Dici “Sport e periferie” e pensi a campetti di provincia, scuole, palestre. Il nome, semplice ma evocativo, ideato qualche anno fa dalla premiata coppia Renzi-Malagò per il grande piano Pd per lo sport, rimanda all’attività di base e al sociale. A tutto, fuorché un ricco circolo privato della Capitale, da quasi 4 mila euro l’anno a quota, presieduto da un noto dirigente vicino alla sinistra, dove brillanti professionisti e soci benestanti giocano a golf nel tempo libero. Eppure è (anche) qui che finiranno i soldi pubblici per “le aree più disagiate delle città” (così diceva il programma).
Sullo “sport” niente da dire. Quanto alla “periferia”, in effetti ci troviamo a una trentina di chilometri dal centro della Capitale, ma non proprio quella degradata di cui parlava il piano. Immersa nel verde di Roma nord, toponimo che è più uno status sociale che un quartiere fisico, l’Olgiata è teatro di romanzi sulla borghesia italiana (ad esempio la trilogia di Alessandro Piperno) e spensierate gite domenicali. È qui che sorge il rinomato Golf club, che ospiterà il prossimo Open d’Italia, più importante torneo del Paese. Grazie anche a mezzo milione dello Stato.
Il finanziamento è curioso. Si trova fra le pieghe di un decreto della Presidenza del Consiglio, scritto in fitto burocratese e senza nemmeno la menzione del circolo, che individua i 245 interventi del secondo ciclo di Sport e periferie (firmato dal governo gialloverde ma risalente al precedente). Parliamo del piano per l’impiantistica da centinaia di milioni lanciato dall’ex premier Renzi e affidato al Coni. Già il primo bando aveva dato esiti contrastanti, come rivelato da un’inchiesta del Fatto quotidiano: tanti soldi stanziati ma pochi spesi (appena l’8%), consulenze, tipologia di lavori indecifrabile. Tanto che il sottosegretario Giorgetti ha deciso di toglierlo al Coni, per riportarlo a Palazzo Chigi.
Un punto fermo almeno sembrava esserci: soldi pubblici per interventi pubblici. Ed in effetti i lavori su strutture di proprietà privata si contano sulle dita di una mano: 5 su 245. In teoria i criteri fissati dal Coni dovrebbero penalizzarli, ma in qualche modo l’Olgiata grazie a una piccola quota di cofinanziamento (140 su 700 mila totali) e valutazioni alte è riuscito a entrare. I soldi serviranno per tutti i lavori di manutenzione sul campo, non sono quelli straordinari per l’Open ma anche “quelli normalmente eseguiti ogni anno a carico della spesa corrente del circolo”. Ironia della sorte, la convenzione è con Sport e salute, società governativa nata al posto di Coni servizi per destinare più fondi al sociale. Non ai soci dell’Olgiata.
Per il circolo, che non se la passa benissimo, è una manna dal cielo: in documenti interni, il presidente Giovanni Sernicola (un tempo alla guida del centro studi Nens fondato da Bersani e Visco, di cui è stato anche capo segreteria al Mef) spiega che il finanziamento pubblico è stato contabilizzato “come entrata straordinaria 2018”, per non chiudere in rosso il bilancio e “evitare un pesante ripianamento a carico dei soci” (ora però ci sono ripercussioni sulla cassa). Praticamente con i soldi dello Stato gli iscritti hanno aggiustato campo e conti senza aprire il portafoglio. Un bel regalo, specie in vista del prossimo Open d’Italia a ottobre. L’Olgiata avrebbe dovuto ospitarlo già nel 2017, ma il torneo era stato dirottato a Milano, proprio per mancanza di fondi. Organizzare l’Open costa, specie da quando l’Italia si è aggiudicata la Ryder Cup, con montepremi triplicato (ovviamente con soldi pubblici) e standard più alti. Problema risolto.
La passione del governo per il golf, del resto, è cosa nota. Ai tempi di Renzi e Lotti il Pd aveva “nascosto” in manovra 60 milioni per la Ryder Cup 2022. Adesso è la volta di Sport e periferie. Nel bando c’è anche un altro milione per il campo a Sutri della FederGolf (privato sui generis, in questo caso il contributo è coerente: per le Federazioni c’è un cluster apposito). Oltre a mezzo milione per l’Olgiata. In fondo, meglio il golf delle periferie.