La vera svolta: subito il ministero per i Beni comuni

Ci sono ottime ragioni per esultare all’esito dell’autogol del Papetee, ossia il reincarico a Conte per formare un governo di legislatura. Errori di arroganza come quello del Capitano si pagano a caro prezzo in politica. Di conseguenza, le possibilità che il salvinismo si sgonfi nei prossimi anni dipendono da quanto la maggioranza giallorosa saprà interpretare uno spartito che rinuncia a fomentare la rabbia dell’elettorato affrontando invece con impegno e serietà i problemi.

Il governo che nasce ha come base sociale cittadini perbene, preoccupati soprattutto per il futuro (lavorativo ed esistenziale) dei propri figli e del pianeta. Italiani spesso in difficoltà economica che si rendono conto della necessità di uscire dal pensiero unico neoliberale che subdolamente produce rancore e odio sociale, mentre continua a estrarre valore sotto forma di sfruttamento delle persone e dei beni comuni. Non mi ha per niente stupito, reduce da mesi di raccolta firme per la Legge di Iniziativa Popolare del Comitato Rodotà (www.generazionifuture.org), che Di Maio, Zingaretti e poi Conte (esplicitamente nell’accettare l’incarico) abbiano caratterizzato con la cifra dei beni comuni, dei beni pubblici sociali (scuola, sanità) e dell’ecologia (che comprende il buon lavoro) la prossima azione di governo. Del resto, i beni comuni sono nel Dna dei 5S; il lavoro e l’inclusione sociale in quello di buona parte del Pd; soprattutto, il prof Conte è civilista di gran scuola (allievo di Alpa, il più noto discepolo di Rodotà) e sa perfettamente quanto seria, matura e rispettata in tutta Europa sia la riflessione giuridica e istituzionale italiana su queste materie. È dunque sull’interpretazione della questione dei beni comuni che si gioca la capacità del governo di dimostrarsi davvero trasformativo.

Nel 1981, Mitterrand costruì la sua prima squadra di governo lanciando formalmente l’istituzione di un nuovo ministero, quello dell’Ambiente. Oggi riterrei maturi i tempi per dare un segnale internazionale forte della strada che l’Italia vuole percorrere: si dia vita subito a un nuovo ministero per le Generazioni future e i beni comuni (come fu fatto a Napoli nel 2011 con il primo assessorato affidato a Lucarelli) con il compito di coordinare alcune politiche dei dicasteri di Ambiente, Lavori pubblici, Beni culturali, Sanità, Istruzione, Lavoro e attività produttive. Si affidi il ministero a un leader importante, magari proprio Luigi Di Maio, anche al fine di evitare altri doppioni dell’esperienza gialloverde. Nei primi 100 giorni si realizzi un grande censimento dei beni comuni in Italia (si potrebbero utilizzare le strutture del Cnel), realizzando anche un catalogo delle buone pratiche dal basso. Si approvi subito il disegno di legge delega sui beni pubblici e comuni su cui tanto lavoro ha svolto la cultura giuridica italiana, per creare la necessaria infrastruttura istituzionale. Si introdurrebbero così principi fondamentali su beni comuni, generazioni future e buon governo e garanzia dei beni pubblici direttamente nel Codice civile, dando strumenti alla magistratura e una lezione di diritto ecologico di sicuro impatto internazionale.

Non voglio cadere vittima dello stesso entusiasmo che, per la caduta di Berlusconi, fece (inizialmente) esultare Rodotà per l’incarico a Monti. So quanto sia difficile per un governo essere amico dei beni comuni. Credo tuttavia che l’azione di Conte possa costituire quella sintesi ecologica fra le forze politiche del nuovo governo necessaria per affrontare le complesse questioni di legislatura (dal lavoro alle infrastrutture tecnologiche ai trasporti a rete; dall’Ilva alle concessioni autostradali; dall’immigrazione alla democrazia elettorale). Da qui capiremo se l’incubo di una destra incattivita si ripresenterà fra quattro anni.

“Quanto più sei grande tanto più fatti umile”: questo insegna Cristo

Avvenne che un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: ‘Cedigli il posto!’. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, vieni più avanti!’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. Disse poi a colui che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”.

Nel mondo in cui viviamo il valore dell’umiltà è escluso da ogni considerazione. Domina il potente, viene ammirato chi riesce a prevalere, chi si afferma a ogni costo, chi si assicura una posizione anche ricorrendo a mezzi spregiudicati e privi di ogni scrupolo. Il Siràcide, dalla prima lettura, raccomanda invece: Quanto più sei grande, tanto più fatti umile (3,18). E quanta corruzione pur di emergere!

A capire il segreto dell’umiltà cristiana ci aiuta Gesù. Egli osserva come (pòs) gli invitati sceglievano i primi posti e, dal diffuso atteggiamento di primeggiare e dalla smania degli ospiti di scegliere le posizioni più in vista; coglie l’occasione per raccontare l’umiltà autenticamente umana con questa parabola. L’intenzione non è quella di proporre una tattica per raggiungere il posto migliore, né di insegnare la buona educazione o un buon galateo. È, semmai, un invito forte a esercitare un saggio discernimento, a rimettere a Dio la nostra vita, a riconoscere che è Lui ad assegnarci il vero posto. Nel Regno di Dio non si gareggia per apparire o per meritare di arrivare primi: tutti, infatti, sono invitati a mettersi al posto giusto e più idoneo al servizio, cioè l’ultimo! Questo è il posto di Dio secondo Gesù Cristo. Chi riconosce questa condizione e la vive, è umile e riceve la promessa: Chi si umilia sarà esaltato. D’altra parte, dobbiamo riconoscere che questa è stata e continua a essere la scelta di Dio che, nell’incarnazione del Figlio suo Gesù, si è fatto servo di tutti, si è messo all’ultimo posto. Per questo, nel racconto dell’ultima cena di Giovanni, Pietro e gli Undici sono scandalizzati e confusi per il fatto che Gesù assuma l’ultimo posto nell’atto di lavare loro i piedi. Uno scandalo che si ripete anche quando Egli propone, come regola e fonte di beatitudine, il vivere all’ultimo posto, come un servo.

Gli umili sono coloro che più assomigliano a Dio e quindi sono in grado di glorificarlo. Possiamo identificare il prototipo dell’autentica umiltà nella Madre del Signore che canta questo dono nel suo magnificat. L’anima mia magnifica il Signore (…) perché ha guardato l’umiltà della sua serva. Nella seconda parte della parabola, Gesù approfondisce il segreto dell’umiltà. A colui che lo ha invitato, Egli suggerisce di cambiare destinatari dell’invito: scegli – gli propone – coloro che non possono ricambiare l’ospitalità, poveri, storpi, zoppi, ciechi. Queste persone indigenti dipendono dagli altri.

Ecco l’anima dell’umiltà cristiana, umanizzante! Questa categoria di invitati non potrà ricambiare: il rapporto con loro non potrà essere determinato dalla reciprocità di una mutua convenienza. Essi ricevono gratuitamente, mentre le loro mani restano vuote: Sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la ricompensa alla risurrezione dei giusti. Questo è il comportamento di Dio che tutti accoglie e che, in Gesù Risorto, è attento agli ultimi, non dipende per quale causa, perchè si fidano incondizionatamente di Lui.

 

Dopo Salvini l’Italia torni umana

Sono passati appena due giorni dal distacco di Salvini dalla poltrona, amata con furore, di ministro dell’Interno, e già si ha l’impressione che un respiro di sollievo si sia levato in Italia. Non sarà di tutti, ma di tanti che hanno avuto l’impressione di uscire da un periodo già troppo lungo di emergenza, in cui l’Italia attacca, offende, disprezza e respinge, senza un solo alleato o un solo compagno di viaggio.

Questa emergenza è segnata da un cattivo fiato di guerra che, oltre a generare sentimenti ostili, incontra anche stupore. L’Italia trincerata di Salvini che vuole salvarsi tenendo in mare per settimane donne e bambini si comporta come il leader di un piccolo Paese offeso che teme mancanza di rispetto per la sua irrilevanza. Nel mondo l’Italia è apparsa rovesciata: la piccolezza del suo superministro con poteri esclusivi (così Salvini ha interpretato il suo ruolo) è stata fatta passare per piccolezza e irrilevanza del Paese, che bisogna per forza difendere, se necessario in modo spietato.

Stabilito che Salvini non c’è più, che ha davvero lasciato il Viminale dove giocava con le divise per far apparire i poliziotti come suoi cloni, dove ha seriamente tentato di trasformare le Forze dell’ordine italiane in sgherri che, nel cuore della notte, sgomberano bambini terrorizzati, da case che hanno sempre abitato, stabilito che, anche se diventasse primo ministro non avrebbe mai più il potere incontrollato e arbitrario che si è attribuito in questa prima prova segnata dalla triste allegria della Repubblica di Papeete, siamo certi di poter dire che una sorta di liberazione è avvenuta.

Lo avrete notato: i prefetti – umiliati dai compiti esclusivamente anti “clandestini” che venivano loro imposti in città dove si spara per le strade e si spaccia liberamente, e i mafiosi continuano a frequentare “il circolo” dei cittadini rispettabili – hanno interrotto di loro iniziativa la triste trafila degli sgomberi, eseguiti senza preavviso, senza spiegazioni e senza luoghi alternativi di accoglienza. Nessun governo normale potrà dichiarare, senza mentire, che i porti sono chiusi e nessuna nave affollata di esseri umani (molti torturati nei “porti sicuri” della Libia) sarà tenuta per settimane al largo delle coste italiane, nel mare in tempesta e nel sole di agosto.

S’intende che il clima di tormentosa emergenza che il governo Salvini aveva imposto all’Italia continua ad avere il grande alleato ricevuto in dono dai peggiori personaggi della destra americana, come Stephen Bannon e Stephen Miller: la grande fake news dell’immigrazione organizzata e manovrata per riempire l’Italia di africani che dovranno sostituire i bianchi nel grande complotto.

La paura, del tutto inventata, resta grande e scenderà molto lentamente. Si sa che le superstizioni sono più forti e durature delle religioni organizzate ed è noto che questa superstizione si aggancia al razzismo e ha doppia forza per durare. Però, in questa sua seconda vita, Salvini dovrà far breccia e cercare selfie senza il potere (il suo super potere che non dava alcuna indicazione di un limite nel lavoro di altri colleghi o in quello delle opposizioni o in quello, per Salvini particolarmente odioso, dei competenti). E dunque la sua missione di spargere ostilità e paura sarà molto diversa dai giorni di Papeete, anche se resta duro il lavoro per il ritorno alla civiltà. Se, quando un nuovo governo ci sarà, resta necessario e urgente tornare a un mondo di civiltà che Salvini aveva completamente cancellato.

La storia della civiltà ci insegna che chi rischia di morire deve essere salvato. E dopo averne salvati nove, nessuna persona civile si ferma per dire che dieci però sono troppi. Non ci sono precedenti o esempi nella storia del mondo di salvataggi interrotti perché troppi volevano essere salvati. I Paesi portatori di civiltà devono creare passaggi legali e protetti. In questo modo cominceranno a partecipare alla conoscenza e al controllo della migrazione. Nel linguaggio della civiltà, ma anche nel significato normale delle parole, “illegale” non vuol dire “clandestino”. Clandestino è chi si nasconde deliberatamente alle istituzioni e alle Forze dell’ordine. Qui è il contrario. Gli illegali cercano disperatamente una attenzione che non riescono a ottenere.

E per smontare del tutto la leggenda sovranista, si deve dire che gli scafisti hanno spesso il merito di fare ciò che alla Marina militare di un Paese civile e ai suoi volontari viene impedito di fare. Se l’epoca della mortuaria emergenza di Salvini è finita, una nuova strada della convivenza umana può cominciare.

Figlia di due madri, il Viminale ricorre contro la trascrizione

“La trascrizione dell’atto di nascita di un minore che non ha legami di sangue con un italiano è contraria ai principi primari costituzionalmente garantiti quali sono quelli relativi al diritto alla cittadinanza italiana”. È quanto si legge nel ricorso con il quale il Viminale, tramite l’Avvocatura, ha impugnato in appello il decreto del Tribunale di Bari che aveva respinto l’opposizione del ministero dell’Interno alla trascrizione dell’atto di nascita del figlio di due donne, una inglese e una italiana, fatta dal Comune di Bari nel 2017. Il Viminale, che spiega di essere “legittimato ad agire in quanto titolare della competenza in materia di tenuta dei registri dello stato civile”, sottolinea come a un bambino nato all’estero da una cittadina britannica sia stato di fatto attribuito “lo status di figlio di una cittadina italiana, con la prima unita civilmente, ma con la quale egli non ha alcun rapporto biologico”, ma, a parere del Viminale, “l’insussistenza di un rapporto biologico con il genitore italiano impedisce la trascrizione nei registri di stato civile italiani”, perché “si finisce per attribuire al minore la cittadinanza italiana della madre intenzionale, pur non risultando esistere con quest’ultima alcun legame biologico”.

L’ora di clima nella scuola certificata dall’Onu

I fumi della centrale a carbone infestano il cielo. Migliaia di ulivi sono stati da poco espiantati per fare spazio al prolungamento del gasdotto Trans Adriatic Pipeline, che Snam sta per costruire. Incombe pure la minaccia di due nuovi impianti turbogas, sebbene a pochi chilometri di distanza ci sia un sito di interesse nazionale tra i primi in classifica per mancate bonifiche. Proprio qui, nel brindisino, da una scuola di provincia parte il cambiamento e l’innovazione.

A Mesagne, poco più di 26 mila abitanti, da qualche giorno è nata la prima Climate change school accreditata dalle Nazioni Unite. Mentre i leader mondiali si preparano al summit sul clima organizzato dall’Onu a New York, il liceo scientifico del piccolo comune meridionale “Epifanio Ferdinando” è la prima scuola ad avere un United Nations Climate change teacher, ovvero un docente esperto di clima. Si chiama Angelo Gagliani e insegna informatica. Un professore vecchio stampo. Rigoroso e vulcanico. Ambiente, grandi opere, inquinamento sono temi che con gli studenti affronta da tempo. “Vivendo in un territorio soggetto a fortissime emissioni di Co2 – racconta – mi sembra naturale farlo”. I giovanissimi da queste parti hanno fame di sapere. Già lo scorso anno, durante l’autogestione, in questo liceo si sono tenuti cicli di incontri di approfondimento. Alcuni studenti hanno partecipato anche a un progetto di alternanza scuola-lavoro in collaborazione con il Centro didattico euro-americano sulle politiche costituzionali dell’Università del Salento: così è nato il portale emergenzaclimatica.it, una sorta di archivio di documenti inerenti al clima. Li supporta il professore Michele Carducci, ordinario di Diritto costituzionale comparato e di Diritto climatico, nonché legale della campagna “Giudizio Universale”, attraverso cui in autunno associazioni e singoli cittadini intendono fare causa allo Stato italiano per il disinteresse verso i cambiamenti climatici.

È in questo fervore che nasce l’idea del professor Gagliani di acquisire ulteriori competenze. “Navigando sul web – spiega al Fatto – mi sono accorto che la Harwood Education, in Inghilterra, promuoveva un pacchetto formativo accreditato dall’Onu per diventare Climate change teacher e l’ho fatto”.

Il progetto è stato ideato da un’educatrice e una terapista. Grazie a una partnership con l’Istituto per la formazione e la ricerca delle Nazioni Unite (Unitar), è stato realizzato un programma didattico sui cambiamenti climatici, con l’obiettivo di formare almeno un docente per ogni istituto. La collaborazione con il ministero dell’Istruzione britannico ha favorito un’ampia partecipazione. Estesa anche al resto del mondo. Cinque corsi e 15 esami online consentono ai docenti di tutto il mondo di ottenere l’attestato. Dopo Mesagne, anche un’altra scuola veneta si è accreditata. Il professor Gagliani intende organizzare conferenze interdisciplinari, sia nelle ore scolastiche sia in quelle pomeridiane. E spera che presto il clima venga inserito nei programmi ministeriali. “Spesso – sostiene – si associa il cambiamento climatico solo all’inquinamento e non alle migrazioni e alle conseguenze sulla salute e sulla vita soprattutto di donne e minori. Per non parlare delle metamorfosi che inevitabilmente subiscono le città”. Anche il dirigente scolastico, Aldo Guglielmi, si dice soddisfatto: “La nostra è un’azione concreta nel piccolo – racconta – vorrei che i miei studenti facciano delle scelte di campo e decidano da quale parte stare. La speranza – conclude – è di diventare un esempio per il territorio e un modello per gli altri istituti”.

Il colpo di coda di Salvini: blocca anche la Alan Kurdi

“Queste cose non vogliamo più vederle. Non è umano. Fate scendere subito questi esseri umani”. Alle sei del pomeriggio Nicola Zingaretti dice pubblicamente quel che l’elettorato di sinistra vuol sentire: i naufraghi della Mare Jonio devono sbarcare. Subito. Matteo Renzi dà il suo appoggio alla dichiarazione del segretario rilanciandola su Twitter. Fonti Pd fanno filtrare una notizia in più: c’è già un accordo con il premier Giuseppe Conte e il M5S per una nuova legge sull’immigrazione.

Nelle stesse ore la nave Alan Kurdi, con 13 naufraghi a bordo tra i quali 8 bambini, s’affianca alla Mare Jonio, a poche miglia da Lampedusa e quindi a ridosso delle acque italiane. Dal ministero delle Infrastrutture e Trasporti, nelle ultime ore della gestione di Danilo Toninelli, la dichiarazione di Zingaretti viene rispedita al mittente: “Fatti salvi i casi di più grave emergenza umanitaria, serve sempre la presa in carico dei migranti da parte dei partner dell’Ue. Poi tutto dipende da come la nave s’è comportata in zona Sar libica, se s’è coordinata con la loro Guardia costiera. In questo caso (quello della Mare Jonio, ndr) non l’hanno fatto”.

In sostanza per Toninelli non cambia nulla: dalla Mare Jonio non deve sbarcare nessuno. Sembra ormai asserragliato, come Matteo Salvini, a difendere la linea dei “porti chiusi” fino all’ultima ora che avrà a disposizione. “Se qualcuno vuole riaprire i porti – ha dichiarato Salvini – lo dica chiaramente. Lo ha detto poco fa il segretario del Pd. Se si pensa di riavviare il business dell’immigrazione clandestina, cancellare il decreto Sicurezza e Quota 100 siamo alla truffa: questo è reato di truffa”. In realtà, il muro eretto da Lega e M5S dinanzi a Lampedusa ieri, per la prima volta, ha dato l’impressione d’iniziare a sgretolarsi. Su più fronti. Non soltanto quello politico. Con la Alan Kurdi e i suoi 8 bambini a bordo, affiancata alla Mare Jonio, mentre un aereo militare e una motovedetta della Gdf la controlla a vista, la pressione sul muro è raddoppiata. Il Viminale interviene secondo il precetto del decreto Sicurezza bis, ormai destinato alle modifiche richieste dalla presidenza della Repubblica, e alle 20 Salvini comunica d’aver firmato il divieto d’ingresso per la Alan Kurdi. Lo invia agli altri due ministri tenuti a sottoscriverlo: Toninelli e la collega M5S alla Difesa, Elisabetta Trenta. A sua volta la Mare Jonio torna a chiedere un porto sicuro.

I volontari italiani ribadiscono “le condizioni psicofisiche di estrema vulnerabilità delle persone a bordo dovute ai loro tragici vissuti e alle violenze subite in Libia. Condizioni aggravate dall’esperienza della morte di sei compagni di viaggio e dall’attuale situazione di incertezza e di sospensione del diritto in cui versano che si configura come ‘trattamento inumano e degradante’”. E annunciano che sono pronti a denunciare in procura. Di lì a poco riceve dalla Guarda Costiera una risposta – pubblicata ieri da Nello Scavo su Avvenire.it – piuttosto sibillina: “In riscontro alla richiesta di Place of Safety (Pos), pervenuta con l’email a cui si porge riscontro, si rappresenta che la competente autorità nazionale, alla quale la predetta richiesta è stata inviata per le valutazioni di competenza, ha comunicato che: ferma restando l’attualità e l’efficacia del decreto interministeriale del 28 agosto, il Pos non può essere assegnato”.

Come dire: non dipende da noi. E in copia viene allegato l’elenco delle persone – ben 39, a partire dal capo di Gabinetto del Viminale, Matteo Piantedosi – che hanno determinato la decisione del rifiuto. Elenco che, secondo indiscrezioni, giunge anche alla Procura di Agrigento che sta indagando per il reato di omissioni in atti d’ufficio – secondo il gip si configura anche il reato di sequestro di persona – nella gestione del caso Mare Jonio.

Sembra un segnale: ormai anche la Guardia Costiera pare prendere le distanze dal decreto Sicurezza bis. E dalla responsabilità di doverlo applicare.

“Al Csm in difesa delle toghe. Ma bisogna voltare pagina”

“Guardavo con sospetto i professionisti dell’associazionismo e chi si candidava al Consiglio Superiore della Magistratura, ma lo scandalo che ha travolto il Csm mi ha spinto a difendere l’autonomia e l’indipendenza anche dei singoli giudici troppe volte lasciati soli proprio dal Csm”.

Così Nino Di Matteo, magistrato della Direzione nazionale Antimafia e pubblico ministero nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ha spiegato la sua candidatura all’organo di autogoverno. Dal palco della Versiliana, intervistato dal vicedirettore del Fatto, Marco Lillo, il magistrato siciliano ha toccato in modo duro, ma accorato i temi più caldi sullo stato dell’ordine giudiziario. Lo scandalo Palamara, i rischi di un’egemonia politica, il silenzio sulla trattativa. “Lo scandalo di Palazzo dei Marescialli – ha spiegato Di Matteo – mi ha fatto capire che potevo offrire un contributo e cambiare le cose. La mia non è una candidatura di sistema: non sono e non sarò mai iscritto alle correnti. Vorrei fare anche lì il giudice: studiare e valutare le questioni senza pressioni o scelte dettate da opportunismo”. Ha ricordato che nel 1990, anche Giovanni Falcone si candidò e fu “vittima di invidie e meschinità dei colleghi”, ma guai a parlare di campagna elettorale, “perché evoca concetti come appartenenza e clientela che sono del potere mafioso. Dobbiamo dare – ha detto – una spallata a tutto questo”. Per Di Matteo il caso Palamara ha causato “una perdita di rispetto verso l’istituzione che ha rappresentato l’avamposto efficace, anche al prezzo della vita, contro il terrorismo e le mafie, ma anche l’argine alle derive del potere politico, economico e finanziario. Nonostante tutto questo – ha poi ribadito con forza – sono orgoglioso di appartenere all’ordine giudiziario, ma dobbiamo riconoscere le nostre colpe”.

Il magistrato della Dna ha elencato i “tarli” che infettano la magistratura: “Innanzitutto non dobbiamo fingere stupore, ma dirlo pubblicamente che esiste, in una parte della magistratura, l’idea che un’inchiesta possa o meno essere portata avanti per ragioni di opportunità. Oppure che ci sia una esasperazione del correntismo perché si punta a fare carriera o a cercare protezioni in momenti difficili. O, ancora, che serpeggi rassegnazione tra tanti magistrati che operano onestamente, ma accettano questi giochi di palazzo come qualcosa di inevitabile. Ecco, noi dobbiamo avere uno scatto d’orgoglio. È vero, abbiamo toccato il fondo e il momento è grave e decisivo, ma ora possiamo e dobbiamo ripartire”.

Il rischio, ammette di fronte a un pubblico attento che lo interrompe spesso con applausi, è che qualcuno possa approfittare di questa delegittimazione per portare a termine un disegno di sottomissione della magistratura alla volontà politica. “Oggi – ha avvertito Di Matteo – chi mira a controllare le attività degli inquirenti potrebbe avere gioco facile e utilizzare le riforme per ottenere gli scopi che furono di Licio Gelli e poi di Bettino Craxi e Silvio Berlusconi”.

A proposito di riforme, il magistrato ha definito “in chiaroscuro” l’ipotesi di riforma del ministro Alfonso Buonafede, promuovendo gli aspetti che riguardano le notifiche e il calendario delle udienze nei processi penali, ma bocciando il rischio di indagini più corte e l’ipotesi di provvedimenti disciplinari per i pm.

Ha evidenziato come dietro ogni riforma possa celarsi una “azione punitiva” e come la lotta alle mafie sia sparita dall’agenda politica. Inoltre ha definito “assordante” il silenzio sulle stragi, soprattutto dopo la sentenza di primo grado sullo trattativa Stato-mafia, che è “punto di partenza per fare luce sui lati ancora oscuri”. “Si può vivere – ha chiesto in conclusione – in un Paese che non fa di tutto per conoscere i mandanti esterni delle stragi?”.

Il sì delle sindache ai giallorosa: “La base? Conta di più il Paese”

Favorevoli al governo giallorosa e certe del ruolo di garanzia del presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte. Arriva dalla festa del Fatto Quotidiano alla Versiliana il via libera al nuovo esecutivo delle due sindache del Movimento 5 Stelle: Virginia Raggi e Chiara Appendino. Intervistate dai giornalisti del Fatto Andrea Scanzi e Paola Zanca, le prime cittadine di Roma e Torino hanno sostenuto in coro la nascita del governo Pd-M5S: “Torino è stata per trent’anni governata dal centrosinistra e noi siamo stati sempre loro avversari, ma nonostante questo sono favorevole all’accordo – ha spiegato Appendino – l’importante è avere due garanzie: un uomo delle istituzioni come Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e alcuni punti programmatici precisi in comune”. Anche Raggi si è detta fiduciosa sulla nascita del nuovo governo, facendo notare che tra Pd e M5S ci siano “più elementi in comune di quello che si possa pensare a prima vista”.

Sulla trattativa in corso tra i due partiti, le sindache però hanno due diverse opinioni sul possibile ruolo di Luigi Di Maio che, com’è noto, vorrebbe a tutti i costi restare vicepremier: se Appendino tifa per la permanenza del capo politico a Palazzo Chigi (“sarebbe una garanzia per il Movimento avere una persona così forte dentro il governo”), Raggi preferisce affidarsi alle decisioni di Conte: “Di Maio ha ribadito la centralità del programma rispetto alle persone e ora che le due forze hanno espresso le loro legittime esigenze, è fondamentale che rimettano la palla al premier incaricato”. Ed è proprio nella figura di Conte che le due sindache individuano il “garante” che può fare gli interessi del Paese, pur non considerandolo un uomo del M5S a tutti gli effetti: “Non è iscritto al Movimento e non abbiamo condiviso tutte le sue scelte, come sul Tav, però è stato e sarà un ottimo presidente del Consiglio” ha chiosato la sindaca di Torino. Che Raggi e Appendino ormai parlino da donne di governo (e sempre meno di piazza) lo si capisce anche dalla domanda sui malumori della base pentastellata rispetto all’alleanza con gli ex nemici del Pd: “Chi come noi ha un ruolo da amministratore e rappresenta le istituzioni, sa che prima viene l’interesse del Paese e poi della propria forza politica – ha detto Appendino – e magari il governo con il Pd non sarà la migliore soluzione per la nostra base elettorale, ma di certo lo è in questo momento per l’Italia, evitando così elezioni anticipate e un governo a trazione leghista che metterebbe in pericolo importanti provvedimenti come il Reddito di cittadinanza”.

La chiusura del dibattito si è concentrata sul futuro politico delle due sindache che per la regola dei due mandati non potranno ricandidarsi nel 2021: “Avevo comunque previsto di non correre di nuovo, per avere la mente libera da qualunque condizionamento elettorale”, ha concluso Appendino, mentre Raggi sostiene di aver “rimesso i conti in ordine e approvato provvedimenti utili per la comunità, indipendentemente da chi verrà dopo di me”. Dalla sindaca della Capitale, una postilla finale su Marcello De Vito, ex presidente del consiglio comunale arrestato a marzo per corruzione e rimesso in libertà dalla Cassazione: “Se la magistratura e la prefettura daranno il via libera, potrà tornare a guidare l’Assemblea”.

Bersani: “Un governo della disperazione”. Calenda: “È palazzo”

Come in una delle sue metafore più riuscite, ci vuole Pier Luigi Bersani per definire il governo giallorosa in procinto di nascere: “È un incontro tra due disperazioni ma necessario per evitare l’ondata della destra di Salvini”. Lui, che nel 2013 aveva provato a stanare i 5 Stelle con il famoso streaming con Crimi e la Lombardi (respinto con perdite), adesso tifa apertamente per un governo di legislatura tra Pd e M5S. Ma con un’avvertenza precisa: “Entrambi i partiti dovranno approvare tre o quattro provvedimenti per correggere gli errori degli ultimi anni e recuperare l’elettorato perso”. Bersani lo ha detto al dibattito “La sinistra a un bivio” di ieri alla festa del Fatto a cui ha partecipato anche Carlo Calenda, l’ex ministro del governo Renzi, durante l’intervista con il direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez. Calenda si è, invece, detto contrario all’alleanza giallorosa. E per questo nei giorni scorsi ha deciso di lasciare i dem per fondare un proprio partito centrista: “Pd e 5 Stelle hanno valori inconciliabili – ha detto tra brusii e fischi del pubblico – e se il governo si farà, sarà un’operazione di palazzo del peggiore trasformismo italiano”.

Le due sinistre quindi, ma non è una novità, sono ancora divise. Bersani, come nel 2011 dopo la caduta di Berlusconi, sostiene che si debba evitare il voto per “difendersi” dalla destra pericolosa di Salvini che “tiene le donne incinte sulle barche e ci propone il ddl Pillon”, mentre Calenda sarebbe per dare immediatamente la parola agli elettori perché solo così si può sconfiggere l’estremismo “cupo” della Lega. “Quello che passa tra i cittadini – ha spiegato l’ex ministro dello Sviluppo – è che il prossimo governo sarà una manovra parlamentare voluta da Renzi per mantenere i suoi gruppi parlamentari. Ma così facendo non si risolve il problema della destra che nei prossimi mesi crescerà ancora. Salvini potrà anche perdere voti ma dopo di lui verranno Luca Zaia o Giorgia Meloni”. Ancora fischi e uno scambio acceso con uno spettatore, con Gomez costretto a placare i toni. Ma il tema che divide di più i due relatori è l’approccio da tenere con il Movimento 5 Stelle. Se per Calenda “con loro non c’è alcun punto in comune se non il tema della legalità”, Bersani pensa che un dialogo con i grillini sia necessario per il bene del Paese. “Mi ricordo il primo Vaffa Day di Grillo in piazza Maggiore a Bologna – ha raccontato l’ex segretario dem – era pieno di nostri ex elettori che ci avevano abbandonato. Lì ho capito che quel Movimento andava capito, compreso e che dovevamo parlarci. Nel 2013, dopo le elezioni politiche, i grillini non avevano una linea politica chiara sull’elezione del presidente della Repubblica. Ma oggi, invece, è sacrosanto provare a fare un governo con loro”.

Bersani, che dovrebbe sostenere la maggioranza alla Camera, ha anche elencato i temi dell’agenda del prossimo governo: “Rimuovere il Jobs act, inserire il salario minimo nei contratti, ridurre le tasse sul lavoro con la progressività fiscale e la lotta all’evasione e un radicale cambio di approccio sull’immigrazione”. Durante l’incontro si è parlato anche di ambiente e del futuro politico di Calenda. “Con Scelta Civica ho fallito e magari fallirò anche con la nuova forza politica ma l’importante è crederci sempre”, si è schernito l’ex ministro. “Gli auguro di formare una forza liberaldemocratica che possa allearsi con la sinistra di governo – ha concluso Bersani – perché questo Paese una forza liberale non l’ha mai avuta”.

“Berlusconi e i suoi alla fine potrebbero astenersi su Conte”

“Il nuovo centrodestra siamo noi di Fratelli d’Italia e la Lega: non lo sostengo io, ma gli italiani”. Daniela Santanchè non usa giri di parole. E in quel che dice non c’è traccia né di compiacimento per i sondaggi non proprio incoraggianti per Forza Italia, che è stata la sua casa. Né traccia alcuna di rancore, perché – spiega – “sono una donna romantica. E lo stile è tutto anche quando si divorzia”.

Ma soprattutto l’imprenditrice che oggi siede al Senato tra i banchi di Fratelli d’Italia, ha l’occhio lungo e ne ha viste tante. “Voglio fare una premessa che sembra ovvia, ma non è scontata: non mi occupo di quel che accade in casa d’altri. Io da Forza Italia me ne sono andata da tempo”, dice rivendicando la scelta non semplice di lasciare tutto per il partito di Giorgia Meloni quando nessuno ne avrebbe mai previsto l’exploit.

Ora non infierisce sul declino del partito dell’ex Cavaliere certificato dalle ultime consultazioni elettorali. Ma le sue parole non lasciano margini di interpretazione su cosa pensi dei suoi ex compagni di viaggio: “A questo punto non mi stupirei se gli azzurri decidessero di dare soccorso al governo Conte. Che sarebbe roba dell’altro mondo: noi invece saremo in piazza per chiedere che agli italiani sia consentito di andare a votare”.

Qual è lo stato di salute dei rapporti interni al centrodestra? È scoppiata una rissa tra la Lega e Forza Italia.

Noi di Fratelli d’Italia pensiamo a quel che siamo noi, ossia un movimento in crescita esponenziale, che non gioca a chi le spara più grosse e che non ha mai governato né con il Pd né con i 5 Stelle: abbiamo fatto un’opposizione patriottica nell’interesse degli italiani, votando per esempio le misure che promettevano più sicurezza, battendoci contro quei provvedimenti che hanno affossato l’economia. E mi faccia dire che siamo gli unici ad aver chiesto a Mattarella, fin dal primo istante, di restituire la parola agli italiani. Così come siamo stati i primi a dire che è giusto scendere in piazza il giorno che il governo si presenterà in Parlamento per chiedere la fiducia.

Forza Italia non ci sarà e forse neppure la Lega. Come la mettiamo?

Per Forza Italia credo sia arrivato il momento di fare chiarezza: personalmente non mi sento di escludere che alla fine decida di astenersi sulla fiducia a Conte dando dunque soccorso a questa alleanza tra perdenti che darà vita a un governo tra trombati in cui la golden share appartiene a gente come Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Noi invece quel giorno saremo in piazza, senza bandiere di partito: sventolerà solo il tricolore perché è una manifestazione aperta a tutti quei cittadini scontenti di questo scempio per il Paese che viene avallato da parlamentari che hanno paura del voto. Abbiamo già raccolto tantissime adesioni. E non mi stupirei affatto se in piazza venissero a manifestare anche molti elettori dei 5 Stelle.

Salvini non ha aderito alla manifestazione promossa da voi di Fratelli d’Italia e ha invece chiamato la piazza leghista per un’altra data. Come lo spiega?

Fa ancora in tempo a ripensarci. Del resto, anche il più bravo nella vita da solo non vince, in politica meno che mai. Questo però non è il momento delle polemiche: è più utile concentrarci tutti per scongiurare che si compia questo obbrobrio del governo Conte che ha come unico collante l’esigenza dei due principali azionisti di non andare al voto: sono due debolezze che si uniscono per darsi forza sulla pelle degli italiani. Ma si rendono conto dei problemi del Paese? La crescita è zero, 250 mila giovani lasciano l’Italia. I problemi sono questi: non come conservare le poltrone agli eletti di Camera e Senato.

Ecco, allora parliamo di cose reali: è un fatto che la Lega svicola rispetto ai tradizionali alleati di centrodestra e sembra voler intraprendere un percorso solitario.

Con il Carroccio abbiamo moltissimo in comune. Prendiamo la flat tax incrementale o le politiche sull’immigrazione. Poi noi siamo convinti che per contrastarla ci sia bisogno del blocco navale perché è un fatto che non si possa correre dietro a ogni nave che vuole arrivare e che alla fine riesce a farlo. Fratelli d’Italia e Lega sono il nuovo centrodestra come testimoniano le urne oltreché i sondaggi.

E Forza Italia? Ora balla addirittura il tavolo per le Regionali.

I rapporti di forza sono cambiati e ne deve prendere atto. Credo però che alla fine si troverà un accordo per le Regionali.