“Alla televisione avrebbero dovuto parlare solo di quello. Alla radio, sui quotidiani, sulle prime pagine dei giornali. Praticamente non si sarebbe dovuto leggere né sentire altro. Come se ci fosse una guerra mondiale”
(Greta Thunberg)
Nella variabilità cromatica della nostra politica contemporanea, consona ormai più al linguaggio calcistico che a quello parlamentare, il verde della Lega potrebbe dunque lasciare il posto al rosso del Pd per abbinarsi con il giallo del Movimento 5 Stelle. “Finalmente, grazie!”, dovremmo dire noi invece di Matteo Salvini che ha rotto un accoppiamento contronatura dopo averlo promosso e consumato. Eppure, riferimenti politici a parte, proprio quel colore sarebbe in grado di dare un’identità e un’anima a un’eventuale coalizione giallo-rossa, se i due partner principali lasciassero prevalere le ragioni che li accomunano rispetto a quelle che li dividono come in ogni matrimonio che non si voglia trasformare in un divorzio.
È il verde dell’ambientalismo infatti il collante più forte che può unire i due ex nemici, i “pidioti” e i “grullini”, in nome della lotta al cambiamento climatico e della sopravvivenza del genere umano, mentre brucia un altro pezzo della foresta amazzonica. Un paradigma di governo che travalica, oltre agli insulti o ai contrasti del passato, anche la querelle sulla riduzione del numero dei parlamentari e l’ignominia dei cosiddetti “decreti sicurezza”. Questa, come ha avvertito nei giorni scorsi Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente e alfiere dell’ala ambientalista del Partito democratico, “è l’occasione per fare un governo verde non solo a chiacchiere”.
La retorica ecologista ha già recitato troppe litanie e troppe giaculatorie, offrendo spesso un alibi anche allo sfruttamento commerciale dell’ambientalismo: dai negozi “verdi” agli alimenti biologici fino al risparmio sul cambio della biancheria negli alberghi. A cominciare dal riscaldamento globale, questa è una questione unificante nel segno della quale vale la pena costituire una “santa alleanza” per combattere insieme una “guerra santa”. E non è evidentemente una base su cui si possa replicare un contratto di governo con la Lega sovranista di Salvini.
Certo, rispetto alla dimensione planetaria dell’emergenza climatica, permangono varie diatribe minori – dal Tap al Tav – che non agevolano un’intesa fra il M5S e il Pd. Ma in questi 14 mesi, anche i grillini hanno sperimentato sulla propria pelle che un conto è stare all’opposizione e un altro conto è governare. Lo stesso “pasdaran” Alessandro Di Battista ha dovuto chiedere scusa agli elettori salentini per il via libera al gasdotto trans-adriatico che sbarcherà in Puglia e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, forte dell’investitura politica pentastellata, è riuscito abilmente a individuare una soluzione “tecnica” per la controversa linea ferroviaria Torino-Lione, accreditando la tesi che ormai è più costoso interrompere i lavori che completarli. E comunque, è necessario assumere l’impegno formale di bloccare contestualmente il transito di auto e Tir, per abbattere l’inquinamento atmosferico.
Sì, “la nostra casa è in fiamme”, come ammonisce la sedicenne svedese Greta Thunberg, diventata eroina e icona dell’ambientalismo internazionale. E bisogna preoccuparsi di spegnere l’incendio, prima ancora di congelare l’Iva, di approvare la manovra economica e la nuova legge di Bilancio, di discutere sui tre o cinque “punti irrinunciabili” di Nicola Zingaretti o sui dieci di Luigi Di Maio. Il governo di svolta, ammesso che si voglia farlo sul serio, può cominciare solo da qui.