Dopo l’incontro con Luigi Di Maio, Sergio Mattarella parla con Nicola Zingaretti. È da lui che cerca di capire se ci sono ancora dei margini di trattativa, dopo una giornata convulsa, caotica e ancora interlocutoria. Il segretario del Pd chiarisce che si va avanti solo se il Movimento 5 Stelle chiude il forno con la Lega. Nelle parole del capo politico dei Cinque Stelle, i dem hanno notato un’ambiguità che non è piaciuta rispetto al rapporto con Matteo Salvini. Non è un caso il fatto che Zingaretti abbia parlato con Davide Casaleggio in questi giorni: si aspetta che sia lui a chiarire a Di Maio che se vuole trattare con il Pd, deve farlo in maniera esclusiva.
“Ci sono punti programmatici da cui partire”, dice il segretario dem a sera, rispetto alla trattativa con i Cinque Stelle. Ma in realtà, gli ostacoli sulla strada del governo da parte della maggioranza del Pd sono almeno due, uno ufficiale, l’altro coperto. Primo: lo stop al taglio dei parlamentari come previsto dalla riforma Fraccaro. Secondo: il nome del premier. Zingaretti vuole che si tratti di una scelta condivisa, mentre i renziani sono disposti a tutto. Intanto, hanno già ceduto sull’opzione del Conte bis, ma pur di arrivare al governo, sono disponibili persino a considerare l’ipotesi di Di Maio premier. Mentre sperano che Mattarella indichi un nome proprio.
A sera, insomma, l’accordo Pd-M5S non è fallito, ma neanche fatto. Matteo Renzi, alla scuola di politica del Ciocco, non proferisce parola pubblicamente, ma i suoi accusano la segreteria di volerlo affossare. Intanto, già oggi, potrebbero esserci i primi incontri ufficiali: è in agenda quello tra Di Maio e Zingaretti (che però può slittare). E i capigruppo Pd e M5S dovrebbero incontrarsi.
La delegazione dem arriva al Colle quando mancano 15 minuti alle 11. Oltre al segretario ci sono il presidente dem, Paolo Gentiloni, la vicesegretaria Paola De Micheli, i capigruppo Delrio e Andrea Marcucci. Mezzora scarsa: d’altra parte, il Pd ha il filo diretto con il Quirinale. Nella sala alla Vetrata, Zingaretti dichiara che il Pd ritiene “utile” provare a costituire un “governo di svolta” per il quale “abbiamo indicato i primi non negoziabili principi”. Un’apertura per quanto cauta, ma volutamente zavorrata dalle tre condizioni rese note subito dopo l’uscita dal Colle (quella che i renziani definiscono “la velina di Gentiloni”): il Pd non è disposto a sostenere il disegno di legge costituzionale sulla riforma del numero dei parlamentari; la cancellazione del decreto Sicurezza; la definizione “preventiva” della manovra.
Zingarettie Gentiloni il governo con i Cinque Stelle non lo vogliono. Alzare l’asticella è sia un modo per farlo fallire sia per portarlo a casa alle proprie condizioni. La faccia scura di Marcucci dopo il colloquio con il presidente la dice lunga. Ma gli aperturisti corrono al riparo. A iniziare da Delrio: il taglio dei parlamentari si può fare, ma “deve tenere conto di una riforma della legge elettorale che garantisca rappresentanza democratica ai territori”, dice. Mentre dai vertici del Nazareno ci mettono una pezza: niente di nuovo sotto al sole, si trattava solo dell’esplicitazione dell’ordine del giorno votato dalla direzione.
Dopo il discorso di Di Maio, la situazione si complica ulteriormente. È ancora Delrio che corre ai ripari, che parla con il Movimento, che cerca di portare a casa il governo, mediando anche tra renziani e zingarettiani.
Lo stato maggiore del partito è riunito al Nazareno. Dalla segreteria ci tengono a chiarire che sul taglio dei parlamentari tutto il Pd è d’accordo. Poi, però, c’è chi si spinge a evocare la riforma Boschi, come punto di partenza. Non esattamente un buon biglietto da visita. E allora, nel frattempo, Delrio e Marcucci aspettano l’ufficialità dell’apertura della trattativa con i capigruppo dei Cinque Stelle. Se sono loro a trattare, il ragionamento, è tutto più semplice: perché la riforma Fraccaro la conoscono “più degli esponenti della segreteria” e possono arrivare a una soluzione condivisa. Non a caso, al Nazareno spingono perché ad affiancarli ci siano almeno i due vicesegretari, Andrea Orlando e la De Micheli.