Intercettazioni e conti: cosa ha in mano la Procura

Una vicenda giudiziaria complessa quella che ha travolto Marcello De Vito, esponente del Movimento 5 Stelle e presidente dell’Assemblea capitolina. Un susseguirsi di colpi di scena: dalla misura più severa del carcere, scelta dal gip rispetto alle richieste della procura, fino all’ultimo pronunciamento della Cassazione che ha annullato con rinvio l’ordinanza che lo ha portato in carcere.

Le accuse

De Vito è accusato dalla Procura di Roma di traffico di influenze: gli inquirenti chiedono gli arresti domiciliari, ma per il gip Maria Paola Tomaselli, si tratta di corruzione tanto che dispone la detenzione in carcere.

Tra le conversazioni in mano ai magistrati, ce n’è una che richiama la situazione politica del M5S tra Comune e governo: “Questa congiunzione astrale… è tipo l’allineamento con la cometa di Halley, hai capito? E allora noi, Marcè, dobbiamo sfruttarla ’sta cosa”, dice l’avvocato Camillo Mezzacapo, ritenuto dai pm “socio” di De Vito.

Corruzione

Attraverso l’affidamento di incarichi all’avvocato Mezzacapo, secondo la Procura di Roma, gli imprenditori, tra cui Luca Parnasi, versavano le mazzette a De Vito ritenuto l’uomo che interveniva per “aggiustare” gli iter amministrativi. Nelle 260 pagine dell’ordinanza compaiono alcune tra le principali operazioni immobiliari della capitale: dai terreni della ex Fiera di Roma dove Parnasi vorrebbe un nuovo stadio di basket e un polo musicale fino allo stadio della Roma. E poi la ex stazione di Trastevere che l’immobiliarista Giuseppe Statuto vuol far diventare un hotel e gli ex uffici dell’Alitalia che i fratelli Toti vorrebbero trasformare in una torta residenziale con la ciliegina dell’housing sociale.

La Cassaforte

I pm individuano anche l’esistenza di una società, la Mdl Srl, nella quale finiscono i profitti illeciti. Ne scoprono l’esistenza tramite lo studio dei flussi finanziari. Per esempio, il 24 ottobre 2017 sul conto corrente di Mezzacapo arrivano 110 mila euro dalla Silvano Toti Holding Spa. Una tranches dei 180mila pattuiti. Lo stesso giorno, 48mila euro vengono trasferiti della società Mdl che per l’accusa è “la cassaforte” di De Vito e Mezzacapo,

“I soldi nostri”

Il 4 febbraio 2019, ignaro di essere intercettato Mezzacapo discute con De Vito del denaro presente sul conto corrente: “60 (mila euro, ndr) e rotti sarebbero nostri”. Per l’accusa è la dimostrazione che la società è il salvadanaio per raccogliere i soldi delle mazzette.

Lo stop della corte

In luglio la Suprema corte ha annullato con rinvio l’ordinanza che confermava il carcere per De Vito: per la Cassazione alcune dichiarazioni che incastravano De Vito e Mezzacapo non sono confessioni, ma sono ritenute tali per una “operazione interpretativa”. La parola passa ora di nuovo al Tribunale del Riesame. Sarà un nuovo collegio a esprimersi sulla vicenda.

Il Campidoglio ha un problema: ritorna De Vito

Niente ex. Marcello De Vito è ancora presidente dell’Assemblea capitolina. E tra poco potrebbe non esserlo più solo formalmente: presto potrebbe tornare ad occupare lo scranno più alto dell’aula Giulio Cesare. I colleghi del M5s romano hanno le mani legate: “Non abbiamo voce in capitolo”, ripetono fonti tra i pentastellati, spiegando che la decisione finale sul suo rientro, in caso di scarcerazione, spetta solo al Prefetto di Roma. Per ora sono ipotesi: il futuro professionale di Marcello De Vito si conoscerà solo dal prossimo 10 settembre quando i giudici del Tribunale del riesame si riuniranno per decidere se revocare o meno i domiciliari. Qualora dovesse tornare libero, mister preferenze ha già annunciato le proprie intenzioni. “Sono certo della mia innocenza e confido nel pieno accertamento da parte della magistratura – ha detto ieri in un’intervista al Corriere della Sera –. Per questo motivo non posso, non voglio e non debbo fare passi indietro rispetto alle funzioni che ricopro”.

Ma adesso cosa può succedere? Per capirlo bisogna riavvolgere il nastro alla mattina del 20 marzo quando De Vito finisce in cella. Secondo l’accusa avrebbe asservito il proprio ruolo agli interessi dei privati (come l’imprenditore Luca Parnasi) ottenendo in cambio consulenze, anche solo promesse, allo studio legale dell’amico Camillo Mezzacapo. I magistrati hanno individuato anche una “cassaforte” di De Vito e Mezzacapo, la Mdl Srl, una società ritenuta dai pm “strumento attraverso cui vengono messi al sicuro gli illeciti profitti”.

Poi a luglio la misura cautelare per De Vito e altri è stata alleggerita e il presidente del Consiglio comunale è finito ai domiciliari. La sua difesa, rappresentata dall’avvocato Angelo Di Lorenzo, però ha fatto ricorso in Cassazione, incassando un punto a proprio favore. L’11 luglio, infatti, la Suprema Corte ha demolito l’impostazione della Procura, ravvisando “plurime ed evidenti censure sul piano della linearità logica e del vizio di motivazione”.

I giudici si sono soffermati anche su alcune dichiarazioni di Parnasi, lo stesso che ai pm ha detto di aver affidato “un incarico allo studio Mezzacapo per un verso per non scontentare De Vito, per un altro perché lo studio Mezzacapo era uno studio qualificato e inoltre vicino al M5s”. “Il valore confessorio dell’esistenza di un patto corruttivo” – scrivono i giudici di Cassazione – non rispecchia “il tenore” delle dichiarazioni rese da Parnasi “potendo riconnettersi solo a una operazione interpretativa”. Anche la tesi delle utilità conseguite da De Vito attraverso gli incarichi ritenuti fittizi assegnati da Parnasi all’ufficio legale di Mezzacapo, secondo la Cassazione, si “basa su enunciati contraddittori”. Così la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza che ha portato De Vito in carcere, rimettendo gli atti al Riesame. E la Procura sembra intenzionata a non fare passi indietro, ribadendo le proprie accuse.

Intanto sulle vicende giudiziarie, il gruppo capitolino del M5S non ha assunto alcuna posizione. L’indicazione è rispettare la norme, soprattutto per evitare eventuali richieste di risarcimenti (allo stato mai discusse da De Vito e i suoi legali). Solo qualora il Riesame dovesse dare ragione alla difesa e solo dopo la revoca del provvedimento di sospensione della carica da parte del Prefetto di Roma, De Vito quindi potrà tornare in aula Giulio Cesare.

Ma non è tutto: è in corso il procedimento disciplinare. Con l’arresto, a marzo, Di Maio aveva annunciato: “È fuori dal M5S. Mi assumo io la responsabilità di questa decisione e l’ho già comunicata ai probiviri”. In realtà, la sospensione non c’è mai stata e si attende la decisione dei probiviri ai quali il presidente dell’Assemblea capitolina ha mandato già una memoria. Insomma, De Vito non rappresenta il passato.

Andrea il Mandrillo ora parla con i federali

L’ex presidente Bill Clinton sarebbe stato un habitué del Lolita Express, il jet privato che portava alle Isole Vergini amici e ospiti del finanziere pedofilo e sessuomane Jeffrey Epstein, suicidatosi, all’inizio di agosto, in carcere a New York, probabilmente per non affrontare le conseguenze giudiziarie, economiche e sociali dello scandalo che l’aveva travolto. E il principe Andrea, terzogenito della regina Elisabetta, che ha sempre negato ogni addebito e ha difeso la sua amicizia con Epstein, pur ammettendo che il protrarsi della frequentazione era stata “un errore”, si dichiara ora pronto a collaborare con l’Fbi, che indaga sull’intreccio di complicità e di responsabilità dietro gli abusi sessuali e i traffici di minori di Epstein e della sua ‘corte’. Fonti di Buckingham Palace hanno detto al Daily Mail che il duca di York, ex marito di Sarah Ferguson, già noto alle cronache come Andy the Randy, Andrea il Mandrillo, intende rispettare al principio che “la famiglia reale è sempre pronta a collaborare con la polizia nella maniera più appropriata”, se le viene richiesto. Mentre l’inchiesta su Epstein si sviluppa tra gli Stati Uniti, la Francia – dove il finanziere suicida aveva un lussuoso appartamento in Av. Général Foch – e la Gran Bretagna, a New York s’è ieri consumato l’ennesimo atto della vicenda giudiziaria dell’ex boss della Miramax Harvey Weinstein, l’uomo che con i suoi comportamenti predatori e ricattatori ha innescato il movimento #Metoo. Weinstein è stato incriminato per la terza volta, a due settimane del processo per molestie e stupri che doveva aprirsi a Manhattan in settembre e che ora è stato rinviato al 6 gennaio.

L’ex produttore s’è dichiarato non colpevole delle accuse rivoltegli dall’attrice dei Sopranos Annabella Sciorra, origini italiane, 59 anni, che afferma di essere stata da lui stuprata nel 1993. La difesa di Weinstein insiste per il trasferimento del processo da New York perché l’ampia copertura mediatica renderebbe impossibile selezionarvi una giuria imparziale e non già negativamente orientata verso l’imputato.

Le indagini dell’Fbi sulle circostanze del suicidio in carcere di Epstein, rimasto senza sorveglianza per la distrazione di due sorveglianti, hanno accertato che le misure anti-suicidio erano state sospese dopo che uno psicologo l’aveva ritenuto “non a rischio”.

Se la posizione di Clinton nella vicenda Epstein resta, per il momento, più oggetto di gossip politici che di informazioni giudiziarie, quella di Andrea è aggravata da numerosi dettagli: c’è una donna che sostiene che il finanziere la costrinse a fare sesso con il principe; e i registri di volo dell’aereo del sessuomane mostrerebbero che Andrea vi avrebbe viaggiato nel febbraio ’99, con altre otto persone, fra cui una modella russa, Anna Malova, allora di 27 anni, ex miss Russia e seconda a miss Universo l’anno prima: il volo proveniva dall’isola personale del finanziere suicida ed era diretto in Florida. La Malova ebbe poi disavventure con la giustizia per affari di droga. Secondo la stampa britannica, quel volo è segnato nei registri dei piloti di Epstein depositati presso un tribunale americano da Virginia Roberts Giuffre, la principale accusatrice, che afferma di essere stata usata come schiava sessuale da Epstein. Sul Lolita Express, in quella circostanza, c’erano pure l’ex fidanzata e complice di Epstein, Ghislaine Maxwell e Gwendolyn Beck, che si candidò senza successo al Congresso in Virginia nel 2014 (e alla quale Epstein donò più di 12 mila dollari per la sua campagna).

Sostanze radioattive in città dopo l’esplosione misteriosa

Stronzio -91, bario -139 e -140, lantanio -140. Sono isotopi radioattivi, più esattamente “radionuclidi tecnogenici”, la causa dell’emissione dei raggi gamma nell’Artico. Sono le quattro sostanze rinvenute nei campioni esaminati a Severodvinsk dall’Agenzia Meteorologica statale russa, la Ropshydromet, dopo l’incidente nucleare avvenuto nella regione di Arkhanghelsk lo scorso 8 agosto.

Il documento pubblicato dalla Ropshydromet titola “Riguardo l’emergenza e l’alto inquinamento ambientale” e ha una conclusione rassicurante: “Le radiazioni al momento si sono stabilizzate” ma monitorando l’aria e la pioggia dal 10 al 23 agosto, gli esperti russi hanno trovato traccia dei quattro elementi chimici a decomposizione rapida.

Il pericolo è l’aria aperta: venendo a contatto con essa, le sostanze emetterebbero subito gas radioattivi. È un’informazione che turba quei russi che temono lo stesso silenzio che aleggiò su Chernobyl nel 1986, quando il Cremlino nascose la reale pericolosità dello scoppio nucleare. Solo tre delle sostanze rilevate sono presenti nei reattori nucleari. Lo stronzio, dicono i chimici nucleari citati dai media russi, è “di natura esotica”. E poi un quinto elemento. C’è un altro isotopo radioattivo, il cesio -137, rinvenuto pochi giorni fa nei tessuti muscolari di uno dei medici che ha curato i feriti a Severodvinsk . Nessun avvertimento: quando i corpi dei “pazienti radioattivi” sono arrivati all’ospedale artico, ai dottori non è stato riferito che si trattava dei superstiti nucleari e nessuna precauzione adeguata è stata presa. Non è colpa della tragedia ma della dieta del dottore, dicono però le autorità di Archangelsk: “È una sostanza che si concentra in pesche, funghi, alghe, è entrata nel corpo del medico con il cibo”.

Intanto, dopo l’8 agosto, di quattro stazioni addette al monitoraggio delle radiazioni nella zona si è persa traccia di attività, solo due al momento sono tornate a funzionare. Poi c’è una nuova versione dei fatti in arrivo da Oslo. Forse le esplosioni sono state due, non una sola, riferisce la Norsar, gruppo di monitoraggio nucleare norvegese, e proprio durante la seconda ci sarebbe stata l’emissione di radiazioni. Ma da Mosca arriva una raffica di niet e poi ancora niet, insieme alle notizie drenate dal Cremlino. Ambiguità vaghe e mancanza di corrispondenza tra i vari organi russi si susseguono a valanga dal giorno dell’incidente. Parole e mosse che si sono rivelate ingenue perché quel silenzio dei ministeri che in Russia è la comune risposta di norma, stavolta non mette a tacere giornalisti e cittadini quest’estate. Le indagini della stampa sono iniziate quando la dichiarazione delle autorità cittadine sull’assenza di pericolo nella zona per l’esplosione è scomparsa dal sito ufficiale, dopo che i militari russi hanno negato ogni emissione di materiale radioattivo. Nelle stesse ore la stessa Roshydromet confermava invece che il livello di radiazioni era 16 volte più alto del solito. Gli esperti morti l’8 agosto durante i test della Rosatom, agenzia nucleare russa, sono almeno cinque, ma altri media slavi confermano il decesso di sette persone, mentre continuano a indagare su un evento che rischia di rimanere misterioso come tutto quello che la Federazione bolla come segreto di Stato.

C’è la nuvola di gas radioattivi che vaga nell’Artico e quella provocata dai fuochi degli incendi che stanno divorando in silenzio l’Amazzonia russa, la Siberia. L’est di Mosca è ormai ridotto in cenere sotto un cielo di nubi e contraddizioni che coprono il cielo dagli Urali fino a Vladivostock.

Macron, doppia morale: “Svende la Guyana alle multinazionali”

Emmanuel Macron “denuncia le distruzioni della foresta amazzonica in Brasile o Bolivia, ma poi consegna 360 mila ettari di foresta alle multinazionali minerarie in Amazzonia francese”. È dalla Guyana, la regione francese d’America del sud, al confine col Brasile, che è arrivato l’attacco ieri, mentre si chiudeva il G7 di Biarritz e la foresta amazzonica continuava a bruciare. Ad accusare il governo di Parigi di “ipocrisia” è il ‘Grande consiglio dei popoli indoamericani’ che difende gli interessi delle popolazioni autoctone della Guyana. “Non c’è solo il fuoco a minacciare e devastare la foresta – scrive il Grande consiglio in una lettera pubblicata sul sito della radio-tv pubblica France Info – l’attività estrattiva ha la sua responsabilità”. E la Francia cede alle compagnie minerarie “la metà della superfice di foresta che sta bruciando in Bolivia”. Secondo i dati di Le Monde, almeno 750 mila ettari sono già andati distrutti da inizio mese in Bolivia. Il G7 si è chiuso ieri con la promessa di sbloccare d’urgenza 20 milioni di dollari per aiutare i paesi sudamericani a contrastare gli incendi e di altri finanziamenti a venire per il rimboschimento. Ma la tensione tra Francia e Brasile è rimasta alta. Il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, ha di nuovo accusato il collega francese di trattare i paesi del Sudamerica come “una colonia, o una terra di nessuno”: “Il rispetto della sovranità è il minimo che si può aspettare in un mondo civile”. Ha anche commentato su Facebook un post sessista su Brigitte Macron, insultata per il suo aspetto fisico. “È triste per le donne brasiliane, sono sicuro che si vergognano di lui”, ha reagito Macron durante una conferenza stampa a Biarritz. “Sono attacchi irrispettosi – ha aggiunto – mi auguro che presto avranno un presidente all’altezza della situazione”.

“Brasile, i produttori di soia vogliono spianare il Cerrado”

In Queimada (“Bruciato”) – il film di Gillo Pontecorvo del 1969 – si racconta la ribellione di schiavi africani che, istigati da un agente britannico, bruciano le piantagioni degli oppressori portoghesi in un’ipotetica isola delle Antille.

Lontano dalla fiction cinematografica e nella preoccupante realtà brasiliana, l’Amazzonia, ma anche savane, pampas e altri ecosistemi del “Gigante” sudamericano oggi bruciano, incendiati dai figuranti di un immenso scacchiere d’interessi economico-finanziari, nazionali e internazionali.

“Di solito gli incendi accompagnano un processo di deforestazione, servono per ripulire i terreni, aprendo spazi all’allevamento del bestiame e alla produzione della soia. La deforestazione non avviene solo in Amazzonia, ma anche nel Mato Grosso do Sul”, dichiara da Brasilia Adriana Ramos, l’esperta dell’Istituto Socio Ambientale (Isa), che dal 1994 si occupa di tematiche simili e delle comunità indigene e tradizionali in Brasile.

Ramos è particolarmente preoccupata per la frontiera agricola dove si concentrano gli interessi dei grandi produttori mondiali della soia. “Temiamo la distruzione del Cerrado”. Si tratta di 73 milioni di ettari distribuiti in 337 Comuni nella regione di Matopiba. Creata nel maggio 2015, l’area conta circa 6 milioni di persone e ha guadagnato fama mondiale per il suo potenziale nella produzione di grano. È anche la seconda più grande formazione naturale del continente e copre un quarto del territorio brasiliano. Il Cerrado costituisce un terzo della biodiversità del Brasile: “Matopiba impone una serie di limitazioni e problemi a varie comunità tradizionali locali. Sappiamo che, nelle transazioni commerciali, la Cina è un compratore cui non interessa molto la questione socio ambientale, tantomeno è preoccupato per i diritti umani. È un fatto che spinge i produttori di questa regione a vendere il loro prodotto senza preoccuparsi rispetto a ciò che dovrebbero affrontare se dovessero fare affari con gli europei”.

Tornando agli incendi della foresta, Ramos ricorda che “ci sarebbe stata una manifestazione in Novo Progresso, nello stato del Pará, dove agricoltori avrebbero celebrato la ‘giornata del fuoco’, ma non abbiamo elementi concreti per sapere, effettivamente, quali siano i settori coinvolti nei roghi”. Sulle fiamme soffiano le lobby politiche vicine ai settori dell’industria agricola e mineraria, che godono dell’appoggio del governo d’estrema destra del presidente Jair Bolsonaro; una forza che vuole espandersi negli ultimi territori naturali del Brasile. Tra i produttori agricoli ci sarebbe anche malcontento a causa del recente accordo commerciale firmato tra la Comunità europea e il Mercosul che, secondo loro, non li favorirebbe.

“Preoccupano molto anche le dichiarazioni del presidente che vorrebbe aprire le terre indigene allo sfruttamento minerario. Nonostante la costituzione lo preveda, riteniamo che tale attività debba essere esclusa nei territori indigeni e non vista come una possibilità economica per le comunità”, afferma Ramos. Secondo il Wall Street Journal, i giganti del settore minerario internazionale, come Vale SA e la britannica Anglo American Plc, si sono impegnati sempre più per estrarre minerali nella foresta amazzonica, puntando alle regioni più remote. “Non è un caso che – racconta Ramos – Altamira e Porto Velho sono i municipi più colpiti dagli incendi e dalle deforestazioni, poiché sono i luoghi dove negli ultimi anni sono state edificate le grandi centrali idroelettriche. La costruzione delle immense dighe, come quella di Bem Querer, hanno un forte impatto sulla foresta”.

Bem Querer, “voler bene”, è il singolare nome che il governo Bolsonaro ha dato al progetto della ciclopica diga con cui vorrebbe dividere in due il rio Branco, le cui acque inonderanno 519 chilometri quadrati di foresta amazzonica nel Roraima, lo stato del Brasile ai confini con il Venezuela. Un altro argomento strategico, discusso, anche tra i militari che fanno parte del governo dell’ex capitano Bolsonaro, è la questione della vendita di grandi aree territoriali ai stranieri. “La vendita di terre è il principale elemento della cosiddetta ‘internazionalizzazione’ dell’Amazzonia. La questione è che non riusciamo a comprendere effettivamente fino a che punto questo progetto andrà avanti”.

Mail Box

 

L’esecutivo della non sfiducia, come ai tempi di Berlinguer

Nel 1976, sotto Andreotti, l’Italia si ritrovò come nella situazione odierna: c’era la Dc e c’era il Pci (Moro e Berlinguer). Oggi il Paese è diviso in tre, allora si ritrovò diviso in due. Nessuno dei due partiti aveva i voti necessari per governare e si rischiava lo stallo. Allora Berlinguer, che era uno spirito di alta intelligenza, decise che la Dc avrebbe governato e portato avanti il Paese, e il Pci prometteva che non le avrebbe votato contro. Quel governo durò due anni. Se oggi a capo della Lega e del Pd ci fossero spiriti illuminati e amanti del bene dell’Italia come lo era Berlinguer, potremmo fare altrettanto e permettere al M5S di fare la legge di Bilancio e il Def e di scongiurare l’aumento dell’Iva e l’esercizio provvisorio. Nel frattempo si potrebbe fare una diversa legge elettorale con un premio di maggioranza che vada bene alla Consulta e che permetta a chiunque sia primo in Italia di governare. Abbiamo avuto 63 governi in 70 anni, ma di che cavolo parla Salvini quando dice che votare è la cosa più bella del mondo? Anche mangiare è bello, ma se fai indigestione puoi anche morire.

Viviana Vivarelli

 

Non lasciamoci sfuggire uno come Conte, uomo pulito

Va bene creare un governo tecnico, purché ci sia Giuseppe Conte. Come italiani, nell’interesse della nostra amata nazione, ci sentiamo nel diritto e nel dovere di dire che con Giuseppe Conte abbiamo ritrovato finalmente un uomo pulito, colto e capace, con la sola, sacrosanta, intenzione di fare del bene per il Paese. È un uomo che non ha innate malvagità o interessi di giochi di potere di natura perversa. Finalmente abbiamo ritrovato uno che rassomiglia, anche se un po’ lontanamente, al sommo Aldo Moro. Non lasciamocelo scappare. Lui pensa e si preoccupa davvero per noi italiani. Conte, statista vero, parla con il cuore in mano, la faccia distesa e gli occhi sereni. Prima ancora degli sporchi interessi dei vari partiti, viene la necessità di salvare l’Italia. Non va, assolutamente, dimenticato che tutti i politici continuano giochi di potere con le nostre tasche.

Ines e Antonio Di Gregorio

 

Ambiente: stiamo rischiando grosso per il profitto di pochi

Quello che sta accadendo in Amazzonia è purtroppo l’ennesimo disastro ambientale dopo quello in Siberia. In futuro ne pagheremo le conseguenze. Non ci rendiamo conto di cosa significhi rischiare che spariscano aree verdi importanti per l’ecosistema e per la qualità della nostra vita. Dietro ci sono forti interessi che non hanno scrupoli e a cui interessa solamente il profitto dell’uomo è un dolore profondo.

Troppi sono i casi di incendi dolosi dove quasi sempre non si trovano mai i responsabili. La natura è un valore aggiunto che andrebbe salvaguardato e invece per scelte politiche sbagliate viene martoriata. Nonostante la terra stia subendo cambi climatici improvvisi per il surriscaldamento del pianeta, non si provvede a fare niente per migliorare la situazione. Decisioni politiche molto discutibili stanno invece peggiorando le cose. Ci vorrebbe il buonsenso. Se si continua in questo modo col tempo molte zone spariranno. Alle generazioni future rimarrà purtroppo solo il ricordo.

Simone Modesti

 

La discontinuità che vuole Zingaretti fa temere il peggio

Se fossi nei 5Stelle direi di no a qualsiasi intesa col Pd senza avere la garanzia di un premier terzo e indipendente, come ha dimostrato di essere Giuseppe Conte, pur avendo dovuto trattare con un difficile soggetto come Salvini. Se Zingaretti e il Pd non ci stanno, si vada pure alle elezioni anticipate e vediamo i risultati di un Pd diviso, con un Renzi in fase di rilancio politico e pronto ad una eventuale scissione, e con un Salvini che certamente porterebbe la Lega ad essere il primo partito per consensi. Insomma, se Zingaretti insiste sul no a Conte si capirà bene quali siano gli interessi perseguiti dal Pd, che non sono certamente quelli del Paese, dal momento che ha la necessità e l’urgenza che il nuovo premier sia un soggetto più disponibile e malleabile.

Luigi Ferlazzo Natoli

 

Quando per la sinistra la Lega era una sua costola

Come può il Pd pretendere discontinuità in vista di un probabile governo giallo-rosa rispetto a Conte? Nel gennaio 1995, dopo che Bossi staccò la spina al primo governo Berlusconi, proprio la sinistra governata allora da D’Alema andò al congresso della Lega Nord elogiandola come una “costola della sinistra” e facendo poi il governo con Dini.

Allora non si strapparono le vesti pretendendo la discontinuità, anzi ingoiarono di tutto. Ora però la pretendono ma con le persone perbene. Di Maio deve mantenere il punto su Conte, poi saranno gli italiani a decidere.

Michele Lenti

 

I NOSTRI ERRORI

Sul numero di ieri, a pagina 7, a corredo dell’articolo “Greta, Jovanotti e Recalcati: la squadra dei sogni di Renzi”, abbiamo pubblicato per errore la foto di Paola De Micheli al posto di quella di Alessia Morani. Ce ne scusiamo con le interessate e con i lettori.

FQ

Televisione. Il digitale terrestre cambia. La stangata per restare sintonizzati

 

Gentile redazione, domenica ho fatto un giro in un negozio di elettrodomestici perché mi devo decidere a cambiare il vecchio frigorifero. Mentre ero lì, ho sentito un addetto alle vendite che spiegava a un signore come, nel 2020, avrebbe dovuto cambiare il suo televisore. “Per forza”, gli ho sentito dire. Credo cioè che – come era avvenuto già nel 2012 – le nostre tv non supporteranno più le nuove tecnologie. Ma come è possibile, solo pochi anni dopo? E poi, vi chiedo, prevedete che in vista di questa trasformazione i prezzi scenderanno? Che almeno abbiano un po’ di pietà per noi poveri telespettatori…

Aurelio Fidenzi

 

Gentile Fidenzi, l’arrivo della nuova generazione del digitale terrestre, su spinta del 5G, non è una notizia ancora così diffusa, nonostante stravolgerà le tasche di milioni di italiani che saranno obbligati a cambiare la tv o acquistare un nuovo decoder appena 10 anni dopo il primo cambio nel 2012. La dead line per passare alla seconda generazione del digitale terrestre è, però, fissata a settembre 2021, quando – come ha comunicato il ministero dello Sviluppo economico – tutte le emittenti dovranno usare Mpeg-4 (il codec standard già utilizzato per i video sul Web). Poi, tra il 21 e il 30 giugno 2022, ci sarà il vero switch off, quando le emittenti dovranno passare al nuovo digitale terrestre (il Dvb-T2 Hevc: quello attuale è il Dvb-T1). Secondo le stime sono 17,8 milioni le famiglie che hanno televisori Dvb-t, per un totale di 35 milioni di apparecchi. Di questi, 13,3 milioni non supportano nemmeno la codifica Mpeg4 e dovranno essere adeguati già a settembre 2021. Iniziamo col dire che quanti hanno acquistato la tv dopo il 2017 non dovranno fare nulla. O, comunque, basta andare sui canali Hd (quelli dal 501 in poi) e controllare se già si è in grado di ricevere i canali. In caso contrario, ci sono due alternative: comperare una tv nuova o continuare a utilizzare il vecchio modello acquistando un decoder che supporti i nuovi parametri. Per ora c’è solo una notizia positiva sul fronte dei consumatori: in soccorso dei redditi più bassi ci sono gli incentivi statali. La legge di Bilancio 2019 ha stanziato 151 milioni di euro: per le famiglie il cui Isee rientra nella prima e seconda fascia il bonus dovrebbe ammontare a 50 euro. Prima dell’estate il governo aveva pensato di cominciare a distribuire gli incentivi già a novembre. Ma al momento non si sa ancora molto al riguardo e non è stato ancora pubblicato il decreto attuativo. Meglio restare sintonizzati per non perdere soldi e canali per strada.

Patrizia De Rubertis

Alla Boschi i 5 Stelle “servono”: certo, a tenersi la poltrona

Mary Helen Woods, all’anagrafe Maria Elena Boschi, non ha fatto né mai farà alcunché di ricordabile. È stata uno dei peggiori ministri di ogni epoca e la sopravvalutazione – con la bava e gli ormoni alla bocca – che ne hanno fatto troppi giornalisti resta una delle cose più ripugnanti nella storia dell’“informazione” italiana. Di lei non resterà nulla, perché la Storia se non altro è selettiva e vanta efferata memoria. Le sue imprese più mitologiche sono queste: 1) tentare di riscrivere la Costituzione (come Castillejo che cerca d’insegnar calcio a Van Basten); 2) non abbandonare la politica dopo la vittoria del “no” il 4 dicembre 2016 (come aveva promesso); 3) riuscire a non perdere granché peso dopo una settimana detox alla clinica Chenot di Merano. Roba fortissima. Giorni fa, mentre la signorina Woods postava garrula foto con le forme in bella mostra per sentirsi sexy e replicare “politicamente” a Salvini con gli unici strumenti che crede di avere, Lady Etruria ha fatto sapere che non sarebbe entrata in un eventuale Zingamaio: come se qualcuno intendesse chiedere a una delle “politiche” (giustamente) più odiate d’Italia d’entrare in un governo già detestatissimo ancor prima di (forse) nascere. Quindi, con consueta grazia da aretina media del basso contado, ha detto che i grillini restano “incapaci e incompetenti”, ma “ci servono” (cioè servono al Pd, noto partito autoproclamatosi “dei buoni”) per sconfiggere Salvini.

Anche solo in queste parole, pronunciate a In onda su La7 con la consueta vocina da SuperVicky moscia e quella propensione puerile a scandire le sillabe come chi impara a memoria tutto quel che dice (dalla prima elementare a oggi), c’è tutta la pochezza cattiva e arrogante del peggio del peggio del peggio della politica italiana: il renzismo. Se Zingaretti nicchia su Conte perché ha paura della sua popolarità e perché alle prossime elezioni perderebbe, ma se non altro inserirebbe in Parlamento tutta gente sua e non facente capo a Renzi, i renziani – Boschi in testa – tramano per un accordo con gli odiati 5 Stelle per mantenersi la poltrona in Parlamento e al contempo per riprendersi il partito. A Renzi, del “bene del Paese”, non gliene frega nulla. Ed è bene che ogni 5 Stelle lo tenga a mente: le Boschi e le Rotta, i Migliore e i Romano, i Rosato (grazie per questa legge elettorale!) e i Marattin, sono le degne fotocopie delle Bongiorno e dei Centinaio, uno che dieci giorni fa in Senato diceva “ma con chi abbiamo governato finora?” mentre ascoltava i grillini e l’altroieri faceva la questua per tornarci al potere. Poraccismo allo stato brado, peraltro di bassissima lega (letteralmente). È probabile che oggi un governo giallorosso sia il male minore, ma “solo” per evitare un terrificante Salvini monocolore con dentro ogni liquame putrescente. Tale governo sarebbe benefico solo se durasse (e durasse bene) e se gli zingarettiani vincessero sui renziani: più facile che Seppi vinca Wimbledon. Di Maio – minato dalle molte cazzate in 14 mesi di Salvimaio e a capo di un movimento sempre più diviso, che può trovare l’unità solo sotto Conte – potrebbe passare in un amen dalla padella alla brace. Se dice “no” spacca in due (come minimo) il Pd, ma al massimo vince la medaglia d’argento perché alle prossime elezioni Salvini ci piscerà in testa a lungo. Se fa il governo col Pd, o quell’esecutivo dura e fa miracoli, oppure alle elezioni del 2020 dei 5 Stelle non resteranno che lacrime nella pioggia (e senza certo il fascino di Blade Runner). Non vorremmo essere nei suoi panni.

Ne uccide più l’estremismo della carne

Achtung! Fra poco dovremo diventare tutti vegani o quantomeno vegetariani. Secondo il sito americano Vox, che il giornalista del Corriere.it Gianluca Mercuri definisce “raffinatissimo e di tendenze molto progressiste”, le tasse sulla carne dovrebbero essere aumentate in modo tale che pochissimi potrebbero permettersi il lusso di questo cibo.

Nelle libere democrazie non si può far più nulla, non si può più bere, non si può più fumare se non con sigaretta elettronica (se non ci fosse di mezzo un de cuius mi sbellicherei dalle risa alla notizia del primo morto per uso di questo sostituto delle vecchie, care Gauloises o Camel o Stuyvesant), non si può più scopare perché dopo #MeToo avvicinare una donna è diventato pericolosissimo, a meno che non si abbia novant’anni com’è accaduto a Parigi e allora si gode della pietas generale, e adesso non si può più nemmeno mangiare una cotoletta alla milanese.

Naturalmente la proposta di quelli di Vox, non per nulla sono “raffinatissimi”, non è priva di argomentazioni anche serie: la sofferenza di bovini, suini, polli “stabulati” sotto i riflettori 24 ore su 24 per farli crescere di più e più in fretta, cosa che causa a questi animali patologie tipicamente umane, disturbi cardiovascolari, infarto, diabete, depressione. Violenza che anch’io, che pur non sono “raffinato” come quelli di Vox, denuncio da anni pronunciandomi a favore della più cruenta ma più onesta corrida, con grande scandalo di questi stessi animalisti, ambientalisti e ultraprogressisti. Questi animali dovrebbero essere mandati all’alpeggio, come si fa tuttora in Svizzera, evitando non solo le loro sofferenze, ma a noi di mangiare carne malata di animali malati, cosa che certamente ci fa più male che fumarci qualche sigaretta in santa pace.

Ma dove casca l’asino di questi ambientalisti khomeinisti e ultraprogressisti? Sta nell’osservazione che la giornalista del Corriere Sara Gandolfi, ma certamente non solo lei, fa sul riscaldamento delle terre emerse: “La temperatura dell’aria sulle terre emerse ha raggiunto circa 1,5°C in più rispetto all’era preindustriale, il 13% di CO², il 44% di metano e l’82% di protossido di azoto, a causa dell’agricoltura, silvicoltura e altri usi intensivi del suolo”. Insomma la colpevole è la mucca che, com’è stato sostenuto in tutta serietà, con le sue scoregge al metano inquinerebbe l’intero pianeta. Nemmeno un accenno invece si fa mai, tantomeno da parte dei “raffinatissimi” di Vox, alla produzione industriale propriamente detta che è la principale responsabile dell’aumento di CO² nell’aria e nel suolo.

Non se po’ fa, disturberebbe il manovratore (non per nulla tutti questi aumenti sono posteriori alla Rivoluzione industriale e metterebbero in discussione l’intero nostro modello di sviluppo e persino l’Illuminismo che l’ha razionalizzato e legittimato).

Non manca nello j’accuse di Vox l’argomentazione salutista: gli obesi che sono tali a causa dell’abuso di carne per il loro scellerato piacere. “Chi vuol esser obeso sia, di diman non c’è certezza”.