Noi eravamo, fin dalle prime ore dell’alba, in prima fila per assistere all’importante dibattito, ma poi Carlo Cottarelli ha annullato la sua presenza – niente Festa dell’Unità di Milano – e siamo andati a casa con la morte nel cuore. La sofferenza causata al pubblico dall’economista, però, è nulla rispetto a quanto s’offre lui per il destino della politica economica italiana. E s’offre perché soffre e, soffrendo, s’offre di farci smettere di soffrire. Ieri, per dire, se non è andato alla festa del Pd, ha comunque trovato il modo di farsi una chiacchierata con SkyTg24: “Ho sempre detto che per un cittadino italiano è comunque un onore essere chiamato a far parte di un governo italiano. Poi bisogna vedere a fare che cosa”. E uno dice: ma allora l’hanno cercato? “No, non mi ha cercato assolutamente nessuno”. E vabbè, questo nulla toglie al fatto che il nostro soffre per i conti pubblici e, già che la distanza è solo un misero apostrofo, s’offre pure per tenerli sotto controllo: “Non si capisce attualmente quale è il tipo di politica di bilancio che le due parti vorrebbero avere per il prossimo anno”. Mica vorranno fare più deficit? Cottarelli solo a pensarlo si sente mancare e pensa: qua ci vorrebbe un ministro attento ai conti, uno come Cottarelli. E intanto soffre e poi già che manca solo l’apostrofo….
La Lega apre il mercato: “Senatori M5S ci chiamano in cerca della rielezione”
Matteo Salvini ha lanciato la sua esca, ma sarà difficile che qualche pentastellato abbocchi. Perlomeno non adesso, non subito. L’amo arriva da Andrea Crippa, giovane vicesegretario leghista, fedelissimo del leader. Uno che nemmeno respira se non glielo dice Matteo. “Ci hanno contattato 9 senatori del M5S. Se gli diamo un seggio, votano no a Conte. Sono del Nord, del Centro e del Sud. Noi valuteremo caso per caso, in base anche alla vicinanza delle loro idee alle nostre”, ha detto Crippa. Parole che fanno seguito a quelle pronunciate dallo stesso Salvini alla Berghem Fest. “Ci stanno chiamando in molti tra quelli che considerano indigesta l’alleanza col Pd. Le nostre porte sono aperte a tutti coloro che non vogliono morire renziani…”.
Insomma, dopo aver “tentato” Luigi Di Maio, ora la Lega ci prova direttamente con i pentastellati, in Senato, dove i numeri per la nuova maggioranza sono risicati. Ma dal M5S l’azione viene considerata né più né meno che una polpetta avvelenata. “Le trattative, se sono in campo, si fanno in segreto. Dichiararle fa intendere che non c’è nulla di reale…”, spiegano dal M5S a Palazzo Madama. “Il Movimento è compatto e non è in vendita”, taglia corto Paola Taverna. Che si chiede: “Perché oggi qualcuno di noi dovrebbe cercare il Carroccio? Forse per avere una mappa dei barman che fanno meglio il mojito in spiaggia?”. Ma l’uscita di Crippa ha infastidito anche molti leghisti. Tanto che sulle pagine social del Carroccio viene attaccato: “Noi non siamo Forza Italia, che ha elargito candidature a Razzi e Scilipoti. E poi annunci come quello di Crippa di solito ottengono l’effetto contrario: quello di blindare i possibili dissidenti”, spiega un deputato leghista.
Anche perché forse non saranno nove, ma qualche senatore pentastellato che la pensa come Gianluigi Paragone – ovvero che l’alleanza col Pd sia un grave errore politico – c’è. Ma nell’ordine delle 3-4 persone, Paragone compreso. Insomma, in Parlamento la truppa dei senatori grillini dovrebbe essere blindata. Lo stesso Paragone, d’altronde, finora si limita a dire che voterà No alla consultazione su Rousseau, senza andare oltre. “Ma in Senato a pensarla come me sono diversi…”, dice.
Polpetta avvelenata o meno, però, già da alcuni mesi le orecchie della Lega sono alzate per intercettare eventuali malumori all’interno degli eletti pentastellati. Com’è avvenuto in Europa, dove l’attuale capogruppo della delegazione leghista a Strasburgo, Marco Zanni, è un ex 5 Stelle. La mossa leghista delle ultime ore, però, sembra più che altro dettata dalla disperazione, quella di un pugile al tappeto che tenta di rialzarsi dopo il suono del gong.
“Se Pd e Cinque Stelle raggiungono l’accordo politico, il governo in Parlamento i numeri li ha”, ragiona un forzista esperto come Lucio Malan. Che però toglie dal tavolo qualsiasi ipotesi di soccorso azzurro alla nuova maggioranza sul voto di fiducia. “Forza Italia è più che mai all’opposizione di questo esecutivo e in Aula voteremo contro”, dice il forzista. Il senatore azzurro risponde così proprio a Paragone, che poco prima aveva parlato di “pattuglia di senatori di Forza Italia i pronti a votare sì all’occorrenza”. “Paragone vaneggia”, dice Malan.
Diverso, come ha detto lo stesso Silvio Berlusconi parlando di “opposizione responsabile”, sarà l’atteggiamento forzista sui singoli provvedimenti. “I nostri voti non stanno in frigorifero, valuteremo sul merito dell’azione di governo”, dicono i berluscones. Insomma, come succedeva con l’esecutivo gialloverde, FI in futuro potrebbe anche dare una mano a Giuseppe Conte.
Terrore dentro la Rai: ci siamo persi Matteo e ora come facciamo?
Sosteneva Francesco Storace che in Rai hanno tutti due nonni: uno che ha fatto il partigiano e l’altro che ha fatto la marcia su Roma. Per navigare nel grande mare della tv di Stato bisogna essere coperti a destra e a sinistra. E oggi di nonni non ne bastano due: ce ne vorrebbe un terzo con simpatie grilline. Questo per dire che in Viale Mazzini sono giornate terribili, di profondo smarrimento. La nidiata di giornalisti sovranisti che stava consolidando la sua posizione all’ombra di Matteo Salvini è rimasta orfana da un giorno all’altro: cosa succederà sotto il governo giallorosso?
Cosa farà, per esempio, la direttrice di Rai Uno Teresa De Santis? Cresciuta al Manifesto comunista, è stata uno dei simboli della stagione leghista in Rai. Ma è una pragmatica, come ha ammesso candidamente: “Il mio editore è Palazzo Chigi” (o al massimo il Viminale). Cinque anni fa, d’altronde, la stessa De Santis era tra i “giornalisti in Movimento” della Rai, un gruppo di seguaci di Grillo dentro Viale Mazzini. Con il Conte-2 sarà di nuovo in movimento?
L’inventore di quella corrente era Leonardo Metalli, caporedattore del Tg1, che in onore dei Cinque Stelle compose addirittura un inno: “L’urlo della Rete”. Metalli è stato compagno fraterno di Augusto Minzolini e sincero berlusconiano. Poi sincero grillino. Ieri sincero gialloverde. Oggi? Su Facebook s’inizia a intravedere un ravvedimento: “A Donald Trump piace molto Giuseppe Conte. Quasi quasi mi convince. Ora che faranno i Democratici?”.
“I grandi spostamenti – confida una fonte che lavora da tanti anni nella tv pubblica – avvengono nell’ombra: quelli che cambiano subito casacca sono nelle seconde e terze file di tg e trasmissioni”.
Così in questi giorni circola un aneddoto esilarante: un giornalista del Tg1 non più di primissimo pelo ha chiesto a una collega come si facesse a cancellare la cronologia dei “like” sui social network (elargiti con un po’ troppa disinvoltura a un Capitano in disgrazia). Dal Tg2 invece fanno notare che alcune clamorose sbavature andate in onda nei mesi passati – come il servizio sulla sharia a Stoccolma, gli attacchi a Fazio e Macron, le aperture di scaletta con il Capitano in ruspa – nelle ultime settimane non si sono viste: la linea rimane quella filoleghista del direttore Gennaro Sangiuliano, ma ora c’è un po’ più di prudenza (anche se ieri sera ha trovato spazio uno scatenato Paolo Becchi contro l’accordo col Pd: “Quando era in vita Gianroberto Casaleggio mi aveva garantito che non sarebbe mai successo”).
Ecco, che ne sarà delle ambizioni di “Genny”, di cui si favoleggiavano imminenti promozioni al Tg1 o ancora più su? E del fido Giuseppe Malara (da lui nominato caporedattore ad personam), che compare nella foto su Facebook di Sangiuliano e Salvini sotto la didascalia “amici”? Qualcuno sostiene che il direttore del Tg2 cambierà cavallo accreditando i buoni rapporti con Conte. Di certo, il suo giornale sarà un po’ diverso. Nella nidiata sovranista – va detto – c’è pure chi non abbandona la nave del Capitano. Come Auro Bulbarelli, direttore di Rai Sport, che continua a inondare di “mi piace” gli slogan di Salvini sui social. O come Paola Bacchiddu, ex sinistra radicale, giornalista di Rai1 ora intransigente con gli ex compagni: in cima al suo profilo twitter c’è un anatema dell’ex ministro dell’Interno (“Italiani e leghisti tutti ignoranti??? La solita arroganza della sinistra, poverini…”). E poi l’eterna Lorella Cuccarini, tornata in auge insieme alle sparate contro l’Ue, oppure Monica Setta, un tempo filorenziana, oggi sovranista e preoccupatissima (“Per il bene dell’economia, servono elezioni subito”, sostiene, pensosa, in un’intervista su Libero).
Non tutti hanno abiurato, i tempi non sono maturi: si aspetta almeno il giuramento.
Il pallottoliere del Senato: i giallorosé sopra quota 170
Questo governo ha un unico, vero problema: partire. Fatto quello, avrà almeno un anno abbondante di navigazione praticamente obbligata, specie se uno dei primi atti in Parlamento sarà approvare definitivamente il taglio dei parlamentari caro ai grillini (con relativo referendum costituzionale e successivo ridisegno dei collegi elettorali e/o modifica del cosiddetto Rosatellum). E un governo che nasce, si sa, tanto più se ha davanti una ragionevole aspettativa di vita trova sempre molta gente disposta ad aiutarlo.
Gli ostacoli per arrivare all’insediamento sono sostanzialmente tre: la (legittima) guerra per le poltrone, il voto su Rousseau e quello di fiducia in Senato. Proprio su quest’ultimo, ieri, ha maramaldeggiato il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa: “Ci hanno contattato nove senatori M5S. Se gli diamo un seggio, votano no a Conte:”, ha detto all’AdnKronos. Guerriglia psicologica, più che campagna acquisti in corso, anche perché i giallorosé rischiano di passare l’ostacolo della fiducia a Palazzo Madama anche se la pattuglia dei “dissidenti” fosse nutrita come spera Salvini.
Per capire la situazione bisogna fare il conto delle teste. A Montecitorio non ci sono problemi: nuova maggioranza in carrozza con 341 deputati – l’asticella è 316 – solo contando i 216 del M5S, i 111 del Pd e i 14 di LeU (ma dal Gruppo Misto arriveranno un’altra decina abbondante di voti) e più larga della precedente. In Senato la faccenda è più complicata, ma non preoccupante vista la “voglia di governo” che pervade se non il Paese, almeno il Palazzo. La maggioranza assoluta è pari a 161 senatori tenendo conto anche dei sei “a vita” che portano il totale a 321: è delizioso oggi notare che giusto un mese fa, grazie ai voti della Lega, il plenum di Palazzo Madama è stato ristabilito con l’assegnazione alla grillina umbra Emma Pavanelli del seggio vacante in Sicilia per un “baco” nella legge elettorale.
Quanto al Conte-2 (o bis, o 2.0 che dir si voglia) i numeri ai nastri di partenza dovrebbero essere questi: il Movimento 5 Stelle ha 107 senatori, il Pd 51 e Liberi e Uguali 4. Il totale, come si vede, fa 162: una maggioranza risicata, ma pur sempre una maggioranza. Problema: non si sa se i dissidenti saranno nove, come dice la Lega, ma uno s’è già dichiarato ed è il giornalista Gianluigi Paragone. Risultato: 161 voti ai nastri di partenza, forse 160 visto che la senatrice M5S Vittoria Bogo Deledda è stata quasi sempre assente quest’anno. In realtà il bacino di consensi del nuovo governo è più vasto dei senatori dei tre partiti ufficialmente “contraenti” il patto giallorosé: ci sono alcuni “sì”, lo vedremo, già scontati, altri possibili, altri – come dire? – acquistabili.
Partiamo da quelli certi: assegnabili fin d’ora al nuovo esecutivo sono i sì alla fiducia di Pier Ferdinando Casini e Gianclaudio Bressa, eletti grazie al Pd ma membri del gruppo Autonomie come Albert Laniece dell’Union Valdotaine, anche lui orientato al sì. I conta-teste sono ragionevolmente certi anche del voto del socialista Riccardo Nencini, pure lui eletto nel centrosinistra, e dell’ex M5S Maurizio Buccarella (espulso per faccende di rimborsi), che finora ha sempre votato col partito che l’ha eletto. Anche gli altri 4 ex grillini – tre dei quali cacciati per le loro posizioni “di sinistra” – dovrebbero appoggiare la fiducia al governo: sono Paola Nugnes, Gregorio De Falco, Saverio De Bonis e Carlo Martelli.
Aggiornando il pallottoliere a questo punto, l’avvio del Conte-2 può contare in linea teorica su 169 senatori eletti a cui aggiungere il probabile voto a favore – se non altro in questa occasione – di alcuni senatori a vita: i papabili sono almeno Giorgio Napolitano, Liliana Segre e Mario Monti. Insomma, a Palazzo Madama i giallorosé potrebbero resistere anche all’addio dei (fantomatici) nove che avrebbero telefonato a Salvini.
Dovessero servire, però, ci sono anche altri voti a Palazzo Madama: certo, questi non sarebbero (politicamente) gratuiti. Non ci riferiamo tanto a Emma Bonino, che non vota “niente a scatola chiusa”, ma ai due senatori eletti all’estero del Maie – Adriano Cario e Ricardo Merlo, sottosegretario uscente agli Esteri – e ai 4 della Südtiroler Volkspartei, che a oggi si sono posizionati sulla “astensione benevola” e domani, aggiornando “il programma” s’intende, chissà. Altre sei teste se la situazione dovesse farsi spiacevole. Alla fine andrà probabilmente come ha vaticinato Pier Luigi Bersani qualche giorno fa: “La maggioranza che si delinea avrà più parlamentari della precedente”. E un minuto dopo che il governo sarà partito rischia di allargarsi anche di più.
Casini, il disprezzo delle poltrone
Il parere, va riconosciuto, è autorevole: parla uno dei massimi esperti in materia. Pier Ferdinando Casini, eterno democristiano, ha detto la sua sulla nascita del governo Conte-2: “Se l’esecutivo è solo frutto di poltrone, di potere, noi faremo vincere a tavolino Matteo Salvini”. L’opinione è rispettabilissima, ma pronunciata da lui fa un po’ sorridere. Su quante poltrone ha seduto Casini nel corso dei suoi 36 anni di incessante carriera politica? Proviamo a contarle: è stato deputato in 8 legislature (IX, X, XI, XII, XIII, XIV, XV, XVI), senatore in altre 2 (XVII, XVIII) per un totale di 10 mandati parlamentari; è stato presidente dell’Unione interparlamentare, presidente della Camera, presidente dell’Internazionale democratica centrista, presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, presidente della Commissione Affari esteri. L’ultimo capolavoro di Casini risale al 2018: lui, una storia di centrodestra, è riuscito a farsi candidare ed eleggere con il centrosinistra nel collegio blindato di Bologna. Appena (ri)approdato a Montecitorio, ha mollato il Partito democratico che l’aveva fatto arrivare fino a lì ed è confluito nel gruppo Autonomie. Qualcuno potrebbe dire che quell’accordo col Pd era “solo frutto di poltrone, di potere”. Ma sarebbe una malignità.
“Questo è l’appello che lanciamo noi a te”
Caro Beppe Grillo, abbiamo ascoltato il tuo video e accolto l’appello lanciato ai giovani del Pd. Il tuo invito a “ricompattare i pensieri” è autentico e sincero: per questo abbiamo sentito il dovere di risponderti. Noi siamo pronti a raccogliere la comune sfida dei contenuti, purché si abbia la consapevolezza di esser qui non a rincorrere l’ambizione irrequieta dei singoli, ma di restituirci insieme la serenità necessaria agli studi, unica strada per il buon governo. […] Anche noi siamo spesso stati tentati dal porti di fronte a tutto ciò che hai misconosciuto, alla verità che è stata contraffatta o rinnegata, di porti sotto gli occhi tutto quello che hai dissimulato; oggi ci interessa ristabilire senza tanti convenevoli le questioni nei loro veri termini. Crediamo che entrambi possiamo fare nostra questa azione di lotta, con cui accompagnare la ricerca di soluzioni collettive. […]
Togliatti diceva che “la politica è la più morale tra le attività umane”, e oggi c’è tanto bisogno, Beppe, di vera politica. […] La paura verso lo straniero, alimentata da una destra furba e miserabile, va contrastata con risposte di governo che favoriscano la pacificazione e sicurezza sociale, facendo percepire ai cittadini che un nuovo processo di integrazione è possibile. È necessario abolire i decreti sicurezza, ma con la ferma volontà di scrivere, insieme, delle leggi che regolino tale problema. […] Dal cyber alla minaccia nucleare, dall’ambiente alla proliferazione della violenza organizzata, il pericolo è che l’inevitabile approdo del Paese al nuovo ordine internazionale alimenti pulsioni autoritarie e liberticide. […]
Immaginiamo una società che salvaguardi la dignità del lavoro ed eviti l’erosione delle tutele. Resta per noi una priorità consentire a tutti eguali condizioni di partenza, in particolare ai giovani. […] Il nostro è un Paese diviso in due da un divario sociale che è anche geografico. Il Sud stenta a progredire. Molti sono soprattutto i giovani del meridione che emigrano verso città del nord Italia o Europa in cerca di lavoro e riscatto, che stentano a far ritorno nella loro terra anche a causa di una rete infrastrutturale fatiscente. Se vogliamo lasciare esempi positivi nelle nuove generazioni dobbiamo rilanciare l’istruzione: occorre tutelare gli insegnanti e il mondo della Scuola. Bisogna riaprire la stagione dei diritti che negli ultimi tempi ha attraversato un periodo di regressione e ostruzionismo a causa delle politiche conservatrici di destra: la legge contro l’omo-Bi-trans-fobia non può attendere. E non dimentichiamoci dell’ambiente. Serve approvare la dichiarazione di emergenza ambientale bocciata dal Senato pochi mesi fa, la base per le prossime politiche ambientali. […] È inoltre necessario ripensare tutto il sistema dei beni culturali, inserendo nuovi giovani qualificati nel settore.
Questo è l’appello che noi lanciamo a te, agli esponenti del Pd e a quelli del Movimento. Ora più che mai avete bisogno di noi giovani che, tra mille difficoltà, desideriamo e lottiamo per una Italia migliore, per i nostri fratelli e i nostri figli che vogliamo far crescere ricchi di sogni.
*Giordano Bozzanca, associazione “InOltre Alternativa Progressista”
Zinga: “È una svolta vera”. E nel Pd inizia il Cencelli
Per giorni hanno ricevuto telefonate e messaggi Whatsapp, hanno preso appunti, hanno mediato, litigato e trattato, prima di tutto tra di loro per la squadra dei ministri. Poi, Dario Franceschini e Andrea Orlando sono andati a Palazzo Chigi da Giuseppe Conte (con Stefano Patuanelli e Vincenzo Spadafora). Nicola Zingaretti vigila su tutto, ma interverrà alla fine e più che decidere, approverà la lista, in linea con le caratteristiche della sua leadership. Ieri, intanto, dopo la rinuncia di Di Maio è andato davanti alle telecamere al Nazareno. “Stiamo lavorando a una svolta vera”, ha detto, con un’espressione gongolante stampata sul viso. Per lui quella di ieri è una vittoria, ma non ha intenzione di di infierire.
Siamo alle trattative finali: la prima è con i Cinque Stelle; ma la seconda è tutta interna al Pd. “Ogni senatore si crede almeno Sottosegretario”, raccontano dal Nazareno. Il consueto Manuale Cencelli che governa queste scelte è particolarmente complicato. E non solo per il numero di correnti in lotta tra loro nel Pd. Ma anche perché ci sono due esigenze diametralmente opposte: molti dei Dem si sono decisi a lavorare per il Conte-2, pensando di ricavarne un posto per se stesso; d’altronde, l’esperimento dell’esecutivo può funzionare solo se almeno parte dei ministri saranno volti nuovi. Il Pd può aspirare a 8 – 9 posti, almeno 3 dovranno essere donne. E poi, mediare con Conte e Sergio Mattarella.
Dice Tommaso Cerno, senatore dem eletto, che per il Conte 2 ha lavorato fin da tempi non sospetti: “Le difficoltà di queste ore sono il segnale che il governo sta nascendo in maniera seria e nuova. Però, spiega: “Solo chi pensa a poltrone e potere può immaginare che un patto tra Pd e Cinque stelle, quando il paese è sull’orlo del baratro, sia semplice da sottoscrivere. Questo governo può nascere in un solo modo: non la somma di figure più o meno note di due forze politiche popolari, ma donne e uomini che vogliono portare l’Italia nel futuro”. Insomma, “se non c’è questo spirito che significa anche sacrificio di qualcuno è inutile provare. Con le ali di Icaro si finirebbe solo per sfracellarsi al suolo”.
Quando Franceschini e Orlando entrano a Palazzo Chigi, in serata, le variabili di partenza fondamentali sono almeno due: cosa vuole fare Di Maio (i più lo vedono alla Farnesina); e se (in un governo senza vice premier) il Pd riuscirà a prendere la casella di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (che rivendica secondo la logica che Conte non è figura super partes). E poi, c’è l’opzione sacrificio, alla quale forse i due big si sono alfine decisi: difficile (ma non escluso) lo faccia Franceschini (che potrebbe andare proprio alla Presidenza del Consiglio), mentre Orlando potrebbe restare al partito, come vice unico, visto che un posto certo è per la vice segretaria Paola De Micheli, vicina a Zingaretti, ma soprattutto a Gentiloni: per lei, si parla sempre di Palazzo Chigi e poi del Ministero dello Svluppo economico.
Intanto però, nelle mani dei due principali capicorrente arrivano le liste. Tre posti per Renzi e renziani: tra i renzianissimi Anna Ascani (in quota Giachetti) alla Cultura, in competizione con Teresa Bellanova al Lavoro o alla Sviluppo economico; e poi Lorenzo Guerini (quota Lotti) alla Difesa. Anche Maurizio Martina (in quota se stesso) spera nello Sviluppo Economico. E Graziano Delrio (anche lui in quota se stesso) non ha rinunciato alle Infrastrutture. In quota Orlando ci sono Peppe Provenzano, candidato al Lavoro e Enzo Amendola per gli Esteri. Non ha rinunciato al Viminale Marco Minniti, in pole position anche se Renzi non lo vuole. Al Mef ci potrebbe essere una figura d’area, come Dario Scannapieco e Lucrezia Reichlin. Ma in corsa c’è pure un politico come Roberto Gualtieri. Altri rumors vedono Simona Malpezzi (lottiana) all’Istruzione.
Quelli che sì: votereste l’intesa M5S-Pd?
Oggi gli iscritti al M5S voteranno per approvare o meno l’alleanza di governo con il Pd. In questi giorni diversi artisti, attori, opinionisti d’area 5 Stelle o di centrosinistra si sono espressi a favore dell’accordo, motivando la loro decisione con vicinanze programmatiche o con la volontà di non spianare la strada alla destra salviniana alle urne. Monica Guerritore, per esempio, sottolinea il ceppo comune delle due forze politiche; Lino Banfi battezza pure il nome “giallo-rossi”, perché tanto “i laziali non si offenderanno”; il mister Renzo Ulivieri, comunista d’altri tempi, ci tiene invece a non far del male alla sinistra di un tempo accostando il colore rosso a Pd e 5 Stelle. Ecco, dunque, il parere di dieci personaggi noti sull’intesa di governo e su come voterebbero se fossero chiamati a scegliere come lo sono gli iscritti a Rousseau.
Claudio Amendola
Il buonsenso contro i sovranisti
Con il buonsenso, questo potrebbe essere un governo in grado di arrivare fino alla fine della legislatura. Sono favorevole principalmente per paura, perché temo moltissimo i contenuti di un possibile governo sovranista, nel caso andassimo alle urne. Serve un impegno di serietà. Sta all’intelligenza dei nostri politici riconquistare la fiducia degli italiani.
Lino Banfi
Neanche i laziali si offenderanno
Di Maio mi piace, può anche darsi che sia giusto lanciarsi in questa novità. Bisogna sperimentare, avere il piacere di sperimentare, sennò che 83enni siamo? E poi possiamo anche chiamarli giallo-rossi, i laziali non si offenderanno: abbiamo appena fatto il derby ed è evidente che in campo come in politica siamo fermi ai pali, bisogna far qualcosa.
Ottavia Piccolo
Abbiamo bisogno di gente seria
Sono favorevole a patto che la smettano di farsi i dispetti come i bambini all’asilo, con l’augurio che producano davvero qualcosa di serio. Spero che da entrambe le parti vengano scelti nomi autorevoli.
Per ora mi preoccupano quelli che ho sentito in questi giorni. Una cosa è certa: abbiamo bisogno di gente seria. Solo così andrà tutto bene.
Antonio Scurati
Per Ambiente, lavoro e istruzione
Lo scrittore ha parlato qualche giorno fa al “Corriere della Sera”: “Esprimo l’auspicio che questo governo Pd-5Stelle nasca come governo fondato sulla speranza, a differenza di quello precedente fondato sulla paura. L’intesa dovrebbe basarsi su tre punti programmatici: ambiente, lavoro (che è cosa diversa dall’economia) e istruzione”.
Ivano Marescotti
L’alternativa è la destra pura
Vedo che ci sono stati ultimatum e prese di posizioni dure, ma sono tutti modi per tirare un po’ la corda nelle trattative: non c’è altra alleanza possibile che quella giallorossa. Doveva già nascere nel 2018, adesso è un’occasione da non mancare. Poi non ho detto che questo governo farà bene, ma l’alternativa era la destra pura.
Monica Guerritore
Ci sono radici comuni
Sono favorevole all’accordo 5 Stelle-Pd perché ritengo che abbiano le stesse radici, lo stesso ceppo, anche se ultimamente forse non si è visto: il rispetto dei cittadini, del bene pubblico, la scuola, l’ambiente, il lavoro, la sanità. Salvini ha provato a piegare la Storia in suo favore, ma gli è andata male: il futuro è in questo progetto condiviso.
Moni Ovadia
Chi è democratico tifa Conte-2
L’alternativa è un governo fascio-leghista e tanto basta a chiunque si sente democratico a sperare in questo governo. Sarà certo un’alternativa debole, fragile, limitata, ma stando così le cose è l’unica alternativa possibile. Mi auguro, al di là dei programmi, che 5 Stelle e Pd avviino una ri-alfabetizzazione democratica di questo Paese.
Daniele Silvestri
Vedo nel M5s cose entusiasmanti
Il cantante, parlando della crisi di governo al “Fatto”, ha ammesso: “Nei giorni della crisi mi sono chiesto se Salvini fosse un genio o un pazzo. Si è sottratto a una manovra impopolare di lacrime e sangue. Ho seguito con passione la grande avventura del Movimento, soprattutto all’inizio e continuo a vederci cose entusiasmanti”.
Marisa Laurito
Non possiamo attendere le urne
La showgirl alla “Stampa” ha detto: “Abbiamo bisogno di un governo stabile. L’ideale sarebbe il voto ma non possiamo aspettare mesi per le urne. C’è bisogno di andare avanti, anche con un governo che, non ce lo nascondiamo, nasce sulle macerie di quello precedente. Fortunatamente abbiamo un grande presidente e lui saprà regolarsi al meglio”.
Renzo Ulivieri
Ok, ma non chiamiamoli “rossi”
Tutti si sono dimenticati della Costituzione, invocando elezioni in modo improprio. Se una maggioranza c’è, è giusto che si formi e se fossi un 5Stelle voterei Sì all’intesa, sperando che porti istanze di sinistra. Una condizione, però: non chiamiamolo giallo-rosso. Con tutto il male che si può dire della sinistra, non si merita di veder associato il rosso a Pd e 5 Stelle.
L’ira di Grillo per il quesito: “È scritto male”
Si sono sentiti ieri mattina, alla vigilia del voto che vale tutto, prima del passo indietro che ieri sera ha sbloccato la partita. Luigi Di Maio, il capo politico con mille grane e altrettanti dubbi sul Pd, ha chiamato Beppe Grillo, il fondatore che di dubbi non ne ha neanche uno, perché per lui l’accordo con i dem va assolutamente fatto, e allora “Luigi” deve lasciare perdere i punti del programma “che raddoppiano come alla Standa” come ha intimato ieri sul Fatto.
La telefonata nasce soprattutto da quelle righe dove Grillo si è detto “incazzato” con il Di Maio “incapace di cogliere il bello delle cose”. Ma il 33enne campano è ancora il capo, e così lo ha chiamato per capire. E il garante ha ribadito la sua linea: con i dem deve essere intesa. Forse non serviva, forse è servito moltissimo: di certo Di Maio ieri sera ha certificato la rinuncia alla carica di vicepremier. Ma già l’intervento sul Fatto aveva confermato quanto dicono da giorni ai piani alti del Movimento: ossia che il garante ha alzato il tiro soprattutto perché teme il voto sulla piattaforma web Rousseau in programma oggi, con gli iscritti che dovranno rispondere a una domanda che per alcuni è già eresia: “Sei d’accordo che il Movimento faccia partire un governo, insieme al Partito democratico, presieduto da Giuseppe Conte?”.
Un quesito che non è piaciuto affatto al fondatore. “Non dovevate mettere la parola Pd nel testo”, si è lamentato Grillo con diversi big con cui si è sentito ieri. E lo ha agitato anche quello che dal Movimento definiscono “una svista”, cioè l’aver messo prima il no rispetto al sì nella casella dove si voterà sull’accordo. Una scelta che ha provocato proteste e cattivi pensieri. Tanto che poi i tecnici dell’associazione Rousseau hanno corretto, mettendo il sì come prima opzione di voto. E proprio in favore del sì ieri si sono pronunciati molti 5Stelle, anche di rango. Mentre non ha voluto pronunciarsi Alessandro Di Battista: “Non dico mai come voterò”. Ma il filo rosso di tutte le dichiarazioni è stato un giuramento: il M5S si atterrà al risultato. “Il voto sarà decisivo sulla formazione del governo” ha assicurato anche Di Maio ieri mattina a Palazzo Chigi, dove ha radunato ministri e sottosegretari per tranquillizzarli in attesa delle nomine. Però prima ci sarà Rousseau, con il responso dei 115.372 iscritti: calati di numero, dopo l’approvazione nel dicembre 2017 del nuovo Statuto che ha reso Di Maio capo politico.
Ora accanto e forse sopra di lui c’è Conte, che con Di Maio ha rapporti gelidi. Però oggi tiferanno assieme, perché un no sarebbe una catastrofe. Anche se entrambi hanno già assicurato al Quirinale che il M5S voterà comunque la fiducia al nuovo governo. Ma è una verità che non si può confermare. Mentre è evidente che una vittoria dei no farebbe esplodere i gruppi parlamentari. E forse tutto il Movimento.
“Ci conviene farlo, fidiamoci dell’Elevato”. Tra i 2 mila commenti sul Blog domina il Sì
Un voto tutt’altro che scontato. Eppure, se si dovesse considerare solo l’opinione degli attivisti online, il voto di oggi sulla piattaforma Rousseau apparirebbe a senso unico: il “Sì” al governo giallorosso vincerebbe a mani basse e darebbe il via libera definitivo al Conte-2. Alle 20 di ieri, infatti, i commenti al post sul Blog delle Stelle che annunciava la votazione di oggi erano 2.100 (molti dei quali certificati dalla spunta verde), la maggior parte dei quali favorevoli all’accordo con il Pd.
Si parte da quegli utenti che argomentano il loro “Sì” facendo leva sui punti programmatici in comune con i dem: “Proviamo a concludere quello che abbiamo cominciato – scrive Alessandro Albanese –. Non disperdiamo la riforma Bonafede avviata e sosteniamo Di Maio perchè completi il sistema del reddito di cittadinanza: manca tutta la parte degli investimenti sui centri dell’impiego”. Poi ci sono quelli che invece accettano l’accordo basandosi sugli appelli dei leader Beppe Grillo e Luigi Di Maio (“Io sto con loro”) ma molti utenti motivano il loro voto favorevole facendo affidamento su un’unica persona, Giuseppe Conte: “Se vince il Sì abbiamo Conte presidente, brava persona e onesta” scrive Giampaolo, “sosteniamolo e votiamo a favore” commenta un altro.
Infine, ci sono quelli che voteranno “Sì” ma solo dopo essersi turati il naso. Il governo con i dem, è il pensiero, è il male minore e lo dobbiamo accettare: “Con questa legge elettorale saremo costretti ad alleanze pure con il diavolo in persona – ragiona Maurizio Prestia – quindi sarà sempre valido un programma che sia a favore dei cittadini”. “Chi vota ‘No’ è per l’aumento dell’Iva, il ritorno di Berlusconi e della Lega Nord” continua un attivista, mentre Claudio Fasano se la prende con Salvini (“non posso vedere cazzari verdi che chiedono pieni poteri”) e vuole “difendere l’Italia dalla dittatura”.
Tra i 2 mila commenti sul Blog ci sono anche molti contrari all’accordo con i dem, ma sono in netta minoranza: “Così perderemo ancora consensi” scrive un attivista. Alcuni – come Luisa – gridano al “tradimento” dopo aver detto per anni “mai con il Pd”. Poi c’è chi deciderà solo dopo aver letto i punti programmatici in comune. Spunta anche un elettore del Pd: “Sono nella tana del lupo – scrive Michele –. Non voterò perché non sono iscritto ma domani potete scegliere veramente di cambiare l’Italia, perché, siate onesti, il vostro pensiero è molto più vicino alla sinistra che alla destra salviniana. Io ci credo”.