Ripartiamo dal calcio, quello che in Italia è la metafora diventata realtà, oppure la miglior testimonianza di come va il Paese, Silvio Berlusconi docet. Nel 1992 l’ex Cavaliere ha Fabio Capello in panchina, un altro scudetto milanista da esibire, una formazione fortissima, riuscire a segnare a quei rossoneri era impossibile, spompavano polmoni, gambe e certezze agli avversari. A centrocampo una sfilza di muscoli e cervelli di prima grandezza, eppure, sempre l’ex Cavaliere, toglie dal mercato Nando De Napoli, idolo proprio a Napoli, e lo paga tra i sei e sette miliardi.
Mica pochi.
Nando De Napoli oltre a punto di riferimento per gli azzurri campani, lo era pure per gli Azzurri nazionali.
Nando De Napoli non ha quasi mai giocato con il Milan. Ha perso pure la Nazionale.
Nando De Napoli è diventato il primo vero campione da panchina, spesso anche da tribuna, perché il Milan di allora poteva schierare due squadre e mezzo di fenomeni, una follia per i tempi, invidia e raccapriccio per chi avrebbe voluto emulare ma non capiva o non riusciva.
Il Milan di allora, però, era ancor più solido ed efficace del Milan precedente, quello di Arrigo Sacchi, dove pochissimi giocatori si massacravano per seguire le direttive serrate del mago di Fusignano, Angelo Colombo lo sapeva bene.
Quindi due stili, due percorsi, due filosofie, risultati simili.
Questo è il punto.
Davvero l’Italia sarebbe un altro Paese, la svolta, con trecento e passa parlamentari in meno? Trecento e passa parlamentari a casa e i conti dello Stato si avviano verso una maggiore solidità, lo spread lo ribaltiamo noi alla Germania, gli insegnanti precari finalmente ottengono la sognata stabilizzazione, i leader si rimettono la maglietta al mare, basta tagli alla sanità, finalmente si può puntare sul trasporto su ferro e non su gomma, le infrastrutture ripartono e mai più un Morandi sulle nostre coscienze.
Averci pensato prima.
Con qualche dubbio.
La questione non è solo il numero di deputati e senatori, ma le qualità, le capacità, la preparazione, la serietà, la voglia di lavorare e soprattutto le condizioni per raggiungere un giusto obiettivo. In teoria e in pratica per risollevare o allontanare la morte di questo Paese, servirebbero ancor più forze delle attuali, non meno: se un ponte crolla (metafora purtroppo attuale), sulla carta sono meglio novecento e passa braccia, invece di seicento, per togliere i calcinacci e provare a recuperare vite.
Quel Milan di Berlusconi era una (gioiosa?) macchina da guerra perché ognuno aveva un suo ruolo, dentro il campo e fuori; ognuno sapeva quale risultato doveva consegnare al proprietario della squadra, ognuno si dannava per raggiungere l’obiettivo studiato e fissato; ognuno si dannava per restare, non subire un taglio: meglio una panchina (o tribuna) al Milan, strapagato, per carità, che titolare in qualunque altro club. Esattamente come recita la biografia di Nando De Napoli: mai polemico in quegli anni di emarginazione sportiva, dove in tanti si domandavano il perché di quella scelta.
Quindi vanno bene, anzi benissimo, i tagli ai parlamentari, ma solo se il lavoro è organizzato, politici obbligati a produrre, consegnare risultati. Risultati tangibili e valutabili.
Gli standard europei rispettati.
E con alle spalle un’opinione pubblica che non gli consente di passeggiare per il Parlamento appena due giorni e mezzo a settimana, ferie eccessive, fughe mascherate da missioni in posti improbabili, e una lunga serie di benefit ingiustificati.
Nessuna (sana) azienda potrebbe permetterselo, solo un doposcuola per bambini lavativi o un ente di beneficenza. E qui invece è da un po’ l’ora di mettersi a lavorare, tutti, e di allenarsi come Nando De Napoli.