissione dei delitti di appropriazione indebita e amministrazione infedele in relazione alle somme di 748.205 indebitamente corrisposte il 28 novembre 2018 a titolo di finanziamento da Banca Agricola Commerciale di San Marino, impiegavano tale denaro per l’acquisto di immobili da concedere in locazione” a Bresso. Secondo il capo di imputazione, per il pagamento avrebbero utilizzato due assegni “emessi il 31 gennaio 2019 dalla Banca Popolare di Sondrio tratti su un conto dedicato del notaio rogante”, intestando poi la proprietà dell’immobile alla figlia di Siri.

Queste le accuse (sempre respinte da Siri) dei pm di Milano convinti che il finanziamento sia stato concesso dall’istituto bancario sammarinese a condizioni “di particolare favore”, come la mancanza di garanzie personali e reali sull’immobile acquistato.

Per i magistrati, prove potrebbero essere contenute nella memoria dei pc trovati nell’ufficio di Milano dell’associazione Spazio Spin di cui Siri è socio fondatore. Computer in uso al senatore: la Procura per accedervi e vedere se contengano documenti relativi ai finanziamenti ha dunque bisogno dell’autorizzazione della Giunta.

Così la parola passa ai colleghi dell’ex sottosegretario. E non ci sarà crisi che tenga: per Maurizio Gasparri la decisione sulla richiesta dei magistrati è un atto dovuto.

“Anche qualora dovessero sciogliere le Camere – ha spiegato il presidente della Giunta al Fatto – verrà convocata lo stesso una conferenza dei capigruppo per stabilire il calendario dei lavori della Giunta dove il caso verrà discusso e deciso”.

“Salvini al tavolo con Descalzi e l’uomo chiave del Russiagate”

La compravendita di gasolio per 1,5 miliardi. I milioni di dollari, 65, che, scontati dal prezzo totale, dovevano finire nelle casse della Lega per finanziare le ultime elezioni europee. Il caffè dell’hotel Metropol per pianificare tutto. Gianluca Savoini, sherpa di Matteo Salvini per gli affari russi, nonché presidente dell’associazione Lombardia-Russia. E poi Gianluca Meranda conosciuto avvocato d’affari nel settore dell’oil and gas. Francesco Vannucci, detto “nonno Francesco”, ex politico toscano prima della Margherita e poi del Pd, anche lui al Metropol con il ruolo di consulente bancario. Il tutto fissato in un audio il cui autore al momento resta sconosciuto. Eccolo il Russiagate che ha scosso molte delle certezze dell’ormai ex ministro dell’Interno. Ultimo tassello di questa complicata vicenda: l’Eni. Il colosso petrolifero italiano viene tirato in ballo come acquirente finale della commessa di gasolio. La società del cane a sei zampe ha sempre negato un ruolo nella trattativa e del resto, al momento, non risulta coinvolta penalmente, a differenza del “triumvirato” Savoini, Meranda, Vannucci indagati dalla Procura di Milano per corruzione internazionale.

Fino a qui il noto. Al quale va aggiunto il ruolo di Meranda come presunto collegamento con Eni. Eppure, da quanto ricostruito dal Fatto, non è solo l’avvocato d’affari a vantare presunte entrature in Eni attraverso una lettera di referenza commerciale datata 2017. Oltre a lui, come ci spiega una fonte politica molto qualificata, c’è anche lo stesso Savoini, il quale è presente ad almeno un tavolo con i vertici di Eni e in particolare con l’amministratore delegato Claudio Descalzi. Con lui c’è anche Matteo Salvini. Una novità assoluta, pur al momento senza rilievo penale. L’incontro, ci viene spiegato, avviene quattro mesi fa. In quel periodo nessuno sa dell’inchiesta. Del caffè del Metropol avvenuto il 18 ottobre 2018 si è invece letto su un articolo dell’Espresso del 22 febbraio. Si sa, dunque, di una presunta compravendita per veicolare fondi neri nelle casse della Lega. Nessuno sa però dell’audio registrato che sarà poi pubblicato dal sito americano Buzzfeed un giorno prima che l’agenzia Agi sveli l’esistenza dell’indagine della Procura di Milano. Qui però siamo già a metà luglio. Torniamo in primavera. A quanto sostiene la fonte, l’incontro ruotò attorno a temi generali e di programmazione per il settore strategico dell’oil and gas. Quale poi sia stato il contenuto specifico di quel tavolo non è dato sapere. Di certo avviene dopo il Metropol e quasi a ridosso delle elezioni europee, poi stravinte dalla Lega. Del resto lo stesso capo del Carroccio non ha mai fatto mistero di apprezzare l’attuale amministratore delegato, oggi sotto processo a Milano per la presunta maxi-tangente da 1,1 miliardi dollari versata per lo sfruttamento del giacimento petrolifero Opl 245. Dal canto suo Eni smentisce che “Claudio Descalzi abbia mai avuto incontri con il Signor Savoini, né in Eni né altrove. L’Ad di Eni, peraltro, non ha mai incontrato Matteo Salvini in Eni, la notizia è falsa”.

I rapporti con Eni, secondo la fonte, non erano quindi solo un’esclusiva di Meranda che nel febbraio scorso allegherà la lettera di referenze a una proposta di vendita (in tutto simile a quella dibattuta al Metropol) da inviare a Gazprom su indicazioni dello stesso Savoini. Il presidente dell’associazione Lombardia-Russia, grazie a Salvini ottiene entrature importanti. Ma, ci spiega la fonte, il rapporto tra i due è reciproco. Così il Capitano sfrutta i contatti politici di Savoini a Mosca. Un legame con il governo di Putin che Savoini ha iniziato a costruire grazie alla moglie, originaria di San Pietroburgo e attiva professionalmente nel settore energetico. Inoltre, secondo una recente inchiesta condotta sempre da Buzzfeed, nel solo 2018 Savoini è volato a Mosca ben 14 volte. Ecco allora la seconda novità assoluta: i caffè del sabato mattina a Milano. Seduti al tavolo Matteo Salvini e Gianluca Savoini. Incontri riservati. Solo loro due, nessun altro.

Caffè, brioche e chiacchiere fitte. Appuntamento fisso, dunque, ancor di più da non perdere dopo che Salvini si è preso la Lega ed è diventato il “capitano” del Viminale. Non solo Milano. Anche Roma. Qui Savoini ci passa tre volte al mese circa. E anche qui incontra l’amico Salvini. È sempre la fonte politica che ci illustra la scena: a quei tavoli si parlava di Russia. Di più: Savoini ogni volta che rientrava da Mosca riferiva a Salvini di incontri, rapporti e notizie di rilievo politico. E ha continuato a farlo anche a ridosso del vertice all’hotel Metropol del 18 ottobre 2018. In quella data viene spiegato il piano per triangolare i 65 milioni sulla Lega. Il progetto, si comprende dall’audio è, però, iniziato prima del 18 ottobre con un incontro a Roma ed è proseguito fino ad almeno il febbraio scorso con proposte di vendita fatte arrivare ai colossi russi Gazprom e Rosneft, passando per una banca d’affari londinese per la quale Meranda lavorava. È chiaro, quindi, che in questo scenario i caffè del sabato tra Salvini e Savoini diventano importanti se pur al momento senza alcun rilievo penale. Sappiamo, per come ci viene spiegato dalla fonte, che Savoini riferiva all’ex ministro dei viaggi in Russia. Non sappiamo, naturalmente, se a quei tavoli si parlò mai dei 65 milioni di dollari.