“Mi volevano ricoverare tra le donne. Lo psicologo? Meglio i lettini appetitosi”

Alle otto del mattino le prime persone in fila: eppure mancano tredici ore all’appuntamento con Renato Zero alla festa del Fatto. Non importa. Dopo pochi minuti arriva una signora e con un gesto pratico e rodato, quasi da parcheggiatore, estrae un mazzetto di numeri e li distribuisce, “almeno non litighiamo”; speranza vana, alle cinque del pomeriggio, complice la tensione, la folla e il caldo, sfugge qualche parolone accompagnato da un gesto forte.

Tra i presenti c’è chi ha con sé i dischi degli anni Settanta per un autografo, chi i biglietti dei prossimi concerti della tournée Zero il Folle (dal primo novembre parte da Roma, mentre il 4 ottobre esce il nuovo disco d’inediti); chi una foto con il cantante, una maglietta, una rivista.

In migliaia, per lui.

In sottofondo il classico countdown scandisce l’attesa: “Cinque, quattro, tre, due, uno… Zeroooo!”.

E Zero alle nove sale sul palco della Versiliana accompagnato da Baratto, nella versione del 1979. “Qui ero a Starparade, programma di punta della televisione tedesca, e mentre cantavo l’ambulanza andava e tornava, andava e tornava, più andava e meno tornava, eppure i tedeschi avevano fama di essere tosti”.

Cosa accadeva?

Non so ancora se gli svenimenti erano per il caldo o per la presenza di quest’essere così provocatorio e dissacrante; fatto sta che non mi hanno mai più chiamato.

Gli abiti del tempo erano disegnati da te?

Sì, nella vita ho imparato a essere autosufficiente: sono il mio parrucchiere, la mia sarta, il mio truccatore…

Tutto…

È ciò che deve fare una persona saggia e prudente perché non si sa mai; una volta ho sognato di alzarmi la mattina come unico spettatore della vita, non c’era più alcun essere umano in giro, e ho pensato: “Ora che cazzo combino?”. Poi ho iniziato a cantare e si è ripopolato il mondo.

Vista l’esperienza con la tv tedesca, in Rai è andata meglio?

A Viale Mazzini ho partecipato a quattro provini, e allora, quando chiamavano, ti piazzavano in una stanza con davanti un vetro, un po’ come nei commissariati.

E…

Indagavano sulla tua natura, la tua esistenza, i vari perché e percome e ogni volta l’esito finale era: “Lei è fuori dalle righe” o “troppo ambiguo”, “a tratti disgustoso”; poi un bel giorno il presidente della Rai va in vacanza in Svizzera e allora il mio amico Gianni Ravera, forse mosso a compassione, mi chiama a casa: “Prepara la valigia, forse riesco a farti esibire in Rai”.

Perfetto.

Così assemblo il bagaglio (ci pensa), più che un bagaglio una cofana di vestiti; raggiungo Saint Vincent e il bravo Gianni mi spedisce sul palco tra i primi della serata, credo alle nove e mezzo e non appena inizio a cantare Il triangolo lo raggiunge una telefonata dalla Svizzera: era proprio il presidente che gli intimava di farmi scendere e di non presentarmi mai più.

Arrivederci.

E Gianni: “Se questa è la vostra volontà, lo spedisco a casa”. Passano sei minuti, e altra telefonata dalla Svizzera: “L’hai mandato a casa?”. “Un attimo, dategli il tempo di scendere”. E il presidente: “Nooo! Lascialo, e lo voglio in onda pure domani”.

(Secondo contributo video con proprio Il triangolo) .

Ecco il pezzo dello “scandalo”.

Nella vita ho avuto un pregio e un difetto esasperante: ho letto gli eventi e i mutamenti con largo anticipo e alcune volte con soddisfazione; in altri casi questa dote mi è dispiaciuta perché indovinare un terno al Lotto può risultare divertente, ma quando i fatti si manifestano nella loro reale gravità, ho avvertito un po’ di risentimento verso il Renato Zero autore…

Però?

Per me questa professione va affrontata con sincerità, e non si può vendere fumo: se uno mente al pubblico allora mente anche a se stesso; è necessario non perdere mai rigore, passione e coerenza.

Regola fissa…

È necessario un approccio severo e per questo ho spesso messo da parte alcune canzoni, che successivamente sono andato a riascoltare…

Recuperate?

È successo con La favola mia; tutto ha i suoi tempi e le sue modalità e se si sbaglia il timing il brano viene ucciso.

Ai tempi di Triangolo Panatta racconta di essersi spaventato la prima volta che ti ha conosciuto: sembravi vestito come un marziano.

(Ride) Adriano allora aveva paura pure delle lucertole; comunque ho tre sorelle e quando ai tempi si dovevano fidanzare, prima portavano i pretendenti a casa, e se resistevano a me, allora andavano bene.

Come è nata Il cielo?

La partecipazione paesaggistica, la collocazione della persona in un luogo ben preciso, determina la tipologia di quello che si scrive, non la qualità; il mare, ad esempio, su di me ha sempre esercitato un’influenza speciale, mi ha ispirato brani molto aperti e tra questi Il cielo, scritto quando avevo tra i 17 e i 18 anni e frequentavo Ventotene, un’isola che ha la forza di spettinarti dalla mattina alla sera. Venir spazzolati dal vento significa anche mandare in caciara le idee, mescolarle, accenderle, renderle vive; talmente vive da poter comporre Il cielo a quell’età, e lo dico oggi che ho 69 anni.

Anche Il cielo lo hai tenuto in stand by per molti anni?

Non ricevevo ancora il beneplacito della discografia: forse ritenevano che non avevo il diritto a un trattamento d’artista.

(Contributo con Ciao Nì, al Teatro Tenda di Roma).

È fine Settanta.

Un’esperienza di due anni e mezzo-tre, insieme a Gigi Proietti e Vittorio Gassman; tra di noi si era creata una sorta di sana complicità su quanto pubblico ognuno riusciva a coinvolgere.

Invece come nasce L’ammucchiata?

Avevo un’amica di origine statunitense che, appena arrivava un gruppo dall’estero, lo portava a casa e lo rallegrava; io ero amico anche del fratello: un giorno salgo da lei per salutarla e, mentre la cerco, inciampo prima in un braccio, poi in una gamba (sorride), ed è nata L’ammucchiata. Tempi bizzarri; poi avevo un padre poliziotto, e quando mi trovavo in situazioni un po’ scabrose…

Tipo?

Una volta dal Piper mi accompagnano a casa due amici e nel tragitto si preparano un cannone gigante con sopra l’olio indiano. Miscela esplosiva. E loro: “Vuoi?”. “No, grazie”. Però l’abitacolo era quello, e quando sono sceso e rientrato dai miei, il letto mi risucchiava; spaventato chiamo Mimì (Mia Martini): “Qualcosa non va, ho respirato il cannone, e ora ne pago le conseguenze”. E lei: “A Renatì, dormi e facce dormì pure a noi”.

Perfetto…

Così riprovo, ma il letto nuovamente mi risucchiava, allora chiamo mio padre e gli spiego la situazione. “Me vesto e annamo”. Mi porta in ospedale, e lì mi danno 12 gocce di Sympatol.

Tuo padre è stato spesso preso in giro dai colleghi per un figlio come Renato Zero.

Sì, meschini; papà ottenne un alloggio dove vivevano altri 136 poliziotti, e quando uscivo da lì erano lastre quotidiane (cambia tono). Ovunque siete, “stronzi!”.

Tuo padre acquistava i biglietti dei concerti.

Sempre, voleva dimostrarmi la sua gioia e l’orgoglio.

Gli hai mai raccontato come hai evitato il militare?

Fu lui ad accompagnarmi, ma non sapeva della biancheria.

Cioé?

Un filo interdentale dietro e davanti un triangolino color fucsia.

(Video de La favola mia).

Il tuo pubblico non canta, ma vive le canzoni.

Conoscono il senso vero delle parole contenute nei brani.

Prima della partecipazione a Sanremo, avevi dichiarato di volerti ritirare. Cosa era successo?

Una serie di situazioni anche più grandi di me, come la tragedia al Castello Sforzesco di Milano, quando è crollato il ponte con sopra un gruppo di ragazzi, e lì è morta Tiziana Canesi, il cui unico torto era di essere mia fan. Il giorno dopo sui giornali sono usciti titoli come “Renato Zero canta e Tiziana Canesi muore”, quando era uno spettacolo della Rai con 36 artisti coinvolti; dei presenti nessuno sapeva della tragedia.

D’Agostino narra di un incidente in auto con te.

Confermo, eravamo in tre su una Fiat 500: io seduto dietro; a un certo punto passiamo un incrocio e una macchina ci travolge, la nostra auto si ribalta più volte e si ferma su un fianco. Quando riesco a uscire mi trovo davanti l’insegna delle pompe funebri. Non solo. Mi portano in ospedale con la testa rotta, e lì dentro sento Roberto gridare: “Ma che sete matti? Quello è mi’ fratello, non lo potete mette’ nel reparto delle donne!”.

Come eri vestito?

Porelli, non era colpa loro: oltre all’abbigliamento nel periodo avevo pure la chioma leonina.

(Sullo schermo appare un duetto con Dalla).

Lucio, Mimì, Califano, Battiato: chi aggiungeresti al tuo pantheon?

Per fortuna ho vissuto una trasversalità molto significativa e singolare: nel 1954 i fratelli di mio padre ci regalarono un televisore americano, un Admiral in legno, e tutto il giorno emetteva un suono strano, friggeva dalla mattina alla sera, poi ogni tanto quel rumore spariva e appariva una signorina: “Prove tecniche di trasmissione”. Poi con il passare del tempo apparvero Dario Fo, Aroldo Tieri, Gilberto Govi, Eduardo De Filippo, Cesco Baseggio: io vengo fuori con le immagini di queste persone; artisti che anni dopo sono diventati amici.

Un sogno…

La ricompensa per questa scelta di vita è stata quella di aver accarezzato il volto di Lucio Dalla, aver stretto la mano a Lucio Battisti, aver provato amore per Mimì, un amore intramontabile e vero; o di aver raccontato barzellette con Rino Gaetano.

E la Ferri?

Gabriella, una grande.

È vero che Il carrozzone era stato composto per lei?

A quel tempo lavoravo spesso con Piero Pintucci, e un giorno mi ferma: “Ti va di sentire questo brano? Gabriella non lo vuole”. Lo ascolto e mi pietrifico: “Piero, vengo io da Gabriella e le dico che è perfetto”. Macché. Quando lo canto c’è dentro lei, la penso.

Rino Gaetano…

È una delle toppe della mia vita, non avevo compreso il suo stato d’animo, il suo dolore; è in quel gruppo di artisti come Chaplin ed Eduardo che hanno fatto sorridere il mondo ma non hanno convinto loro stessi con quella risata. Rino era una persona meravigliosa.

Sei mai andato dallo psicologo?

I lettini li adoro quando sono appetitosi.

Palestra?

No, però gioco a scopone, ho i polpastrelli abilitati. (È il momento de I migliori anni e il pubblico si alza in piedi in un’ovazione). Oggi festeggiamo Zero, che in fondo mi ha tolto dai tabù, dai complessi, dal dover sposare Dio a tutti i costi, quando poi ho imparato ad amarlo a modo mio; grazie a Zero sono diventato rivoluzionario per vocazione e non per mestiere

Non hai mai studiato musica.

No, e a un certo punto è nato il desiderio di scrivere, però poi ho concluso due conti: se ho già realizzato tanto, e senza il brevetto del conservatorio, probabilmente se ci fossi andato avrei potuto perdere spontaneità e istinto.

Con quale strumento componi?

A volte uso un registratore e certi spunti li canto pure se sono al supermercato; mentre per i testi do sempre precedenza alla musica e poi, con serenità, sono le note stesse a suggerirmi il percorso letterario; spesso gli spunti arrivano dal marciapiede, dall’ascolto della vita, per questo il pubblico ci si riconosce.

Negli altri casi?

Sono storie mie, e nel prossimo disco c’è una traccia, la tredicesima, che se avete amato Il cielo questa volta è “l’universo”, un brano meraviglioso perché c’è Renato che accarezza Zero.

(Dagli altoparlanti partono le note proprio de “Il cielo”, e il pubblico inizia a invocare, non a cantare: c’è chi piange, chi ride, chi solleva in aria i propri figli, chi cerca un contatto, chi balla “quanti amori conquistano il cielo, perle d’oro nell’immensità, qualcuna cadrà, qualcuna invece il tempo vincerà, finché avrà abbastanza stelle il cielo”).

Lione, colpisce alla cieca: un morto e otto feriti

Le persone stavano aspettando l’arrivo dell’autobus quando sono state aggredite da un uomo armato di un coltello e un forchettone da cucina; l’assassino ha colpito a caso. Un giovane di 19 anni è morto. Altre otto persone sono rimaste ferite, di cui tre sono state ricoverate in ospedale “in urgenza assoluta” e sono in condizioni gravi.

È accaduto a Villeurbanne, intorno alle 16:25, in un quartiere popolare della periferia di Lione, davanti alla fermata della metro Laurent-Bonnevay. Per alcune ore la Francia è piombata di nuovo nel terrore di un attacco di estremisti islamici, proprio nel momento in cui le persone stanno ancora rientrando dalle vacanze estive. L’aggressore, di 33 anni, è un richiedente asilo di origini afghane. Alla tv LCI una giovane testimone ha descritto la ferocia dell’attacco e raccontato in lacrime, col viso seminascosto, di essersi gettata su una donna anziana, ferita all’orecchio, per proteggerla da nuovi colpi.

L’aggressore è stato arrestato grazie anche al coraggio dei passanti, che sono riusciti a fermarlo mentre tentava di entrare in metro e confondersi fra i passeggeri. Lo hanno tenuto fermo fino all’arrivo delle pattuglie. Le forze di polizia non gli hanno trovato addosso documenti d’identità. Secondo Bfmtv , dopo aver dichiarato di essere un afghano richiedente asilo, il killer si è chiuso nel silenzio non fornendo più alcuna indicazione ai poliziotti. Alcune fonti hanno parlato per qualche tempo di un secondo aggressore in fuga. Un elicottero ha sorvolato la zona dell’attacco, fino a che l’ipotesi di un complice è stata scartata. Anche se tutto ha fatto subito pensare a un nuovo attentato terroristico, ieri sera la pista terrorista non era quella privilegiata. Certo, non si esclude che qualcuno voglia approfittare, rilanciando una dichiarazione di “paternità” in Internet; non sarebbe la prima volta che l’Isis si attesta azioni in Europa di “lupi solitari”. Un’inchiesta per omicidio e tentato omicidio è stata aperta e affidata alla polizia giudiziaria di Lione, non al tribunale dell’Antiterrorismo. Il sindaco di Lione, Gérard Collomb, che si è recato sul posto, ha assicurato che non si tratta di una “rissa” o di una resa di conti tra bande rivali. L’aggressore ha colpito i passanti in modo del tutto indiscriminato e ha scelto un luogo molto frequentato, come una fermata di un autobus, all’ora di punta. Quale dunque il suo movente? L’uomo non era schedato dalla polizia né noto per radicalizzazione. Mentre colpiva con il coltello non è stato sentito gridare parole che inneggiavano allo Stato Islamico.

Il suo modo di agire ricorda altri attacchi che la Francia ha già dovuto subire e che fanno pensare ad una forma nuova di terrorismo ‘fai di te’, di lupi solitari e armi improvvisate. Come quello alla stazione ferroviaria Saint Charles di Marsiglia nell’ottobre 2017 in cui erano morte due giovani donne assalite da un uomo armato di coltello o l’assalto in strada nel quartiere dell’Opera, a Parigi, nel maggio 2018, in cui era rimasto ucciso un passante, accoltellato alla schiena. Appena lo scorso maggio, sempre a Lione, ma quella volta in pieno centro, un uomo aveva abbandonato un pacco bomba artigianale davanti una panetteria. L’esplosione aveva provocato 14 feriti lievi. L’autore era stato in quel caso un algerino di 24 anni che aveva dichiarato fedeltà allo Stato islamico.

Distrutto un sito iraniano: Trump e il tweet “spione”

Il clima del G7 di Biarritz, quell’artificioso volemose bene anche sull’Iran, con cui s’era chiuso lunedì il Vertice dei Grandi, è già un ricordo. Donald Trump smette i panni, che gli stanno stretti, del bravo ragazzo e torna a fare il gradasso: dà notizia, ovviamente via twitter, d’un (fantomatico?) “catastrofico incidente” durante il test di un missile iraniano – Teheran smentisce – e diffonde un’immagine del sito di lancio, annichilendo gli sforzi finora fatti per sostenere che gli Usa non violano con i loro droni lo spazio aereo iraniano.

E, intanto, è un giallo la destinazione della petroliera iraniana Grace 1 / Adran Darya 1, rilasciata da Gibilterra dopo un sequestro di alcune settimane.

Le destinazioni dichiarate, il Libano e la Turchia, vengono l’una dopo l’altra smentite. Il Wall Street Journal scrive che la petroliera s’accingerebbe a riversare il proprio carico su una nave più piccola, che porterebbe il petrolio in Siria, là dove gli Stati Uniti sostenevano fin dall’inizio fosse diretto. Nel bailamme di dichiarazioni seguito al G7, l’Iran non ha mai fatto mistero di quel che davvero gli interessa: la levata delle sanzioni e la vendita del petrolio. Due condizioni irrinunciabili per Teheran in un eventuale negoziato con Washington, che ancora non si profila, al di là di aperture al dialogo generiche. Il ministro degli Esteri iraniano Zarif, dopo l’incontro col presidente francese Macron a margine del G7, è stato in Cina ed è atteso a Mosca lunedì. E se l’Iran continua, dall’inizio di luglio, ad arricchire più uranio e in misura maggiore di quanto previsto dall’accordo nucleare denunciato dagli Stati Uniti, Washington lancia cyber-attacchi per intralciare i commerci iraniani.

Il tweet di Trump con foto sul “catastrofico incidente” suscita più ironia che putiferio negli Usa, specie negli ambienti dell’intelligence. Il presidente scrive: “Gli Stati Uniti non sono coinvolti” nell’esplosione, che sarebbe avvenuta “durante i preparativi di lancio del Safir Slv in Iran. Auguro buona fortuna all’Iran nel determinare che cosa è accaduto”. Una sorta di excusatio non petita, come se qualcuno potesse accusarlo di essere all’origine dell’incidente. Di fronte alle critiche, Trump, che non si rimangia mai un tweet, s’inalbera: “Ho tutto il diritto di farlo”.

Gli iraniani non si scompongono, tanto più che nessuna intesa proibisce loro di sviluppare e sperimentare missili. La loro versione parla, comunque, di un satellite, non di un razzo, e nega qualsiasi incidente: “Il satellite Nahid-1 non è stato ancora consegnato per essere lanciato ed è attualmente nel nostro centro di ricerca spaziale”, dichiara il ministro delle comunicazioni Mohammad Javad Azari Jahromi. Parlando con i giornalisti, proprio durante un’ispezione al Centro di ricerca spaziale iraniana, Jahromi ha maliziosamente aggiunto: “Come vedete Nahid-1 è qui e non è stato consegnato al ministero della Difesa per essere lanciato. Mentre Trump dice di non essere coinvolto nell’esplosione durante il lancio del satellite. Il presidente americano dovrebbe essere consapevole che le forze armate iraniane hanno recentemente abbattuto un drone americano che aveva violato lo spazio aereo iraniano”.

L’episodio, avvenuto il 20 giugno, aveva indotto Trump a ordinare una ritorsione, poi abortita pochi minuti prima dell’attacco. Come il tweet di Trump, pure la versione iraniana va presa con le molle. La vicende dalla petroliera Grace 1 / Adrian Darya 1 conferma che Teheran non è sempre adamantina nelle sue affermazioni. Il segretario di Stato Usa, Pompeo, polemizza con il collega iraniano Zarif: per ottenerne il dissequestro “ha garantito alla Gran Bretagna che la petroliera non si sarebbe recata in Siria. E, invece, abbiamo informazioni affidabili sul fatto che è diretta a Tartus, in Siria. Mi auguro cambi rotta. È stato un grande errore credere a Zarif”.

Gli Stati Uniti si sono opposti fino all’ultimo al dissequestro della petroliera e hanno ora imposto sanzioni contro la nave e il suo capitano. “Chiunque offra sostegno alla Grace 1 / Adrian Darya 1 rischia di essere a sua volta colpito da sanzioni”, avverte il Dipartimento del Tesoro.

Et voilà: master su Macron “fenomeno intrigante”

Emmanuel Macron è diventato una materia di studio. La prestigiosa università parigina Sciences Po ha infatti intitolato un seminario di 24 ore al presidente che si terrà durante la primavera 2020. È stato il settimanale Le Point a reperire la scheda del corso sul sito web dell’ateneo. “Il corso – scrive l’università – ripercorre la vita di Emmanuel Macron dagli anni della formazione, analizza il suo sviluppo personale e professionale e cerca di spiegare la sua ascesa politica”. Sciences Po presenta il corso come “altamente interattivo”. Le lezioni si terranno in inglese, ma è richiesta la buona conoscenza del francese perché i testi consigliati sono in lingua: dei discorsi di Macron e il libro “Révolution”, pubblicato prima di entrare all’Eliseo, una serie di interviste realizzate dall’ex direttore di Le Monde Éric Fottorino e “Macron, un président philosophe”, una biografia del 2017 scritta dal giornalista Brice Couturier. Per l’ateneo è tutto normale: il percorso politico di Macron, entrato all’Eliseo nel 2017 a soli 39 anni, dopo essere stato consigliere del suo predecessore, François Hollande, e poi il suo ministro dell’Economia, è “un fenomeno affascinante e ancora poco esplorato”, viene precisato. Ci sono abbastanza elementi per inorgoglire il giovane presidente, giudicato spesso come arrogante, paragonato a Napoleone e che si è meritato il soprannome di Jupiter (Giove). Neanche gli studenti di Sciences Po sembrano convinti. Le Figaro ha riportato ieri alcuni commenti di un gruppo chiuso di Facebook: “Lunga vita al nostro amato leader, sole della nazione” o “Sarà difficile trovare corso più snervante di questo”. Chi non vede in Macron un personaggio da studiare sono i Gilet gialli. Il movimento di protesta, nato nel novembre 2018, ha promesso un “settembre nero”. L’atto 43 è atteso per il 7 settembre ai Montpellier scelta come “capitale” della protesta.

Pazza idea dei nazionalisti: una Disneyland della guerra

Il primo settembre 1939, ottant’anni fa, la Germania nazista invase la Polonia dando inizio alla Seconda guerra mondiale. Presidente e cancelliere tedesco, Frank-Walter Steinmeier e Angela Merkel, saranno oggi in Piazza Pilsudski, a Varsavia. È il grande slargo della Capitale dove si trova la tomba del milite ignoto. Vi si terranno le commemorazioni dell’anniversario. L’arrivo di Steinmeier e Merkel, per quanto significativo, non colma il vuoto lasciato da Donald Trump. I populisti al potere a Varsavia, tanto filo-atlantici quanto euro-critici, contavano sulla sua presenza per ottenere una benedizione in vista delle elezioni del 13 ottobre, dove si presentano come favoriti. Trump all’ultimo ha annullato il viaggio. L’uragano Dorian si sta avvicinando alle coste della Florida, e il presidente americano preferisce concentrarsi sulla protezione civile: questo il motivo – per molti non convincente – con cui ha disdetto l’impegno in Europa. Al suo posto andrà il vice presidente Mike Pence.

Non è certo la stessa cosa, pur se il numero due dell’amministrazione offrirà buona benzina elettorale con un annuncio dato per certo: l’invio di altri mille soldati americani per rafforzare il contingente Nato, già forte di 4500 unità, che protegge il Paese dal neo-imperialismo del Cremlino. La questione russa, in Polonia, è viva. L’epoca del comunismo è materia bollente, e lo stesso vale per il “Patto Ribbentrop-Molotov”, con cui nazisti e sovietici si spartirono la Polonia. Il 17 settembre, l’Armata Rossa superò la frontiera occupando le regioni orientali, lasciate sgombre da Hitler, e compiendo non pochi crimini. Doppio fronte, doppio annientamento: i polacchi, all’unisono, percepiscono così il conflitto. Cambia però l’elaborazione. Per i populisti, commemorare coincide con il porre al centro il martirio della nazione, sollecitando sentimenti anti-russi e anti-tedeschi sempre presenti nella società. Un esempio di questa tattica è la richiesta di danni di guerra, per 850 miliardi di dollari, avanzata nei confronti della Germania. Il governo pone il tema in modo aggressivo, propagandistico. Ci sarebbero però margini reali per approfondirla, dice Alexander Wielgos, ricercatore del Warsaw Institute, think tank di politica estera con sede a Varsavia. “Solo il 2% dei danni effettivi causati dall’occupazione nazista del 1939-1945 è stato compensato. Il tema si può riaprire trovando un punto di bilanciamento che sia giusto moralmente ed eviti al contempo strappi eccessivi a livello politico”.

Per l’opposizione liberale, il racconto degli orrori della guerra fa parte del percorso di riconciliazione con i vicini. Con la Russia è molto complicato, con la Germania è decollato. Danzica, sulla costa baltica, ne è il luogo simbolo. Qui furono sparati i primi colpi del conflitto, qui nel dopoguerra si iniziò a ricucire con iniziative comuni. Segnali di pace si colgono andando alla Westerplatte, la penisola stretta tra il porto di Danzica e il Baltico dove la Germania nazista iniziò l’aggressione della Polonia. Qualche bunker in rovina e un grande memoriale, sotto il quale incontriamo liceali polacchi e tedeschi, di due paesini gemellati. Sostiene Paulina, studentessa polacca: “È importante che i ragazzi tedeschi possano vedere la storia con gli occhi di noi polacchi”. Peter, professore del liceo tedesco: “È una gran cosa che questi ragazzi possano vivere in pace nell’Europa unita”. Memoria, confronto. Questi valori sono patrimonio di Danzica, grazie a tre grandi personalità, tutte di qui, tutte liberali: l’ex leader di Solidarnosc Lech Walesa, l’ex premier Donald Tusk e il sindaco Pawel Adamowicz, assassinato lo scorso gennaio. “Si sono spesi moltissimo per il dialogo con la Germania, consapevoli che Berlino, per Varsavia, è la porta sull’Europa, e consci che il dialogo è l’unica via maestra”, spiega Basil Kerski, intellettuale di Danzica. “Ora però i populisti, ridando sfogo al sentimento anti-tedesco, rischiano di rovinare quanto costruito”.

Proprio la Westerplatte è un simbolo del contrasto sulla memoria tra liberali e populisti. Mikolaj Chrzan, corrispondente del quotidiano Gazeta Wyborcza: “Per i liberali deve restare così: un’area verde, con qualche rudere e memoriale, dove riflettere in silenzio. Il governo vuole invece costruire un museo che ricordi martirio ed eroismo dei soldati polacchi. Temo sarà una Disneyland della guerra”.

Dentro isis: La vita segreta in 5 hard drive

Dalla mia stanza, al secondo piano, si vedono i mezzi blindati che escono dalla base, per andare in ricognizione. Oltre, la strada sterrata, le fortificazioni color sabbia e il deserto a perdita d’occhio. Gli Humvee delle Forze democratiche siriane alzano la polvere, muovendosi in modo regolare. E si portano dietro le incognite sulla riuscita dell’ennesima missione contro lo Stato islamico. Nonostante la sconfitta sulla carta, il nemico si nasconde ancora tra le case, nei villaggi, e colpisce i civili nelle città con attacchi terroristici.

Sul tavolo, davanti a me, ci sono cinque dischi rigidi, recuperati dai curdi, nell’accampamento di Baghouz, l’ultimo lembo di terra di Isis in Siria, conquistato il 23 marzo scorso. Mi sono stati consegnati dopo aver insistito per settimane, cercavo video di propaganda usati per reclutare occidentali nel 2014. “Guarda in questi hard drive, magari trovi qualcosa che ti interessa”, mi è stato detto.

È un mondo quello che mi si è aperto. Per settimane non sono riuscita a guardare il materiale per più di mezzora alla volta. Da una parte, ci sono loro, con la barba e i capelli lunghi, che stringono i figli: fotografie di momenti intimi, felici, ritratti su una motocicletta o che dormono a fianco di un neonato agghindato a festa. Dall’altra, audio, video e documenti che spingono alla distruzione dell’Occidente, invocano la Guerra santa, istruiscono i jihadisti su come tagliare la testa a una persona, i metodi più efficaci per assassinare qualcuno senza essere scoperto, decine di Gigabyte con manuali di guerra. Una dicotomia che disturba. Mette davanti agli occhi la “banalità del male”. Anche loro sono essere umani. I numeri e le statistiche ci dicono che tra le migliaia di persone che si sono unite allo Stato Islamico tra il 2014 e il 2017 dall’Occidente ci potevano essere anche i nostri vicini di casa.

Il contenuto/1: il materiale vietato dalla Sharia

Nella vita privata, i proprietari dei computer di cui sto visionando gli hard drive non avevano alcuna remora a infrangere le regole della Sharia, la legge islamica. Ascoltavano musica occidentale – severamente vietata – e, nei loro archivi, ci sono centinaia di canzoni da discoteca araba. Anche la televisione non era mai stata ben vista (specie se fossero presenti donne senza velo integrale nero). Eppure si trova la seconda stagione di Arab idol, versione mediorientale del programma televisivo inglese che premia cittadini dall’ugola d’oro. Tutta la seconda stagione del cartone animato Pokemon: forse scaricato per i bambini, o forse per passare il tempo. Quando si è in guerra, soprattutto al fronte, ci sono momenti di attesa molto lunghi che diventano tediosi e logoranti. C’è un video con tutti i gol di Cristiano Ronaldo quando era nel Real Madrid (ai bambini era vietato giocare a calcio per strada).

In un’altra cartella chiamata “ragazze” ci sono dei fermi immagine del film Twilight, la saga dei vampiri, con i due protagonisti sul prato che si guardano innamorati. Spicca anche la foto di una giovane con i capelli scuri con delle mèches verdi e un top rosa: guarda la camera con uno sguardo fiero e ammiccante. Facendo una ricerca in Internet, la stessa immagine si trova su un sito con “le donne più belle del Perù”. Ci sono anche diversi scatti della cantante Avri Lavigne, con lei che si appoggia al muro con le braccia alzate. C’è anche il poster di Eminem. E ancora foto di ragazze “scoperte” con in mano un kalashnikov. Donne in pose sexy.

I proprietari dei dischi sono riusciti a cancellare tutte le informazioni personali o le chat di whatsapp. Rimangono solo delle tracce, come i nickname usati su Facebook: “Katana” o “Orca”.

Il contenuto/2: metodi per assassinare un target

Uno dei computer apparteneva quasi sicuramente a un “emiro”, che significa principe ma anche a capo di un battaglione, proprio perché c’è molto materiale sensibile. La maggior parte dei documenti sono scritti in arabo. Sono centinaia. Tra questi un file Excel in cui sono state registrate le entrate in Siria, dalla Turchia, di decine di jihadisti stranieri. Sono almeno 70.000 le persone (le stime sono al ribasso) arrivate da tutto il mondo per unirsi al Califfato. Nomi e cognomi, date di nascita, occupazione, livello di educazione. Un documento importante perché racconta come funzionava lo Stato Islamico. Non appena attraversata la frontiera, a tutti veniva sottoposto questo questionario, e in base alle loro risposte venivano smistati nei vari battaglioni.

Su un’altra pagina ci sono tutte le istruzioni su cosa fare se si viene catturati dal “nemico”, come resistere alle torture, le pressioni psicologiche, l’isolamento: “Non date niente di più del vostro nome e data di nascita”. Poi ci sono pagine motivazionali scritte dal centro media, in tutte la stessa email khadija1417@hotmail.com. E ancora: “Il segreto di un’operazione ben riuscita non è l’entusiasmo e il coraggio dei combattenti ma la presenza di una buona leadership”. Poi si trova un elenco puntato molto particolare. “Questi sono i migliori metodi per assassinare un target”. E via con la lista, al primo posto il grammo di cocaina, poi di eroina. Quindi lo strangolamento, e l’iniezione nell’arteria di aria tramite siringa. Quelli più particolari: “Mettere un nido di insetti nel motore dell’auto o mettere una palla di acciaio nel serbatoio così quando finisce la benzina l’attrito crea un’esplosione”. Per giustificare le atrocità, gli assassini e le violenze, sono scritti ovunque versi coranici. Tutti cominciano con la stessa frase: “Nel nome di Allah misericordioso. Preghiere e pace per il capo dei mujehaddin”.

Il contenuto/3: addestramento militare ed educazione

In uno degli hard drive, c’è una cartella con decine di manuali militari di eserciti da tutto il mondo, in primis quello americano. Sono documenti ufficiali trovati in Rete e in alcuni casi datati negli anni 90. La maggior parte riguarda i tiratori scelti. Le tecniche, la respirazione, i calcoli per il mirino. Molti di questi manuali sono poi sintetizzati in diverse presentazioni PowerPoint. “Psicologicamente devi essere a posto, per essere un buon cecchino devi anche essere preparato, calmo, pronto all’attesa”. Colpisce anche la varietà: sono state scaricate pagine da WikiHow su come neutralizzare una persona (in inglese); doc sulle Forze speciali britanniche; documenti delle forze brasiliane. Interi vademecum sui sabotaggi, sulla sopravvivenza, su come fare bombe in casa. E ancora, un certificato di acquisto di un cannocchiale da puntamento “Elite”, altri manuali di garanzia per lunette da tiro. Fotografie di armi e una quantità di bersagli impressionanti. Pagine di calcolo per aggiustare il fucile in russo e fotografie che riprendono gli stessi calcoli su una lavagna in arabo.

Video di cacciatori americani doppiati in arabo che spiegano come far funzionare al meglio le armi da tiro. Sempre in questa cartella, diverse presentazioni con il logo della brigata palestinese “Izz al-Din al-Qassam” (una comincia con una pagina in dissolvenza sulla viso di Ariel Sharon in un mirino). C’è persino una copia de L’Arte della Guerra in francese. E il White Resistance Manual, un prontuario per suprematisti bianchi per sabotare lo Stato, nel quale si trova come sopravvivere mangiando bacche.

Il contenuto/4: video e propaganda

Le musiche e i loghi sono sempre gli stessi. La macchina di propaganda di Daesh è stata uno dei maggiori successi: sono riusciti non solo a reclutare migliaia di persone, ma anche a terrorizzare il mondo. I video durano in media una quarantina di minuti e riprendono uomini al fronte, alcuni sparano, altri urlano l’oramai celebre frase: Allah Akbar (Dio è grande), prima di un attacco. Ci sono molte esecuzioni riprese. Tagliano la testa a persone inginocchiate con addosso una tuta arancione, mentre la folla intorno a loro esulta. In un video, la scena viene ripetuta rallentata diverse volte. Usano una sciabola enorme, oppure un coltello da caccia. La telecamera ingrandisce il collo monco, da cui sgorga il sangue.

In un altro video si vede un giovane che si sente male, ha una canottiera e continua a dire non respiro. Diversi uomini intorno a lui gli fanno forza, gli accarezzano le orecchie, lo schiaffeggiano. In un altro uomini seduti in cerchio per terra, parlano della Sharia. Ci sono anche video degli anni ’80 in Afghanistan. Poi migliaia di file audio di predicatori islamici, la maggior parte dei quali è impossibile identificare.

Alla fine non ho trovato quello che cercavo. Ho scoperto però molto di più su quei jihadisti che decine di volte ho incontrato. Le loro contraddizioni, la loro umanità che, forse, non ho mai voluto accettare.

Secondo l’ultima rapporto del Pentagono sulla Siria, ci sarebbero ancora 14.000 cellule dormienti di Isis. Mi sembra ancora più evidente guardando fuori dalla finestra. I mezzi continuano a passare.

La guerra in queste zone non è finita, perché quello che si combatte, qui, è un’ideologia.

 

 

 

 

Dalla caduta di Baghouz, ultima roccaforte del Califfato, a oggi: le operazioni speciali
Il 23 marzo scorso, a Baghouz in Siria, Isis è stato sconfitto militarmente – con una battaglia durissima terminata con una notte di bombardamenti a tappeto da parte degli aerei della coalizione a guida americana, e un’avanzata da terra delle Forze Democratiche Siriane (FDS, un ombrello che raggruppa le unità curde e le milizie arabe) – mettendo così la parola fine al sogno di un Califfato. Un tempo era un vero e proprio Stato, tra Siria e Iraq: una superficie, quella dell’Islamic State, che alla sua massima espansione, nel 2015, era arrivata a contare fino a 11 milioni di abitanti.
Da quel 23 marzo 2019, le FDS, con gli americani, si sono dedicate a operazioni speciali per scovare le migliaia di cellule dormienti nascoste in tutto il territorio. Le stesse che nei mesi scorsi hanno colpito diverse città del Nord-Est della Siria.
Ci sono almeno 70 mila affiliati a Daesh – compresi donne e bambini, molti dei quali stranieri – nei campi e nelle prigioni. I curdi sono stati lasciati soli a gestire questa situazione, con i governi stranieri che si rifiutano di rimpatriare i propri cittadini. Intanto, la Turchia da luglio minaccia di invadere il Rojava, perché non accetta un governo autonomo dei curdi al proprio confine. Per scongiurare una nuova guerra è stata creata una sorta di “safe zone”, implementata pochi giorni fa con l’aiuto degli Stati Uniti.

Youtube, multa fino a 200 milioni: violata privacy dei bambini

Multa milionaria a Google per Youtube. Mountain View avrebbe accettato di pagare fra i 150 e i 200 milioni di dollari per risolvere la disputa con le autorità americane sulle presunte violazioni della privacy dei bambini da parte della sua piattaforma video, di cui i più piccoli sono fra i più avidi consumatori. Secondo indiscrezioni, la Federal Trade Commission ha approvato il patteggiamento di Google e lo ha inviato al Dipartimento di Giustizia per la revisione finale. Se l’accordo sarà approvato si tratterà della maggiore multa civile mai ottenuta dalla Ftc in casi di privacy dei bambini. Solo lo scorso mese infatti è stata comminata a Facebook una maxi sanzione da 5 miliardi di dollari per lo scandalo dei dati. Ad accusare Youtube di violazioni è stata lo scorso anno una colazione di gruppi a tutela della privacy, che hanno puntato il dito contro la piattaforma video per il mancato rispetto della legge Children’s Online Privacy Protection Act, che vieta ai servizi online di raccogliere i dati e le informazioni personali di minori sotto i 13 anni senza il consenso dei genitori. YouTube – è l’accusa – ha invece raccolto i dati di milioni di bambini che hanno avuto accesso ai suoi servizi senza il consenso di mamma e papà.

I navigator iniziano a lavorare (forse). Restano tutti i nodi

A partire da domani, chi sta percependo il Reddito di cittadinanza ed è obbligato a firmare il patto per il lavoro, dovrà tenere un occhio vigile sul telefono o sulla casella email: i centri per l’impiego stanno per avviare le convocazioni. È la cosiddetta “fase 2”, quella che impegnerà i beneficiari della misura contro la povertà targata M5S nella ricerca attiva di un’occupazione. Saranno in 704 mila a essere chiamati per primi nei prossimi giorni: per il momento saranno coinvolti solo quelli che hanno ricevuto la carta acquisti prima di luglio. Contemporaneamente, tra questa settimana e la prossima, arriveranno nelle strutture regionali anche i navigator assunti dall’Anpal (l’Agenzia per le politiche attive del lavoro), i quali passeranno alla formazione. Ma non saranno loro a chiamare i percettori disoccupati: questo compito spetterà ai dipendenti dei centri per l’impiego già presenti. I nuovi arrivati, una volta “iniziati” alla professione, dovranno solo fornire assistenza tecnica.

Al primo posto nella classifica dei territori più densi di persone da accompagnare al lavoro è la Campania: il primo blocco contiene già oltre 178 mila nomi sparsi tra Napoli e le altre province. E il paradosso è che questa è l’unica Regione in cui i navigator ancora non sono operativi. Insomma, tutto il lavoro graverà sul personale dei centri, che sono senza organico e non potranno contare sul supporto dei 471 nuovi operatori selezionati con il concorso di giugno. Il motivo è la netta opposizione del governatore Vincenzo De Luca (Pd). Gli idonei stanno da settimane manifestando contro questo ostracismo, al punto da organizzare uno sciopero della fame. Ma De Luca ha detto che la vertenza dovrebbe aprirsi contro l’Anpal, ovvero l’ente che li dovrebbe mettere sotto contratto per poi inviarli al servizio delle Regioni.

Dal lato suo, la stessa Anpal ha ricordato che “la contrattualizzazione dei navigator campani può essere effettuata solo previa firma della convenzione tra la Regione e Anpal, come stabilito dall’accordo Stato-Regioni dello scorso aprile, sottoscritto dalla stessa Campania”. Una situazione che continua a essere impantanata, anche se ora c’è chi spera che un eventuale accordo di governo tra Pd e M5S possa favorire uno sblocco.

Sul secondo gradino c’è la Sicilia, con quasi 163 mila beneficiari in procinto di essere attivati. I navigator sono 429, finora 399 quelli già assunti. Nelle scorse settimane hanno svolto la formazione in aula, ora passeranno a quella on the job. Un calendario di nuovi incontri di addestramento sono previsti tra martedì e venerdì. I tutor saranno gli attuali operatori dei centri per l’impiego e altri inviati dall’Anpal Servizi. Nel frattempo, “dal 4 settembre – dice l’assessore al Lavoro Antonio Scavone – partirà l’affiancamento nei centri per l’impiego”.

Le prime attività, come spiegano dalla Regione, riguarderanno il primo stadio del percorso di inserimento, cioè la convocazione e la presa in carico. Poi, sempre in seguito alla formazione in aula, ci si concentrerà su tutte le fasi del processo di accompagnamento al lavoro dei beneficiari del reddito. “Hanno vinto una selezione con migliaia di concorrenti – ha ricordato in conclusione Scavone – sono già di alto livello; nel giro di 4/6 settimane saranno pronti”. Conclude il podio la Calabria, con 64 mila persone da chiamare. I centri per l’impiego dovranno insegnare il mestiere a 170 navigator, poi servirsi del loro contributo. La Regione, però, ha deciso di limitare un po’ il raggio di azione dei nuovi operatori dell’Anpal: senza un’autorizzazione esplicita non potranno avere un rapporto diretto con i beneficiari del reddito. Una scelta condivisa solo con il Lazio (dove si aspettano 38 mila persone). Tutte le altre Regioni, invece, hanno previsto nelle convenzioni che il supporto tecnico da parte dei navigator potrà essere svolto “anche in attività dirette rivolte agli utenti”. Non solo back office, in pratica.

Al Nord i contingenti sono meno numerosi. In Lombardia saranno convocati in 33.600 circa. I 329 navigator arriveranno in Regione il 9 settembre per due giorni di immersione totale. Conosceranno anche la “dote unica lavoro”, politica attiva già collaudata. Poi anche qui si passerà all’affiancamento. Nella convenzione, il Pirellone ha chiesto e ottenuto che venisse riconosciuto il suo modello, nel quale un ruolo fondamentale, accanto ai centri pubblici, è svolto dagli enti privati. Il Veneto aspetta solo 14.500 persone e i navigator saranno 142. La loro formazione è iniziata il 28 agosto, nelle prossime settimane si specializzeranno sugli strumenti di presa in carico e per la gestione dell’incrocio tra domanda e offerta.

Le Regioni, insomma, si preparano, ma mancano all’appello alcuni strumenti. La banca dati dell’Anpal ancora non comunica direttamente con quelle regionali e i nomi delle persone da chiamare vengono ancora inviate attraverso elenchi su file massivi. Così come manca il bando per selezionare le agenzie private che potranno candidarsi per seguire i beneficiari del reddito nel percorso intensivo di reinserimento, cioè l’assegno di ricollocazione.

 

I numeri

I convocati da domani
Scatta, da lunedì 2 settembre, la fase 2 del Reddito di cittadinanza: prenderanno il via le convocazioni da parte dei centri per l’impiego della prima tranche di beneficiari del RdC. Al primo appello dovranno rispondere i soggetti che hanno iniziato a intascare il sussidio nei mesi da aprile a luglio e rispondono ai requisiti per essere inseriti nel programma di ricerca di un impiego. Si tratta di circa 350 mila famiglie, il 30% quasi di oltre un milione di domande accolte dall’Inps, traducibile in 704.595 beneficiari: di questi, saranno convocati l’intestatario del RdC (chi ha fatto domanda di RdC) e i componenti maggiorenni non occupati o non dediti allo studio. Secondo i dati pubblicati dal ministero del Lavoro, la gran parte dei soggetti da avviare al lavoro risiede nelle principali regioni del Sud Italia: circa il 65% di questi beneficiari proviene infatti da Campania (178.370), Sicilia (162.518), Calabria (64.057) e Puglia (50.904) che, nell’insieme, sono il 64,7% dei soggetti da assistere. Secondo il ministero è proprio in questi territori che i navigator dovranno impegnarsi di più: rispetto alla media nazionale che vede 236 disoccupati in carico a ogni navigator, al Sud il rapporto varia dai 379 di Campania e Sicilia ai 377 della Calabria. All’opposto si trovano, tra l’altro, Lombardia e Veneto dove ogni navigator dovrà fornire assistenza a 102 disoccupati. Come previsto dalla legge, saranno chiamati anche i componenti del nucleo familiare maggiorenni che non sono occupati e che non frequentano un corso di studi

Mail Box

 

In memoria della democrazia contro il degrado del Paese

La pratica di una vera democrazia è divenuta inapplicabile nella gestione della “cosa” comune, dello Stato in tutte le sue accezioni, a partire dalla giustizia. Non parliamo della politica di basso livello in auge da anni. La colpa non è del solo Berlusconi. Gli italiani reagiscono non di rado come branchi di “pecore”, spesso ingannati da chi abbaia più forte o è più subdolo, disorientati dalla perdita di autorevolezza dell’informazione. Una volta si era certi che un grande giornale desse notizie assolutamente affidabili e commenti improntati, nelle diversità delle opinioni, al bene comune. Oggi è una guerra tra bande. Conte ha ricordato i valori di disciplina e onore contenuti nella Carta costituzionale, per questo si cerca di ridicolizzarlo. Chiunque lo fa è partecipe o complice dell’attuale degrado della vita civile di questo Paese. Un grave atto di diseducazione sociale.

Giampiero Buccianti

 

Il Pd non lo vuole più nessuno: hanno la faccia come il bronzo

Sia ben chiaro: ciò che sta succedendo oggi nel Belpaese è figlio di una classe politica di dilettanti, capaci solo di “pensare” alla propria poltrona e al proprio capitale. Mai nella storia della Repubblica si è assistito a un tale teatrino, avendo avuto pure un governo con due vicepremier. Oggi, forse, da quelle ceneri nascerà un governo fatto dai “perdenti”. Perdenti alle scorse elezioni nazionali e alle rispettive Regionali e Comunali. Tutto ciò imporrebbe una riflessione ma, evidentemente, questi “ragazzi della politica” hanno una bella faccia di bronzo. Se andiamo al voto, alle urne uscirà un’instabilità politica uguale alla precedente. Oramai alle feste dell’Unità poca gente e tanti dubbi. Nessuno vuole quelli del Pd, se non alcuni fedelissimi. Professano la democrazia, ma amano il potere e vogliono governare a tutti i costi. Dicono di odiare il capitalismo ma amano il capitale. Questo è la storia della sinistra italiana con tanto di rolex e barca a vela. Quelli che fanno le primarie, obbligano a portare 2 euro come “contributo volontario”. Poi si querelano tra loro, si fingono salvatori della patria dopo aver cancellato i diritti dei lavoratori come l’abolizione dell’art 18. Sarebbe meglio metterli alla porta. Magari insieme a Salvini che fa il bullo. Alla fine è stato accontentato: forse arriverà un governo Conte Bis, ma giallo-rosso. Anzi, forse, solo rosso.

Gianluca Bragatto

 

La piattaforma Rousseau conta più di Mattarella?

Non considerando le convulse consultazioni del premier incaricato Conte, soprattutto con i due partiti che si dovrebbero alleare per fare il governo giallorosso, e cioè 5S e Pd, la vera spada di Damocle che peserebbe sull’eventuale accordo raggiunto sarebbe che detto accordo, e cioè il sì o il no al governo, non dovrebbe darlo il presidente della Repubblica Mattarella (secondo le regole istituzionali), bensì ancor prima la piattaforma Rousseau, sentita online dai 5S. Orbene, se la notizia è vera, debbo ammettere che mai avevo ascoltato prima d’ora un’imbecillità politica simile. Insomma, se la notizia dovesse essere confermata, il primo a rinunciare all’incarico di fare il governo dovrebbe essere proprio il premier incaricato, per non essere sottoposto eventualmente all’umiliazione di fare un accordo inutile e venire poi sbugiardato. Se, poi, non costituisce un problema la piattaforma Rousseau, perché si è sicuri ancor prima del risultato positivo, allora le cose starebbero ancora peggio.

Luigi Ferlazzo Natoli

 

Lo spread come strumento di pressione dei poteri forti

Quindici giorni fa lo spread italiano era a 240 e, ora che pare si stia per insediare il nuovo governo (di vecchie cariatidi del Pd insieme agli ingenuotti 5S, che verranno rapidamente fagocitati dai pidini e dal mai eletto Conte), lo spread è crollato a 160. Eppure in 15 giorni nulla è cambiato nella situazione economica italiana.

L’Italia non è divenuta economicamente più affidabile, solo perché i renziani mascherati si apprestano a tornare sul ponte di comando. Allora perché nessun media osa dire chiaramente che lo spread è solo uno strumento di pressione contro chi non ha sovranità monetaria, per costringere i governi a fare quello che fa comodo ai poteri forti? Perché lo spread ad esempio del Giappone, che ha il doppio del nostro rapporto deficit-Pil e ha recentemente raddoppiato la sua base monetaria, è quasi zero? Perché il Giappone ha una Banca centrale e una sua moneta e pure una disoccupazione al 2,5%. Chissà come mai.

Enrico Costantini

 

Quota 100 e le lunghe attese per ricevere la liquidazione

Il presidente dell’Inps Tridico, quando afferma che la Quota 100 sta costando meno del previsto, lo sa che intanto io, con 42 anni e sette mesi di lavoro alle spalle, dopo due anni, come da legge, non ho ancora avuto la (cosiddetta) liquidazione; dopo due anni, come da legge, me ne arriverà soltanto una parte; dopo due anni, l’Inps si riserva altri tre mesi per disporne il pagamento? L’Italia non è un Paese per giovani, ma nemmeno per vecchi, a quanto pare. Rimarrà solo un Paese per politicanti e burocrati? Speriamo di no.

Annalisa Ferrari

 

La Versiliana: un decennio di informazione e libertà

Dieci anni di Fatto Quotidiano. Una boccata d’ossigeno dai giornaloni che hanno provato a dirottare l’opinione pubblica a seconda degli umori del politico di turno da spalleggiare. Avanti così! Questa bella festa ve la meritate tutta.

Piero Mangialardo

I litigi sulle poltrone aiutano il “tipaccio” che chiede potere

 

Di Maio con gli ultimi fedelissimi: “Non mi faccio mortificare”. Zingaretti basito annulla gli incontri. Conte lo rassicura: il diktat non passa”.

Repubblica

 

In un paese immaginario, c’è un leader politico di estrema destra un po’ tipaccio che sull’onda di sondaggi che sembrano proiettarlo verso la maggioranza assoluta dichiara con voce tonante che vuole i pieni poteri. Infatti, decide di far cadere, con una scusa qualsiasi, il governo nel quale pure ha fatto il bello e il cattivo tempo, per procedere allo scioglimento delle Camere e poi andare a marce forzate alle agognate elezioni anticipate. Egli è convinto che una volta saldamente al potere avrà mani libere per imporre il proprio credo razzista ed estremista, tra il giubilo delle folle. Poi però qualcosa va storto e il nostro personaggio comincia a sbagliare tutte le mosse finendo in un vicolo cieco. Avviene così che, improvvisamente, le forze politiche (massacrate dal tipaccio) e i giornali che a lungo avevano gridato alla emergenza democratica, e al ritorno del fascismo, si trovino, consegnato su di un piatto d’argento (anzi d’oro tempestato di smeraldi), l’occasionissima di formare un governo democratico, laico e antifascista e di sbattere all’opposizione l’uomo dei pieni poteri. A questo punto uno s’immagina che quelle forze politiche massacrate dal tipaccio, avendo miracolosamente salvata la pelle, trovino senza indugio alcuno l’accordo per mettere in piedi un’alleanza di ferro (anzi di cemento armato). E nominare i ministri più prestigiosi e competenti (il premier ce l’hanno già) e concordare un programma del buon governo della svolta così da mettere alle corde il leader di cui sopra, che intanto disperato abbaia alla luna. A questo punto uno pensa che sui giornali che a lungo hanno gettato l’allarme sul ritorno della dittatura e del KKK si verghino infuocati editoriali per inneggiare al ritorno della democrazia nel segno naturalmente dell’antifascismo. E che concordino, tutti quanti, di stampare a caratteri scatolari ogni giorno lo stesso titolo: “Fate presto”. Fino a quando il buon governo riscuoterà la fiducia del Parlamento e potrà finalmente operare per il bene comune. Accade invece che le forze politiche della svolta comincino a litigare furiosamente sulle note di una celebre canzone (vengo anch’io no tu no). E che i giornali di cui sopra, dimentichi delle squadracce alle porte, storcano il naso perché quel ministro veste male e quell’altro ha una fidanzata bionda. Cosicché il leader tipaccio riprende fiato e arringa i suoi manipoli con queste precise parole: tranquilli camerati che quelli stanno lavorando per noi, e se ritorniamo non facciamo prigionieri (continua o forse no).