Ci sono ottime ragioni per esultare all’esito dell’autogol del Papetee, ossia il reincarico a Conte per formare un governo di legislatura. Errori di arroganza come quello del Capitano si pagano a caro prezzo in politica. Di conseguenza, le possibilità che il salvinismo si sgonfi nei prossimi anni dipendono da quanto la maggioranza giallorosa saprà interpretare uno spartito che rinuncia a fomentare la rabbia dell’elettorato affrontando invece con impegno e serietà i problemi.
Il governo che nasce ha come base sociale cittadini perbene, preoccupati soprattutto per il futuro (lavorativo ed esistenziale) dei propri figli e del pianeta. Italiani spesso in difficoltà economica che si rendono conto della necessità di uscire dal pensiero unico neoliberale che subdolamente produce rancore e odio sociale, mentre continua a estrarre valore sotto forma di sfruttamento delle persone e dei beni comuni. Non mi ha per niente stupito, reduce da mesi di raccolta firme per la Legge di Iniziativa Popolare del Comitato Rodotà (www.generazionifuture.org), che Di Maio, Zingaretti e poi Conte (esplicitamente nell’accettare l’incarico) abbiano caratterizzato con la cifra dei beni comuni, dei beni pubblici sociali (scuola, sanità) e dell’ecologia (che comprende il buon lavoro) la prossima azione di governo. Del resto, i beni comuni sono nel Dna dei 5S; il lavoro e l’inclusione sociale in quello di buona parte del Pd; soprattutto, il prof Conte è civilista di gran scuola (allievo di Alpa, il più noto discepolo di Rodotà) e sa perfettamente quanto seria, matura e rispettata in tutta Europa sia la riflessione giuridica e istituzionale italiana su queste materie. È dunque sull’interpretazione della questione dei beni comuni che si gioca la capacità del governo di dimostrarsi davvero trasformativo.
Nel 1981, Mitterrand costruì la sua prima squadra di governo lanciando formalmente l’istituzione di un nuovo ministero, quello dell’Ambiente. Oggi riterrei maturi i tempi per dare un segnale internazionale forte della strada che l’Italia vuole percorrere: si dia vita subito a un nuovo ministero per le Generazioni future e i beni comuni (come fu fatto a Napoli nel 2011 con il primo assessorato affidato a Lucarelli) con il compito di coordinare alcune politiche dei dicasteri di Ambiente, Lavori pubblici, Beni culturali, Sanità, Istruzione, Lavoro e attività produttive. Si affidi il ministero a un leader importante, magari proprio Luigi Di Maio, anche al fine di evitare altri doppioni dell’esperienza gialloverde. Nei primi 100 giorni si realizzi un grande censimento dei beni comuni in Italia (si potrebbero utilizzare le strutture del Cnel), realizzando anche un catalogo delle buone pratiche dal basso. Si approvi subito il disegno di legge delega sui beni pubblici e comuni su cui tanto lavoro ha svolto la cultura giuridica italiana, per creare la necessaria infrastruttura istituzionale. Si introdurrebbero così principi fondamentali su beni comuni, generazioni future e buon governo e garanzia dei beni pubblici direttamente nel Codice civile, dando strumenti alla magistratura e una lezione di diritto ecologico di sicuro impatto internazionale.
Non voglio cadere vittima dello stesso entusiasmo che, per la caduta di Berlusconi, fece (inizialmente) esultare Rodotà per l’incarico a Monti. So quanto sia difficile per un governo essere amico dei beni comuni. Credo tuttavia che l’azione di Conte possa costituire quella sintesi ecologica fra le forze politiche del nuovo governo necessaria per affrontare le complesse questioni di legislatura (dal lavoro alle infrastrutture tecnologiche ai trasporti a rete; dall’Ilva alle concessioni autostradali; dall’immigrazione alla democrazia elettorale). Da qui capiremo se l’incubo di una destra incattivita si ripresenterà fra quattro anni.