Un nuovo caso Regeni “Al Cairo gli arrestati spariscono nel nulla”

Da 74 giorni non si hanno più notizie di Ibrahim Ezz el-Din, 26 anni, ingegnere e urbanista egiziano, prelevato in strada alla periferia sudorientale del Cairo dalle forze di sicurezza.

Da cinque anni, Ezz el-Din lavora per la Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà (Ecrf), la stessa organizzazione che segue il caso Regeni per conto della famiglia del ricercatore italiano rapito e ucciso al Cairo tra gennaio e febbraio del 2016.

Mohamed Lotfy, vicepresidente Ecrf, nessun indizio su dove potrebbe trovarsi il vostro collaboratore?

Nessuno. Con la famiglia e i suoi legali abbiamo tentato di avere notizie attraverso ogni canale possibile, invano. Quando ci siamo rivolti alle stazioni di polizia, a partire da quella di al-Muqattam, il quartiere dove è stato fermato Ibrahim, ci hanno risposto che di lui non sapevano nulla.

Perché hanno arrestato Ezz el-Din?

Fermo restando che non abbiamo idea sulle motivazioni e sugli addebiti penali nei confronti di Ibrahim, credo che il motivo sia legato all’attivismo durante il periodo studentesco e universitario a favore del partito Strong Egypt, vicino ai Fratelli Musulmani e al leader Mohamed Morsi (stroncato da un malore in tribunale lo scorso 17 giugno, ndr). Quello è il passato però. Noi lo abbiamo assunto per le sue capacità. Non per questioni politiche o religiose. In Ecrf abbiamo altri criteri di scelta, tra i 54 dipendenti ci sono profili diversi.

L’incolumità di Ezz el-Din è a rischio?

Certo, la sua famiglia e noi di Ecrf siamo molto preoccupati. È la prima volta di un arresto avvolto nel mistero per così tanto tempo. Di solito dopo una, massimo due settimane, le autorità giudiziarie e di polizia almeno un segnale lo mandano. Stavolta no, prova, secondo me, che Ibrahim è ancora nelle mani dei servizi di sicurezza.

Qualcuno paragona questo caso alla tragedia di Giulio Regeni, è d’accordo?

Forse qualche dettaglio lo ricorda, ma credo si tratti di una storia diametralmente diversa. Soprattutto speriamo che l’epilogo sia diverso.

A proposito di Giulio Regeni, c’è il rischio che l’indagine affondi definitivamente?

Il rischio è concreto. Al momento, almeno qui al Cairo, è tutto fermo. La strategia del regime, come in altre storie drammatiche, è lasciar passare il tempo e far sì che l’opinione pubblica se ne dimentichi. Ecrf tiene la guardia alta e continuerà a farlo, ma senza una volontà politica forte temiamo il peggio.

A proposito di volontà politica, cosa si aspetta, anzi cosa spera possa emergere dalla crisi in cui è ripiombata l’Italia nell’ottica del caso Regeni?

Mi aspettavo di più dall’ultima maggioranza. Sostanzialmente tra questo esecutivo e il precedente non ho notato una decisa inversione di tendenza. Alla base c’è un’amicizia storica tra le autorità italiane e il potere politico egiziano: dai tempi di Mubarak e Berlusconi fino all’attuale regime di al-Sisi. L’unica eccezione è rappresentata dal presidente della Camera, Roberto Fico. Io stesso ho avuto modo di incontrarlo qui al Cairo. È stato cordiale ed è sembrato davvero animato dalla volontà di fare chiarezza sull’omicidio di Giulio.

Con Ibrahim Ezz el-Din aumenta la pattuglia di membri della Commissione in carcere, qual è la situazione?

Il prossimo 10 settembre saranno due anni esatti dall’arresto di Ibrahim Metwaly, legato anch’egli all’inchiesta sulla morte di Regeni. Il procedimento è fermo e lui resta in carcere con accuse assurde, compresa quella di terrorismo. Stesso discorso vale per Haitham Mohameddine, finito agli arresti più di recente.

La conferenza sulle torture, organizzata dalle Nazioni Unite al Cairo per i prossimi 4 e 5 settembre, è stata annullata: quale il suo commento?

Sarebbe stato paradossale avere esperti internazionali a colloquio su una pratica che in Egitto viene quotidianamente perpetrata. I vertici UN sono stati poco attenti, oppure sono degli ipocriti. Come Ecrf abbiamo fatto di tutto affinché la conferenza fosse cancellata.

Mediaset presenta un esposto Consob contro Vivendi

Mediasetha depositato un esposto in Consob per denunciare “nuovamente Vivendi che sta agendo per deprimere il corso di Borsa del titolo Mediaset”: lo si legge in un comunicato della società in cui, tra l’altro, si parla di “rumors indotti ad arte” dal gruppo francese. Infatti – si legge ancora nella nota – come già accaduto nel luglio scorso, non appena il titolo Mediaset ha toccato la soglia dei 3 euro per azione, discostandosi così in modo apprezzabile dal valore di recesso, “Vivendi ha fatto filtrare notizie non confermate con l’evidente intento di screditare tanto il merito dell’operazione di fusione transfrontaliera deliberata dai cda di Mediaset e Mediaset Espana, quanto la possibilità di realizzarla”. Come esempio Mediaset cita indiscrezioni riportate il 20 agosto dall’agenzia Bloomberg e riprese poi dal sito Dagospia. Nell’esposto, “si auspica poi che Vivendi venga invitata ufficialmente ad assumere una posizione pubblica e inequivoca in merito alle sue reali intenzioni” rispetto all’operazione annunciata lo scorso 7 giugno e all’assemblea del prossimo 4 settembre.

Buon compleanno cancelletto! Hashtag, 12 anni e buona salute

C’è la poesia del condividere un concetto con migliaia di altri utenti, c’è l’opportunità di dare visibilità al proprio brand o a se stessi senza spendere un euro: l’hashtag, il cancelletto utilizzato sui social network accanto alle parole chiave (#crisidigoverno è il più diffuso in questi giorni) per raggruppare i post su un determinato tema in una sola sequenza, compie 12 anni. Grande invenzione virtuale, a cavallo tra semantica, marketing e tecnologia. Utile più di molte campagne milionarie.

Leggenda, che nessuno ha mai smentito, vuole che a introdurre il cancelletto con questa funzione sia stato un utente di Twitter, Chris Messina, ispirandosi alle funzioni utilizzate nelle prime chat. Il suo uso si diffonde per vie non ufficiali, gli utenti vi ricorsero nei tweet sugli incendi boschivi di San Diego nel 2007 e ancora durante le proteste elettorali iraniane del 2009-2010. Il segno distintivo (#) permetteva agli utenti di cercare più facilmente aggiornamenti su argomenti specifici e di fare gruppo, comunità, attorno a un termine specifico. Solo dal 2 luglio 2009, Twitter decide di adottare ufficialmente i collegamenti ipertestuali di tutti gli hashtag. L’anno seguente, dato il successo del simbolo, introduce anche “Argomenti di tendenza”, la colonna che sul social mostra gli hashtag – quindi i temi – più popolari e discussi in quel momento. Sono gli anni d’oro di Twitter, ancora sulla cresta dell’onda. Col tempo, poi, perderà il suo primato, gli hashtag emigreranno anche verso altre piattaforme, da Facebook a Instagram.

Il business.Ma se favorire le conversazioni social in diretta e su determinati temi è stato l’obiettivo primario di questa invenzione, è innegabile che l’hashtag abbia anche cambiato il modo di fare impresa e di pubblicizzarsi online. Aziende e influencer ne hanno fatto negli anni un cavallo di battaglia: permetteva loro di creare un ibrido tra la discussione culturale e il brand. In sintesi, permetteva di “brandizzare” e veicolare la dialettica sui social. Secondo una ricerca di Twitter e MagnaGlobal, la rilevanza di un brand in termini ‘culturali’ è quasi importante quanto la percezione del marchio stesso: sulle decisioni di acquisto di un consumatore il coinvolgimento culturale con il brand pesa infatti per almeno il 25 epr cento.

Nel 2015, ad esempio, un rivenditore di abbigliamento sportivo statunitense aveva deciso di chiudere i propri negozi durante il Black Friday, il venerdì dei saldi globali. E cosa ha fatto? Ha deciso di incoraggiare le persone a svolgere attività all’aria aperta e ha lanciato l’hashtag #OptOutside generando la reazione di oltre 1,4 milioni di utenti e un numero record di adesioni alla propria cooperativa da parte di nuovi membri, facendosi al tempo stesso pubblicità per i giorni senza saldi. E ancora: Volvo, in occasione del Super Bowl, ha lanciato il #VolvoContest nel 2015 pubblicando un tweet (per vincere un’auto) ogni volta che andava in onda in tv uno spot di altri. E visto che il giorno dopo il più importante evento sportivo americano è quello in cui la maggior parte degli americani si dà malata al lavoro, la società farmaceutica Mucinex ha lanciato il #SuperSickMonday per ottenere visibilità durante la partita e raggiungere 11,9 milioni di persone. Emblematico è il primato del tweet più rilanciato della storia: #NuggsForCarter fu introdotto dalla catena di fast food Wendy’s che ha sfidato un fan a ottenere 18 milioni di retweet per vincere un anno di crocchette gratis.

Instagram. Fuori dal mondo di Twitter, il regno dell’hashtag è diventato Instagram. Associare le parole chiave giuste alla giusta foto ha permesso ai cosiddetti influencer di farsi conoscere, di comparire sugli schermi degli altri utenti che avevano gli stessi interessi senza perdersi tra milioni di immagini caricate ogni giorno sulla piattaforma. Anche in questo caso, però, oltre alle passioni si sono infilati i brand. L’hashtag fa crescere l’influencer che a sua volta fa crescere l’hashtag e che ne inventa altri più o meno strumentali e affini al prodotto in foto, per cui è stato pagato. Certo, le authority hanno imposto di avvisare gli utenti se sono di fronte a una pubblicità: mentre scriviamo, l’hashtag #advertising (che notifica di essere di fronte a un post con pubblicità) è usato 8,5 milioni di volte. Questo cancelletto è davvero un prodotto perfetto.

Gronda, Aspi: “Analisi palesemente errata” Mit: “È inaccettabile”

Nuovo scontro tra ministero delle Infrastrutture e Autostrade per l’Italia sulla Gronda, il progetto della nuova autostrada a Nord di Genova, di cui ieri il Mit ha pubblicato l’analisi costi-benefici. “Si farà – dice il ministro Danilo Toninelli – ma per essere davvero utile dovrà essere diversa dal progetto attuale, che porta la firma di Autostrade per l’Italia”. In altre parole, non si farà con il progetto dei Benetton. Secca la replica della controllata di Atlantia, che parla di un’analisi piena di “errori macroscopici, soluzioni tecniche irrealizzabili, valutazioni dei dati del tutto arbitrarie”, il cui unico effetto sarebbe di “ritardare ulteriormente la realizzazione dell’opera” di 6-10 anni. Toni “inaccettabili”, replicano fonti del Mit, che ricordano alla concessionaria come sia venuto meno uno degli elementi fondamentali su cui si basa il progetto di Aspi, il ponte Morandi: “Basterebbe questo a rendere indispensabile la revisione del suo progetto”. L’analisi costi-benefici non boccia apertamente il progetto di Aspi, ma lo confronta con altre alternative progettuali concludendo che è meglio perseguire “opzioni più efficienti”. E calcola che il mancato avvio del progetto Aspi costerebbe (di risarcimento per i lavori finora svolti) 1 miliardo.

Più utili, ma meno solidità: in stallo le banche italiane

Mentre il rischio di nuova recessione globale si fa sempre più concreto e può coinvolgere pesantemente anche l’Italia che già di suo non cresce, il sistema bancario nazionale si prepara ad affrontarlo non nelle migliori condizioni. Continua la pulizia dei bilanci dallo tsunami di crediti deteriorati accumulata negli anni, certo: a preoccupare, però, osservatori e analisti – ma soprattutto gli azionisti – non sono tanto le condizioni dello stato patrimoniale quanto quelle del conto economico degli istituti di credito italiani. Il volo delle banche italiane è in stallo: a fare difetto non è tanto la solidità delle ali, quanto la mancanza di carburante. Non a caso le azioni del settore sono tra i titoli peggiori a Piazza Affari. È questa l’immagine che esce dai conti semestrali dei principali istituti nazionali analizzati dal centro studi Uilca “Orietta Guerra” che ha esaminato i conti al 30 giugno scorso degli 11 principali operatori nazionali di banche commerciali, ovvero Intesa Sanpaolo, Unicredit, Montepaschi, Banco Bpm, Ubi, Bper, Credem, Volksbank, Credito Valtellinese, Banco Desio, Popolare di Sondrio.

A conto economico, nei primi sei mesi dell’anno, gli istituti di credito del campione hanno messo a segno un incremento dell’utile di 847 milioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, pari a un aumento dell’14,9% su base annua. Ma non è tutto oro quello che luccica: l’aumento dell’utile è stato realizzato in molti casi attraverso operazioni straordinarie, come le cessioni di partecipazioni, e non con una cresciuta organica dell’attività. Per citare un caso tra i maggiori, Unicredit ha azzerato la sua quota del 30% in Fineco, con due cessioni realizzate a maggio e luglio per un incasso complessivo di oltre 1,5 miliardi, dopo che nel 2016 ne aveva già ceduto un altro 35%. L’incremento dell’utile infatti non è omogeneo in tutti il campione, ma risulta solo per alcuni operatori, mentre le principali voci del conto economico di tutte le banche considerate segnano la riduzione dei ricavi (-5,2% rispetto ai primi sei mesi del 2018) che dei costi operativi, che però calano meno dei ricavi riducendosi “appena” del 3,6% su base annua.

Sono proprio i ricavi il carburante che sta venendo a mancare al sistema creditizio. La crescita dell’utile netto è stata, infatti, realizzata solo da alcuni gruppi, come Unicredit (+51,7%), Intesa Sanpaolo (+4%), Banco Desio (+72,1%) e Banco Bpm (+68,3%), mentre per altre banche del campione l’utile netto cala del 25,4%, pari a 345 milioni in meno su base annua. Le riduzioni più consistenti sono quelle registrate da Montepaschi (-67,7%), Bper (-67,4%) e Ubi (-46,6%). I ricavi sono il vero fronte caldo, con una contrazione a livello di campione del 5,2% (-1,4 miliardi di euro) su base annua. L’unico gruppo che segna una crescita è il Credito Emiliano (+0,5%, con 3 milioni in più).

Tutti gli altri registrano cali: Bper -15,4%, Banco Bpm -14,9%, Mps -9,4%, Unicredit e Intesa Sanpaolo -3,8%, Volksbank -6,3%, Credito Valtellinese -2,8%, Banco Desio -1,9% e Popolare di Sondrio -1%. Il margine d’interesse del campione si contrae del 3,5% (-465 milioni) e cresce solo in Volksbank (+9,6%), Credem (+4,1%) e Banco Desio (+2,6%), mentre fa segnare forti riduzioni in Banco Bpm (-13,6%), Popolare di Sondrio (-7,9%) e Montepaschi (-6,5%) con Intesa Sanpaolo che segna -4,7% e Unicredit -0,7%. Vanno in retromarcia anche le commissioni (-3,6% la media del campione) che crescono solo in Credem (+42,3%), Volksbank (+3,7%) e Ubi (+0,6%), mentre in Unicredit segnano -4,5% e in Intesa Sanpaolo -4,1%, nel Creval segnano -11,2%, in Montepaschi -10,7% e in Banco Bpm -5%. Se i ricavi calano, calano anche i costi, ma meno velocemente. In media i costi operativi del campione si riducono del 3,6% (-554 milioni), con Intesa Sanpaolo che segna -3,2% e Unicredit -4,5%. L’unica banca che vede una crescita dei costi su base annuale al 30 giugno scorso è la Popolare Sondrio (+3,3%), mentre Credito Valtellinese registra -23,8%, Volksbank -6,2%, Banco Bpm -3,3%, Ubi -2,6% e Credem -2,5%.

Il settore, insomma, si va prosciugando. Lo dimostrano anche i dati registrati mese dopo mese dalla Banca d’Italia che segnalano la continua contrazione dell’erogazione di credito a imprese e famiglie produttrici. Al 30 giugno scorso lo stock dei crediti erogati era pari a 737 miliardi, 50 in meno del valore alla stessa data del 2018 (-6,4%), ma ben 277 in meno dei 1.014 miliardi della fine del 2011 (-27,3%). L’inarrestabile emorragia del credit crunch segnala la riduzione, non si sa se inflitta o subita, di quello che dovrebbe essere il principale business e la vera ragion d’essere del settore bancario. Un trend al quale, negli ultimi mesi, si è sommata anche la riduzione della domanda di finanziamenti per i mutui da parte delle famiglie, nonostante i tassi ai minimi storici sia sul fisso che sul variabile.

Non è un caso, dunque, se a Piazza Affari i titoli bancari sono tra quelli che hanno registrato le performance peggiori durante l’ultimi anno. Tra il 17 agosto 23018 e il 19 agosto scorso l’indice settoriale del credito ha segnato un ribasso del 18% a fronte del +1,47% del mercato, con valori compresi tra il calo del 7,4% di Banco Desio e il -54% della Sondrio, mentre Intesa fa -13%, Banco Bpm -15%, Credem quasi -19%, Bper sfiora -24%, UniCredit -25%, Ubi oltre -30%, Mps -40% e Creval -42%. E, in assenza di novità significative che non sono per ora alle viste, il futuro potrebbe riservare ancora la stessa tendenza.

I mercati tifano per i giallorossi

La tranquillità ha un prezzo da pagare e i mercati lo sanno bene, tanto da puntarci sopra le proprie fiche. Così nel secondo giorno di consultazioni al Quirinale tra il capo dello Stato Sergio Mattarella e i maggiori partiti per la formazione di un nuovo governo, Piazza Affari non nasconde che preferirebbe un esecutivo che scongiuri il rischio di elezioni anticipate in autunno e attende di capire se si concretizzerà un esecutivo giallorosso appoggiato dai Cinque Stelle e dal Pd.

La dimostrazione arriva dallo spread tra il Btp e il Bund che ieri è tornato per la prima volta dall’inizio della crisi sotto i 200 punti base. A inizio agosto il differenziale di rendimento tra il titolo decennale del Tesoro e l’equivalente tedesco viaggiava sotto la soglia psicologica dei 200 punti base, ma poi le crescenti tensioni nella maggioranza gialloverde lo hanno fatto costantemente risalire e con la crisi di governo innescata a ridosso di Ferragosto da Matteo Salvini, è volato a 240 punti.

Ma a incidere sul calo dello spread sta anche contribuendo in modo deciso la politica monetaria della Banca centrale europea che si prepara a un nuovo Quantitative easing (Qe), l’acquisto massiccio di titoli per far risalire l’inflazione nell’Eurozona vicino all’obiettivo del 2% e rilanciare la crescita. La ripresa in mano del bazooka da parte della Bce già dalla prossima riunione del 12 settembre, varando un piano di stimoli molto più sostanzioso di quello atteso dai mercati, sarà di grande beneficio per i Btp e quindi porterà a un ulteriore restringimento della forbice con il Bund.

Ieri, a non aver inciso sulla chiusura di Milano – che ha perso lo 0,16%, ma è stata la migliore Piazza europea –, è la scure arrivata da Moody’s sulle prospettive del Paese. Nell’aggiornamento di agosto Global Macro Outlook 2019-2020, l’agenzia di rating ha tagliato le stime di crescita dell’economia per l’anno in corso e per il prossimo anno. Anticipando poi che, proprio in chiave politica, lo scenario più plausibile al momento è quello del voto anticipato. Per l’anno in corso la proiezione è ora di una crescita modesta pari allo 0,2% rispetto al +0,4% atteso a giugno, mentre per il 2020 si attende un’espansione al ritmo dello 0,5%, tre decimi in meno delle stime di due mesi fa.

A Taormina “mafiosi al pistacchio” e “Cosa Nostra alle mandorle”

in una pasticceria dolci al pistacchio e alle mandorle in bella mostra tra le vetrine colme di prelibatezze siciliane. Ma con nomi che poco hanno a che fare con la tradizione dolciaria dell’Isola. Nel “Laboratorio pasticceria Roberto” in via Calapitrulli a Taormina, in provincia di Messina, infatti, tra strudel, cannoli e frutta martorana ai clienti vengono offerti anche i “mafiosi al pistacchio” e i “Cosa nostra alle mandorle”, dolci recensiti anche su TripAdvisor, dove il laboratorio pasticceria incassa ottime recensioni. A far esplodere il caso è stato un gruppo di studenti palermitani che ha segnalato il marketing “mafia style” della pasticceria. “Chiameremo il commerciante e chiederemo di togliere i nomi ai pasticcini – dichiara Il sindaco di Taormina Mario Bolognari –. Questo tipo di messaggi nelle vetrine dei negozi non mi piacciono e non devono essere utilizzati a Taormina. L’assessore al Commercio farà tutti i passaggi necessari per evitare che si ripeta quanto successo nel comune che amministro. Quello che mi rammarica di più è che la segnalazione sia avvenuta da alcuni studenti palermitani. Nel capoluogo in questi ultimi anni si è registrata una maggiore sensibilità sui temi della lotta alla mafia”.

“Miccoli stia a casa”. Palermo non perdona il bomber che chiamò “fango” Falcone

Le lacrime del 2013 non sono bastate a placare la rabbia dei tifosi. Il ritorno di Fabrizio Miccoli a Palermo per la partita della nuova società rosanero contro una selezione di vecchie glorie ha scatenato molte proteste contro il ritorno al Renzo Barbera del “Romario del Salento”, il miglior marcatore in Serie A della squadra palermitana con la quale ha militato in Serie A dal 2007 al 2013. In molti, infatti, non gli hanno perdonato quelle intercettazioni nell’ambito di un’inchiesta di mafia, in cui l’attaccante insultava più volte Giovanni Falcone: “Vediamoci sotto l’albero di quel fango di Falcone” diceva al telefono a un amico. Miccoli aveva frequentazioni poco raccomandabili a Palermo, come quella con Mauro Lauricella, condannato in primo e secondo grado (sette anni in appello) per “estorsione aggravata dal metodo mafioso”, vicenda in cui è stato processato anche l’attaccante salentino, anch’egli condannato poi a tre anni e sei mesi per estorsione in primo grado. Miccoli avrebbe chiesto “l’aiutino” al figlio del boss della Kalsa, per far sì che un suo amico ricevesse 20 mila euro.

“resta a casa”, “Miccoli lontano da Palermo”, “Non lo vogliamo”: sono questi i commenti dei tifosi sui social network, alcuni dei quali hanno deciso di non partecipare alla gara delle vecchie glorie prevista per il 26 agosto, in protesta con una decisione che ha diviso i tifosi, ma che vede la maggior parte delle persone schierate per il “no” al ritorno della bandiera rosanero. Altri hanno risposto postando sui social, sotto la notizia, la foto dei giudici Falcone e Borsellino, chiedendo che il nuovo presidente Dario Mirri torni sui suoi passi, in questa estate di rifondazione della società rosanero che dopo il fallimento partirà dalla Serie D: “Ho sbagliato ma non sono un mafioso” aveva detto l’attaccante, in lacrime, subito dopo la pubblicazione delle intercettazioni in una conferenza stampa che ha sancito poi la fine della sua avventura con il Palermo e con il calcio ad alti livelli. Dopo l’avventura con il Lecce e con il club maltese del Birkirkara, Miccoli lascia il calcio giocato nel 2015. Le lacrime e il tempo non hanno però lenito la rabbia dei supporter palermitani, rimasti increduli all’ascolto delle intercettazioni. Oggi in coro i tifosi chiedono un passo indietro per una serata che si preannuncia storica, ma che potrebbe essere corredata dai fischi all’entrata in campo dell’attaccante che ha fatto la storia del Palermo, prima di lasciare l’isola nel peggiore dei modi.

Serie A tutta su Sky L’inciucio con Dazn che fa felice il tifoso

Sabato 24 agosto, ore 18, Parma-Juventus: il calcio d’inizio della Serie A, in diretta su Sky. Lunedì ore 20.45, l’atteso debutto della nuova Inter di Antonio Conte, esclusiva Dazn. Domani comincia la Serie A e il pallone in tv riparte da dove aveva finito, con la spartizione scientifica dei big match fra le due emittenti rivali (però neanche troppo) e il tifoso costretto al doppio abbonamento, doppia piattaforma, doppio tutto. Ma la prima di campionato potrebbe anche essere l’ultima, o una delle ultime, col vecchio sistema: Sky-Dazn preparano l’accordo che porterà tutte e dieci le partite del campionato sul satellite. Un “regalo” agli appassionati, che magari non spenderanno di meno ma almeno potranno vedere in maniera più semplice.

L’asta più controversa di sempre l’anno scorso sancì l’assetto fino al 2021: 7 partite su Sky, 3 su Dazn (tra cui l’anticipo serale del sabato). Presto sarà visibile tutto su Sky. La trattativa, in parte anticipata da Repubblica e Milano Finanza, è ormai allo stadio avanzato (ce n’è una anche con Tim). Non si tratta del resto di un inedito. La tecnologia SkyQ aveva integrata la app Dazn, con cui vedere tutte le partite attraverso un unico decoder (ma con segnali diversi: Dazn andava sempre in streaming internet). E un abbonamento unico a tutti gli effetti esisteva già per i locali: i bar e i ristoranti abbonati Sky possono offrire anche i match Dazn. Adesso sarà lo stesso per i consumatori privati. Presto nel “bouquet” Sky, fra i canali sportivi (numerazione 200), ce ne sarà uno o forse due Dazn. Preparano già i palinsesti, visto che a differenza della app sarà in onda tutto il giorno a ciclo continuo (per lo più repliche).

Si tratterà a tutti gli effetti di un canale Dazn, solo trasmesso da Sky; un po’ come succede ad esempio per Eurosport o i canali tematici delle squadre. Questo è un punto fondamentale, per salvare almeno le apparenze sul fronte concorrenza. Per attivarlo ci sarà da pagare un costo a parte, ma sono previsti sconti (già c’erano i ticket a 7,99 euro per gli utenti Sky). Addirittura potrebbe essere incluso nell’abbonamento per alcuni clienti fidelizzati (magari un regalo per chi ha SkyQ). Insomma, più che un risparmio economico, soprattutto un vantaggio pratico: vuoi per pigrizia, vuoi per gap tecnologico (mancanza di smart tv o connessione veloce), tanti italiani hanno faticato ad adeguarsi alla rivoluzione streaming. Ora le partite saranno di nuovo tutte su satellite. E ciò magari invoglierà qualche fan in più ad abbonarsi.

La scorsa stagione, del resto, è stata un bagno di sangue. Per tutti: passando da due emittenti a una, come previsto dal bando per prodotto, la Serie A ha perso il 30% di audience e 700 mila abbonati, come rivelato da Il Fatto Quotidiano a giugno. Sky è cresciuta ma non quanto si aspettava (sperava di “mangiarsi” tutta la fetta di Mediaset Premium, che però nel 36% dei casi non ha sottoscritto alcuna offerta, o è si è data alla pirateria). Quanto a Dazn, con 1,3 milioni di abbonati (mai dichiarati) a 10 euro al mese i conti non potevano tornare: ha chiuso in perdita. Qualcosa bisognava cambiare.

Ecco la soluzione. L’“inciucio” chissà se solleverà rilievi dell’Antitrust (in fondo non c’è nessun danneggiato). Di sicuro svela la natura dei rapporti fra Sky e Dazn: più che competitor, alleati, anzi ormai veri e propri partner nella trasmissione dello stesso prodotto. Un sospetto venuto a molti già l’anno scorso. Stavolta però l’accordo conviene proprio a tutti. Per Sky tornare ad offrire l’intera Serie A (seppur con un canale non suo) sarà un bel guadagno d’immagine, nell’eterna corsa agli abbonati. Dazn potrà contenere le perdite, con i soldi del rivale e magari qualche abbonato in più. Per la Lega calcio, che per il futuro continua a studiare il piano del suo canale, è un modo per contenere l’emorragia di spettatori. Quanto ai tifosi, sempre meglio del doppio abbonamento.

Manca l’annuncio e quest’attesa pone un dilemma al tifoso: in attesa della svolta, che fare per la prima giornata? Forse meglio attendere l’ufficialità e gli ultimi dettagli: il costo dell’offerta, i contenuti (solo la Serie A o anche altri programmi?), soprattutto la data. Sul calendario è già segnata in rosso la quarta giornata: c’è il derby di Milano. Milan-Inter, un’esclusiva Dazn in diretta su Sky.

Falso allarme crollo, colpa di un turista imprudente

Una piccola frana scatena il panico a Lampedusa. Un turista ha fatto crollare una piccola porzione di terreno, arrampicandosi sul costone nel tratto di costa tra la spiaggia della Tabaccara e l’isola dei Conigli, la più famosa dell’isola siciliana. Il primo allarme ha scatenato il panico: sul posto sono arrivate ambulanze e vigili del fuoco, e dal mare le motovedette della Guardia costiera. Poi però si è chiarito che quella annunciata come una frana era in realtà solo il crollo di piccoli massi e di polvere, provocato da un 52enne che si stava arrampicando sulla parete rocciosa. L’uomo, che è rimasto lievemente ferito nella caduta, è stato portato al poliambulatorio in ambulanza, ma non ha riportato ferite gravi, solo alcune escoriazioni: “Mio marito si è arrampicato dal mare nella scogliera per fare delle foto, ma sono caduti dei massi, lui si è spaventato, invece di scendere e salito ancora e si è procurato lievi ferite”, ha detto la moglie del turista. “Al suo arrivo ha camminato da solo, era molto spaventato ma non è assolutamente grave. Ha pure detto: ‘Dottore, sono stato un pirla ad arrampicarmi’”, ha spiegato Francesco Cascio, responsabile del poliambulatorio. Il turista verrà probabilmente multato.