“Quando alcuni provvedimenti raggiungono dei livelli così forti, tanto da toccare uno dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ambito del diritto al mantenimento dei rapporti affettivi, acquistano una fisionomia diversa e un significato diverso rispetto a quello che dovrebbero avere”. Così Mauro Palma, Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute, in relazione alla vicenda dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano impossibilitato a incontrare l’anziano padre gravemente malato perché sottoposto a divieto di dimora a Riace per il suo coinvolgimento nell’inchiesta Xenia. “Questi provvedimenti hanno un sapore punitivo che non corrisponde al modo in cui sono stati pensati alcuni istituti, come ad esempio il confinamento”. A sostegno dell’ex sindaco di Riace si chiera anche Roberto Saviano: “Mi unisco all’appello del “Comitato Undici Giugno”– scrive su Facebook – perché sia immediatamente consentito a Mimmo Lucano di rientrare nella sua città. Mimmo è un uomo esiliato, tenuto lontano dalla sua terra e dai suoi affetti. Nel processo in cui è coinvolto, la Cassazione ha demolito l’ordinanza del Riesame, ma l’esilio è stato confermato”.
Ocean Viking, giorno numero tredici .Altri 356 migranti attendono un porto
Il tempo passa, i giorni in mare aumentano, la tensione sale. Per un caso che si è ormai risolto, quello della Open Arms, ce n’è un altro pronto a esplodere: la Ocean Viking da quasi due settimane è ferma in mezzo al Mediterraneo, tra Malta e la Sicilia, in attesa di un porto sicuro dove abbrodare. E a bordo ci sono oltre 350 persone. La maggioranza dei sopravvissuti racconta di aver subito detenzione arbitraria, estorsioni e violenze in Libia e mostra i segni delle torture. Ci sono anche le vittime del conflitto armato in Libia, feriti di guerra che vengono curati nella clinica a bordo.
La nave di Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranée ha soccorso in diversi interventi 356 immigrati, di cui 103 bambini o minori, per lo più non accompagnati. Oggi è il 13esimo giorno di navigazione, e ancora all’orizzonte non si vede la soluzione.
“Il clima a bordo è sempre più teso. Uomini, donne e bambini continuano a vivere in uno spazio ristretto”, dichiara Luca Pigozzi, medico di Msf a bordo della Ocean Viking. “Le persone stanno perdendo la cognizione del tempo, faticano perfino ad identificare gli orari per mangiare. Riuscire a trovare un posto sul ponte dove tutti possano dormire non è facile. Questo è vergognoso oltre che disumano”.
Del resto, fino a questo momento non soltanto il dibattito italiano ma anche l’attività delle diplomazie internazionali è stata monopolizzata dall’emergenza di Open Arms, alla fine accompagnata nel porto di Lampedusa, dove i suoi passeggeri potranno essere accolti e poi ridistribuiti (sempre che Italia e Spagna trovino l’accordo). Diversi Paesi europei avevano dato la loro disponibilità. Adesso sarà la volta di occuparsi della Ocean Viking. “Dobbiamo trovare una soluzione rapida per Ocean Viking: delle discussioni sono in corso tra partner europei e ieri ho avuto uno scambio con il mio omologo maltese, ha spiegato il ministro dell’Interno francese, Christophe Castaner. Mentre dalla Commissione Ue auspicano che più Stati si facciano avanti e diano la loro disponibilità all’accoglienza, come già successo per la Open Arms.
Intanto la Ocean Viking continua a girovagare in mare: nella notte fra martedì e mercoledì i comandanti hanno tracciato una rotta a forma di cuore nel Mediterraneo. Per ora, però, nessuno sembra essersi intenerito.
Nave Open Arms, il pm di Agrigento “punta” il Viminale
La Procura di Agrigento punta nuovamente il Viminale e la catena di comando che bloccato per 19 giorni i naufraghi bordo della Open Arms. Il reato ipotizzato è rifiuto e omissione di atti d’ufficio. “Occorre verificare – scrive il procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio nel decreto di sequestro della nave – se la situazione emergenziale emersa a per diversi giorni a bordo della Open Arms sia frutto del rifiuto posto in essere alle autorità competenti a emettere i provvedimenti emessi per ragioni di igiene e sanità”.
Le undici pagine firmate da Patronaggio da un lato descrivono una drammatica situazione a bordo, dall’altro profilano i “sufficienti indizi del reato” sia sotto il profilo oggettivo, cioé del rapporto causa effetto nelle scelte disposte dal Viminale, sia sotto il profilo “soggettivo”, quindi della consapevolezza, da parte dei funzionari del ministero dell’Interno – e non si esclude dello stesso Matteo Salvini – del propio comportamento omissivo.
In sostanza, sostiene Patronaggio, aver omesso di autorizzare lo sbarco, sebbene non corrisponda a un rifiuto esplicito, rappresenta comunque la volontà di “non compiere l’atto dovuto”. E che fosse dovuto, lo dimostra il fatto che in tanti, dalla Open Arms si sono lanciati in mare “anche a costo di mettere in pericolo la propria incolumità o quella degli operatori”. Episodi che dimostrano “le condizioni di urgenza che impongono, alle autorità nazionali a ciò preposte, di attivarsi nell’emissione di provvedimenti improcrastinabili e doverosi in materia di sanità”.
A tutto ciò si aggiunge che il Tar del Lazio, interpellato dalla Ong spagnola – nei giorni in cui la Open Arms era in mare e il Viminale, in base alle nuove norme previste dal decreto sicurezza bis, le intimava di non entrare in acque italiane – aveva sospeso il divieto d’ingresso disposto dal governo. Eppure “il vice capo di gabinetto del ministro” spiegava che i divieto comunque “non era venuto meno” e, di conseguenza, “secondo l’assunto del ministero dell’Interno – continua Patronaggio – dal provvedimento del Tar Lazio non emergeva, a carico delle competenti Autorità nazionali alcun obbligo in ordine alla assegnazione di un porto di sbarco nel territorio nazionale, ma consentiva adeguata assistenza alle persone più bisognevoli”. Proprio ieri, dopo il ricorso del Viminale, il Tar del Lazio ha nuovamente dato ragione a Open Arms disponendo lo sbarco immediato dei naufraghi che però, dopo l’intervento della Procura di Agrigento, erano già approdati a Lampedusa.
“Abbiamo vinto di nuovo”, scrive su Twitter la Ong spagnola – il Tar del Lazio risponde al nostro secondo ricorso ordinando lo sbarco immediato. Le persone a bordo della nostra nave sono ormai al sicuro, ora dobbiamo sostenere #OceanViking e continuare a difendere l’identità liberale e democratica dell’Europa”. E quindi, se non fosse intervenuta due giorni fa la Procura di Agrigento, sarebbe stato il Tar del Lazio, ieri, a ordinare lo sbarco. Segno che le disposizioni del governo non stano reggendo né sotto il profilo penale, né sotto quello amministrativo. L’unico risultato concreto ottenuto – oltre all’apertura dei fascicoli e all’intervento dei giudici – è nelle parole che Patronaggio dedica alle condizioni in cui hanno versato i naufraghi per 19 giorni.
Il procuratore riporta la relazione firmata dai suoi consulenti dopo l’ispezione del 20 agosto: “Le condizioni complessivamente in atto sono quelle di un centinaio di soggetti le cui funzioni psichiche sono fortemente sollecitate da condizioni emozionali estreme in un clima di altissima espressione, ove la percezione di ‘morte’ rispetto a un eventuale rimpatrio e la speranza di ‘vita’, anche affrontando a nuoto lo specchio di mare che li separa dall’isola di Lampedusa, non lascia più possibilità di valutazione del rischio individuale e collettivo né, da parte di terzi, la possibilità di arginare o contenere una ulteriore estensione di situazione psicopatologiche di ‘dissociazione nevrotica e/o psicotica’”.
Già il 17 agosto la Procura di Agrigento acquisisce prove sulle pessime condizioni a bordo: “Il verbale dei medici – si legge nel decreto di sequestro – dava atto che i migranti occupavano interamente il ponte della nave adagiati sul pavimento, avevano a disposizione due soli bagni alla turca, che utilizzavano anche come docce. I migranti apparivano provati fisicamente e psicologicamente, pur mostrandosi calmi e collaboranti”.
Due soli bagni alla turca per 189 persone, usati anche come doccia, gente che si lancia in mare rischiando la vita per raggiungere la riva, il pericolo di dissociazioni psicotiche. Con il Viminale sconfessato dal Tar e accusato dalla Procura di Agrigento.
Dal tagliacasta all’Ilva. Ecco l’ultimo miglio dei dossier in sospeso
Dalla politica all’economia, dalla giustizia al welfare. La fine del governo Conte rischia di lasciare nel limbo una serie di misure che hanno da poco visto la luce, mentre altri provvedimenti, che sono entrati in vigore per pochi mesi, non hanno neanche raggiunto gli effetti sperati. A preoccupare di più, al momento, sono il decreto Imprese e quello sulla Scuola che, insieme alle crisi aziendali con oltre 15 tavoli aperti, coinvolgono otre 300 mila posti di lavoro.
Fiato sospeso per i 412 lavoratori Whirlpool di Napoli, i 14 mila della ex Ilva, gli 800 della ex Alcoa, i 700 della Blutec, i 650 precari dell’Anpal e i circa 15 mila lavoratori socialmente utili. In sospeso ci sono anche il taglio dei parlamentari, l’autonomia regionale differenziata, il salario minimo, le nomine dei vertici delle Authority, il disegno di legge sul conflitto di interessi, la riforma della giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede e la procedura di revoca delle concessioni autostradale alla famiglia Benetton, ferma, a un anno dal crollo del Ponte Morandi a Genova. Alcune delle partite aperte riflettono le profonde divisioni che ci sono state tra Lega e M5S e che in 445 giorni di governo gialloverde hanno soprattutto dibattuto di pensioni, immigrazione e sicurezza.
Ecco una guida in 9 punti dei 14 mesi gialloverdi, divisa per macro-argomenti.
Protezione sociale
Reddito e navigator, la scadenza del 2 settembre è a rischio: mancano software e sperimentazione
Lobiettivo di governo e Regioni è che i percettori del Reddito di cittadinanza, considerati occupabili, siano convocati dai centri per l’impiego dal 2 settembre e presi in carico entro il 15 dicembre. Il programma prevede che si cominci con quelli presenti nelle banche dati prima del 31 luglio. L’avvio al lavoro dei beneficiari, però, procede ancora con passo lento rispetto al crono-programma previsto dalla legge (che imporrebbe l’inizio dei percorsi entro 30 giorni dal riconoscimento del sussidio) e non si escludono altri ritardi. Stavolta non è però colpa della crisi: ancora non c’è un software che condivida i nominativi con i sistemi regionali e per il momento è l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) che invia i file con gli elenchi alle Regioni. Problema: i centri per l’impiego sono ancora sotto organico e i navigator impegnati nella formazione.
Le Regioni hanno poi messo in guardia l’Anpal anche per il secondo contingente di percettori, quello entrato nelle banche dati del Reddito di cittadinanza dopo il 31 luglio e che deve essere preso in carico entro il 31 gennaio 2020: prima di assicurare il rispetto delle scadenze vogliono conoscere il numero di persone da seguire nella ricerca del lavoro visto che non è ancora chiaro quante siano. Le previsioni dicono che si tratterà di un beneficiario su quattro, tra quelli ammessi al reddito di cittadinanza nel primo mese, sono stati riconosciuti attivabili sul mercato del lavoro 120 mila “capi-famiglia” su un totale di 488 mila. Le domande accolte prima del 31 luglio sono 922 mila, quindi i nuclei con componenti idonei al patto dovrebbero aggirarsi attorno ai 230 mila. Ogni famiglia però potrebbe avere più di una persona da attivare. Manca anche il software per l’incrocio di domanda e offerta: l’Anpal ha messo a disposizione delle Regioni un sistema che consente alle imprese di comunicare i posti vacanti, ma le Regioni – prima di usarlo – vogliono verificare la compatibilità con i sistemi già utilizzati. Il presidente dell’Anpal, Mimmo Parisi, è fiducioso: “L’Agenzia sta continuando a fare il suo dovere – ha detto –. Le azioni pianificate insieme alle Regioni e connesse al reddito di cittadinanza stanno procedendo e seguono il programma che è stato condiviso. Dai primi di settembre inizieranno le convocazioni dei percettori e saranno avviate dai centri per l’impiego le procedure previste per la realizzazione del patto per il lavoro”. Il docente ha aggiunto che “la formazione e l’inserimento dei navigator seguono le convenzioni sottoscritte, secondo le esigenze dei territori”. Lazio e Calabria hanno previsto che i nuovi assunti dall’Anpal Servizi non potranno avere un contatto diretto con i beneficiari del reddito, ma serviranno solo da supporto ai centri per l’impiego. La Lombardia ha chiesto di conservare il suo modello che prevede la forte cooperazione tra i centri pubblici e le agenzie private accreditate. La Campania di Vincenzo De Luca, invece, continua a rifiutare i ‘suoi’ 471 navigator .
Roberto Rotunno
Casta
Taglio dei parlamentari: manca solo la Camera
Manca soltanto l’ultimo voto, eppure la riforma sul taglio dei parlamentari rischia di saltare. Il provvedimento è una bandiera dei 5 Stelle e prevede la riduzione da 630 a 400 dei deputati e da 315 a 200 dei senatori. Essendo una riforma costituzionale, è necessario un doppio passaggio in ciascuna Camera: al Senato sono già arrivati entrambi i via libera (con maggioranze ampie: Lega, 5 Stelle, FdI e Forza Italia, che alla seconda votazione non ha partecipato), a Montecitorio manca ancora una lettura. Sarebbe stata in programma per oggi, ma i guai del governo hanno annullato l’agenda. Se ora si andasse a elezioni anticipate, gli sforzi fatti sarebbero vani: nella nuova legislatura si dovrebbe ripresentare la riforma e iniziare l’iter. Se invece si trovasse l’intesa per un qualsiasi governo, allora la Camera potrebbe calendarizzare l’ultimo voto e l’iter riprenderebbe da dove si è interrotto. Il Pd finora ha sempre votato contro la riforma, anche se Matteo Renzi ha proposto di approvare il taglio e poi sottoporlo a referendum, come prevede la Costituzione nei casi in cui questo tipo di riforme siano votate senza la maggioranza dei due terzi.
Giustizia
Csm, stand-by sorteggi e stop alla prescrizione
La riforma della giustizia è stata uno dei temi di maggiore frizione nel governo gialloverde. La mancata approvazione delle misure per accorciare la durare dei processi renderà difficile l’entrata in vigore il 1° gennaio 2020 dello stop alla prescrizione fin dalla sentenza di primo grado. Il disegno di legge predisposto dal Guardasigilli Bonafede sarebbe servito, inoltre, a introdurre misure per rendere più snello ed efficiente il processo civile. Quanto all’ordinamento giudiziario, il provvedimento puntava a scoraggiare la pratica delle cosiddette “porte girevoli” imponendo il ricollocamento in ruoli amministrativi ai magistrati che in precedenza fossero stati eletti in Parlamento. La promozione ai vertici degli uffici giudiziari prometteva meritocrazia e la valorizzazione dell’esperienza maturata dalle toghe nelle aule di giustizia. Bonafede era inoltre intenzionato a introdurre il sorteggio per l’elezione al Csm dei componenti togati, mentre per i laici aveva previsto il divieto di elezione a Palazzo dei Marescialli per chi fosse stato parlamentare o membro di governo nei cinque anni precedenti.
Infrastrutture
Concessioni autostrade: la revoca totale è ferma
Resta a mezz’aria l’intricata partita delle concessioni autostradali. Tre in particolare: gli oltre 3 mila chilometri di Autostrade per l’Italia (gruppo Benetton), le autostrade tra Lazio e Abruzzo (A24 e A25, gruppo Toto) e la Asti-Cuneo il cui completamento è collegato alla Torino-Milano (gruppo Gavio). Dopo la caduta del Ponte di Genova i 5Stelle avevano giurato che avrebbero revocato la concessione ai Benetton, ma è passato un anno e siamo punto e daccapo anche perché grazie ai contratti stipulati dai governi passati, la revoca secca costerebbe allo Stato la iperbolica cifra di 20 miliardi di euro. Il nuovo esecutivo (ammesso che prenda forma) potrebbe puntare a una rinegoziazione della concessione più favorevole allo Stato. Per le Autostrade laziali e per la Asti-Cuneo il ministro dei Trasporti Toninelli aveva annunciato accordi con i concessionari che però non sono stati approvati dal Cipe (Comitato per la programmazione economica) e tanto meno dall’Europa. Per la A24 e A25 c’è il rischio che da novembre le tariffe aumentino del 19 per cento.
Daniele Martini
Piano industriale
Alitalia, l’ultimatum scade il 15 settembre
Il 15 settembre era la data fissata dal governo per la presentazione delle offerte irrevocabili da parte dei soggetti interessati ad Alitalia: Delta Airlines ed eventualmente Atlantia dei Benetton, che si aggiungerebbero ai soci “sicuri” o quasi, cioè le Ferrovie dello Stato, con una quota del 35% e il ministero dell’Economia, attraverso una partecipazione del 15%. Le Fs restano il perno dell’operazione anche se il mandato ricevuto dall’amministratore delegato Gianfranco Battisti è di entrare a condizione di avere al fianco un socio industriale forte. Ma né Delta Airlines né Atlantia hanno mai formalizzato alcunché limitandosi a manifestare un più o meno generico interesse. Senza dirlo esplicitamente, Atlantia subordina il suo ingresso in Alitalia alla risoluzione del contenzioso sulla concessione autostradale. Mentre l’americana Delta nella sostanza si è spinta oltre avendo di fatto estromesso Alitalia dalla grande alleanza intercontinentale per i voli transatlantici (Joint venture transatlantica). Delta ha preferito Virgin, controllata all’80 per cento dalla stessa Delta e da Air France.
Da. Ma.
Fisco
Archiviata la flat tax, un mistero le coperture
Annacquata, anche per mancanza di tempo, pure la flat tax sbandierata dalla Lega in campagna elettorale, trasformata in un regime forfettario per le partite Iva fino ai 65 mila euro di reddito annuo. L’11 agosto Salvini aveva anche intimato il voto a ottobre per dare tempo al nuovo governo di realizzarlaa. “Tasse ridotte al 15% per milioni di lavoratori italiani, pace fiscale con Equitalia per milioni di Italiani, nessun aumento dell’Iva ma riduzione delle tasse sulla casa”, è stato l’annuncio di Salvini. Ma che la rivoluzione leghista non ci sarebbe stata lo si era capito anche prima dell’estate quando il ministro dell’Economia Tria aveva spiegato che la tassa piatta unica sarebbe invece stata una “riduzione del numero degli scaglioni” Irpef, ma sempre senza far aumentare il disavanzo”. Con Di maio che aveva confessato: “Le coperture per la flat tax restano un mistero”. Secondo Salvini con la flat tax ci avrebbero “guadagnato” tutti, ma in realtà le analisi effettuate hanno mostrato come a rimetterci sarebbero le casse dello Stato e l’80% dei lavoratori.
Scuola
Stop a sanatoria precari. Educazione civica salva
Sospeso: il decreto “salva precari” della scuola non vedrà la luce. Prevedeva, come suggerisce il nome, una sorta di ‘sanatoria’ per tutti i docenti precari da almeno tre anni, era stato un cavallo di battaglia della Lega (annunciato a ridosso delle Europee) ed era stato osteggiato dal M5S nella sua ultima versione. Nel testo, approvato “salvo intese” nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri, c’era l’indizione dei Pas, i cosiddetti percorsi abilitanti speciali a pagamento, per chi aveva effettuato supplenze di almeno tre anni anche non consecutivi e l’indizione di un concorso “facilitato” per le immissioni in ruolo nelle scuole medie e superiori di 24 mila docenti nel 2019. “Sbagliato far pagare ai precari e alla scuola la crisi del governo – ha detto Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil –. Ad attendere quel provvedimento ci sono migliaia di lavoratrici e lavoratori, tutti precari, che in questi anni hanno mandato avanti le nostre scuole”. Sventato, invece, il rischio di rimandare al 2020 l’introduzione dell’educazione civica Il presidente della Repubblica Mattarella ha promulgato la legge (approvata a maggio) martedì.
Riforma Pensioni
Quota 100, balla la misura sperimentale
Approvata lo scorso marzo insieme al Reddito di cittadinanza, Quota 100 non sembra aver raggiunto per ora il suo obiettivo. Le politiche di pensionamento anticipato fortemente volute da Salvini non si traducono necessariamente in maggiore occupazione giovanile. In un mercato del lavoro rigido e poco flessibile come quello italiano, infatti, il ricambio generazionale avviene solo per lavori poco qualificati, mentre resta più difficile per quelli più qualificati. I consulenti del lavoro avvertono: “Negli ultimi 23 anni si sono persi 3,3 milioni di giovani tra gli occupati”. E nel 2019 solo un giovane ogni tre pensionati entrerà nel mondo del lavoro. Una misura con troppe poche certezze calcolando che l’accesso alla pensione con Quota 100, cioè almeno 62 anni di età e 38 di contributi, è comunque una misura sperimentale per il triennio 2019-2021 con un costo stimato in circa 5 miliardi di euro per il 2019. Intanto da agosto si è aperta l’uscita anticipata anche per la Pa: potrebbero aderirvi oltre 10mila dipendenti pubblici, che saliranno a 27mila a settembre, quando con l’avvio dell’anno scolastico lasceranno la cattedra 17mila insegnanti.
Lavoratori
Salva Ilva, manca solo la pubblicazione
La crisi di governo non dovrebbe scalfire il decreto Salva Ilva, misura contenuta nel dl Imprese, per scongiurare l’alto rischio che ArcelorMittal abbandoni al suo destino lo stabilimento di Taranto. Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri con la formula “salvo intese” lo scorso 6 agosto. Nei giorni scorsi era prevista la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del dl Imprese, ma è stata bloccata dalla caduta del governo. Il provvedimento prevede tutele anche per i rider con l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro infortuni. La retribuzione base oraria sarà riconosciuta a patto che, per ogni ora lavorata, il lavoratore accetti almeno una chiamata. Nel decreto trovano spazio anche le norme per salvare l’impianto napoletano della Whirlpool, la proroga della cassa integrazione per la Blutec di Termini Imerese, il sostegno alla riduzione dei costi dell’energia per l’ex Alcoa di Portovesme, disposizioni per l’area di crisi di Isernia, modifiche all’indennità di disoccupazione per i co.co.co, ampliamento delle tutele in favore degli iscritti alla gestione separata e la stabilizzazione dei precari di Anpal servizi.
Porno, bingo e Osho: il lato dissacrante della crisi gialloverde
Dal porno al romanesco, i social regalano sfaccettature nuove alla crisi di governo. La lunga giornata di martedì in Senato si presta bene all’arte dei meme, ovvero delle immagini satiriche rese virali dai social. E allora gli utenti – a volte pagine ormai cult, come “Le migliori frasi di Osho”, a volte semplici commentatori – si sono sbizzarriti nel mettere il dito nella piaga salviniana, evidenziando la palese difficoltà del ministro dell’Interno nell’incassare i colpi del premier Conte. Il fotomontaggio a tinte rosse dice tutto: un frame del discorso del presidente del Consiglio è postato come fosse un video sul celebre sito hard Pornhub. Titolo tradotto: “Umiliazione pubblica! Primo ministro brutalizza il ministro dell’Interno mentre Di Maio segretamente si masturba”. Non servono molte parafrasi.
Ben più raffinato lo stile della pagina “De André racconta la Serie A”, che per l’occasione racconta la politica più che il calcio. Lo stile del montaggio ricalca quello tipico della pagina: associare l’immagine di un fatto di cronaca a una citazione tratta dalle canzoni di Fabrizio De André. E allora ecco il sorrisino beffardo di Conte postato dalla pagina poco prima del discorso in aula. Didascalia da Il Bombarolo: “C’è chi lo vide ridere davanti al Parlamento / aspettando l’esplosione / che provasse il suo talento”. Calzante a dir poco. Di fronte a Faber rischia di sbiadire tutto il resto, ma sulla via della satira alto e basso si mischiano senza problemi. Più che le parole, dunque, spazio alle immagini. Tweet, foto, vignette, tutto va bene per raccontare il lato divertente del crollo gialloverde.
Sui social di Matteo ora parlano i leghisti delusi
Non sono molti, non sono molto evidenti ma ci sono. I delusi della Lega hanno messo fuori la loro testolina social e nei commenti ai post del loro “Capitano”, nei giorni scorsi, hanno iniziato a esporre dubbi sulle mosse di Salvini.
Le reazioni sono arrivate mentre, nell’ordine, il leader del Carroccio sfoderava cartucce ormai vecchie e ritrite: dal colloquio tra Giuseppe Conte e Angela Merkel a un meme-confronto tra le politiche di accoglienza del ministro Elisabetta Trenta e quelle di Laura Boldrini. Nulla di nuovo, dunque.
Anche i numeri sono i soliti, decine di migliaia di commenti, di “mi piace” e condivisioni (come naturale su una pagina Facebook da oltre 3 milioni di fan), moltissimi i messaggi di sostegno, in egual misura quelli dei detrattori che pure negli ultimi mesi sono cresciuti e trascorrono il loro tempo a commentare i contenuti di Salvini. In mezzo, però, timidi ma comunque efficaci (raccolgono sempre centinaia di approvazioni) ci sono i dubbiosi, gli scettici, i “traditi” da Salvini che iniziano a non limitarsi più a guardare.
“Che il nostro giudizio (quello degli italiani ) non ti interessi lo abbiamo capito”, scrive una utente che, da una verifica sul suo profilo, sembra simpatizzare da tempo per la Lega. “Tardi ma lo abbiamo capito!”. In molti le si oppongono, le consigliano di andare su altre pagine più affini. “A me dei 5 stelle non interessa – risponde –, io ho votato Salvini e ho creduto nella sua fermezza (come un mantra ha ripetuto che il governo avrebbe resistito fino all’ultimo giorno del mandato e invece…). Proprio perché sapeva che diamine sarebbe successo dopo, giammai avrebbe dovuto far cadere questo governo. Ora sono cavoli amarissimi!”.
Non è la sola. “Per me hai sbagliato strategia, dovevi arrivare a fine legislatura”, scrive un altro. “Spero vinca Salvini, ma purtroppo credo che non tornera (refuso dell’utente, ndr) mai piu in un governo. Ha fatto una cazzata di proporzioni bibliche”, c’è chi risponde.
Scrive Barbara: “Salvini, mi dispiace solo di averti difeso in alcune occasioni e aver creduto in te. Ora ti mando a quel paese”. E ancora: “Avevi la mia stima, ma con le cose di Dio non si scherza. Lei ha seminato solo oddio (refuso dell’utente, ndr) ora in Italia c’è solo il terrore”.
Pietro, prima dell’intervento in Senato, scriveva preoccupato: “Matteo però pensa bene a cio (refuso dell’utente, ndr) che fai noi non sapremo mai i veri motivi che ti hanno portato a questa scelta, siamo tutti con te comunque vada, ma pensaci bene perchenstai (refuso dell’utente, ndr) consegnando il paese alle sinistre più becere e antiitaliane… chissà perché poi tutto questo… mah hai è andata… però da questa cosa ci aspettano tempi duri di patimento…”.
L’eco di Elisabetta è simile: “Ho paura!!! Molta paura di quello che può succedere. Salvini credo in te ma non capisco bene perché adesso far cadere il governo. Lo so i Cinque stelle non sono il massimo, ma stavi facendo cose che nessuno ha mai fatto. Sei sicuro dei sondaggi? Sei sicuro che andremo a votare? Mahhh!!!”.
Gli “affari correnti” di Salvini: guerra alla Trenta sui migranti
Matteo Salvini non è più ministro dell’Interno. È sempre in sella al Viminale – dove intende restare “finché lo vorrà il buon Dio” – ma conserva la carica solo per il disbrigo degli affari correnti, come vuole la prassi costituzionale. Il problema è che “il Capitano” dà tutta l’idea di voler interpretare le parole “affari correnti” in modo estensivo. Sui soliti temi – migranti, porti, Ong – la comunicazione salviniana va avanti come se nulla fosse: lui sarà pure depotenziato, ma “la Bestia”, la macchinetta da guerra a cui è affidata la sua propaganda, non dorme mai.
Così il primo giorno di Salvini non-ministro è finito per somigliare a tutti gli altri. Con un’attenzione particolare a uno dei suoi più acerrimi nemici in questa breve legislatura: il ministro della Difesa Elisabetta Trenta. La bordata del Viminale, ben studiata, parte di mattina: “La Difesa cambia l’operazione Mare Sicuro, ha modificato unilateralmente i compiti affidati a coloro che intervengono nell’ambito delle operazioni di pattugliamento”. Secondo Salvini, la ministra grillina avrebbe cambiato “le indicazioni operative” – le regole d’ingaggio per i militari della Marina – con una decisione solitaria sancita il 20 agosto, proprio nel giorno della caduta del governo. La direttiva Trenta – sostiene Salvini – segna “un chirurgico ma significativo arretramento rispetto a quanto concordato per il contrasto dell’immigrazione clandestina”.
Per l’attacco mediatico Salvini sfrutta tutti gli strumenti di cui ancora dispone: parte dall’ufficio stampa del Viminale e viene diffuso con massima evidenza sui social del “Capitano”. L’allusione politica, se non fosse chiara, la esplicita lui stesso: “Sono le prime prove tecniche di inciucio Pd-5Stelle sulla pelle degli Italiani?”.
Trenta risponde a tono: l’accusa del leghista è ridicola, “inqualificabile”. La Difesa smentisce, fa sapere di “non aver mai dato alcuna disposizione o indicazione di riduzione delle attività della Marina militare”. Dal ministero arriva un documento – firmato il 21 luglio – nel quale al contrario si chiedeva “di intensificare l’attività di polizia marittima” per le navi della Marina impegnate in Mare Sicuro. Una richiesta bocciata proprio dal Viminale, convinto che le unità navali dello Stato finissero per diventare un fattore di attrazione per scafisti e Ong. Ma il non-ministero di Salvini insiste: “La presenza delle navi militari non c’entra nulla con il provvedimento della Trenta, che invece ammorbidisce la lotta agli scafisti”.
È un assaggio: finché è al suo posto, Salvini sparerà tutte le cartucce che restano. Ieri, a proposito di migranti, il Viminale ha dato gran risalto a una notizia: l’espulsione della moglie “del pugile dell’Isis”. Una storia perfetta per la narrazione leghista: i protagonisti sono un campione di kickboxing marocchino, che paventava “un possibile attentato in Vaticano”, e la compagna “anche lei parte dell’associazione con finalità terroristiche”. È stata rispedita a casa, con la firma ben in evidenza del ministro Matteo Salvini.
Ma non si vive di soli migranti: ieri il leghista ha fatto anche politica. All’ora di pranzo, sotto il sole asfissiante di Roma, ha riunito i suoi parlamentari di fronte a Montecitorio (“Siamo tutti compatti”) per incontrare la stampa e presentare il piano da 50 miliardi per tagliare le tasse (se si va alle urne). È stata l’occasione per “una foto di famiglia” con Giancarlo Giorgetti, dopo giorni di presunti screzi e chiare divergenze di vedute. Ci hanno scherzato su: “Non sono d’accordo nel convocare i giornalisti sotto il sole all’una – ha riso Giorgetti – ogni tanto sbaglia anche lui”.
Nessun sorriso invece per Berlusconi. Salvini ha lanciato l’anatema: “Chi va al governo con il Pd non va al governo con la Lega”. Oggi ci sono le consultazioni, anche di Forza Italia. Chi doveva capire, ha capito.
Eppure c’è ancora chi tifa “gialloverde”
Eppure, nonostante tutto, c’è ancora chi tifa gialloverde. Magari non sarà il Conte bis, visto che il presidente del Consiglio e Matteo Salvini difficilmente si siederanno ancora allo stesso tavolo, ma di certo il prosieguo dell’esperienza di governo “populista” in Italia ha i suoi sostenitori.
Il primo e il più esplicito è anche il più pesante: nientemeno che Donald Trump. Per la seconda volta in pochi giorni il presidente americano, ci informa il sito affaritaliani.it, ha risposto ai cronisti alla Casa Bianca sulla situazione italiana. Proprio poche ore prima della formalizzazione della crisi in Parlamento, Trump ha ripetuto: “L’ho già detto, spero che Salvini e Di Maio si abbraccino e giurino di fare cose molto buone per l’Italia. Si tratta di due giovani in una politica falsa e bugiarda e gli italiani dovrebbero dare medaglie a questi due signori che, sono sicuro, vogliono bene all’Italia. Troppe elezioni qualche volta non risolvono granché”. E il governo col Pd? “Ottima idea, se vogliono il comunismo in Italia, proprio nel periodo in cui il comunismo si sta sciogliendosi sotto il sole della democrazia”.
La geografia politica degli americani, e quella di Trump in particolare, è la povera cosa che è, ma il punto è che l’attuale inquilino della Casa Bianca ha chiaramente espresso la sua preferenza, fatto che – in genere – qualcosa pesa.
Con toni assai più indiretti, com’è abituale per l’uomo, tra le vedove del governo gialloverde (“c’è delusione”) si può annoverare anche un insospettabile: il ministro degli Esteri, già montiano, Enzo Moavero Milanesi, da tutti considerato parte del terzo partito della maggioranza, quello del Colle, e dunque naturaliter “contiano”.
Nient’affatto: “Avendo sentito in Parlamento forse troppe parole dure, sono felice dell’abbraccio del Meeting”, ha detto ieri arrivando dai ciellini a Rimini. Ma quindi il discorso di Conte…? “Ha fatto le sue comunicazioni, con rilievi di cui più volte ha detto che si assumeva la piena responsabilità: lascerei in questo ambito le sue considerazioni”.
Il ministro, che aspira (con poche speranze) al ruolo di commissario Ue, vede così la situazione: “Il voto anticipato resta una delle possibilità, poi c’è forse la riedizione di una coalizione gialloverde e quella di una diversa maggioranza”, con “forze politiche che però in Parlamento martedì non parevano dalla stessa parte”.
Anche fra i grillini ci sono i gialloverdi non pentiti. Ieri, in collegamento con La7, Stefano Buffagni – tendenza Di Maio – si scusava del ritardo perché “prima avevo chiamate importanti che dimostrano come c’è molto fermento…”. “Un leghista”, spiegava il suo intervistatore. In generale, pur ricordando il “tradimento” di Salvini, Buffagni la mette così: “Io sono sempre stato scettico, non mi fido di nessuno, specie di Renzi”. Qualche giorno fa era stato più esplicito: “Gestire partite come Mps coi renziani mi terrorizza”.
Fico apre alla svolta, Mattarella aspetta che M5S “confermi”
Per dirla con uno dei parlamentari saliti ieri al Colle, il primo giorno di consultazioni ha prodotto già un risultato notevole: “Il tavolo è stato apparecchiato, i numeri ci sono, e anche buoni, il Pd nonostante le sue divisioni ha espresso la sua posizione, ora tocca al M5S”.
Ecco il primo punto della seconda e decisiva giornata di colloqui che si terrà oggi al Quirinale. Un nodo che viene ancora prima della questione del nome del premier riassunta dal tormentone “Conte sì, Conte no”. In pratica, il capo dello Stato vuole sentire dalla delegazione del M5S una netta e “trasparente” disponibilità per un “governo di legislatura” tra democratici e grillini. Sinora, nelle dichiarazioni pubbliche di questa pazza crisi d’agosto, nessuno dei big del Movimento lo ha mai detto, a cominciare dal capo politico nonché vicepremier uscente Luigi Di Maio.
In questa direzione un primo passo, felpato e riservato per via della sua carica istituzionale, lo ha compiuto ieri Roberto Fico. Il presidente della Camera è stato ricevuto come da prassi e alla fine è andato via senza dire nulla (stessa cosa ha fatto la Casellati, presidente del Senato). Ma nel colloquio con Mattarella l’argomento della svolta a sinistra del Movimento è stato affrontato. E Fico avrebbe ribadito il suo favore a un’ipotesi di accordo con il Pd. Attorno però al presidente della Camera, in questo primo giro di consultazioni, c’è una sorta di “cordone sanitario” trasversale per proteggerlo dalle rivalità interne del M5S. Il suo nome viene sussurrato come la vera opzione per Palazzo Chigi ma adesso è tutto prematuro. Il timore di molti è che venga bruciato sull’altare dell’altro tormentone che tiene banco per il futuro esecutivo: “Conte sì, Di Maio no” oppure “Conte no, Di Maio sì”. In ballo, in questa crisi, ci sono quindi i destini di almeno tre prime file dei 5S ed è per questo che al Quirinale il metodo maieutico di Mattarella prevede per oggi soltanto una disponibilità delle due forze politiche per un patto di legislatura, non per esecutivo tenuto insieme solo dalla voglia di non andare alle elezioni in autunno o nel febbraio del 2020.
Su questo punto il capo dello Stato è stato chiarissimo già ieri, incassando finanche il sì dell’Emerito Napolitano, sentito per telefono. Non a caso, tutte le delegazioni ricevute, all’uscita, hanno ribadito la necessità di un governo che duri fino al 2023, col sottinteso di eleggere in questo Parlamento il successore di Mattarella. Da Bonino a Nencini, dagli autonomisti a Liberi e Uguali di Grasso, tutti hanno detto sì a un nuovo governo. Ed è stato Fornaro di Articolo 1 a usare, alla Vetrata, la definizione di “svolta”. Sulla carta, la maggioranza sarebbe ampia: Pd, M5S e le varie componenti dei gruppi misti di Camera e Senato avrebbero oltre 360 seggi a Montecitorio e più di 170 a Palazzo Madama.
Manca appunto solo la disponibilità del M5S a trattare. È questo oggi l’obiettivo del presidente della Repubblica, che così intende annullare in partenza un ritorno di fiamma dei grillini per la Lega. Solo che il tempo è poco, se non pochissimo. Il Colle concederà venerdì, sabato e domenica a Pd e M5S per iniziare a stendere una bozza di programma e soprattutto per cercare un’intesa, allo stato molto difficile, sul nome per Palazzo Chigi. E qui si torna al nodo Conte che divide i 5S dal segretario del Pd Zingaretti che vuole una “discontinuità” totale. Il secondo giro di consultazioni è previsto per lunedì o martedì. E non ci saranno mandati esplorativi, solo incarichi pieni. Sullo sfondo, in caso di fallimento, resta il governo di garanzia per gestire il voto anticipato.
“I 5 punti del Pd? Vaghi, non dicono nulla: ora parola a Colle e iscritti”
La strada è stretta, ripida: per un nuovo governo come per i Cinque Stelle. Però Paola Taverna, veterana del M5S e vicepresidente del Senato, giura che in qualche modo si risolverà: “Dobbiamo capire quali sono le aspettative del presidente della Repubblica e cosa fare per il bene del Paese: ma troveremo una soluzione. Hanno dato il Movimento per morto tante volte, ma ce l’abbiamo sempre fatta”.
Giuseppe Conte si è dimesso. Cosa prova?
Sono dispiaciuta e arrabbiata. Avevo investito molto in questo governo, ci avevo creduto e non mi aspettavo davvero questo folle gesto di Matteo Salvini, soprattutto ora. Avrebbe avuto una logica, comunque sbagliata ed egoistica, se lo avesse fatto subito dopo le Europee. Ma ora…
Ecco, perché adesso? Solo per capitalizzare il consenso o c’è altro?
Io nelle ultime settimane ho visto un altro Matteo. Non so se c’entrino ragioni politiche o giudiziarie, ma lui una vera giustificazione della rottura non ha saputo darla. Posso dire che anche i senatori della Lega sono rimasti molto sorpresi. E trovo ridicolo che adesso Salvini ci accusi di parlare da mesi con il Pd.
Ora con i dem dovete parlare per forza, però. Ha letto i cinque punti programmatici proposti dal Pd?
Sono molto vaghi, potevano inserire anche la pace nel mondo… Non mi dicono nulla di particolare. Gli scenari ora sono quelli previsti in una Repubblica parlamentare, e bisogna attendere le consultazioni al Quirinale. Spero però che il Movimento abbia il tempo necessario per consultare i propri iscritti. Qualunque decisione verrà presa, sarebbe molto importante sentire il parere della gente sul web, sulla piattaforma Rousseau.
Uno dei punti del Pd è la centralità della democrazia rappresentativa. È un chiaro paletto a voi, apostoli della democrazia diretta…
La democrazia diretta è un obiettivo fondamentale. Parlano tanto di democrazia rappresentativa e allora iniziamo a renderla più efficiente e a risparmiare con il taglio dei parlamentari.
Va bene. Ma come potete fare un governo con chi avete accusato di ogni male fino a ieri? Lei è descritta tra i più contrari all’accordo.
Io ho parlato in assemblea congiunta, dicendo che a mio avviso si poteva tornare tranquillamente al voto. Di certo sento il peso della prima legislatura, in cui mi trovavo in netta opposizione al Pd renziano. E mi riesce difficile ora pensare che Renzi e i suoi possano essere cambiati. Ma ora voglio lasciare lo spazio al Quirinale, al confronto tra partiti e alla consultazione degli iscritti.
Come fare a fidarsi di Renzi, si chiedono tanti di voi.
Non voglio ridurre tutto a una questione di nomi, perché ora è davvero in gioco il meglio per il Paese. Devo dire che spesso però il meglio per il Movimento, cioè la difesa della nostra identità e dei nostri principi, è stato anche la cosa migliore per l’Italia.
Ci sono condizioni per lei irrinunciabili per un’intesa con il Pd?
Non solo con il Pd, ma con chiunque altro non potremmo prescindere dalla tutela dell’ambiente, e dalla riconversione in questo senso dell’economia. E questo, governando con la Lega, non era facile da perseguire. Poi va assolutamente realizzato il taglio dei parlamentari. Ed è fondamentale anche introdurre il referendum propositivo: il Paese deve avere la facoltà di autodeterminarsi. Questi sono temi del Movimento tramite cui si può capire chi ha davvero a cuore l’Italia.
La permanenza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi è un’altra condizione?
In un momento come questo non è centrale il chi, ma il per, cioè i temi, cosa fare. Detto questo, Conte è stato ed è un orgoglio per il Movimento. Ha saputo parlare alla gente con termini nuovi anche per i Cinque Stelle.
Lei loda Conte. Ma visto com’è andata, non è il caso di ammettere che il Movimento ha fallito nella gestione del rapporto con la Lega, e che in generale avete ceduto troppo a Salvini in questi mesi?
Considerato l’epilogo, non posso che dire di sì. Evidentemente abbiamo sottovalutato Salvini e ci siamo fidati. Lui invece a un certo punto da contraente è diventato il nostro competitore e poi traditore. E questo ci ha indebolito agli occhi di chi guardava da fuori. Abbiamo commesso degli errori, ma eravamo anche alla nostra prima esperienza di governo: dovevamo capire come funzionava la macchina, e questo ci ha sottratto molte energie.
Beppe Grillo è tornato centrale nel M5S. E a quanto si dice, spinge per l’accordo con il Pd. Conferma?
Io l’ho incontrato domenica scorsa assieme ad altri del Movimento a Marina di Bibbona. Ci ha parlato di futuro, di lavori che scompaiono, di grandi temi. Ed è sempre un piacere ascoltarlo.