Muore un operaio schiacciato da una pedana

Aveva solo 29 anni l’operaio morto ieri in un’azienda di Calcinate in provincia di Bergamo. È rimasto schiacciato da una pedana.

Erano le 15.30 e la vittima era alle prese con un lavoro di manutenzione.

Sul posto sono intervenuti i carabinieri e il 118 con l’elisoccorso, ma purtroppo le lesioni riportate erano troppo gravi e sono state letali.

Era dipendente di una impresa, lavorava nell’officina di riparazione e manutenzione della ditta Italtrans, teatro dell’infortunio mortale.

Durante l’operazione di riparazione di un “soffione” (una sospensione pneumatica della motrice di un camion in manutenzione) l’uomo era proteso tra la ruota della motrice e il pianale. Per cause ancora da accertare, è venuta meno la pressione che teneva sollevato il pianale, determinando così lo schiacciamento del lavoratore tra la ruota e il pianale stesso. L’automezzo è stato sequestrato: saranno ora sentiti i colleghi ed effettuate le verifiche per capire se siano state seguite tutte le procedure di sicurezza previste.

Anche Treviso scende in piazza contro la famiglia veneta

Tutti distesi a terra, in piazza Duomo a Treviso, nel minuto esatto in cui un anno fa si è verificato il crollo del ponte Morandi a Genova. Davanti all’ex Tribunale di Treviso, sede di Edizioni, la finanziaria del gruppo Benetton che controlla Autostrade per l’Italia, si è svolta una manifestazione, pacifica, ma variopinta, organizzata dalla Rete Internazionale a difesa del popolo Mapuche, dal centro sociale la Cucina Brigante e dal Comitato No Terza Corsia A13 Padova-Monselice. “Vogliamo verità e giustizia”. “A Genova non è stato un caso fortuito, ma l’effetto del comportamento di un capitalismo predatorio”. “Una tragedia in nome del profitto”. Questi alcuni degli slogan scanditi. Cartelli e fotografie hanno ricordato il crollo di Genova e chiesto la revoca della concessione autostradale agli imprenditori trevigiani. Contestate anche le scelte economiche dei Benetton che in Argentina hanno acquisito un milione di ettari di terra del popolo Mapuche. “Il compagno Santiago Maldonado è stato fatto scomparire su quelle terre e poi è stato trovato morto, mentre difendeva i diritti dei Mapuche”.

E Conte mette alla porta i vertici contestati di Aspi

“I parenti delle vittime hanno fatto presente che non avrebbero partecipato alla commemorazione se ci fossero stati i vertici di Autostrade. Così ho cercato di risolvere la situazione e i rappresentanti della società hanno accettato di farsi da parte e andarsene. Peraltro erano stati invitati”, racconta Giuseppe Conte.

Deve essere il suo destino, fare il mediatore. Anche ieri a Genova, alla messa commemorativa delle vittime del Ponte Morandi. Prima, quando tra la folla si diffonde un mormorio all’apparire della delegazione di Autostrade e Atlantia capitanata da Giovanni Castellucci (indagato nell’inchiesta genovese). Subito dopo quando Conte deve sedersi in prima fila, accanto ai due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini che si guardano in cagnesco. Presidente, ha dato il segno di pace a Salvini? “No, ma non ho niente di personale contro di lui. Semplicemente tra noi c’era Sergio Mattarella, sarebbe stato un po’ macchinoso”. Ogni dettaglio sembra avere un valore simbolico: la stretta di mano non data, il presidente della Repubblica seduto accanto ai contendenti. C’è pure il terzo incomodo, Nicola Zingaretti, pochi metri più in là. Tutta la politica italiana è racchiusa in due file di sedie in un capannone.

Per un paio d’ore perfino la crisi di Governo sbiadisce sotto il sole abbacinante di Genova. Di fronte al ricordo della tragedia. È successo tutto qui, ogni tanto vedi gli sguardi dei parenti delle vittime sfuggire dal capannone dove si svolge la cerimonia, alzarsi a mezz’aria dove un anno fa c’era il ponte e oggi si vede solo cielo. Era vuota ieri mattina la città, come alla vigilia di Ferragosto del 2018. Non incontravi anima viva. Ma avvicinandoti alla zona del Ponte – che ormai è soltanto un’assenza, un frammento di pilone – la gente cominciavi a vederla, raccolta come il sangue intorno alle ferite. Uomini, donne, bambini venuti per ricordare, protestare, semplicemente guardare e non sentirsi soli. E davanti a loro ecco sfilare Mattarella e mezzo governo.

Come un anno fa, quando ai funerali i due vice premier accolti da ovazioni rilasciarono dichiarazioni e si concessero ai selfie. Oggi tutti scelgono un profilo basso. Perfino Salvini che con il cronista si lascia scappare solo due battute politiche: “Sono felice per quello che abbiamo fatto come governo, abbiamo ottenuto tutto ciò che era possibile. Non aveva più senso continuare, eravamo paralizzati dai no”. Ma che effetto le fa sedere vicino all’ex amico Di Maio? “Non c’è niente di personale con Conte e Di Maio”. Stop, meglio non esagerare, il clima è cambiato; lo capisci dallo striscione “Basta passerelle” che un gruppo di abitanti srotola lungo la strada. Meglio evitare contestazioni in campagna elettorale.

Ma niente bagno di folla: un anno fa decine di migliaia di persone parteciparono ai funerali nei grandi spazi della Fiera. Adesso serve il pass per entrare nel capannone accanto al Polcevera dove il cardinale Angelo Bagnasco celebra la messa. L’altare e il crocifisso, però, sono all’aperto, al confine con il nuovo cantiere e la città. Una “cattedrale industriale” che come colonne ha i due piloni del ponte: l’ultimo moncone della pila 8 del Morandi e i primi metri di quello nuovo progettato da Renzo Piano. Ma è tutta Genova una cattedrale durante la messa mentre gli altoparlanti diffondono lungo il Polcevera, fino a Cornigliano, le parole di Bagnasco: “Abbiamo stampato nell’anima la luce che man mano si è ingrandita e si è fatta largo tra le macerie alla ricerca di vita: è la luce dei soccorritori sbucati da ogni dove come fossero miracolosamente pronti”. Mentre si leggono i nomi di tutte le 43 vittime – “‘gli angeli della città”, dice il cardinale – genovesi, ma anche piemontesi, francesi, albanesi.

Ora si vive come si riesce, come si può. C’è chi ogni mattina corre in ufficio per non pensare, ma accanto al computer conserva un pupazzo, una foto. Chi non ce la fa a uscire di casa. C’è un bambino aggrappato a un assistente sociale: “Fammi due ali grandi che voglio volare da papà”. È tutta Genova una chiesa quando alle 11.36 scende il silenzio: si diffondono l’urlo delle sirene di navi e ambulanze e il suono delle campane. Immagini che arrivano in tv in migliaia di case, dalle strade operaie di Voltri ai viali alberati di Nervi. Mentre Mattarella e Conte abbracciano i parenti delle vittime e il sindaco Marco Bucci parla più a loro che alle autorità: “Genova ci chiede di continuare a lavorare e rimboccarci le maniche. Vogliamo starvi vicino e dedicare a voi e ai vostri cari il nostro primo desiderio: avere una città grande, forte e più bella che mai”.

Finché tocca a Egle Possetti, la presidente del Comitato dei familiari delle vittime, che ha perso sorella, due nipoti e cognato. È suo l’intervento più applaudito quando ricorda che “i nostri cari hanno subito una condanna a morte senza appello, la loro unica colpa era essere lì in quel momento”. Quando chiede che le responsabilità non siano spazzate via dalla prescrizione: “Se manca giustizia, uno Stato democratico non ha senso”. Fino all’ultimo passaggio: “Come nazione non possiamo buttare a mare la nostra forza”. Il presidente Mattarella si alza in piedi, il pubblico lo segue. Dal capannone l’applauso si propaga in tutta la città.

Non è cambiato nulla: Atlantia sale in Borsa e distribuisce mega-stipendi

Aun anno dal crollo del ponte Morandi è tornato tutto come prima, se non fosse per due piccoli dettagli: il ponte e 43 persone non ci sono più e, per la prima volta, anche Autostrade per l’Italia e la holding di controllo Atlantia comprano pagine sui giornali per dirsi “consapevoli e profondamente rammaricati”.

Ma il disastro del 14 agosto 2018 è stato ricordato da quasi tutti con i toni lirici e rassegnati riservati alle calamità naturali, quasi quei 43 morti siano colpa di un’alluvione o di un terremoto. Il cognome “Benetton”, quello della famiglia che controlla Atlantia, è di nuovo sparito. L’inchiesta della Procura di Genova e, forse, un processo accerteranno le responsabilità penali, anche se il capo dello Stato Sergio Mattarella è più duro di qualunque sentenza: i 43 del ponte sono morti “a causa dell’incuria, dell’omesso controllo, della consapevole superficialità, della brama di profitto” Ma intanto i mercati e non solo loro hanno già assolto i Benetton. Basta guardare l’andamento del titolo Atlantia: prima del crollo del Ponte valeva 24,88 euro, poi è sprofondato intorno a 18 e oggi è tornato a 24 euro per azione.

Eppure sui bilanci un impatto c’è stato: l’utile di Atlantia del 2018 è stato inferiore di 371 milioni di euro rispetto alle attese per effetto di “risarcimenti agli eredi delle vittime e ai feriti, spese legali e contributi di prime necessità”. Il governo Conte, con il decreto Genova, ha stabilito che Autostrade deve pagare la ricostruzione del ponte Morandi senza parteciparvi: lavori per oltre 300 milioni di euro assegnati e gestiti senza gare dal commissario, cioè il sindaco di Genova Marco Bucci. La società dei Benetton ha fatto ricorso al Tar della Liguria e ha buone probabilità di ottenere qualche risultato: la prossima udienza è a ottobre. La revoca della concessione, minacciata dal governo Conte all’indomani del crollo, non è mai partita: c’è una relazione molto dura del ministero dei Trasporti sulle responsabilità di Autostrade nella manutenzione, ma dopo la sua pubblicazione a luglio niente è successo. Nella sua semestrale, pubblicata da poco, Atlantia rassicura i soci: quel documento del ministero non è il primo atto della revoca della concessione.

Anche la relazione di Atlantia sulle retribuzioni dei manager ci conferma che il ponte Morandi non ha cambiato molto nella cultura aziendale: “La politica di remunerazione 2019 è stata elaborata in continuità con gli anni precedenti”. Giovanni Castellucci ha lasciato la carica di amministratore delegato di Autostrade, ma solo per trasferirsi alla guida della controllante Atlantia e incassare così 5,6 milioni di compenso annuale. Merito anche della fusione con le autostrade spagnole Abertis.

Inutile cercare nel documento di Atlantia riferimenti alla sicurezza e alla manutenzione, non troverete nessun bonus assegnato per aver profuso impegno a difesa degli utenti delle autostrade. Si legge che “a circa il 35% del top management sono stati assegnati obiettivi correlabili ai Sustainable development goals dettati dall’Onu”, che includono “costruire una infrastruttura resiliente” o “miglioramento degli standard di qualità di servizio”. Ma l’ad Castellucci non sembra tra quelli cui è richiesto tale sforzo. Tra i 4,5 milioni di bonus che ha maturato nel 2018 non ce ne sono di legati alla sicurezza o agli investimenti, tutto è parametrato ai soli risultati di bilancio di Atlantia. Poi ci sono le stock option, per una grossa parte del piano di Castellucci il prezzo di esercizio, quello a cui può incassare, è 22,45 euro, sotto quello attuale di mercato.

Un anno dopo Atlantia e i Benetton sono forti come prima: il governo Conte e l’Autorità dei trasporti hanno provato per la prima volta a rimettere in discussione per il futuro gli aumenti al casello e Autostrade ha subito annunciato guerra mentre si prepara, per la terza volta, a salvare Alitalia, così da trovarsi in credito verso la politica. Luciano Benetton è tornato perfino a fare il testimonial del ramo abbigliamento della galassia di famiglia. Convinto, forse, che gli italiani abbiano la memoria molto corta. Almeno quelli che non vivono a Genova.

Ora Mattarella “revoca” la concessione ai Benetton

Le commemorazioni per le 43 vittime del Ponte Morandi sono iniziate in edicola, per così dire. Su molti grandi giornali ieri c’era l’accorata lettera di Autostrade per l’Italia (Aspi), la concessionaria del ponte crollato di proprietà della holding dei Benetton, Atlantia. Su un solo giornale, invece, quello di Genova, Il Secolo XIX, c’era la lettera di Sergio Mattarella, un testo che, per una volta, nulla condivide con le celebrazioni retoriche cui siamo abituati in casi come questo. Al contrario, quella missiva è un atto d’accusa pesantissimo proprio ad Autostrade e alla sua catena di comando e proprietaria: “Nulla può estinguere il dolore di chi ha perso un familiare o un amico a causa dell’incuria, dell’omesso controllo, della consapevole (corsivo nostro, ndr) superficialità, della brama di profitto”.

Sui grandi media se n’è parlato poco, ma in questi dodici mesi sono saltate fuori prove documentali a iosa “dell’incuria”, “dell’omesso controllo” (anche del ministero, ovviamente), della “consapevole superficialità” e pure della conseguente “brama di profitto”. Pra persino il capo dello Stato ha deciso di rompere il silenzio a un anno dalla tragedia: “Il nuovo ponte – scrive Mattarella – sarà in grado di ricucire e rammendare la ferita inferta dal crollo”, ma “rammendare non significa cancellare : il nuovo ponte ricorderà per sempre quelle vittime innocenti, sepolte tra le macerie di una tragedia causata dall’uomo che si poteva e si doveva evitare”.

Un anno fa, di fronte alle accuse ad Autostrade di un pezzo del governo e di (una piccolissima) parte della stampa, si parlò di condanne sommarie, tribunali di piazza, persino di attentato al libero mercato con annesse richieste di verificare se, per caso, Atlantia non fosse stata penalizzata in Borsa: si vedrà domani se gli stessi rilievi saranno rivolti, da autorevoli commentatori e politici in pena per l’azionista, al presidente della Repubblica.

In realtà le parole dell’inquilino del Colle, così nette e definitive, riportano la discussione dove deve stare: è accettabile che Autostrade abbia ancora la concessione su 3mila chilometri di corsie? Giusto il 14 agosto di un anno fa, Giuseppe Conte scrisse su Facebook: “È chiaro che ci sono responsabilità e la giustizia dovrà fare il proprio corso per accertarle. Ma il nostro governo non può rimanere ad aspettare. Per questo abbiamo deciso di avviare le procedure di revoca della concessione alla società Autostrade”. Il 17 agosto seguì questo comunicato: Palazzo Chigi “ha formalmente inoltrato ad Autostrade per l’Italia la lettera di contestazione che avvia la procedura di caducazione della concessione”.

Da allora – chiacchiere a parte – poco o nulla: un parere giuridico di 62 pagine chiesto dal ministro Danilo Toninelli e consegnato quasi due mesi fa in sostanza consiglia al governo la revoca per “grave inadempimento” smontando la teoria secondo cui, se si procedesse, bisognerebbe pagare miliardi di penali ad Autostrade. Nel frattempo, però, il capo politico grillino Luigi Di Maio, nella veste di ministro dello Sviluppo, ha invitato la Atlantia dei Benetton a partecipare alla cordata per il salvataggio di Autostrade.

Ieri, a spiegare quale fosse il clima nel governo gialloverde, lo ha spiegato con sincerità Matteo Salvini: “È squallido che in una giornata come questa ci sia qualcuno che parla ancora di Autostrade, di Benetton. Chi sbaglia paga, ma non faccio né il giudice, né l’ingegnere, né l’avvocato, anche perché sono tutte partite gestite da ministri 5 Stelle”. Forse Salvini, già che era a Genova, avrebbe potuto spiegare quanto sono “squallidi” ai familiari delle vittime, che continuano a chiedere invano la revoca della concessione, e pure a Mattarella, che ci ricorda che “rammendare non significa cancellare” e senza aspettare il giudice.

Calenda contro Renzi: “Che fine ha fatto il tuo #senzadime?”

Carlo Calenda non ci sta e minaccia di rompere con il Pd per l’intesa che si va profilando con il Movimento 5 Stelle in vista di un governo di legislatura. E per tutta la giornata si è divertito a ricordare alcune dichiarazioni dei suoi compagni di partito e in particolare di Matteo Renzi. Che ora lavora per l’accordo ma che in passato minacciava fuoco e fiamme contro questa prospettiva in nome del #senzadime. “Le dichiarazioni allegate sono state rese pochi giorni fa in occasione di una proposta (Franceschini) identica a quella che si sta materializzando. Nulla è cambiato da allora tranne il fatto che il rischio di elezioni (allora teorico) si è davvero materializzato. E molti di quelli che dicevano, ‘mai con i 5S’ e ‘se il governo cade ci sono solo le elezioni’ hanno cambiato idea nel giro di 24 ore. Per quanto mi riguarda in caso di alleanza Pd-M5s farò quello che ho sempre detto” ha scritto su Fb senza rinunciare a un tweet bombing che ha esasperato i renziani. Alcuni gli rispondono. Luigi Marattin che posta una riflessione sullo scenario politico. Davide Faraone taglia corto e chiede: “Chi ha rubato l’account di Calenda?”

La domanda: elezioni o nuovo governo?

Dopo la decisione unilaterale di Matteo Salvini di sfiduciare il governo Conte e rompere il contratto siglato con il Movimento 5 Stelle nel maggio del 2018 per capitalizzare i consensi registrati alle elezioni europee e nei sondaggi, l’Italia è a un bivio. O le elezioni anticipate in ottobre (o al massimo in primavera), che probabilmente consegnerebbero il Paese a un governo monocolore di destra presieduto da Salvini col contorno di Meloni e forse di Berlusconi, che oltre a tutto il resto eleggerebbe nel 2022 il nuovo presidente della Repubblica. Oppure un governo di legislatura formato da Movimento 5 Stelle, Partito democratico e LeU, che potrebbe confermare Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e riprendere il breve dialogo fra M5S e centrosinistra avviato 14 mesi fa da Di Maio con la proposta di contratto al Pd e subito interrotto dal no di Matteo Renzi (ora tornato sui suoi passi) e realizzare alcune riforme importanti almeno fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato. Ma potrebbe anche tradursi in una rissa continua, sia tra i due schieramenti, sia al loro interno. Entrambe le soluzioni potrebbero rivelarsi un regalo a Salvini, ma nei prossimi giorni il M5S e il Pd dovranno indicare le loro intenzioni al presidente Mattarella. Voi, cari lettori, che cosa preferite: andare alle elezioni anticipate subito, oppure che si tenti un governo M5S-Pd-LeU che duri almeno due anni? Per rispondere basta andare sul sito www.ilfattoquotidiano.it

 

Antonio Padellaro
Prima pensiamo a Iva e manovra poi è meglio votare a inizio 2020

Il 26 maggio scorso, il ribaltone delle Europee ha di fatto aperto la strada alle elezioni politiche anticipate poiché non era sostenibile a lungo il rapporto di governo tra il M5S che ha dimezzato i voti e la Lega che li ha raddoppiati. Quando poi la somma dell’intero destra-centro (Salvini più Meloni più Berlusconi) arriva a sfiorare il 50%, restituire la parola al popolo sovrano diventa quasi imprescindibile in una democrazia parlamentare. Quasi, perché a causa del dilettantismo irresponsabile con cui Matteo Salvini ha aperto la crisi (nel momento peggiore e imbrogliando i 5 Stelle) stanno emergendo altre ipotesi di governo, a breve o a lungo termine, attorno a un ipotetico asse Pd-M5S. Tendo a diffidare di operazioni di palazzo improvvisate, soprattutto se possono rafforzare l’incubo Salvini a palazzo Chigi. Meglio quindi un governo tecnico per affrontare le emergenze (Iva, legge finanziaria) ma che ci porti al voto all’inizio del 2020. E spero in una campagna elettorale che convinca gli italiani che l’uomo del mojito è la soluzione peggiore.

 

Luisella Costamagna
Né urne né tecnici: un contratto tra dem e 5 Stelle (alla buon’ora)

Come uscire dal caos ferragostano provocato dal Capitano Uncino? Premesso che non si capisce perché dovremmo correre a elezioni per volere di chi ha rotto l’alleanza di governo e in Parlamento vale il 17% delle politiche 2018; che un governo tecnico, istituzionale, ecc., sarebbe indigeribile e irrispettoso del volere degli elettori; che non ci si può fidare troppo di Renzi (è un assioma), la sua apertura al M5S dopo le mille chiusure ha però indubbiamente cambiato lo scenario. Se anche fosse il (solito) coccodrillo, intanto ha permesso di mozzare la mano di Salvini sul voto di sfiducia a Conte e a questo punto merita andare a vedere se nel Pd ci sia una reale disponibilità a un nuovo governo politico coi 5S (primo partito in Parlamento), basato su un contratto programmatico come con la Lega. Esce un alleato, può entrarne un altro (nessun tradimento: è il proporzionale, bellezza). Era quello che auspicavo all’indomani delle elezioni: guardare al Pd invece che alla Lega. Non sopporto chi dice “l’avevo detto”. Ma l’avevo detto.

 

Peter Gomez
Un accordo “green” piacerebbe all’Ue e fermerebbe la destra

“La politica non è l’arte del possibile. Consiste nel scegliere tra il disastroso e lo sgradevole”. Chi oggi, numeri alla mano, può evitare le elezioni anticipate dovrebbe rileggere questa frase dell’economista Jonh Kennet Galbraith. Sia per il Pd che per Leu che per i 5S la prospettiva di governare assieme è certamente sgradevole visti gli insulti reciproci degli ultimi anni. Ma è meno disastrosa di elezioni anticipate seguite da un esecutivo di destra a guida Matteo Salvini in grado di eleggere nel 2022 il nuovo presidente della Repubblica e di cambiare (visti i numeri in Parlamento) profondamente la Costituzione. È vero che il Pd è un partito balcanizzato, che attende la fuoriuscita di Matteo Renzi e dei suoi. Ma un contratto di governo (da far votare alle rispettive basi) più particolareggiato rispetto a quello stracciato da Salvini, può stabilizzare la situazione per tre anni. Soprattutto se si punta tutto, o quasi, sulla green economy. Anche perché la nuova Commissione europea a un esecutivo del genere farebbe ponti d’oro. Rendendo meno amare le leggi di bilancio.

 

Tomaso Montanari
L’unica strada possibile è 5S-Pd, ma con una legge proporzionale

Ribadisco quanto ho scritto (con Francesco Pallante): non si può in ogni caso votare con questa legge elettorale. Bisogna trovare una formula di governo (ce ne sono varie) per approvare in pochi giorni un proporzionale puro che metta in sicurezza la Costituzione da colpi di mano (mano destra). Non farlo sarebbe imperdonabilmente irresponsabile. E poi? L’unica ipotesi veramente irricevibile sarebbe un governo Draghi o simili (moralmente un Monti bis) a briglia sciolta: è esattamente questa macelleria sociale che ha portato Salvini al consenso che ha. L’argomento più forte per tentare un governo 5 Stelle-Pd è che subito dopo le famose elezioni dovrà comunque succedere: anche perché, come si è visto, tutte le altre formule sono peggiori. Un governo che cancelli i Decreti Sicurezza e il voto sul Tav: uno a uno, e palla al centro. E poi così tanta giustizia sociale da seppellire per sempre il ducetto del Papeete. Ne sarebbero capaci? Probabilmente no. Ma prima o poi dovranno comunque tentare: e dunque…

 

Daniela Ranieri
Rompete il giocattolo a Matteo: Conte guidi un altro esecutivo

Posto che stiamo facendo ipotesi sulla base di una scelta imperscrutabile che attiene alla labilità politica, per non dire emotiva, e speriamo non anche psichica, di uno che aveva promesso di co-governare lealmente per 5 anni, proviamo a ragionare senza pregiudizio (ciò impone anche di ignorare l’interferenza-Renzi, capace di polarizzare le opinioni in senso opposto alle sue a prescindere). Salvini sente l’impulso di fotografare l’apice del suo consenso con elezioni in cui correrebbe da capo del Viminale, col corollario di guadagnare ossigeno, se non milizie, per le sue grane con la Giustizia. Per rompere il giocattolo al ministro-dj, Conte, ch’è persona seria, si rimetta alla verifica del presidente della Repubblica su una nuova maggioranza che riscriva la legge elettorale. Il M5S guidi la resipiscenza. Il Pd collabori alla difesa delle Istituzioni e organizzi sedute psicoanalitiche per i suoi dirigenti. Nel frattempo, speriamo, l’inverno avrà sopito le fregole dell’aspirante Duce e i bollori dell’avventuretta estiva tra il Paese e l’animatore del villaggio vacanze.

 

Silvia Truzzi
Evitiamo di ripetere gli errori: ora si dia la parola agli italiani

Questo agosto di “crisi ma forse no anzi sì però chissà” è uno spettacolo di inaudito squallore: svela l’opportunismo delle forze politiche, il loro non aver rispetto per i cittadini e, insieme, la loro goffa inettitudine. Matteo Salvini si dà arie da uomo forte e invece con questo distruttivo tira e molla ha dimostrato di essere completamente inaffidabile: farebbe meglio a non contare troppo sui sondaggi. La domanda di leniniana memoria è davvero spinosa: che fare in questa intricatissima situazione? Il matrimonio di convenienza tra Lega e 5 Stelle non poteva funzionare sulla base di un accordo siglato dal notaio e infatti è finito nel peggiore dei modi. Anche per questo un altro governo, di diverso segno ma di eguale natura (Pd-5Stelle) non è augurabile. E non lo è nemmeno un ennesimo governo pseudo-tecnico, che i cittadini non capirebbero. Meglio ridare la parola agli elettori (della cui pazienza si è davvero abusato): sapranno giudicare il comportamento dei leader, la loro maturità, buonafede e responsabilità.

Il giovane Sala rappa con Ghali

Formentera non sarà il Papeete Beach, eppure è sulla buona strada per diventarlo. Da giorni il sindaco di Milano Beppe Sala ci informa su Instagram della sua vacanza balneare tutta all’insegna della ritrovata gioventù: foto del sindaco mentre sbevazza, foto del sindaco in bermuda, foto del sindaco viveur. E ora foto del sindaco con Ghali, classe 1993, uno dei più famosi trapper italiani: “La strana coppia a pranzo, con vino rosé – ha scritto ieri Sala – (Ma quanto sei alto Ghali?)” . L’operazione forever young continua e ormai la vita social di Beppe somiglia all’incredibile storia di Benjamin Button, quello che più passava il tempo e più ringiovaniva. Oppure a un Dorian Gray al contrario: Sala invecchia come tutti noi, ma i suoi profili social no, rimangono all’età della spensieratezza. A lui basta trovare il soggetto e la posa giusta, se poi ci fosse qualche rughina di troppo allora largo ai filtri.

Toti incontra Salvini e punta all’alleanza: “D’accordo su tutto”

Lungo confronto tra Matteo Salvini e Giovanni Toti. Mentre non è ancora chiaro il futuro della coalizione di centrodestra, il leader leghista e il governatore ligure si sono visti ieri per oltre un’ora dopo la commemorazione per le vittime del crollo del Ponte Morandi. Motivo dell’incontro, almeno in via ufficiale, il futuro della città e della Gronda autostradale, ma i due hanno approfittato anche per discutere dei rapporti nel centrodestra. Nei giorni scorsi Salvini aveva aperto a una rinnovata alleanza con Fratelli d’Italia e Forza Italia, con cui però ancora non c’è accordo sulla spartizione di seggi e collegi. Toti, che ha lanciato il suo “Cambiamo” insieme ai fuoriusciti forzisti, ambisce a far parte di una coalizione sovranista: “Ci troviamo d’accordo su tutto con Salvini, tranne che sulla pasta da mangiare con il pesto, Matteo preferisce le trofie, io le trenette”, ha scherzato Toti dopo l’incontro. Da ambienti di “Cambiamo”, gli ex forzisti hanno anche sottolineato la soddisfazione per il fatto che Salvini abbia incontrato prima Toti che Berlusconi.

Bestiario della crisi, dall’abbronzatura a Zinga (e zingaracce)

Abbronzatura. È la crisi della tintarella. Il re è Matteo Salvini, ministro in beach tour permanente. Ma “Capitan mattonato” in aula ha avuto la faccia di bronzo – è il caso di dirlo – di prendere in giro i senatori del Pd: “Invidio l’abbronzatura di alcuni che son lì”. Risposta del prode capogruppo Marcucci: “I dati estetici sono incontrovertibili, Salvini, lei è sicuramente il più abbronzato”. L’argomento è dirimente.

Bibbiano.Per i Cinque Stelle il Pd era il “Partito di Bibbiano”, fiancheggiatore di pedofili e manipolatore di bimbi. All’improvviso – puf! – pare che si debba fare un governo insieme: siamo una democrazia parlamentare, bellezza.

Barbari. Parola di Grillo: il M5S vuole salvare l’Italia “dai nuovi barbari”. Gli stessi con cui governava fino a ieri.

Cicale. (vedi “Barbari”) Sono loro ad aver suggerito, pare, la svolta governista di Beppe Grillo. Se ne stava “in mezzo a un cespuglio” (normale no?) ed è stato assordato dal suono delle cicale. Che ripetevano: “Sopravviviamo, sopravviviamo… ”.

Casellati. Molto contestata per la gestione del suo ruolo non proprio asettica, ha avuto la geniale idea di chiamare (più volte) Salvini “presidente” (ma presidente de che?)

Dimissioni. Molto evocate, ma alla fine – da tradizione – non si dimette nessuno: né Salvini, né i suoi ministri, né Conte (che vuole farsi sfiduciare in Parlamento).

Europa. Vuoi vedere che “ce lo chiede l’Europa” pure stavolta?

Ferragosto. Domanda circolata con terrore tra parlamentari e giornalisti: “Davvero quello scemo apre la crisi a Ferragosto?”. Davvero.

Governicchio. “Nella pubblicistica politica, governo di scarsa autorevolezza e solidità” (Treccani).

Gender. I giornali di destra in questi giorni sono un po’ irrequieti. Epico titolo su La Verità di ieri: “Il papocchio regala patrimoniale, gender e addio sicurezza”. I “grillopiddini” aprono “ad adozioni gay e eutanasia”.

Hotel Metropol. Ve lo ricordate il “caso rubli”?

Iva. La crisi ci restituisce il genio di Matteo Renzi, alfiere del “Governo No Tax” – lo chiama così – per non far scattare l’incremento dell’Iva. È lo stesso Renzi che quando era premier ha fatto aumentare le “clausole di salvaguardia”.

Low cost. Le compagnie aeree si sono riempite di onorevoli di rientro dalle vacanze dopo un misero weekend.

Mojito. (vedi “Abbronzatura”) Quest’estate i palazzi della politica sono migrati idealmente al Papeete Beach. Il Leader ha mostrato la panza, ha fatto cadere un governo mentre sorseggiava cocktail tropicali, ha ballato l’inno di Mameli con cubiste scosciate. È così che si costruisce un immaginario.

Mostro. A proposito di stampa di destra (vedi “Gender”), sobrio titolo in prima sul Giornale: “NASCE UN MOSTRO”. Il governo, eh.

Non voto (partito del). Rieccolo. Si è mostrato plasticamente sugli schermi del Senato dopo il voto di mercoledì. E dentro ci sono pure gli esegeti della rivoluzione della democrazia diretta.

Ong. Non c’è crisi che tenga: se Salvini non ha una nave di migranti a cui dichiarare guerra non prende sonno.

Parlamentarizzazione (della crisi). Termine orrendo, ora di uso comune. Si può tradurre così: Conte vuole che Salvini lo guardi negli occhi mentre lo caccia.

Quirinale. E ora, di nuovo, al Colle! Solo su questo sono tutti d’accordo (anche chi lo insultava): il gran casino se lo sbriga Mattarella.

Responsabili. C’erano una volta Razzi e Scilipoti. Oggi c’è Matteo Renzi.

#Senzadime. Un anno fa Renzi si inventò il fortunato hashtag (e fu messia di un affascinante movimento su Twitter) per dire no a qualsiasi intesa con i “grullini”. Risate.

San Paolo. Lo stadio di Napoli reclama il più famoso dei suoi steward.

Tav. Pretesto ultimo scelto per la rottura del sodalizio gialloverde. E il futuro governissimo giallorosso che s’inventa?

Ursula. Una volta era solo il nome di battesimo della von der Leyen, presidente della Commissione Ue eletta con i voti di Pd e M5S (e Forza Italia). Ora è praticamente un manifesto politico.

Vergine Maria. Ispiratrice delle caritatevoli politiche securitarie del (quasi ex) ministro dell’Interno.

Zingaretti e zingaracce. Paradossi salviniani: dalla campagna incessante contro i Rom all’accordo tentato con il segretario del Pd per andare a votare, il passo è brevissimo.