Una vicenda giudiziaria complessa quella che ha travolto Marcello De Vito, esponente del Movimento 5 Stelle e presidente dell’Assemblea capitolina. Un susseguirsi di colpi di scena: dalla misura più severa del carcere, scelta dal gip rispetto alle richieste della procura, fino all’ultimo pronunciamento della Cassazione che ha annullato con rinvio l’ordinanza che lo ha portato in carcere.
Le accuse
De Vito è accusato dalla Procura di Roma di traffico di influenze: gli inquirenti chiedono gli arresti domiciliari, ma per il gip Maria Paola Tomaselli, si tratta di corruzione tanto che dispone la detenzione in carcere.
Tra le conversazioni in mano ai magistrati, ce n’è una che richiama la situazione politica del M5S tra Comune e governo: “Questa congiunzione astrale… è tipo l’allineamento con la cometa di Halley, hai capito? E allora noi, Marcè, dobbiamo sfruttarla ’sta cosa”, dice l’avvocato Camillo Mezzacapo, ritenuto dai pm “socio” di De Vito.
Corruzione
Attraverso l’affidamento di incarichi all’avvocato Mezzacapo, secondo la Procura di Roma, gli imprenditori, tra cui Luca Parnasi, versavano le mazzette a De Vito ritenuto l’uomo che interveniva per “aggiustare” gli iter amministrativi. Nelle 260 pagine dell’ordinanza compaiono alcune tra le principali operazioni immobiliari della capitale: dai terreni della ex Fiera di Roma dove Parnasi vorrebbe un nuovo stadio di basket e un polo musicale fino allo stadio della Roma. E poi la ex stazione di Trastevere che l’immobiliarista Giuseppe Statuto vuol far diventare un hotel e gli ex uffici dell’Alitalia che i fratelli Toti vorrebbero trasformare in una torta residenziale con la ciliegina dell’housing sociale.
La Cassaforte
I pm individuano anche l’esistenza di una società, la Mdl Srl, nella quale finiscono i profitti illeciti. Ne scoprono l’esistenza tramite lo studio dei flussi finanziari. Per esempio, il 24 ottobre 2017 sul conto corrente di Mezzacapo arrivano 110 mila euro dalla Silvano Toti Holding Spa. Una tranches dei 180mila pattuiti. Lo stesso giorno, 48mila euro vengono trasferiti della società Mdl che per l’accusa è “la cassaforte” di De Vito e Mezzacapo,
“I soldi nostri”
Il 4 febbraio 2019, ignaro di essere intercettato Mezzacapo discute con De Vito del denaro presente sul conto corrente: “60 (mila euro, ndr) e rotti sarebbero nostri”. Per l’accusa è la dimostrazione che la società è il salvadanaio per raccogliere i soldi delle mazzette.
Lo stop della corte
In luglio la Suprema corte ha annullato con rinvio l’ordinanza che confermava il carcere per De Vito: per la Cassazione alcune dichiarazioni che incastravano De Vito e Mezzacapo non sono confessioni, ma sono ritenute tali per una “operazione interpretativa”. La parola passa ora di nuovo al Tribunale del Riesame. Sarà un nuovo collegio a esprimersi sulla vicenda.