Due attempati marsigliesi cercano risposte agitando la cartina – di quelle che non si piegano mai: ancora esistono, in barba a Google –, quattro estroversi canadesi si affidano al vigile lì vicino: “Excuse me, what’s happening here?”. Vanno capiti: prenotano la vacanza a Roma d’agosto, non s’aspettano altro che monumenti, nobili rovine e altri turisti come loro, e invece si ritrovano palazzi blindati, polizia, auto blu, dannati giornalisti che sgomitano con le telecamere. “Eccolo, arriva, arriva!”. E che sarà mai.
Fuori dal Quirinale è mattino presto, gli italiani aspettano Conte e i viaggiatori si guardano intorno disorientati. Kevin, dall’Oregon, è un tipone massiccio in maglia arancione: “Non ho idea di cosa stia succedendo”. Sta per arrivare il primo ministro. “Ah, è stato appena eletto?”. Caro Kevin, è una lunga storia.
Una famiglia spagnola svolta l’angolo da via della Consulta e si ritrova di colpo in mezzo ai fotografi. “Para mi?”, scherza la figlia. Più interessate una coppia di donne brasiliane. Si fermano, parlottano, poi trovano il coraggio di chiedere lumi. E qui il cronista si fa Cicerone: tocca parlare di consultazioni, contratti di governo, gialloverdi che c’erano prima ma poi hanno litigato, i giallorossi che arrivano adesso, è un momento importantissimo per il Paese, signore mie. “Ooooh”. Pausa. “Desculpe, para la Fontana de Trevi?”.
Noi italiani, in effetti, ci eccitiamo per poco. Cambiano i governi quasi ogni anno e tutte le volte reagiamo come fosse un evento, innamorati come siamo della polemica, delle riunioni, dei dibattiti. E delle maratone televisive, ovviamente. Nedes viene da Tuvalu, 26 chilometri quadrati tra le Isole Figi, e ha fatto 26 ore di volo per ritrovarsi davanti al Quirinale assediato. “Nedes, do you know Maratona Mentana?”. Ci pensa un po’, poi deve chiedere soccorso al marito: “Oh yes, Diego Armando!”. Maradona, il mitico numero 10 che ha fatto innamorare Napoli.
Con Torsten, tedesco, si va nel sofisticato: “Maratona Mentana? Sounds like a very long mental terhapy”, “suona come una lunga terapia mentale”. Se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato.
Una famigliola di Toronto davanti a Montecitorio è invece l’occasione d’oro per toglierci un dubbio, visto l’incidente trumpiano dei giorni scorsi: “Sorry, how do you spell Giuseppe?”, come scrivete “Giuseppe”? Abbozzano qualcosa – ricordando Ajeje Brazorf nel celebre sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo –, poi si arrendono: “He could write Joseph”, avrebbe potuto scrivere Joseph. Saggezza popolare.
Anche Julia e Dimitri, russi d’un pezzo, sono molto interessati alla faccenda. Sono disorientati ma cercano occhi amici a cui chiedere. “Oggi il primo ministro riceve l’incarico, sapete, qui in Italia cambiamo governo molto spesso”. “Oh, stability is better”, la stabilità è meglio. Detto da loro, sembra verosimile, d’altra parte non hanno certo questi problemi.
E che dire delle sfilate turistiche sotto al Nazareno, dove da giorni stanno appostati cronisti ed esercito per presidiare ogni fiato dem. Passano giapponesi (o cinesi?), tedeschi, forse francesi, tutti ordinati dietro alla loro bandierina. “Scusi signora, conosce il nostro primo ministro?”. “Non posso, non posso”. Sennò la bandierina va via lontana e chi la riprende più. Dal portone esce Maurizio Martina, i cronisti – pur senza l’entusiasmo dei giorni scorsi– se ne accorgono. “Scusate, era qualcuno di importante?”. Questa volta la voce è di un turista italiano. “Maurizio Martina, l’ex ministro, questa è la sede del Pd”. “Ah, grazie”. “Papà, papà, chi era prima?”. “L’ex ministro, Martino”.