L’ad Salini ai direttori dei tiggì Rai: “Dovete rispettare la par condicio”

È ufficialmente iniziata la rumba elettorale, almeno in tv. Anche se non è affatto detto che si vada al voto ad ottobre, l’Autorità Garante delle Comunicazioni ha scritto ai colossi televisivi invitando Rai, Mediaset, Sky, Rti e Discovery a darsi una regolata e applicare le regole della par condicio che valgono per il periodo prelettorale: pena “provvedimenti ripristinatori, nel rispetto dei principi di imparzialità”.

Per l’Agcom, infatti, l’attività di informazione radiotelevisiva costituisce un servizio di interesse generale che deve garantire “la presentazione veritiera” dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire “la libera formazione delle opinioni”. E l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale” in condizioni di parità di trattamento. “Il quadro politico generale del Paese ha visto avviarsi, in modo assolutamente imprevisto ed imprevedibile, eventi che stanno determinando un contesto di notevole incertezza. Questo al momento impone di considerare tra le ipotesi immediatamente possibili anche quella dell’avvio di una eventuale campagna per le elezioni politiche”, ha scritto il segretario generale dell’Agcom Riccardo Capecchi in una missiva di cui non è nota la data. E su cui è mistero dal momento che l’ultimo consiglio dell’Agcom si è tenuto lo scorso 23 luglio mentre la lettera pare riferirsi al precipitare della crisi della scorsa settimana.

In ogni modo a seguito della stessa, l’amministratore delegato della Rai Pietro Salini ha scritto ai direttori di rete e di testate giornalistiche dell’azienda di servizio pubblico affinché si adeguino. Con una lettera, partita il 14 agosto, in cui fa appello alla loro “sensibilità” e soprattutto li “invita” a far in modo che a rispettare le disposizioni siano anche “tutti i giornalisti, dipendenti, autori e/o collaboratori che riportano alle vostre Direzioni” . Anche perchè – ha sottolineato – “non vi sfugge che in particolare la Commissione parlamentare di Vigilanza sarà rigorosissima sul punto del rispetto del pluralismo”. E dalla Vigilanza si fa sentire Michele Anzaldi del Pd che tuona contro lo stesso Salini (“le sue raccomandazioni lasciano sempre il tempo che trovano”) e l’ Agcom, rea di aver chiuso un occhio sulla salvinizzazione dei tg.

“A Mediaset va in onda il conflitto di interessi 2.0. Con uno spazio fuori da ogni equilibrio a Forza Italia e Berlusconi. A Salvini, alleato di Berlusconi, addirittura dieci volte lo spazio di Zingaretti”, scrive Anzaldi che si ricorda premurosamente pure che Giuseppe Conte, è doppiato nelle presenze video dal “Capitano”.

Ma non è tutto, perchè il deputato dem se la prende pure contro l’occupazione leghista della Rai “con i casi eclatanti del Tg2 e dell’informazione di Rai1 (a partire da ‘Uno Mattina’ appaltata a conduttori e autori di stretta osservanza salviniana)”. Un TeleSalvini a reti unificate.

“Salvini ha paura del Metropol. Ora aspettiamo Conte in aula”

Marco Minniti, il Dem che ha gestito le politiche migratorie, ha le idee molto chiare sulle ragioni della crisi. E avverte: va consumata fino in fondo, può ancora succedere di tutto.

Perché dice che la crisi va seguita fino in fondo?

Perché verrebbe da dire che “siamo su scherzi a parte”, anche se la vicenda non si può liquidare con una battuta. Abbiamo avuto l’apertura di una crisi di governo a cavallo di Ferragosto, per la prima volta nella storia repubblicana, ma mancano ancora due fatti per aprire il percorso verso le elezioni: le dimissioni del presidente del Consiglio e quelle di Matteo Salvini. Le prime, ovviamente, non potevano darsi visto che il premier parla chiaramente di crisi senza nessuna motivazione politica. Ma non c’è stato nemmeno il ritiro dei ministri da parte della Lega, a proposito di non essere attaccati alle poltrone.

Ma perché a suo giudizio è nata la crisi?

Il gesto di forza compiuto da Salvini è stato un gesto di preoccupazione, di paura, di una persona in una autentica crisi di nervi.

Paura di cosa?

Penso che le vicende relative al Russiagate gli abbiano fatto perdere sicurezza. Altrimenti, un ministro, che è anche l’Autorità nazionale di pubblica sicurezza, sarebbe venuto a rendere conto del proprio operato in Parlamento. Invece, non solo Salvini non è venuto in aula, ma pochi giorni dopo ha chiesto lo scioglimento… dell’aula. Una cosa senza precedenti nella storia, seppure complessa, del nostro Paese. Salvini ha incominciato a capire che non è invincibile, che non sarà una passeggiata.

Per voi del Pd c’è quindi molto da fare.

Questa crisi non è una delle tante che abbiamo vissuto. Sta forzando i principi fondativi della democrazia parlamentare. Ma noi, dall’opposizione, non dobbiamo dimenticare tre regole auree: la prima è che la crisi va consumata in maniera trasparente, rendendo conto al Paese. La seconda, che l’opposizione deve rendere evidente che non ha paura del voto, perché se di fronte all’azzardo la risposta è che siamo impauriti, l’azzardo sarà più forte.

Il presidente Mao diceva “bastonare il can che affoga”

Esattamente, dimostrare di non aver paura è un elemento per non affogare. Salvini non ha in mano la maggioranza del Paese, anzi più la questione viene posta in termini di referendum sulla persona e di “pieni poteri”, di “uno contro tutti” , più è probabile che i “tutti” si uniscano. E magari vincano.

La terza regola?

Mettere totalmente le prospettive della crisi nelle mani, sagge, del Presidente della Repubblica. Personalità che in questi anni ha costruito un rapporto straordinario di fiducia con il suo Paese. Nei momenti di crisi democratica, il metodo delle procedure è altrettanto importante della sostanza.

Ma sull’ipotesi di un governo Pd-M5S?

Se Mattarella dovesse valutare che ci sono le condizioni per un accordo di fine legislatura ampio, solido, costruito su basi totalmente nuove rispetto al Contratto di governo di cui si è appena dichiarato il fallimento, è evidente che il Pd dovrà valutare con attenzione queste proposte. Ma è chiaro che si parte dalla prima regola, far consumare la crisi.

In un eventuale governo futuro l’immigrazione sarà tema decisivo.

L’immigrazione è il tema decisivo, per questo serve una visione strategica. , ma solo una tragica suggestione tipica dei nazional-populisti: il muro. Ma l’idea del muro è quella di contrapporre l’esigenza di sicurezza al senso di umanità che invece devono convivere. E il muro, come si è ampiamente visto, non cancella gli arrivi, e tu non governi nulla, ti isoli nel mondo, ti esponi

I principali errori di Salvini?

L’Africa è stata abbandonata a se stessa, è stato fatto morire il Gruppo di contatto della Ue di cui l’Italia ha la cabina di regia, nessun corridoio umanitario, nessuna politica dei rimpatri. Tutto è stato lasciato nelle mani dei trafficanti di esseri umani. E invece l’immigrazione va affrontata con una legge di sistema che dica due cose semplici: se c’è una persona che scappa dalla guerra, l’Italia e l’Europa lo accolgono. Se sono “migranti economici” si costruiscono rapporti diretti con i Paesi di partenza, legali, tramite la rete delle ambasciate. Stiamo affrontando il futuro con un altissimo tasso di irresponsabilità. Basta guardare la storia di altri paesi europei. Il Paese che meglio integra nei prossimi decenni sarà il Paese più sicuro ed economicamente più forte. Avere cancellato la parola integrazione significa autolesionismo.

Mediaset su del 10% in vista della fusione “in salsa olandese”

Chiusuraieri in forte rialzo a Piazza Affari per Mediaset che ha toccato una quotazione di 3 euro (+9,89%). Il titolo del Biscione è stato protagonista di un rally per l’intera seduta, tra scambi fiume per oltre 12 milioni di pezzi, pari al 10,2% del capitale. Sugli scudi anche Mediaset Espana (+5,5% a 5,54 euro). I soci di entrambe sono convocati in assemblea il prossimo 4 settembre per decidere sul riassetto del gruppo e dare il via libera alla fusione delle due società nella holding olandese MediaForEurope. I due titoli vengono da quasi due mesi di forti ribassi (rispettivamente -14% e -25% dai picchi di giugno). Tre euro per azione è il controvalore in contanti che sarà pagato agli azionisti Mediaset che non approveranno l’operazione esercitando poi il recesso e che viene quindi preso come riferimento. A Madrid le azioni della Mediaset Espana sono ancora lontane dai 6,544 euro del recesso (hanno chiuso a 5,54 euro) ma negli ultimi quattro giorni sono risalite di quasi l’8%. Il riassetto, se approvato dai soci, assegna una azione MediaForEurope (quotata a Milano e Madrid) per ogni Mediaset spa e 2,33 azioni per ogni Mediaset Espana.

Banda dei 4 e Partito Mediaset: i due forni di B.

Se fosse il Silvio Berlusconi dei bei tempi d’oro avrebbe già mandato in stampa i manifesti 6×3. Ma ora che a dare le carte è Matteo Salvini prevale la cautela in Forza Italia dove c’è chi lavora per convincere l’ex Cavaliere che bisogna correre alle urne il più presto possibile come desidera la Lega e sotto il simbolo comune “L’Italia del Sì”, almeno nei collegi uninominali.

Nel partito, però, c’è pure chi alimenta un secondo forno: a molti parlamentari non dispiacerebbe far proseguire la legislatura e sono convinti che non ci si possa fidare di un tipo così, specie dopo le giravolte delle ultime ore di Salvini che adesso vorrebbe tornare nelle braccia di Luigi Di Maio quando fino a tre giorni fa andava allo scontro frontale con i suoi alleati grillini chiedendo la testa del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

“L’accordo con Salvini si può fare in due minuti partendo dal programma del centrodestra del 2018. Ma ha un senso parlare di liste, listini, candidature e posti da ministri solo dopo aver messo una pietra tombale sul governo gialloverde” spiega il portavoce di Forza Italia Giorgio Mulè.

Mulè è uno dei componenti , insieme a Licia Ronzulli, Anna Maria Bernini e alla presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, di quella che è stata già ribattezzata dentro Forza Italia, non proprio benevolmente, la “Banda dei quattro”. Sono loro che, con Niccolò Ghedini, nei giorni scorsi hanno lavorato affinché il partito appoggiasse l’accelerazione della Lega sulla mozione di sfiducia a Conte.

“Abbiamo fatto lealmente la nostra parte” dice l’ex direttore di Panorama, evidenziando che se l’operazione è fallita non è stato certo per colpa di Forza Italia, che si è presentata in Aula (quasi) al gran completo. Uno sforzo sulla fiducia, visto che Salvini continua a fare il prezioso sull’alleanza di centrodestra. “Niente di grave, del resto Giorgia Meloni era all’estero e per firmare un accordo bisogna che tutti i contraenti siano presenti” taglia corto Mulè. Per il quale “l’unica chance che ha Forza Italia per contare è stare nel centrodestra. E poi chi l’ha detto che in caso di vittoria alle elezioni Salvini voglia fare davvero il premier, lui che è così allergico ai riti istituzionali?”.

Tra i forzisti che pensano alle opportunità dell’alleanza con il Carroccio, insomma la speranza è grande. E riguarda Palazzo Chigi e addirittura, in prospettiva, anche il Quirinale, che Berlusconi ha prenotato senza successo da molti anni (ma pure la Casellati ci spera assai e non è un segreto).

Fin qui i “filo-leghisti”. Tra gli azzurri, però, c’è pure chi lavora per l’altro forno, una riedizione del patto del Nazareno con Renzi, anche ora che il Pd flirta coi 5 Stelle. In sostanza, si tratta di mandare avanti la legislatura nella speranza di far sgonfiare la bolla Salvini (copyright Gianfranco Rotondi). Motore di questa parte della corte di Arcore è il “partito Mediaset”, che è governista sempre, e in particolare Gianni Letta, che nei giorni scorsi s’è prodigato per sostenere l’iniziativa di Matteo Renzi per un governo istituzionale.

Tra i “tentati” dall’addio a Salvini è annoverata sempre anche Mara Carfagna, che rimane uno dei volti più noti di Forza Italia, riferimento di una maggioranza silenziosa di moderati che dell’abbraccio mortale con Salvini non ne vuole sapere. E poi ci sono le vecchie volpi come Maurizio Gasparri: “L’accordo con la Lega lo do per scontato, anche se non si voterà subito. E comunque in politica valgono le regole di un condominio: finché c’è rispetto reciproco, bene. Altrimenti…”. Silvio tace e spera: tanto, per come si sono messe le cose, gli vanno bene tutte e due le soluzioni.

Lettere, repliche e commenti: Conte vince la sfida social

Almeno 300mila mi piace, 77mila commenti, 135mila condivisioni: il messaggio del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, rivolto a Matteo Salvini e pubblicato sulla sua pagina Facebook nel giorno di Ferragosto, ha acquisito in poco più di 24 ore tutte le caratteristiche di quella che viene comunemente definita “viralità online”. Le persone lo hanno letto, se lo sono inviato via Whatsapp o Telegram, lo hanno postato sulle loro bacheche. È facilmente ipotizzabile che sia diventato anche argomento di dibattito a tavola. Nello scontro tra i due veri protagonisti di questa crisi di governo, la comunicazione e i rimbalzi sui social riescono a mostrare uno spaccato del sentiment degli italiani ma soprattutto l’esito delle strategie comunicative scelte. O almeno, il sentiment di coloro che navigano e tifano sulle piattaforme online e che possono essere considerati simili al campione statistico nei sondaggi.

I commential post del presidente del Consiglio, che nella sua lettera ha “rimproverato” a Salvini i suoi ripetuti “strappi istituzionali”, parlando di sleale collaborazione e di foga comunicativa da ricerca del consenso, sono soprattutto di supporto: “Lo dico da persona con idee politiche diverse: la sottoscrivo”, scrive un utente. Molti supporters sono portavoce dei Cinque Stelle, una buona parte è formata da semplici cittadini che concordano con la posizione di Conte. Le critiche che gli vengono mosse riguardano soprattutto la sensazione che le sue mosse, pur considerate giuste e calzanti nel caso specifico, siano arrivate però troppo in ritardo: “Dov’era negli ultimi 14 mesi?”, si chiedono. Il dato numerico, a ogni modo, è tanto più rilevante se paragonato con la media delle preferenze prese dagli altri post del premier, intorno a qualche decina di migliaia di like. Il post del giorno precedente, dedicato alle commemorazioni del crollo del ponte Morandi, aveva ad esempio raccolto circa 27mila like, 2.500 commenti e altrettante condivisioni. Stando ai numeri, questa partita social è stata decisamente vinta da Conte.

Sarà che invece a Ferragosto la macchina social di Matteo Salvini, la Bestia, era in vacanza, ma la replica pubblicata a stretto giro dal leader del Carroccio (sempre tramite pagine Facebook) ha registrato numeri molto meno rilevanti: 109mila mi piace, circa 38mila commenti e poco più di 20mila condivisioni per un post in cui, da ministro dell’Interno, ribadisce che la sua unica ossessione sia “contrastare ogni tipo di reato”. Dati leggermente superiori alla media dei suoi post, ma non abbastanza da riconoscere alla risposta la stessa efficacia sui social della lettera di Conte né tantomeno da incasellarlo o considerarlo un post virale. I commenti sono quasi esclusivamente dei suoi sostenitori e degli elettori della Lega, nessuna osservazione laica, nessuna riflessione sul contenuto del messaggio. In decine affidano il vicepremier alle proprie preghiere e alla Madonna.

Nel pomeriggio, poi, interviene via social il vicepremier del M5S, Luigi Di Maio: “Questo è stato il Governo che ha ridotto il numero di sbarchi in Italia, grazie al lavoro di tutti. Salvini di punto in bianco ha deciso di farlo cadere, in pieno agosto, quindi è inutile che ora sbraita”, scrive sulla sua pagina Facebook, che riporta anche le parole di Salvini – ancora una volta contro Conte – che da Castel Volturno in conferenza stampa aveva detto “Me lo dica in faccia”, riferendosi alla lettera aperta. L’intervento registra circa 64mila Mi piace, 18mila commenti e 15mila condivisioni. Numeri lievemente superiori alla media, ma anche in questo caso – data l’eco trainante di Conte – nella norma.

Cultura, l’allarme del ministro: “Piano assunzioni a rischio”

“Abbiamo pronta una serie di atti e iniziative, ad esempio un investimento importante nel personale di questo ministero che si sarebbe dovuto realizzare nelle prossime settimane e che ora è a rischio”. A dirlo, ieri, in un video su Facebook è stato il ministro della Cultura, Alberto Bonisoli alla luce della crisi di governo dell’ultima settimana e dell’incertezza politica che si prefigura. Un tema, quello dei dipendenti dei Beni Culturali, molto sentito nel settore. “Nel concreto: abbiamo pronto un concorso a ottobre per 3mila persone, per 28 dirigenti, mille assunzioni e 250 lavoratori che sarebbero dovute transitare dai centri per l’impiego a questo ministero – ha spiegato il ministro – . Ma non solo: nella finanziaria avevamo pronte alcune norme che riguardano specificatamente l’investimento nel personale del ministero, 30 dirigenti di seconda fascia in più dal 2020 e l’incremento del fondo delle risorse decentrate utilizzando il 5 per cento dei ricavi di tutti i musei statali, un investimento da 10 milioni. È un danno per il Paese, il ministero e la Cultura italiana”.

Mattarella torna a Roma: conclusa vacanza in Sardegna

La crisi politica chiama: Sergio Mattarella torna a Roma. È già finita la breve vacanza del presidente della Repubblica alla Maddalena, nell’arcipelago del nord Sardegna. Il Capo dello Stato ha lasciato l’Ammiragliato dove risiedeva con i suoi familiari, ha raggiunto Olbia ed è poi ripartito in aereo per Roma. Per il Capo dello Stato – raccontano le cronache – è stato un breve periodo di relax fatto soprattutto di gite in barca, intramezzato dalla cerimonia in ricordo delle vittime del crollo del ponte Morandi a Genova. Inizialmente il presidente si sarebbe dovuto trattenere sino a lunedì 19, ma è stata probabilmente l’incertezza politica a richiamarlo anzitempo nella Capitale: “Il presidente Mattarella mi ha chiamato – ha spiegato il sindaco della Maddalena Luca Carlo Montella – per comunicarmi che anticipava la sua partenza per affrontare gli impegni romani: mi ha detto che è stato molto bene e ha ringraziato tutti gli isolani”. Ieri il sindaco ha incontrato il presidente poco prima della sua partenza dall’isola: “Mi sono permesso di parlargli dei problemi della nostra isola”, ha detto ancora Montella.

Il 20 la fiducia, il 22 il taglio delle poltrone. Tutte le date della crisi in Parlamento

E ora che succede in Parlamento? La crisi di Ferragosto è arrivata per la prima volta in Aula martedì scorso, quando il Senato ha deciso che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe dovuto presentare le sue comunicazioni il 20 agosto e non prima, come invece auspicavano Matteo Salvini e il centrodestra.

Quello stesso giorno la Lega ha “sfiduciato”, almeno a parole, il premier, ribadendo di voler votare una mozione di sfiducia nei suoi confronti pur aprendo alla possibilità di approvare prima, insieme ai 5 Stelle, la riforma che riduce il numero dei parlamentari. Su queste basi, settimana prossima, sarà chiaro il futuro del governo Conte. Ecco allora le date decisive per la crisi.

Martedì 20 agosto. Dopo il voto in Senato del 13 agosto, che visto contrapposti gli alleati gialloverdi, martedì sarà il giorno delle comunicazioni di Giuseppe Conte a Palazzo Madama. Sulle parole del premier ciascun gruppo politico potrà presentare una risoluzione, il cui eventuale voto sfavorevole al presidente equivarrebbe – almeno nelle conseguenze politiche – a un voto di sfiducia. Per questo gli occhi sono puntati sulla Lega: al momento il Carroccio non ha ancora deciso se presenterà una propria risoluzione con l’obiettivo di far cadere il governo, nonostante tre giorni fa Salvini avesse annunciato la volontà di voler sfiduciare Conte.

Nelle ultime ore la Lega è infatti tornata in parte sui suoi passi, ipotizzando un prolungamento dei rapporti con i 5 Stelle. Dal comportamento del Carroccio si capirà comunque se l’esecutivo gialloverde avrà ancora una maggioranza. A questo proposito, Conte ha sempre dichiarato di voler verificare il suo mandato in Aula, vincolando eventuali dimissioni a una sfiducia parlamentare.

Mercoledi 21 agosto. Anche Montecitorio, secondo calendario, ascolterà le comunicazioni del presidente Conte sullo stato del governo. L’appuntamento in Aula è per le ore 11:30, ma è evidente che mercoledì la crisi di governo avrà già preso una piega ben precisa a seconda del voto in Senato del giorno precedente, dunque il momento decisivo sarà piuttosto la seduta di martedì a Palazzo Madama.

Giovedì 22 agosto. Martedì scorso la conferenza dei capigruppo alla Camera ha stabilito che giovedì 22 ci sarà la votazione sulla riforma che prevede il taglio dei parlamentari: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Il provvedimento, da sempre bandiera dei 5 Stelle, è stato già approvato due volte al Senato e una alla Camera, ma essendo una modifica costituzionale richiede due passaggi in ciascuna Aula. Il voto a Montecitorio sarebbe dunque l’ultimo necessario a far passare la riforma, che nelle tre precedenti votazioni è stata approvata con ampie maggioranze (M5S, Lega, FdI e Forza Italia, con i forzisti che soltanto nell’ultimo passaggio hanno preferito non partecipare al voto).

Qualora Conte fosse stato sfiduciato dal Senato due giorni prima sarebbe ovviamente impraticabile approvare la riforma costituzionale, ma il paradosso è già evidente nel calendario: a inizio settimana la Lega ha aperto la crisi dichiarandosi disponibile al taglio delle poltrone, che però è stato poi messo in agenda due giorni dopo le comunicazioni di Conte al Senato. Per decisione della stessa capigruppo in cui, volendo, il Carroccio e il Movimento 5 Stelle avrebbero avuto la maggioranza.

E Zingaretti adesso teme la figuraccia: “Il governo c’è…”

Il capolavoro ferragostano del Capitano leghista e l’inversione a U dell’ex tutto di Rignano sull’Arno hanno rimesso, dopo un anno di schiaffoni e la batosta delle Europee, i malandati giovanotti di Grillo e Casaleggio al centro della scena politica. Quello che rischia di perderci di più, paradossalmente, è il nuovo segretario del Pd Nicola Zingaretti: costretto ad aprire una trattativa col M5S dall’iniziativa di Matteo Renzi (interessato a prolungare la legislatura per avere il tempo di farsi il suo partitino), adesso vede la Lega tornare sui suoi passi e teme di ritrovarsi, come si dice, cornuto e mazziato. Niente elezioni, niente governo e la scissione dei renziani alle porte

Per questo ieri, a metà pomeriggio, si è affidato a Facebook: “Continuo a pensare che aprire dibattiti su governi futuri prima che quello in carica cada sia un errore”. Più che all’elettorato o ai militanti parla ai dirigenti del suo partito, che continuano a trattare coi 5 Stelle senza nemmeno aspettare le dimissioni di Conte: i renziani, ovviamente, ma anche Dario Franceschini e altri pezzi della sua maggioranza congressuale. C’è chi già prefigura intese dettagliate. Come il capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio: “Ciò che serve è un accordo alla tedesca, come Cdu e Spd, una cosa scritta. Noi a Mattarella parleremo di lavoro e svolta verde. È un lavoro duro, serio e non è detto che non permetta di chiarire punti di convergenza col M5S finora offuscati”.

È ad uscite come questa che replica Zingaretti via social: “Vedremo, dopo questo fastidioso ginepraio di parole senza contenuti né valori, cosa accadrà martedì nel dibattito aperto dal presidente Conte. Diciamo no a qualsiasi ipotesi di governo pasticciato e di corto respiro. Solo nello sviluppo dell’eventuale crisi, sotto la guida del presidente Mattarella, si potranno verificare, se esistono, le condizioni numeriche e politiche di un governo diverso”.

In serata, il segretario arriva a Cecina, Livorno, per la festa dell’Unità. La base, nella regione rossa già renzianissima, ha introiettato in fretta il nuovo mantra: coi grillini si può governare. “Se si liberano di Salvini, un governo io lo farei. Ho molti amici che votano 5 Stelle e che prima, qui a Cecina, votavano a sinistra. Su molti temi come l’ambiente, il reddito di cittadinanza e il taglio dei parlamentari, siamo d’accordo quindi spero che il segretario provi almeno a fare un accordo”, dice Francesca, una militante.

Il segretario poi arriva e non si può dire che il suo passaggio scaldi la folla: stringe qualche mano, prende qualche applauso, fa qualche selfie, si ferma al banchetto per firmare la richiesta di dimissioni di Salvini ( “un ministro non può scappare dalle domande del Parlamento”). “C’è Montalbano”, dice un bambino al papà. E il Montalbano segretario del Pd, quello che scalda le platee dem meno del Montalbano vero, suo fratello, verso le nove di sera sale sul palco e dedica l’inizio del suo discorso a ribadire che serve unità: “Fino a che stiamo uniti e rimaniamo uniti non sono preoccupato perché il Pd è l’unica garanzia che in questo Paese si possa voltare pagina”. Tradotto: queste profferte sempre più sguaiate agli ex “scappati di casa” lo preoccupano e gli tolgono pure potere negoziale futuro. Zingaretti peraltro, si sa, voleva andare a votare: “Non si fanno altri governi solo nella paura che qualcun altro vinca”. A Mattarella, dice, “diremo che Salvini se ne deve andare a casa”. Quanto al resto: “Noi siamo pronti a combattere strada per strada per un’alternativa, ma solo se su scuola, lavoro, industria e difesa dell’Europa si troveranno convergenze”. Sempre che grillini e leghisti non si rimettano insieme.

Salvini s’è pentito e propone premier Di Maio. Che dice no

Dalla crisi di Ferragosto alla farsa di Ferragosto il passo è clamorosamente breve. In due giorni Matteo Salvini si è rimangiato quasi tutto. La retromarcia salviniana è iniziata all’improvviso durante la conferenza stampa di giovedì a Castel Volturno: l’esecutivo è davvero finito? Boh. E di conseguenza, che fa la Lega martedì, vota la sfiducia a Conte oppure no? Chissà. Ieri, poi, sui giornali online sono circolati i dettagli di una presunta, clamorosa offerta della Lega ai Cinque Stelle: facciamo fuori Conte e ripartiamo insieme, magari (addirittura) con Di Maio premier. Ipotesi immediatamente respinta. Insomma, si direbbe che il caldo abbia fatto evaporare di colpo l’indiscusso genio strategico di capitan Mojito (copyright di Piero De Luca). Ma andiamo con ordine.

La retromarcia/primo giorno. Con la stessa rapidità con cui aveva gettato in mare un anno di governo gialloverde, Salvini è tornato sui suoi passi – barcollando – proprio a Ferragosto. Dopo un vivace scambio epistolare con Conte sulla questione Open Arms, il capo della Lega ha riaperto le porte al Movimento Cinque Stelle. Così, all’improvviso, come se nulla fosse: “Il mio telefono è sempre aperto e acceso, se qualcuno vuole dialogare io sono qua, sono la persona più paziente del mondo”. E poi: “È una bugia che io abbia mai detto al presidente Conte di voler capitalizzare il consenso”. E ancora: “È davvero finita? Vedremo. Sono orgogliosamente ministro dell’Interno e spero di esserlo ancora a lungo”. In serata, parole ancora più esplicite su Twitter: “Sventeremo con ogni mezzo possibile un nuovo sciagurato patto della mangiatoia e dell’invasione. Farò tutto quello che è umanamente e democraticamente possibile perché Renzi e la Boschi non governino più”.

Il “Capitano” che camminava sulle acque dei sondaggi e volava sulle ali del voto europeo, per la prima volta sta sbandando sul serio. Possibile che pensasse di aprire la crisi e filare dritto al voto senza intoppi? Possibile non avesse previsto questo scenario?

Il clima intorno a lui è abbastanza chiaro: il suo numero due Giancarlo Giorgetti continua a ripetere in giro – in particolare a beneficio dei ricchi retroscena politici del Corriere della Sera – che Matteo si è sbagliato a fare la crisi adesso, che lui glielo aveva detto… Persino Gian Marco Centinaio, ministro leghista a lungo tra i più intransigenti sostenitori della fine dell’alleanza, tradisce chiari segnali di confusione: “A Salvini consiglierei di aspettare il 20 agosto e sentire che cosa ha da dire il presidente Conte alla Lega, il premier avrà da dire qualche cosa…”

La retromarcia/secondo giorno. La mattinata di Salvini si apre con un altro cinguettio dedicato agli “amici” 5Stelle: “A differenza del Pd, noi abbiamo già votato e voteremo ancora per il taglio dei parlamentari. Bene il risparmio di mezzo miliardo di euro per gli Italiani”.

La riapertura della Lega al governo gialloverde è oramai un fatto conclamato. La linea è quella riassunta dal sottosegretario Claudio Durigon dalla sua (breve) vacanza a Ponza: “Vediamo cosa succede nei prossimi giorni. Abbiamo fatto ottime cose insieme ai Cinque Stelle per 11 mesi, non va dimenticato. L’ultimo mese invece è stato un attacco continuo. Se si ritrovasse lo spirito di prima…”.

Nel pomeriggio su Repubblica compare un retroscena piuttosto clamoroso: “Prove di pace Lega-M5s, ipotesi Di Maio a Palazzo Chigi”. Sempre sul gruppo Gedi, una fonte leghista “di primissima linea” confessa all’Huffington Post che “il vero problema è Conte”. In sostanza il nuovo sodalizio gialloverde, secondo queste ricostruzioni, potrebbe partire facendo fuori l’attuale premier (risarcendolo con una poltrona europea, che peraltro a lui nemmeno dispiacerebbe) e con una squadra di governo rinnovata (e un presidente del Consiglio non necessariamente del Carroccio).

Il Movimento Cinque Stelle questa proposta non la considera nemmeno. Fonti grilline ritengono sia stato Giorgetti in persona a “suggerirla” ai giornalisti: sarebbe solo un tentativo imbarazzante per mettere una pezza al salto del vuoto di Salvini. La risposta pubblica di Di Maio è sdegnosa: “Su giornali leggo solo fake news su incarichi e strategie. Non c’è stato nemmeno un contatto. Aspettiamo il 20 agosto in aula, chi sfiducerà Conte lo farà per evitare che si voti il taglio dei parlamentari (calendarizzato due giorni dopo alla Camera, ndr)”. Traduzione: il destino di questa crisi si delinea martedì al Senato; se Salvini è “pentito”, si vedrà sul campo.

E ora che succede? Che faranno il 20 agosto i senatori leghisti? Non si sa. Anzi: non lo sanno nemmeno loro. Il capogruppo Massimiliano Romeo sceglie il no comment: “Non ho notizie al riguardo”. Soldati semplici del Carroccio al Senato sono ancora più sperduti: ora come ora la strategia non la conosce forse neanche Salvini. Tale è l’ottimismo negli ambienti grillini, che in serata circola questo pronostico: alla fine dalla Lega arriverà addirittura un clamoroso voto a favore di Conte.

Di certo la crisi (o la farsa) di Ferragosto ha prodotto un paradosso. I Cinque Stelle, agonizzanti fino all’altroieri, sono tornati al centro del tavolo: possono trattare da un lato con la Lega e dall’altro con il Pd. È il risultato dell’errore di Salvini e della spregiudicatezza di Renzi. Per citare una fonte del Movimento, ora può accadere di tutto: “C’è il 33% delle probabilità per ognuna delle tre ipotesi”. Voto subito, nuovo governo giallorosso oppure governo gialloverde “bis”.