Controlli ai caselli, alle stazioni ferroviarie e della metro, anche una sorta di “zona rossa”. Sono alcune delle misure di sicurezza imposte dalla Questura di Roma per i funerali di Fabrizio Piscitelli, il 53enne narcotrafficante ed ex capo ultrà degli Irriducibili Lazio. Per la cerimonia funebre che si terrà oggi alle 15 al santuario del Divino amore di Roma sull’Ardeatina, il questore ha disposto, il numero chiuso di 100 persone indicate dalla famiglia, e tre aree di sicurezza: la prima è il policlinico di Tor Vergata, da dove partirà la salma, il cimitero di Prima Porta dove il feretro arriverà dopo il funerale e, massima attenzione, proprio al Santuario per cui è previsto un dispiegamento di forze per monitorare la situazione. In questo luogo è stato anche individuata un’area per accogliere coloro che non potranno partecipare al funerale vero e proprio. Non solo. Già da ieri alle 19 è iniziata la vigilanza delle aree e la rimozione veicoli in sosta lungo la via Ardeatina. Oltre ai tifosi della Nord, infatti, la questura non esclude l’arrivo di altre tifoserie. L’indicazione lanciata dagli Irriducibili è di tenere un comportamento “di educazione esemplare” per non “cadere in squallide provocazioni, tese da sciacalli e occhi indiscreti”.
Salvini rischia (di nuovo) di essere indagato
Sequestro di persona: la procura di Catania dovrà valutare se anche nel caso del pattugliatore Gregoretti, come nel caso Diciotti, il ministro Salvini debba essere indagato. Il fascicolo arriva dalla procura di Siracusa dove, alla fine di luglio, il procuratore capo Fabio Scavone aveva inizialmente aperto un fascicolo per omissione in atti d’ufficio.
Il 26 luglio la Gregoretti ospita a bordo 140 naufraghi, soccorsi il giorno precedente da un peschereccio italiano, peraltro con il placet del Viminale e sull’accordo di uno sbarco in tempi rapidi. Chiesta l’autorizzazione a sbarcare, però, la situazione diventa la solita: uno stallo. Salvini annuncia che non vi sarà alcuno sbarco se prima gli stati dell’Ue non assicureranno la redistribuzione dei migranti a bordo. Dopo l’evacuazione di alcuni minori, si arriva così al 31 luglio scorso, quando, soltanto grazie all’intervento del procuratore di Siracusa, Fabio Scavone, viene disposta un’ispezione medica a bordo del pattugliatore. Si scopre così che tra i 116 naufraghi a bordo – con un solo bagno a disposizione – ci sono 25 persone infettate dalla scabbia e un caso di tubercolosi. Il procuratore, per verificare le responsabilità nel ritardo sulle cure mediche, apre un fascicolo contro ignoti per omissione in atti d’ufficio. Nelle stesse ore Salvini fa sapere che è stato raggiunto un accordo a Bruxelles e autorizza o sbarco. In procura però giungono più denunce, a carico del Viminale, per l’eventuale sequestro di persona. Poichè si tratta di un reato ministeriale, la procura competente non è più quella di Siracusa, ma quella di Catania.
Il procuratore trasmette gli atti alla procura etnea, senza iscrivere Salvini nel registro degli indagati, scelta che spetta al procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, segnalando nella lettera di trasmissione che il reato di sequestro di persona è ascrivibile all’ormai ex ministro dell’Interno.
La crisi frena il decreto Ilva, ma si farà
Il decreto Salva-Ilva slitta ancora, ma s’ha da fare. La crisi di governo non scalfisce la misura contenuta nel decreto Imprese per scongiurare l’alto rischio che ArcelorMittal abbandoni al suo destino lo stabilimento di Taranto generando una catastrofe occupazionale.
Il provvedimentoè stato approvato dal Consiglio dei ministri con la formula “salvo intese” lo scorso 6 agosto e contiene le nuove norme per ripristinare, in forma ridotta e legata all’attuazione del piano di risanamento ambientale, l’immunità penale per i vertici della multinazionale dell’acciaio che, secondo il precedente dl Crescita (approvato lo scorso giugno), sarebbe terminata il prossimo 6 settembre. Nei giorni scorsi era prevista la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del dl Imprese, ma poi i tempi si sono allungati complice soprattutto la crisi di governo. Lo slittamento ha generato dubbi, ma diversi segnali confermano che il decreto non sia comunque in discussione. Tanto che nel suo discorso al Senato il premier dimissionario Giuseppe Conte non ha parlato di Taranto e di Ilva: segno che la vicenda non è tra quelle che potrebbe essere pregiudicata dalla situazione politica. A questo si aggiunge il silenzio di ArcelorMittal, in attesa che il governo mantenga gli impegni assunti nelle scorse settimane.
La multinazionale si è sbilanciata in passato proprio per bloccare l’approvazione del dl Crescita, affermando senza mezzi termini che se il decreto fosse stato approvato “avrebbe impedito a chiunque, ArcelorMittal compresa, la capacità di gestire l’impianto”. Insomma, senza immunità non si va avanti. E il governo non ha preso sottogamba quella minaccia: il ministro Luigi Di Maio s’è fatto carico di risolvere la situazione e così nel decreto Imprese è entrata la nuova formulazione del salvacondotto. Un nuovo provvedimento per salvare capra e cavoli. Per il governo, infatti, si può annoverare la vittoria di aver abolito la protezione totale varata da Matteo Renzi spuntando le coperture penali per la sicurezza dei lavoratori.
Per ArcelorMittal, invece, c’è la garanzia di adeguare gli impianti al sicuro da indagini della magistratura su eventuali emissioni nocive. Inoltre, anche da un punto di vista politico, la questione dell’ex Ilva resta l’ultimo punto di contatto della ex maggioranza gialloverde: Matteo Salvini e la Lega sono da sempre a favore della continuità produttiva e Di Maio, proprio a Taranto, ha garantito che la fabbrica produrrà nel rispetto della legge. Ma a sperare che il decreto Imprese non finisca a prendere polvere sono anche aziende in crisi, a partire da Whirlpool. Per evitare che la multinazionale degli elettrodomestici chiuda lo stabilimento di Napoli sono stati stanziati 10 milioni nel 2019 e 6,9 nel 2020. Blutec (ex Fiat di Termini Imerese) confida nella proroga della cassa integrazione straordinaria per i 670 lavoratori, da luglio senza alcuna protezione. In attesa anche i rider che consegnano cibo a domicilio: da oltre un anno aspettano che le piattaforme si accollino obbligatoriamente l’assicurazione Inail contro gli infortuni. Mentre per ottenere le indennità di malattia e i congedi parentali il decreto prevede che ai ciclofattorini basti una sola mensilità di contribuzione (non più minimo tre) alla gestione separata Inps.
Open Arms sequestrata. Ordinata l’evacuazione
Il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che pochi giorni fa aveva già avviato un fascicolo contro ignoti per sequestro di persona, ieri ha disposto l’evacuazione degli 83 naufraghi a bordo, il sequestro della nave Open Arms e l’avvio di un’inchiesta per omissione e rifiuto di atti d’ufficio. Lo sbarco dei naufraghi è previsto in tarda serata, con arrivo al molo non prima delle 22:30, quindi con qualche ritardo, per via di un altro arrivo sull’isola: 50 tunisini che giungono al molo Favarolo su una loro imbarcazione. E così, negli ultimi 4 giorni, gli sbarchi fantasma portano a ben 160 la cifra dei migranti giunti sull’isola.
Il sequestro preventivo della Open Arms dovrà essere convalidato dal gip di Agrigento nelle prossime 48 ore. Quel che è certo, invece, è che dopo ben 19 giorni i naufraghi ieri notte hanno potuto abbandonare la nave e mettere piede a terra. Il commento dei volontari dell’Ong spagnola: “Finalmente – si legge su twitter – l’incubo finisce e le 83 persone rimaste riceveranno assistenza immediata a terra”. Il procuratore di Agrigento – che aveva già indagato Salvini per sequestro di persona per il caso Diciotti – dovrà ora ha disposto il sequestro “per evitare che il reato” di omissione d’atti d’ufficio “sia portato a ulteriori conseguenze”. Il passaggio successivo: ricostruire la catena di comando per individuare chi ha impedito lo sbarco dei profughi. E Salvini nelle stesse ore ha dichiarato: “Molto probabilmente mi arriverà una denuncia dalla stessa Procura che mi indagò per sequestro di persona, reato che prevede 15 anni di carcere: stavolta il reato è omissione di atti d’ufficio. Io non mollo”. Quando Patronaggio dispone il sequestro, dalla Spagna è già partita la nave militare, destinata a recuperare i naufraghi in tre giorni di navigazione. Nel frattempo 17 naufraghi si tuffano dalla nave tentando di raggiungere a nuoto la riva. Sono stati soccorsi dalla guardia costiera e portati nell’hotspot dell’isola.
All’inizio, giovedì scorso, quando Open Arms s’è avvicinata alle coste di Lampedusa i naufraghi a bordo erano 134. Ieri, al momento del sequestro, erano 83. Ci sono state 7 evacuazioni mediche, l’ultima nella notte tra lunedì e martedì: 9 persone prese in carico dalla Guardia Costiera. Quattro avevano problemi fisici, altri quattro psicologici. Il nono era un parente di uno dei malati. Tra questi c’era Aminu Yesuf, 21 anni, etiope. “È stato un momento duro – racconta – ero sulla nave, vedevo Lampedusa, su Internet leggevo che altri migranti erano arrivati sull’isola in questi giorni: mi sentivo come in carcere, di nuovo”. L’Open Arms è lunga 30 metri, gli spazi d’ombra sono pochi, i naufraghi hanno a disposizione solo due bagni chimici. Il ponte – 180 metri quadrati – si era “trasformato in un campo profughi libico –ha dichiarato Oscar Camps, fondatore della ong catalana –, tutti ammassati, detenuti senza sapere per quanto tempo”.
Riaffiorano ricordi di violenze che portano a scene di rabbia, crisi di panico e risse: e così, alle 7 del mattino, ieri un siriano trentenne, nel disperato tentativo di raggiungere l’isola, si getta in acqua. Una motovedetta della Guardia Costiera lo mette in salvo e lo fa sbarcare a Lampedusa. Ha addosso solo una coperta termica, viene trasportato all’ambulatorio. Quando la notizia arriva a bordo, altri 9 si lanciano in acqua. Recuperati dalle motovedette e portati a terra. Alle 13 la scena si ripete: si tuffano altri cinque. Salvi e portati a terra. La risposta non arriva da Roma, ma da Madrid: “Alle 17 salpa da Cadice il pattugliatore militare Anduz” che preleverà i migranti e lì porterà in Spagna. Oltre il tempo massimo.
Grazie Presidente per l’onestà sul Ponte Morandi
Èun agosto rumoroso di insulti e urla, la politica non ci ha concesso nemmeno una piccola tregua. Ma tra un dj set e un moijto, tra un’ingiuria via Twitter e un selfie in bikini, c’è stato almeno un giorno di silenzio per ricordare le 43 vittime del crollo del ponte Morandi.
A un anno di distanza, la società Autostrade ha pubblicato un comunicato praticamente su ogni giornale italiano per spiegare quanto i vertici sono rammaricati e consapevoli (e ci mancherebbe). L’amministratore delegato Castellucci non è più lì, ma solo perché si è trasferito alla guida della controllante Atlantia. Nessuno evidentemente gli ha chiesto di andarsene. Nemmeno i suoi scrupoli. L’anno scorso questo giornale è stato tra i pochissimi a scrivere subito il nome dei Benetton (siamo i soliti maleducati) e a dire che la revoca della concessione autostradale non c’entrava nulla con l’inchiesta penale sulle 43 morti. Abbiamo scritto, segnalandone l’inopportunità, delle feste cortinesi della famiglia. Ci hanno chiamato sciacalli. Eppure è così chiaro: un ponte non può cadere, non può cadere per incuria.
Alla vigilia del primo anniversario anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato a un giornale (quello di Genova) una lettera. Che non conteneva lacrimevoli pacche sulle spalle, ma un atto d’accusa pesantissimo nei confronti di Autostrade: “Nulla può estinguere il dolore di chi ha perso un familiare o un amico a causa dell’incuria, dell’omesso controllo, della consapevole superficialità, della brama di profitto”. E ancora: “Il nuovo ponte sarà in grado di ricucire e rammendare la ferita inferta dal crollo”, ma “rammendare non significa cancellare: il nuovo ponte ricorderà per sempre quelle vittime innocenti, sepolte tra le macerie di una tragedia causata dall’uomo che si poteva e si doveva evitare”. Gli esperti in effetti hanno rilevato difetti esecutivi e “mancata manutenzione negli ultimi 25 anni”. Scrivono i periti che se sulla pila 9 fossero stati fatti i lavori svolti sulla pila 11 probabilmente il ponte non sarebbe crollato. Ma i vertici della società sotto accusa per queste morti, si sono presentati alla commemorazione: i parenti delle vittime li hanno mandati via. Mentre hanno lungamente applaudito Mattarella che ha interpretato il suo ruolo nel più alto e migliore dei modi.
Nell’ultimo decennio, con il progressivo sfilacciarsi della fiducia dei cittadini nelle forze politiche, gli inquilini del Colle sono diventati un punto di riferimento. Così tanto che in certi snodi della più recente storia è stato impossibile muovere anche solo una piccola critica all’indirizzo del Colle senza essere tacciati di vilipendio. Abbiamo toccato il fondo quando Giorgio Napolitano andò in Parlamento per il discorso della rielezione (quella che solo qualche settimana prima “era ridicolo pensare”) sculacciando deputati e senatori manco fossero stati scolaretti. Poi dettò il programma di governo all’altro Matteo, con riforma costituzionale compresa nel prezzo: un’interpretazione, diciamo così, molto larga del proprio ruolo. È successo anche a Sergio Mattarella con l’incidente – non piccolo – del rifiuto del ministro Savona. In questa circostanza però si è comportato con rigore e fermezza, senza indulgere nella demagogia fine a se stessa. Perciò gli dobbiamo un sincero grazie, tutti non solo i parenti delle vittime o cittadini di Genova. Le rimozioni – colpevoli o no – sono pericolose.
Dai “vecchi” ai “giovani”: sono cambiate le parole ma non si è vista un’idea
Chiedo scusa se parlo di politica. E non intendo quella che si vede in questi giorni (ieri poi!), con un sabba stupefacente di sgambetti, furbizie, tatticismi, schermaglie più o meno finte, giri di valzer, esternazioni infantili, tweet da seconda media, ipocrisie, opportunismi e ognuno aggiunga a piacere. Parlo, invece, di quello che ci dovrebbe dare la politica, cioè un disegno futuro delle nostre esistenze, uno schema di dove si vuole arrivare e come, per essere un po’ migliori (sì, mi rendo conto del démodé polveroso di queste parole). Ma insomma, a volerle dare una nobiltà di intenti, a crederci ancora, nella famosa politica, si arriva lì, alla desolante inadeguatezza della classe politica attuale.
Non si tratta di mettere, come pure è stato fatto, le foto di Salvini con le tette al vento, ebbro di cubiste e di mojito, accanto a quella di Aldo Moro in spiaggia in giacca e cravatta. Si tratta piuttosto di fare un piccolo bilancio dopo quasi un decennio di hurrà e di giubilo, perché si affacciava alla soglia delle istituzioni un’ondata di “giovani”, di splendidi quarantenni, di ragazzi moderni che superavano le barriere ideologiche, smart, operativi, veloci, interconnessi. Porca miseria, sembrava la svolta, e ci fu anche chi su quella storiella del ricambio giocò (a parole) molte delle sue carte. Vennero i tempi della retorica generazionale, del “basta coi vecchi”, dell’“arriviamo noi”. Fino al paradosso e all’assurdo: un finanziere miliardario con sede a Londra che alla Leopolda arringava giovani benestanti accusando padri e madri in pensione di “rubargli il futuro” (en passant: gli stessi padri e madri che si sono fatti un culo a capanna per farli studiare, e la laurea, e il master, e lo stage a Londra…). Oppure l’insofferenza per i vecchi (“vecchio” era l’insulto principale) meccanismi di mediazione tra poteri, per ogni tipo di complessità. Tutto deve sembrare semplice, facile, che ci vuole, ecco qua, basta un tweet.
Il linguaggio, come al solito, è rivelatore, si è passati dal tanto vituperato politichese (orrore) a schermaglie che sarebbero già troppo stupide in una seconda media (“Mummia”! “Bikini”!), alla forzata banalizzazione del mondo, alle soluzioni sputate in tre righe con le faccine che ridono, o piangono, cuoricini, battutine, freddure, quello là in mutande col cigno, quell’altro che sembra cagare nel campo di zucche di Verdini, uno che si fotografa mentre fa la corsetta mattutina, potete scegliere a catalogo, l’album delle figuracce è praticamente infinito.
I famosi quarantenni che dovevano liberarci dai cascami dei vecchi riti hanno imposto riti nuovi, e sempre immancabilmente al ribasso. C’è da capirli, poveretti, sono figli di un’egemonia culturale, quella di vent’anni di dominio berlusconiano sull’immaginario collettivo, gente che ha capito male (per forza, non studia!) la lezione della cultura “alta” e della cultura “bassa”, col risultato di fare un pappone immangiabile dove un Gramsci vale un cartone animato giapponese, dove un Max Weber ha lo stesso peso di un Jovanotti. E intanto, da questa pattuglia di “nuovi”, di “giovani”, di “adesso finalmente tocca a noi” non esce un’idea nuova a pagarla oro. Tattiche (quasi sempre sbagliate, oltretutto) e trucchetti, niente di grande a cui tendere, niente di immenso da far tremare i polsi, nessun disegno strategico, nessun obiettivo storico, nessun progetto, o tensione ideale, o visione del futuro.
Solo l’ostensione grottesca di ego offerti alle masse, con la risibile giustificazione che in questo modo si è più vicini al “popolo”.
Che tragico errore, che inconsistenza, che disastro epocale pensare al popolo (qualunque cosa sia) come una moltitudine di troll e tifosi ultrà, solo perché, come diceva un cantante, “Qualsiasi tipo di fallimento ha bisogno della sua claque”.
Matteo l’analfabeta (istituzionale)
Forse più che politologi servirebbero scienziati cognitivi, per spiegare quello che è successo ieri al Senato. L’uomo che ha rovinato le ferie a tutti fuorché a sé stesso, fino all’ultimo garrulo e minaccioso dalle spiagge, è entrato suonatore e è uscito suonato, e nel momento solenne deputato alla spiegazione del perché abbia aperto la crisi ha fatto cilecca, ripiegando sulla reiterazione delle sue note ossessioni e lasciando la Nazione all’oscuro dei motivi del folle gesto.
È comprensibile: manuale dei disturbi della personalità alla mano, Salvini si è sentito stanato da Conte nella sua pochezza non solo politica. La crisi, ha spiegato didascalicamente Conte, è stata aperta per “ambizioni politiche” da qualcuno che “rivendica pieni poteri” per “interessi personali e di partito”, con “dichiarazioni sui social, invocando le piazze” e suonando “la grancassa fatua del governo dei No”.
Conte si è concesso anche due finezze, oltre alla sottolineatura della mancanza di cultura istituzionale e senso di responsabilità del ministro aspirante plenipotenziario: la denuncia della sua “incoscienza religiosa”, esibita con l’ostensione kitsch di Madonne e rosarî sui palchi, e la citazione di Federico II di Svevia, l’imperatore che annientò la Lega Lombarda, frenando le aspirazioni di autonomia dei comuni e entrando in Cremona nel 1237 col carroccio trainato da un elefante. (Per inciso: ieri si è avuto conferma del perché il vero nemico dell’establishment non sia affatto Salvini, con tutta la sua volgarità, ma proprio Conte, fatto passare, nell’arco di un anno, per burattino, servo, prestanome e infine, illogicamente, grigio tecnico à la Monti). Mentre incassava la pacata lista delle sue lacune, sembrava di vedere Salvini spogliarsi man mano di tutte le insegne che l’hanno fatto credersi latore del popolo e della sua sovranità. Sembrava uno dei suoi decreti simbolo: forte coi deboli, debole coi forti, impotente davanti alla serietà delle Istituzioni. L’aspirante duce del 17% deve aver capito cosa vuol dire essere una minoranza, non solo elettorale. Non a caso Salvini ha giocato tutte le carte che ha non durante il suo discorso, ripiegato sul vittimismo e le solite favolette da comizio, ma mentre parlava Conte: sapendosi inquadrato, si è fatto portare il caffè dai commessi, denunciandosi quale il drogato di protagonismo mediatico, il lesso di selfie e il vanesio qual è; ha gigioneggiato, sminuendo con la sua facies irridente l’autorevolezza dei ruoli che ricopre; ha finto di frenare le sguaiate contestazioni dei suoi, da capobullo, salvo poi incoraggiarle con le sue emoticon somatiche beffarde quando Conte toccava un punto debole tra quelli che lui tenta ancora di far passare per le guasconate di un uomo troppo pieno d’energia (l’invocazione delle piazze, lo scappare dal dovere di riferire sulla vicenda russa).
Tutto il suo linguaggio del corpo esprimeva inadeguatezza di fronte a un gioco d’azzardo che, ha compreso, potrebbe finir male per lui, oltre che, come è chiaro, per “l’Italia reale” che dice di rappresentare e difendere.
Non è necessario, anche se sarebbe doveroso, leggere il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, in cui risiede lo spirito del nostro ordinamento (sospettiamo che il giostraio del “molti nemici molto onore” non abbia letto nemmeno quello degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile), per sapere che l’accusa più grave che Conte gli ha mosso è stata di non “rispettare le regole che implicano sostanza politica poste a presidio della piena tutela dei diritti di tutti i cittadini”. Quella del Parlamento non è “l’Italia virtuale”, accusa che mossa da un fenomeno pompato dai media, una bolla umana creata dalla ossessiva presenza sui social e in Tv, suona quanto mai paradossale.
Perciò appena presa la parola, nei banchi tra i suoi senatori giubilanti, Salvini sembrava lo squalo che deve nuotare sempre avanti per non morire: “inventarsi nemici dietro ogni angolo” (Conte), ritrarsi come “uomo libero” contro un’assemblea di parassiti e servi di Bruxelles, rivendicare la protezione del Sacro cuore di Maria e altri esorcismi.
Per un abbaglio mediatico e per colpa del Pd che ha lasciato che i trojan della destra introducessero frame della cosiddetta parte avversa (rimpatri, “decoro”, preminenza della governabilità sulla rappresentatività, erosione del welfare e dei diritti dei lavoratori, ecc.), Salvini è parso un liberatore del popolo; è invece uno che tratta gli elettori come cavie di un crescendo emotivo, alternando minacce e promesse per dare loro la sensazione di essere protetti. Conte si è incaricato di svelarlo qual è: non solo un politico scarso, analfabeta istituzionale, ma anche un inaffidabile “mancante di coraggio politico”. Insomma, un uomo sòla al comando che può al massimo eccitare le folle in preda ai fumi dell’alcol sulle spiagge, alienandosi il rispetto e l’affetto delle persone perbene.
Mail box
Educazione civica, una legge non ancora pubblicata
Prima il cambiamento degli esami di Stato durante l’anno scolastico, adesso le scuole corrono il serio rischio di trovarsi con una materia in più all’improvviso senza che ci siano indicazioni operative del Miur né, ovviamente, stanziamenti in termini di risorse. Parlo della legge sull’Educazione Civica, approvata in via definitiva ma non ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. La mancata pubblicazione della legge sulla G.U. renderebbe applicativa la legge stessa dall’anno scolastico 2020/21 e non dal prossimo 1° settembre. Spero che al Miur assecondino questa seconda eventualità che consentirebbe a tutti di rendersi conto delle novità e attrezzarsi conseguentemente, per il bene della scuola, degli studenti, di tutti.
Stefano De Stefano, insegnante
Nessuno ci salverà dai politici di infimo livello
Il vero guaio sta nel nostro sistema che promuove politici personaggi come Salvini, Renzi, Berlusconi. Gli elettori lasciano che la politica faccia quello che vuole, dica quello che vuole, avendo pochissima esperienza di vita vera, di realtà sociali. Poi è troppo subordinata al potere economico, costituto da una sorta di mafia che fa il bello e cattivo tempo senza mai “pagare dazio”. Spiace per il M5S che ha concesso quasi tutto alla Lega, perdendo quell’energia nuova che faceva ben sperare. D’altro canto, i cambiamenti non possono essere repentini. Però non è obbligatorio strisciare e sacrificare la propria buona fede. Grave è stata l’accettazione del disumano e folle Decreto Sicurezza: ma chi l’ha scritto non si è vergognato? Ora caos e corsa alle poltrone che, coerentemente, Salvini lascerà vuote (lo obbligheranno a farlo, se hanno un minimo di coraggio). Collaborazione M5S-Pd: sarebbe ora, ma con quali personaggi democratici? Siamo messi male, il nostro sistema soffre ancora di approssimazione e di disinteresse popolare. Questa politica deprime, offende un Paese avanzato come l’Italia.
Dario Lodi
Jerry Calà può non piacere, ma non merita certo le offese
Anna Rita Leonardi, dirigente del Pd, ha definito l’attore Jerry Calà un “cretino senza talento” dopo che quest’ultimo, in un’intervista concessa a Paolo Giordano, avrebbe detto che lui non lavora più come attore perché “non odora di sinistra”. Alludendo al fatto che per lavorare in televisione si debbano avere posizioni dichiaratamente politically correct. Oltre alle considerazioni politiche che non mi interessano, mi pare che la signora Leonardi abbia abbondantemente esagerato. Il fatto che, evidentemente, Jerry Calà non le piaccia non la autorizza a offenderlo. In un contesto del genere la frase della signora, che denigra le capacità artistiche del comico, sono profondamente ingiuriose.
Non è possibile non poter esprimere un’opinione senza che qualcuno, che dissente, si scagli con offese e frasi denigratorie. Non è possibile che anche dirigenti di partito (qualunque esso sia) si esprimano in un certo modo. Per poi chiedere scusa. Jerry Calà ha risposto alla signora con un bel video dove, a bordo di una barca, risponde che lui non ha mai fatto nulla di male per meritarsi simili epiteti. Che non è vero che la signora si è chiarita con lui (almeno non direttamente) e che ha 90 giorni di tempo per decidere cosa fare. Alludendo ad un eventuale querela. Un Calà posato e ragionevole che ha tutto il mio appoggio e quello di molti altri.
Cristian Carbognani
DIRITTO DI REPLICA
In merito all’articolo pubblicato lunedì sulle pagine del Fatto dal titolo: “Salvini resuscita B.: è la lunga notte degli azzurri viventi”, le affermazioni, che mi riguardano, sono gravi e infamanti. Mi riservo quindi di intraprendere le opportune iniziative legali nelle sedi competenti. Chiedo, pertanto, di pubblicare la smentita alla notizia che è destituita da ogni fondamento. Piuttosto che affidarsi ai soliti spifferai magici è più opportuno sentire il diretto interessato. Per esempio, avrei persino potuto raccontare cosa significa per me l’Amore. Avrei detto che per me è il più nobile dei sentimenti, che non ha necessità di contratti o vincoli religiosi per esistere. Avrei spiegato che per me non deve avere barriere o pregiudizi perché l’amore è una cosa seria e le leggi degli uomini spesso non lo sono. Personalmente non credo che il matrimonio possa ridursi a una mera firma o mero rito: quello civile mi intristisce e quello religioso mi fa simpatia. Pur rispettando il matrimonio come istituzione o scelta individuale, non ritengo però che esso sia tra le cifre fondamentali di un amore e né tra le condizioni che rendono nobile e autentico il più puro dei sentimenti.
Francesca Pascale
Gentile Francesca, una donna che sa descrivere così bene l’Amore – sono d’accordo con lei sulla maiuscola – non può rabbuiarsi per le cattiverie degli spifferai magici di Arcore o di Palazzo Grazioli. Anzi, il retroscena riferitomi era alquanto feroce e io mi sono limitato a depurarlo. In ogni caso prendo atto della sua smentita: sarebbe triste discutere in tribunale del “più nobile dei sentimenti umani”. Omnia vincit amor.
fd’e
Mutui. Il paradosso del mercato: tassi ai minimi ma le domande sono poche
Siamo una giovane coppia che, dopo la stabilizzazione, vorrebbe poter finalmente acquistare una casa. In banca ci hanno comunicato che il periodo sarebbe più che favorevole, perché i tassi dei mutui non sono mai stati così bassi. Eppure, guardandoci intorno, il mercato sembra comunque inarrivabile: i prezzi delle abitazioni non calano di un euro. Possibile che, senza l’aiuto delle nostre famiglie d’origine, siamo destinati a rimanere “precari” (leggi: in affitto) per tutta la vita?
Anna e Marco
Cari Anna e Marco, purtroppo il mercato dei mutui è un perenne paradosso. Nella categoria degli aspiranti mutuatari (quelli che vogliono avviare un progetto casa attraverso il mutuo) c’è chi, pur avendo tutte le carte in regola per pagare la rata, oggi risulta tecnicamente estromesso, perché non ha un patrimonio adeguato da esibire a garanzia. È l’immancabile sfiducia del sistema bancario nel concedere soldi ai “non bancabili” che sono soprattutto i giovani under 35 alle prese con contratti poco stabili. Un limite che, tuttavia, per i più fortunati può essere aggirato grazie al ruolo di un garante, come i genitori. Inoltre, nell’ultimo anno, diversi istituti bancari hanno cominciato a proporre dei prestiti per la casa dedicati alle giovani coppie. Ma negli scorsi mesi richiedere un mutuo per casa è diventato difficile un po’ per tutti, con le domande di mutui in forte calo. Un vero peccato, dal momento che i tassi sono ai minimi storici e mai come oggi è così conveniente sottoscrivere un mutuo: si può ottenere nella migliore delle ipotesi (mutuo non superiore al 50% del valore dell’immobile) l’1% sul fisso e lo 0,33% sul variabile. Quanto ai tassi medi siamo all’1,79% sul fisso e allo 0,88% sul variabile, valore distante anni luce dal 3,7% del 2012 e comunque più basso rispetto all’1,23% di tre anni fa. Quindi è un po’ come dire ‘guardare ma non toccare’. Non è, però, colpa dei mutuatari che si sono disaffezionati al mattone. Si tratta di un altro paradosso ad aver determinato questa situazione: trasferire il proprio mutuo, senza estinguerlo, presso un altro istituto bancario, migliorandone alcune condizioni. Praticamente lo hanno fatto tutti i vecchi mutuatari nel corso degli ultimi anni. E ora che questa operazione ha subito una contrazione ha mandato in tilt il sistema, tanto che a giugno le richieste di mutui sono scese dell’11,6% su base annua (dati Crif). La nota positiva per tutti i mutuatari è che gli attuali bassi tassi di interesse dovrebbero restare tali ancora a lungo e che la possibilità di strappare un buon tasso è a portata di mano.
Patrizia De Rubertis
“Cosa resterà…”: 445 giorni di governo gialloverdep
Era iniziato il primo giugno 2018, è naufragato appena dopo Ferragosto di un anno dopo. Il contratto di governo ha tenuto fino a che ha potuto, nonostante le profonde divergenze che Lega e Movimento 5 Stelle non hanno mai negato. Più che i disaccordi, però, a pesare sulla rottura sono stati i sondaggi e le elezioni europee, che hanno ribaltato i consensi rispetto al marzo 2018, solleticando gli istinti di Matteo Salvini.
Del governo Conte rimangono comunque norme molto controverse, vista la capacità di entrambe le forze politiche di polarizzare i consensi: dai porti chiusi di Salvini al Reddito di cittadinanza grillino, passando per norme di buon senso attese da tempo come il ricalcolo dei vitalizi per gli ex parlamentari. Superata solo in parte, almeno rispetto ai proclami, la legge Fornero: Quota 100 concede la pensione a chi ha 62 anni e 38 di contributi, ma la finestra dura fino al 2021 e non abolisce il provvedimento dell’ex ministra del governo Monti. Annacquata, anche per mancanza di tempo, pure la flat tax sbandierata da Salvini in campagna elettorale, trasformata in un regime forfettario per le partite Iva fino ai 65 mila euro di reddito annuo.
La caduta del governo lascia però anche parecchi punti in sospeso, come la riforma della giustizia del Guardasigilli Alfonso Bonafede – che comunque ha fatto approvare lo Spazzacorrotti – o la procedura di revoca delle concessioni autostradale alla famiglia Benetton, ferma, a un anno dal crollo del Ponte Morandi a Genova, agli annunci del Movimento e a una lettera di intenti inviata dal ministero dei Trasporti ad Autostrade per l’Italia.
Ecco allora una guida in sei punti dei 14 mesi gialloverdi, divisa per macro-argomenti.
Lavoro • Politiche sociali
Reddito di cittadinanza, i 5Stelle e la ricetta “contro la povertà”
Molte delle bandiere di Lega e 5Stelle stanno qua. A luglio 2018, dopo un mese di governo, il Cdm ha approvato il decreto Dignità: limite massimo di tre proroghe per i contratti a tempo determinato, causali obbligatorie dal secondo rinnovo, sgravi per chi assume under 35. Ma è a gennaio 2019 che arriva l’ok alle due misure più attese, ovvero il Reddito di cittadinanza e Quota 100. Il primo fa gridare i grillini all’abolizione della povertà, coi suoi 7 miliardi stanziati per integrare il reddito mensile fino a 780 euro a chi vive sotto la soglia di povertà. Le card con i soldi arrivano a maggio e l’Inps approva circa un milione di domande. Ora manca la parte più difficile: far funzionare i navigator e procurare offerte di lavoro a chi è nel sistema. Ad aprile 2019 parte anche Quota 100, la norma che consente a chi ha 62 anni e almeno 38 di contributi di andare in pensione fino al 2021. A oggi i beneficiari sono poco oltre 200 mila, meno di un terzo di quelli previsti dal governo.
Infrastrutture • Grandi opere
La battaglia decisiva del Tav e la grana Benetton-Autostrade
Sulle grandi opere il governo, almeno inizialmente, ha avuto un approccio laico, affidandosi ad analisi costi-benefici prodotte dai tecnici. Nonostante pareri spesso negativi, il ministero dei Trasporti guidato da Danilo Toninelli ha comunque avallato una serie di infrastrutture nella speranza di ottenere dalla Lega, nel gioco dei pesi e contrappesi, il blocco del Tav Torino-Lione. Così non è andata: lo scorso luglio il premier Conte ha dichiarato che, nonostante l’opera resti inutile, costerebbe più fermarla che portarla a termine. Il sì alla Torino-Lione si è così unito, tra gli altri, a quelli al Tap e al Terzo Valico. Nel frattempo resta sospesa la questione autostrade: il crollo del Ponte Morandi (14 agosto 2018) ha aperto – almeno a parole e per mezzo di una lettera “di caducazione” inviata dal Mit ad Autostrade – la revoca delle concessioni autostradali in mano ad Atlantia (famiglia Benetton). Un anno dopo, però, siamo al punto di partenza. E le autostrade sono ancora in mano ai privati.
Immigrazione • Decreti sicurezza
Stretta umanitaria e lotta totale alle Ong: l’ossessione di Salvini
“Sicurezza” è la parola chiave della propaganda di Salvini. Le due misure più nette sono i decreti Sicurezza (uno e bis). Il primo, ottobre 2018, abolisce la protezione umanitaria, amplia i reati per cui gli stranieri perdono il permesso di soggiorno, svuota il sistema di accoglienza comunale degli Sprar. Il secondo si concentra sulle navi delle Ong che operano nel Mediterraneo: multe ai comandanti che forzano l’ingresso in Italia, sequestro delle navi, più poteri al Viminale per gestire gli arrivi. Emblematico il caso della nave Diciotti (Guardia Costiera), che nell’agosto 2018 viene tenuta in mare per settimane di fronte al porto di Catania con 177 migranti a bordo. Salvini finisce indagato per sequestro di persona, ma in Senato Lega e 5Stelle votano per salvare il Capitano dall’inchiesta: la Procura non può procedere con l’indagine. Ancora di mano leghista è la legge sulla legittima difesa, che allarga la possibilità di sparare a chi si trova “in pericolo di aggressione”, anche qualora il ladro o l’assalitore sia disarmato.
Giustizia • La spazzacorrotti
Daspo, pene più severe e Trojan ma stop alla riforma dei processi
La caduta del governo lascia a metà il percorso delle riforme dei processi penali e civili volute dal Guardasigilli M5S, Alfonso Bonafede. Del dicembre 2018 è invece lo Spazzacorrotti, che introduce il daspo dalla Pubblica amministrazione per chi ha condanne per corruzione, sconti di pena per chi collabora, carcere senza pene alternative per i condannati per questo tipo di reati, l’introduzione dell’agente sotto copertura e di nuovi strumenti investigativi (come il Trojan nei cellulari) e regole più stringenti sui finanziamenti ai partiti e alle fondazioni politiche. La legge stabilisce anche che dal gennaio 2020 cambino le regole sulla prescrizione, i cui tempi si fermeranno dopo la sentenza di primo grado. I gialloverdi lasciano anche lo stop al bavaglio sulle intercettazioni ricevuto in eredità dal ministro Orlando (Pd) e il Codice Rosso: indagini più rapide e pene più severe per i reati di genere, come lo stalking e la violenza sessuale.
Fisco • norme e tributi
Flat tax, la rivoluzione mancata e la polemica sulla “manina”
La rivoluzione leghista della flat tax non c’è stata. Salvini l’aveva promessa nell’arco della legislatura, ma quel che resta è un ampliamento della soglia forfettaria al 15 per cento per i lavoratori autonomi con un reddito inferiore ai 65 mila euro all’anno. I beneficiari di questo regime tra gli autonomi salgono dunque dal 19 al 36 per cento nel 2019 rispetto a quanto già previsto dai governi precedenti. Dell’ottobre scorso è invece la polemica sulla celebre “manina”: nel decreto fiscale compaiono norme su un condono e su uno scudo fiscale per i capitali all’estero: 20 per cento – anziché 43 – su un imponibile fino a 500 mila euro, Iva sanabile al 20 per cento e scudo penale per i reati tributari. Di Maio accusa la Lega di aver inserito all’ultimo minuto queste norme nel decreto, alla fine il presidente Conte interviene e i condoni spariscono. Ma per il governo che aveva promesso “manette agli evasori” non è un bel segnale.
Casta • Soldi e poltrone
Taglio dei vitalizi e la sfida aperta su quello dei parlamentari
Del 12 luglio 2018 è una delle prime novità gialloverdi: l’Ufficio di presidenza della Camera ricalcola i vitalizi degli ex deputati con il metodo contributivo. Il risparmio è di circa 40 milioni di euro l’anno, a cui si aggiungono i 16 ottenuti dallo stesso taglio approvato in Senato tre mesi più tardi. Ad aprile 2019 arriva anche l’accordo con le Regioni, che dovranno adottare il ricalcolo per i loro ex consiglieri che godono del vitalizio. L’altra grande battaglia dei 5Stelle è sulle poltrone. A febbraio di quest’anno inizia in aula l’iter della riforma costituzionale per tagliare il numero dei parlamentari. Da 630 deputati e 315 senatori si passerebbe a 400 e 200: 315 onorevoli in meno con annessi risparmi su collaboratori, staff, pensioni. Per approvare definitivamente la riforma serve un doppio passaggio in ognuna delle due Camere: in Senato ci siamo già, a Montecitorio mancherebbe l’ultimo voto, in programma per domani ma, a questo punto, tramontato. Favorevoli al taglio, almeno finora, erano stati anche FdI e FI.