Brunel, “l’ami” di Epstein “Gli procacciava 12enni”

Il proprietario di una delle più famose, e già discusse, agenzie di modelle internazionali, la MC2, sarebbe il perno francese dell’inchiesta sul giro di abusi su minori e incitamento e sfruttamento della prostituzione che ruota intorno al finanziere miliardario Jeffrey Epstein, suicidatosi in cella sabato scorso a New York. Secondo fonti giornalistiche, Jean-Luc Brunel, 70 anni, sarebbe stato uno dei “principali fornitori” di adolescenti del sessuomane.

In base a testimonianze raccolte, fra cui quella fondamentale di Virginia Roberts Giuffre, Mediapart scrive che Brunel avrebbe avuto “un posto preponderante” nello “schema” pedofilo di Epstein: per un compleanno, gli avrebbe mandato in dono dalla Francia due ragazzine di 12 anni; e decine gliene avrebbe complessivamente fornite; facendogli poi ripetutamente visita in carcere. Inoltre, Mediapart pubblica racconti di due ex modelle e d’una ex dipendente dell’agenzia: le prime denunciano le violenze di Brunel – “Una sera, m’ha drogata e m’ha stuprata” -; l’impiegata parla dell’intreccio dei legami tra Epstein, che sosteneva finanziariamente la MC2 in difficoltà, e Brunel, che gli forniva adolescenti, a Parigi, nella casa di Av. Général Foch, e in America. In attesa che la giustizia francese faccia il suo corso, quella americana continua il proprio, lungo diversi filoni. Nell’Unione, con Trump in vacanza e la politica in ferie, il caso Epstein tiene banco sui media e ispira teorie cospirazioniste. Anche il sindaco di New York Bill de Blasio diventa complottista e mette in dubbio la versione ufficiale, “troppo comoda”. E il magnate presidente torna a mestare le acque: chiede un’inchiesta, che c’è già, sulla morte del finanziere e avanza l’illazione che Bill Clinton sia stato sulla sua isola. Si attende che ricompaia l’ex fidanzata e meretrice di Epstein, Ghislaine Maxwell, e che finiscano sotto accusa altre persone, in uno scandalo che tocca presidenti, da Clinton a Trump, e protagonisti del “jet set”, uomini d’affari, di spettacolo, di cultura. Le indagini avanzano più spedite sul fronte delle responsabilità nel suicidio di Epstein, favorito da negligenze forse criminali. La commissione Giustizia della Camera chiede all’Fbi informazioni sul programma di prevenzione dei suicidi in carcere, sulle condizioni in cella di Epstein e su chi avrebbe dovuto controllarlo. Dopo che il segretario alla Giustizia Usa William Barr ha ammesso anomalie e irregolarità, il New York Times scrive che Epstein è stato lasciato solo per ore senza che nessuno lo controllasse e che uno dei due agenti preposti a farlo non era una guardia carceraria a tempo pieno, era un sostituto. Secondo il New York Post, il finanziere si sarebbe suicidato legandosi il lenzuolo intorno al collo e fissandolo in alto sul letto a castello: per riuscire a strangolarsi, Epstein si sarebbe dovuto mettere ginocchioni. Il Daily Mail riferisce che decine di agenti dell’Fbi sono scesi sull’isola del finanziere nei Caraibi, Little St. James, soprannominata “isola della pedofilia” o “isola delle orge”. Il NYT propone il racconto dell’incontro del suo giornalista, James Stewart, con Epstein, che nel 2018 lo ricevette nella casa di Manhattan, sulla 71ma, di fronte alla Frick Collection.

Nell’alloggio, c’erano foto del miliardario con l’erede al trono saudita Mohammed Bin Salman, Woody Allen, Clinton e molti altri: pareva più “un’ambasciata o un museo” che una casa. Epstein conosceva segreti, droghe e gusti sessuali di molti vip. I due dovevano parlare off the record della Tesla, l’azienda produttrice di vetture elettriche, perché correvano voci di collaborazione tra il finanziere ed Elon Musk. Ma Epstein disse poco sulla Tesla e molto sui suoi amici potenti, che conoscevano i suoi trascorsi – era già stato inquisito in Florida per pedofilia e induzione alla prostituzione – e non erano, quindi, imbarazzati a confidargli vizi e perversioni.

“Ve li do io gli alieni”. Bernie Sanders lancia la campagna Usa 2020

Il vecchio Bernie fa un altro regalo al suo acerrimo nemico Donald Trump: dopo avergli sfiancato nel 2016 Hillary Clinton, gli offre dischi volanti e omini verdi come temi della campagna 2020. Figuriamoci!, un complottista dalla balla facile come il magnate presidente ci andrebbe a nozze. E se ET non vota, milioni di americani credono che esista. Non è chiaro che cosa sia saltato in mente a Bernie Sanders, senatore del Vermont, 78 anni, candidato alla nomination democratica alla Casa Bianca: forse voleva fare una battuta di spirito, forse ammiccare a tutti quegli americani, oltre due milioni, che hanno entusiasticamente aderito all’evento burla “Storm Area 51. They can’t stop all of us” (Assaltiamo l’Area 51, non possono fermarci tutti).

Rispondendo a una domanda fattagli in un noto Podcast condotto da Joe Rogan, Sanders ha detto, prima sorridendo e poi ridendo, che se sarà eletto presidente rivelerà tutta la verità sugli alieni e lo farà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Salvo poi scaricare la colpa sulla moglie, Jane O’Meara: “Lei esigerebbe che ve ne parli”. Già ora che è solo senatore, Jane gli avrebbe ripetutamente chiesto di rendere pubbliche le informazioni in suo possesso, anche se lui assicura di non averne. E così la lista delle promesse elettorali s’allunga: la sanità, l’istruzione, norme più severe sulle armi, la verità sugli alieni. Non è un inedito: s’era già impegnata in tal senso Hillary Clinton nel 2016. Alieni e Ufo sono temi sempre popolari, in America e non solo, specie d’estate. Nel maggio scorso, era emerso che alcuni piloti avevano riferito di aver avvistato strani oggetti nei cieli nel 2014 e 2015.

L’Area 51 è una zona nel deserto del Nevada cui non si può accedere e dove vi sarebbero le prove dell’esistenza degli alieni. Il programma dell’evento dell’anno prevede l’assalto alla base militare, schivando le pallottole correndo con le braccia all’indietro come fa l’eroe del manga giapponese Naruto. Il promotore dell’iniziativa, Matthew Roberts, studente californiano, capelli lunghi, pizzetto, intervistato da una tv del Nevada racconta: “Ho postato l’evento il 27 giugno per gioco, dopo tre giorni aveva raccolto 40 adesioni; poi, è completamente decollato, una cosa pazzesca”. Tanto che, a metà luglio, s’è persino scomodata l’aeronautica militare, scoraggiando chiunque progettasse di entrare nell’Area 51, protetta perché destinata a sperimentazioni e addestramento per conto delle forze armate. Ad aggiungere un tocco di giallo alla vicenda, la rimozione dell’annuncio da Facebook il 3 agosto e, poco dopo, la ricomparsa: il social ha spiegato che la rimozione sarebbe stata “un errore”. L’Area 51, una base sperimentale e militare, inizialmente chiamata “Nevada Test Site – 51”, e l’incidente di Roswell del 2 luglio 1947 presso l’omonima località nel New Mexico, quando un oggetto non identificato precipitò al suolo, sono due serbatoi dell’ufologia Usa e internazionale, spesso evocati nei film di fantascienza come Incontri ravvicinati del Terzo Tipo e Independence Day o nella serie X-Files o oggetto di film a se stante e serie televisive. Proprio per smontare l’accumularsi di teorie cospiratorie, alimentato dai livelli di segretezza intorno alla base, che occupa una porzione di deserto e il cui spazio aereo è spesso definito dai piloti come “The Box”, la scatola, negli ultimi anni sono state rilasciate informazioni ufficiali: l’Area – è stato detto – serve a sviluppare e testare strumenti militari tecnologicamente all’avanguardia, armi e non solo. Foto satellitari mostrano l’esistenza di una pista eccezionalmente lunga, circa sette chilometri, di hangar e di edifici che possono essere alloggi, uffici, laboratori. Alcuni ufologi sostengono che il governo avrebbe avuto contatti con extraterrestri, mantenuti segreti, e che, dopo l’incidente di Roswell, i resti di un Ufo e dell’equipaggio siano stati portati nell’Area 51. In realtà, a Roswell cadde un pallone sonda lanciato dalla base di Alamogordo; e i presunti corpi alieni erano manichini utilizzati in programmi militari. Non ci credete? Votate Bernie e lui vi dirà la verità.

Mille e più governi possibili: una guida ragionata

Allora, ricapitolando, ce ne sono di decine di tipi. Ad esempio: di scopo, istituzionale, balneare, tecnico, politico, del presidente, -issimo, -icchio, ponte, delle larghe intese, delle strette intese, di decantazione, di minoranza, di unità nazionale, di salute pubblica, di transizione. E ancora: c’è quello “Ursula”, il “Donald”, il salva-Renzi, il salva-Boschi, il salva-poltrone, a botte, a tutto sesto, ribassato, a sbuffo, scamiciato, alla coreana. E poi: a termine, di garanzia (elettorale o meno), dell’inciucio, dell’accozzaglia, dell’ammucchiata, del cambiamento, del mantenimento, dei competenti, dorico, ionico, corinzio, gialloverde, giallorosa, rossobruno, neronero. E volendo continuare: di coalizione, monocolore, di minoranza, dell’arco costituzionale, -bis, -tris, del Nazareno, dell’Iscariota. E scendendo nella cronaca: del fare, del durare, del resistere, dei responsabili, con Conte, senza Conte, onorevole eccellenza, cavaliere senatore, nobildonna eminenza, monsignore vossia, cheri, mon amour! (nun te reggae chiu). Mille e più di mille possono essere i governi che possono crearsi in Parlamento, il loro nome è legione, la loro ratio però è sempre la stessa: tenere giù il coperchio di una pentola che sta per esplodere. Il governo per fare che? Senza neanche aver capito in che temporale stanno per infilarsi, candidamente si candidano a gestire il tracollo di un sistema che non tiene: sì, per carità, di utili idioti si parlava già cent’anni fa, ma non bisogna sempre puntare a battere i record…

Un calcio al campionato: razzista, classista, noioso

Venerdì ho letto sul Fatto, a firma di Lorenzo Vendemiale, una notizia sbalorditiva, che però è scivolata via come se nulla fosse. La notizia è questa: la società bianconera ha deciso di vietare, per il prossimo campionato, l’ingresso allo Stadium a tutti i tifosi, e anche non tifosi, che, residenti a Torino o altrove, sono nati in Campania. Ma come? Sono anni che ci rompono i coglioni con la “discriminazione razziale” allo stadio mettendo sotto accusa striscioni sostanzialmente innocui, perché ironici, come “Forza Vesuvio” se si è a Verona o, a campi invertiti, “Giulietta era una zoccola”, e adesso si accetta tranquillamente un provvedimento che non si può definire altrimenti che razzista?

La società bianconera ha dovuto poi fare marcia indietro, dopo che la Questura di Torino si era giustamente dissociata da questo dissennato provvedimento che configurava un reato. La legge Mancino del ’93 punisce con la reclusione fino a un anno e 6 mesi chi “istiga all’odio razziale”. Personalmente sono sempre stato contrario a questa legge perché, a parer mio, esiste un diritto all’odio, che è un sentimento come la gelosia o l’ira, che può essere punito solo quando si materializza in atti concreti (cioè se torco un solo capello alla persona che odio allora sì devo andare in gattabuia). Ma visto che la legge c’è a quel punto avrebbe dovuto essere applicata anche al signor Andrea Agnelli, attuale presidente della Juve.

Fra due settimane inizia il Campionato. E a me come a molti altri della mia generazione sale una sorta di disgusto. Cosa singolare perché la mia generazione, diciamo quelli che erano ragazzi negli anni 50 e nei primi 60, aveva solo il calcio, il grande sport nazionalpopolare insieme al ciclismo. Il tennis era roba da ricchi, lo sci lo conoscevano solo quelli che abitavano in montagna, il basket apparteneva, insieme al baseball, alla cultura americana e quel gioco non era ancora entrato nella nostra mentalità e nel nostro costume, a differenza della pur mediocre letteratura yankee dell’epoca, introdotta in Italia da Elio Vittorini con Americana (Steinbeck, Irwin Shaw e l’indigeribile Saroyan).

Il calcio lo abbiamo giocato tutti, ognuno al suo livello, nei cortili, in strada, a Milano nei terrain vagues lasciatici graziosamente in dono dai bombardamenti americani e poi, diventati un po’ più grandi, nei campi regolari di qualche società minore. Ma negli ultimi decenni economia e tecnologia (vale a dire la tv) hanno via via distrutto i motivi rituali, mitici, simbolici, identitari, comunitari, che per un secolo e passa hanno fatto la fortuna di questo gioco.

Oggi le squadre, non solo di A, ma di B e anche di C, sono zeppe di stranieri e a volte in partite di cartello del nostro Campionato non vedi in campo un solo giocatore italiano. I giocatori cambiano squadra ogni anno e, grazie al calciomercato di gennaio, all’interno della stessa stagione, con tanti saluti alla regolarità del Campionato. Le maglie, per esigenze degli sponsor, vengono cambiate quando la squadra gioca in trasferta. Come si fa a identificarsi? Con la politica degli abbonamenti (denaro che entra in anticipo) è saltato anche l’elemento comunitario e interclassista, la suburra va dietro le porte, gli altri, a seconda del loro status, nelle diverse tribune. Un tempo il piccolo imprenditore sedeva accanto al suo operaio, gli spettatori si diluivano per estrazione sociale ed età nell’intero stadio, se si cacciano tutti i ragazzotti nelle curve come si può poi pretendere che non facciano casino?

Le pay tv e le pay per view hanno introdotto un altro elemento di discriminazione sociale. Per esigenze televisive si gioca ogni giorno e a ogni ora: venerdì c’è un anticipo di B, il sabato la B e due anticipi di A, a mezzogiorno di domenica c’è una partita di cartello, alle tre del pomeriggio giocano le squadre meno interessanti, alle 18.30 altra partita, la sera il match più importante, il lunedì il posticipo di A, il martedì e il mercoledì c’è la Champions, il giovedì quella competizione comica che è l’Europa League e la danza infernale ricomincia.

Anche i più importanti campionati stranieri, Premier League, Liga spagnola, Bundesliga, sempre per esigenze televisive sono tarati in modo da non collidere fra di loro. A tutto questo si è aggiunto il Var. Una squadra segna ma i giocatori e gli spettatori trattengono il fiato. C’è il Var. Si crea una sorta di comica assemblea fra arbitro, tre ometti in tenuta da gioco che stanno nelle catacombe dello stadio e fra poco, per non essere influenzati, in un punto imprecisato dello spazio, i guardalinee, il “quarto uomo”. Solo quando l’arbitro indica il cerchio di centro campo o il punto da cui deve essere battuta la punizione per un presunto fuori gioco si può esultare o piangere. Ma in quel momento sul campo non sta succedendo nulla. Una situazione surreale.

Il calcio andrà a morire per overdose, come tutta la nostra società. Ce lo saremo meritati.

“Pieni poteri”. Breve apologo sulla Repubblica

Acrisi appena scoppiata il ministrissimo Salvini, prima di concludere un comizio a Pescara (con i lucciconi per la nostalgia dei figli: sarà che dorme poco?) si è prodotto, nelle seguenti dichiarazioni: “Chiedo agli italiani, se ne hanno voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in fondo senza rallentamenti e senza palle al piede. Siamo in democrazia, chi sceglie Salvini sa cosa sceglie”. Mezzo “chi ama mi segua” mezzo “per l’uomo che non deve chiedere mai”. Ora, ci permetteremo qui un breve apologo sulle ministeriali esternazioni perché non abbiamo mai – in questo bislacco anno di governo più pazzo del mondo – gridato al fascismo, al nazismo né ad altre forme di totalitarismi in agguato. A differenza di alcuni commentatori (troppi per citarli tutti) e soprattutto di alcuni partiti (facendo i nomi: il Pd su tutti) che invece che provare a far cadere il governo (magari uscendo dall’Aula, durante il casus belli del voto sulla Tav) hanno preferito fischiettare. Come ha giustamente notato Paolo Mieli in un’intervista a questo giornale: per dovere di coerenza, se ogni giorno parli del pericolo fascista, il governo provi a farlo a cadere. E ora, pur di non andare alle urne, andrebbero al governo anche con Grillo belzebù (specie l’altro Matteo, il retrocesso). Del resto è gente che negli ultimi anni, non ha fatto altro che trovare scuse per governi del Presidente, di larghe o larghissime intese, salute pubblica e altre simpatiche definizioni che con garbo istituzionale la mettono in un posto che qui non si può nominare alla volontà popolare. Nota a margine per i fan delle ammucchiate: sappiamo che siamo in un sistema parlamentare, quali sono i poteri del Capo dello Stato e che i sondaggi non sono un dato di cui deve tener conto. Ma, famo a capisse: un Monti bis sarebbe un’offesa per la democrazia. Quanto a un governo non tecnico, ma politico è tutto nelle mani dei partiti. Vediamo chi farà lo sgambetto a chi e quali saranno le convergenze: se ci chiedessero di scommettere su un asse 5 Stelle-Pd, metteremmo sul tavolo una banconota del monopoli.

Tornando al nostro insonne papà, bisogna fare sì a lui un ripassino di regole democratiche: pieni poteri no, divisione dei poteri sì; rallentamenti e palle al piede – se si vuol intendere confronto parlamentare e rispetto per le minoranze – sì; prepotenza dell’esecutivo no. Sono stati evocati, dopo il discorsetto pescarese, svariati episodi della storia del Novecento, il più gettonato è stato il decreto dei pieni poteri con cui il Parlamento tedesco diede il lasciapassare alla dittatura nazista. Noi invece abbiamo pensato che Salvini si comporta semplicemente come i suoi predecessori, da Berlusconi (a cui assomiglia sempre più, forse per via delle questioni giudiziarie) a Renzi. Mostra fastidi per il complesso di regole che sottomettono l’azione dei governi all’approvazione e alla fiducia del parlamento, le leggi (e gli atti ministeriali) alla Costituzione e al diritto internazionale. I famosi lacci e lacciuoli: per questo sarà molto importante che le opposizioni (toc toc) stiano in guardia. La volontà popolare non si discute, anche quando non ci piace la direzione che prende, ma – e non è un dettaglio – con le garanzie che pervadono tutto il sistema contro la dittatura di ogni maggioranza. Compreso il sistema elettorale, che la Consulta ha più volte dovuto correggere proprio per evitare distorsioni. La morale sta in un episodio raccontato al Qn dall’ex ministro Dc Cirino Pomicino a proposito di uno scambio tra un giornalista e Andreotti dopo la formazione del suo ultimo governo nell’89:“Di nuovo a Palazzo Chigi. Se avesse tutti i poteri nelle sue mani che cosa farebbe?‘Qualche errore in più’, rispose lui”.

Le coperture del Def leghista: vendere rosari e navi Ong al Papeete

L’incursione di Briatore Flavio, il genio di Cuneo (si contende il titolo da anni con Daniela Santanché), nell’agone politico riporta finalmente la situazione italiana al livello che merita: dadaismo situazionista con venature nichiliste e uso di yacht. Tra l’altro, non passa giorno senza che arrivino prestigiosi endorsement per Salvini da parte di imprenditori, padroni del vapore, azionisti di maggioranza, il signor Riello, il signor Zoppas, persino (tremate!) la nipote della stilista Luisa Spagnoli, tutti pronti a salire sul palco del vincitore annunciato (?), gente previdente che compra i biglietti in prevendita molto prima del concerto.

È un piacere osservare l’entusiasmo e la vivacità del mondo imprenditoriale, in alcuni casi sono gli stessi che facevano la òla per l’altro Matteo. Perché tanto amore? La risposta si trova nelle pieghe più recondite della manovra economica scritta a sei mani dalla crema dell’intellighenzia della Lega: Garavaglia, Bitonci e Borghi, che è quello (tra l’altro) dei minibot, uno che sogna una moneta parallela, un trio di esperti come non si vedeva dai tempi dei Fratelli Marx. Insomma, a leggere le indiscrezioni sul quel che vorrebbe fare Salvini con l’economia italiana c’è da aspettarsi altre entusiastiche adesioni, magari Rossella O’Hara (sottosegretaria allo schiavismo), o il boia di Riga (rapporti con il sindacato). Ma andiamo con ordine.

Primo punto: sterilizzare gli aumenti dell’Iva. Servono 23 miliardi, che sono un bel po’ di soldi, talmente tanti che nemmeno mandare Savoini in missione tutti i giorni col cappello in mano basterebbe (fanno circa 1.700 miliardi di rubli). Naturalmente si potrebbe chiedere all’ex sottosegretario Siri se mette una buona parola coi suoi amici dell’eolico, ma anche così non sarebbe facile. Quel che non si raccatta con gli affarucci russi si può sempre segnare a deficit.

C’è poi la faccenda della flat tax, punto irrinunciabile di Salvini se mai riuscirà a salire le scale di Palazzo Chigi: tutti al 15 per cento, si dice che servirebbero 5 o 6 miliardi, aggiungendo i 10 degli ottanta euro renziani, fa poco meno di venti miliardi, e qui le strategie per le coperture si fanno più astute. Trovarli in un tombino è la prima ipotesi, la più sensata, peraltro, ma Borghi suggerisce anche di vincerli all’enalotto (probabilità: uno su sessantacinque miliardi), oppure di vendere al Papeete le navi delle Ong, che potrebbero diventare location per cubiste, o ottimi mezzi per le escursioni marine dei figli di Salvini.

Altro capitolo interessante, quello delle tasse sulla casa, che gli economisti della Lega spingono come fosse una cosa nuova. Si parla della Tari, delle seconde case, delle terze, delle quarte, ma l’ingresso di Berlusconi nella coalizione sposterebbe l’asticella ancora più in altro: niente tasse fino alla decima casa. Ci sono poi molti incentivi, bonus, premi in denaro e in natura (tutti i salami che Salvini non è riuscito a mangiare in questo anno di selfie al colesterolo). Ad esempio la convenzione con il beauty center “Il capriccio” di Busto Garolfo: tre lettini abbronzanti al prezzo di due, per venire incontro al popolo che non può permettersi l’ombrellone al Papeete. Poi detassazione totale per la menta da mettere nel mojito (sarebbe compensata da un aumento dell’Iva su cannucce e ombrellini da cocktail).

La manovra potrebbe essere finanziata dalla vendita di gadget salviniani, in certi casi vere e proprie reliquie da esporre in salotto sotto una teca (novecento rosari, seicentottanta immaginette di varie Madonne, santini di ogni dimensione, brandelli di infradito indossate durante i comizi, magliette sudate, ruspe giocattolo, bacioni). Si capisce dunque la gioia degli imprenditori italiani, convinti da una tenacia operosa come non si vedeva dai tempi di Wile Coyote.

Salvini capitano? No, cocker al guinzaglio

Quando è in difficoltà, cioè spesso, Salvini tira sempre in ballo Renzi. Lo fa perché, nell’elettore, scatti un parallelismo tutto a suo vantaggio: non tanto perché lui sia un fenomeno, quanto perché uno peggiore di Renzi non riusciremmo neanche a inventarlo. Il fatto stesso che, al minimo storico della sua popolarità, la Diversamente Lince di Rignano stia pensando di varare un partito personalistico rubando il nome a Ingroia (eh?), la dice lunga sulla sua inenarrabile mestizia.

Si dà però il caso che Salvini, oltre a essere il politico più vecchio di questa farlocca Terza Repubblica, sia anche un gran “sopravvalutatore” di se stesso. Nonché un impenitente mentitore. Tutte cose che lo accomunano proprio al Matteo debole del Pd. Salvini somiglia a Renzi anche nella capacità prodigiosa di aumentar d’adipe. Il Cazzaro Verde è fiero collezionista di tripli menti e maniglie dell’amore come quell’altro Matteo: per inquadrarlo ormai tocca usare il grandangolo della Nasa.

Si diceva però delle bugie. Mi è capitato di incrociarlo in tivù. Non scappa dal confronto e gliene rendo merito (ma vedrete che diventerà come Renzi pure in questo). Nel 2014, a Otto e mezzo, gli rinfacciai le assenze nel Parlamento Europeo (mi minacciò di querela) e gli dissi che senza Berlusconi non sapeva neanche andare in bagno: rispose, piccato, che il suo centrodestra del futuro lo avrebbe visto autonomo e dunque senza liquami estetico-morali derivanti da Forza Italia. È stato di parola. Nel dicembre scorso, quando quella fetecchia del Salvimaio sembrava poter reggere, venne ad Accordi & disaccordi. Gli chiesi come resistesse alla tentazione di far saltare tutto per monetizzare il consenso dei sondaggi. Lui: “Io sono un uomo di parola, non stacco la spina al governo. Ho tanti difetti, ma se comincio una cosa, io quella cosa la faccio, costi quello che costi. Io i sondaggi non li guardo a prescindere”. È stato di parola. Pare incredibile, ma alla fine c’è riuscito: Salvini è diventato bugiardo e comicamente vanaglorioso come Renzi. Una condizione esistenziale che non augureremmo neanche a Mario Lavia.

Ora che il tradimento più prevedibile del mondo – lo avevano capito tutti tranne Di Maio – si è compiuto, e prima che questo Paese passi con antico masochismo da Renzusconi a Salvimaio a Salvelusconi, è forse il caso di soppesare l’inebriante talento di questo virgulto padano che da ragazzo si definiva “nullafacente” parlando in tivù con Davide Mengacci, dimostrando se non altro di conoscersi bene.

Salvini ha voluto sganciare la bomba nel momento peggiore: poteva farlo subito dopo il trionfo alle Europee, votando quindi a settembre, ma ha perso tempo obbedendo poi (come sempre) a Giorgetti e Berlusconi. Sfasciando tutto ad agosto, ha poi messo ancor più in mutande il Paese: rischio di esercizio provvisorio, aumento Iva per 23 miliardi, spread alle stelle, Borsa a picco. Roba da galera (e invece lo voteranno: daje!). In più tanti procedimenti sacrosanti che salteranno, dalla temutissima (da lui) Spazzacorrotti alla Commissione d’inchiesta su Bibbiano (su cui ha oscenamente lucrato). Oltre a essere sciagurata, la mossa di Salvini è stata anche politicamente idiota: da un lato rischia di riavvicinare Pd e M5S, dall’altro toglie finalmente il macigno dall’anima di tanti elettori 5 Stelle che non ne potevano più di quell’obbrobrio governativo (comunque migliore di quello che verrà: pensate come siam messi).

Dopo un anno da Tafazzi, i 5 Stelle – ancora convalescenti e per tanto ancora in crisi – hanno avuto da Salvini quel “tradimento sommo” che potrebbe essere la scintilla morale tramite cui far risalire un gradimento oggi ai minimi livelli. Salvini avrebbe poi meritato rispetto – nonostante le conferenze spiaggia, i rosari, il lessico da bullo moscio e i suoi modi da aperi-premier – se avesse scelto la strada della “destra nuova”: cioè lui e Meloni. E basta. Un accrocchio distantissimo da chi scrive, ma segno se non altro di una qual certa baldanza salviniana. Invece Capitan Lardini è tornato pateticamente da Berlusconi come un tenero Dudù eunuco. Che pena. L’uomo, oltre alla grazia dei facoceri, ha il coraggio di un Don Abbondio morto. Mesi e mesi a giocare al rinnovatore, per poi rivelarsi – magari con l’aiuto del Movimento del fare (?) di Briatore – un innocuo predellino extralarge dei Gasparri & La Russa. Complimenti.

Lo fraintendono per il nuovo Mussolini, ma Salvini resta quello di sempre: non fa paura, fa ridere. E fa pure un po’ tenerezza. Voleva essere un Capitano, ma al massimo è un cocker. Senza pedigree e col guinzaglio corto. Anzi cortissimo.

Mail box

 

Distrutta stele di Di Vittorio: un atto vandalico da fascisti

La distruzione della stele commemorativa del comunista Giuseppe Di Vittorio è stata opera di fascisti. Solo dei fascisti possono fare una cosa del genere, proprio nel giorno della commemorazione. Gli autori di questo atto di vandalismo sono il prodotto del rigurgito fascista che attraversa il Paese di cui portano in primo luogo la responsabilità Salvini, Meloni e la stampa berlusconiana che da anni amplifica e riabilita. Di Vittorio è stato il più popolare dirigente delle classi lavoratrici italiane del Novecento, un artefice del riscatto di masse enormi di sfruttati e poveri del Sud, un combattente antifascista, uno dei padri della Costituzione e della nostra democrazia. L’oltraggio alla memoria di un eroe come Di Vittorio ci ricorda che il fascismo fu innanzitutto un regime nemico degli operai, dei braccianti, dei contadini poveri, al servizio degli sfruttatori e dei più ricchi.

Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

 

Al governo con il Pd? Mille volte no: servono punti fermi

Da qualche mese un folla di politologi e politicanti predicano ai 5s con chi dovrebbero fare un governo, estivo, di mezza stagione, di scopo, tecnico o persino di legislatura. Io dico no, mille volte no, per il semplice fatto che il Movimento pur avendo commesso degli errori, in primis il non aver saputo valorizzare alcune buone leggi approvate, è, per costituzione, l’opposto di ciò che sono oggi quei gruppi che si ostinano a chiamarsi partiti. Fa un certo piacere che Beppe Grillo sia tornato a dire la sua circa la situazione italiana, ma credo che sbagli a considerare Salvini il nemico da battere. Il renzismo, chiamiamolo così, è l’altra faccia della medaglia del berlusconismo. In queste settimane c’è chi parla di trasformare il “non partito” (Pd) in partito verde, con sfumature di rosso (LeU, Potere al popolo, Rifondazione) e di azzurro (+Europa, Calenda e altri). Questi personaggi dimenticano di aver spalleggiato Clinton e Obama nei bombardamenti in varie parti del mondo, Blair nei vari scandali e pure Tsipras. Il Movimento se si allea con questi avventurieri rischia di fare la fine dei movimenti della società civile, i girotondini e altri movimenti di protesta degli ultimi trent’anni, ovvero estinguersi dopo pochi mesi. Per accettare una collaborazione con loro bisognerebbe porre alcuni punti fermi: non fare il Tav perché è inaccettabile non solo economicamente, ma anche moralmente e civilmente; ridurre i parlamentari sulla base percentuale della popolazione; e rivedere l’insindacabilità degli atti compiuti dagli eletti alla Camera e al Senato.

Franco Novembrini

 

L’autogol di Matteo e l’accordo sotto banco dei 5S con i dem

Mi sembra che il “capitano” Matteo Salvini abbia fatto un grosso autogol! Ha staccato la spina troppo presto. Questo capita di norma quasi quando un leader si monta la testa e raggiunge l’apice dei consensi (capitò pure a Craxi!). Ormai crede che i leghisti lo seguano ad occhi chiusi, ma non è così. Quasi certamente non si andrà al voto in tempi brevi (non lo vuole neanche Mattarella) e poi tanti parlamentari attendono di superare i 2/3 della legislazione per incassare la pensione e sotto banco il Movimento 5 Stelle sta trovando un accordo con il Pd per portare a casa i cavalli di battaglia, come il taglio dei parlamentari e il salario minimo. Il Pd pur di ritornare a governare e di mettere nell’angolo Salvini e definitivamente Berlusconi, si tapperà il naso e accetterà il diktat di Di Maio.

Rolando Marchi

 

Sos democrazia: riforme costituzionali ed elettorali

Ho letto molti commenti sulla necessità di un governo che salvaguardi la democrazia dai possibili stravolgimenti portati da Salvini e dal centrodestra. Poi, però, ci si limita a proporre governi di qualche mese, al massimo un anno, per tagliare i parlamentari e/o mettere in salvo i conti economici. La legge elettorale proporzionale della prima Repubblica è stata spazzata via sotto la richiesta anch’essa legittima della governabilità. Ciò può riaccadere in qualunque momento e si ritornerebbe punto e a capo. Gli equilibri pensati dai nostri padri costituzionali si basavano su un patto tacito tra le forze costituenti, che prevedeva che le modifiche costituzionali andavano sempre concordate. Infatti, per tutta la prima Repubblica, la Costituzione non è stata mai toccata. Oggi invece non c’è maggioranza che non voglia mettervi mano. Penso che la soluzione sia un governo che abbia come cuore dell’accordo la riforma dell’art 138 della nostra Costituzione. Una modifica che preveda per l’accoglimento delle proposte di modifica una maggioranza dei 2/3 dei parlamentari e che sia rappresentativa di almeno il 60% del voto elettorale, in questo modo si potrebbe togliere anche quella lungaggine della tripla approvazione. In piu’ si potrebbe pensare anche all’inserimento della legge elettorale all’interno della Costituzione in modo da farla finita con i cambiamenti continui al variare delle maggioranze parlamentari. Questo deve essere il cuore dell’accordo tra Pd e M5S

Giuseppe Tassi

Benzina. Il solito salasso di Ferragosto: la promessa mancata del Carroccio

Finalmentedopo un anno di duro lavoro sto per andare in vacanza: tornerò nella mia adorata Enna. Fin qui le belle notizie. Le brutte sono però svariate e, sinceramente, dopo 37 anni che intraprendo ogni 14 agosto il viaggio della speranza da Torino verso la mia città natale (in automobile percorro 1.540 chilometri) non solo mi sono scocciato di restare per ore in coda sulla Salerno-Reggio Calabria; sono soprattutto furibondo perché costretto a pagare svariati pieni di benzina decine di euro in più a causa dell’aumento dei carburante che, guarda caso, si registra sempre in occasione delle festività. Perché nessuno monitora i prezzi dei distributori che si approfittano di questi esodi?

Pietro Cannarozzo

 

Gentile signor Pietro,i prezzi dei carburanti tendono storicamente a salire all’avvicinarsi dei periodi caldi dal punto di vista del traffico trasformandosi in veri salassi per gli automobilisti. Questi giorni, però, la situazione sembra abbastanza tranquilla, complice anche una certa calma del mercato petrolifero internazionale, con il prezzo “consigliato” del diesel a 1,507 euro e della verde a 1,625 euro. Appunto, consigliati. Poi, infatti, come sempre accade, i prezzi dei carburanti sono più alti soprattutto in autostrada. In questo caso meglio fare il pieno prima della partenza e, quando nei lunghi viaggi servono più rabbocchi, meglio consultare i cartelloni presenti in autostrada o i siti Internet di Autostrade e del ministero del Sviluppo economico dove sono riportati i prezzi aggiornati praticati alle pompe. Accortezze da parte dell’automobilista che, tuttavia, nulla possono contro il triste primato italiano: nel mondo si colloca al sesto posto tra i Paesi con il prezzo dei carburanti più alto al mondo, dopo Hong Kong, Barbados, Norvegia, Wallis e Futina e Monaco. A incidere sul conto di un pieno in Italia, come è noto, sono le accise, introdotte nel corso dei decenni per finanziare guerre ormai archiviate nei libri di storia, disastri o ricostruzioni post calamità naturali. Per rendere l’idea le accise rappresentano circa il 60% di quanto paghiamo al distributore ogni volta che facciamo rifornimento, compresa l’Iva al 22%. I “dolori” ci saranno, quindi, se il governo non riuscirà a fermare gli aumenti delle aliquote Iva che scatteranno a partire dal primo gennaio. Intanto Matteo Salvini la sua occasione di mettere un freno alle accise l’ha mancata: lo aveva anche inserito nel contratto di governo. Ma si è reso conto che la coperta (dei conti pubblici) è troppo corta e ha dato priorità all’altra misura, temporanea, a lui cara: Quota 100.

Patrizia De Rubertis

“Porto Greta all’Onu per dare una mano, non sono un simbolo”

La barca si chiama Malizia II, ma non è un omaggio alla commedia sexy e nemmeno, naturalmente, a un deodorante. Bensì al genovese Francesco Grimaldi, che nel lontano 1297 espugnò la rocca di Monaco con uno stratagemma che è anche un calembour (era travestito da monaco). In ricordo di questo episodio venne soprannominato “Malizia”, ossia furbo, come si può leggere nell’iscrizione a lui dedicata nella piazza del palazzo reale del Principato.

La storia ce la racconta un suo lontano discendente che ha diversi nomi di battesimo, è ottavo in linea di successione al trono tra i discendenti di Malizia ma siccome ha sposato la nostra collega Beatrice Borromeo, per noi è semplicemente Pierre: “Ci è sembrato un bel nome per una barca da regata: in gara c’è bisogno di grande concentrazione sempre, e a volte anche di qualche malizia, nel senso buono ovviamente”.

Sistemate le questioni nominali, diremo subito che si salpa oggi da Plymouth, Inghilterra del sud, destinazione N.Y. Pierre e lo skipper Boris Herrmann scorteranno oltreoceano l’attivista svedese Greta Thunberg, accompagnata dal papà Svante e attesa all’Onu per partecipare al summit sul clima. Con loro ci sarà anche Nathan Grossman, il regista che girerà un documentario sulla traversata.

Pierre è vero che tu e Boris dormirete fuori?

È vero solo in parte, nel senso che siamo in cinque a bordo e ci sono quattro brandine: però o io o Boris dovremo sempre essere svegli a turno. Quindi in realtà saremo tutti sistemati. Avremo cibo liofilizzato e…

…niente toilette a bordo…

Abbiamo il secchio, già meglio che in passato quando ci si doveva sporgere dalla barca.

Come è stato l’incontro con Greta?

Lei cercava una barca per attraversare l’oceano e ne aveva viste alcune, solo che utilizzavano tutte una qualche forma di carburante. Così l’abbiamo chiamata per proporle un passaggio a bordo della Malizia II.

Greta è stata molto criticata da che ha lanciato i suoi “Friday for future”, hanno scritto un po’ di tutto su di lei compreso il fatto che la sua battaglia è un business gestito dai genitori. A te com’è sembrata?

Mi ha colpito la quantità di dettagli che ha chiesto. Mi è sembrata una ragazza molto intelligente e determinata. La sua priorità è la sua missione e non si è scomposta più di tanto all’idea di attraversare l’oceano con una barca a vela. Poi sai… è giovane ed è una donna con idee forti in un mondo governato da uomini in là con gli anni. Le critiche sono presto spiegate. Aggiungo una cosa: mi ha fatto sorridere – e pensare – la battuta di un marinaio francese. “Se Greta avesse attraversato l’oceano aggrappata a un tronco d’albero, l’avrebbero accusata di contribuire alla deforestazione”.

Anche tu sei stato criticato: accompagni Greta ma hai una società di elicotteri e prendi aerei per spostarti. Cosa rispondi?

Che non mi pongo come esempio né voglio essere un simbolo: sono solo una persona che cerca di dare una mano, dando visibilità a problemi che ritengo reali per creare una consapevolezza sempre maggiore tra le persone. Creare sistemi di trasporto meno inquinanti dell’aereo o dell’elicottero poi, è un’iniziativa che deve evidentemente partire dai governi, che devono imporre riforme e restrizioni. Aspettarselo dai cittadini secondo me è poco realistico.

Cosa pensi della mobilitazione che coinvolge i ragazzi di tutto il mondo per l’ambiente?

Che è una buona cosa perché la questione ambientale è certamente un’emergenza ed è un bene che se ne parli per sollecitare appunto i governi del mondo. Io non sono uno scienziato e nemmeno un politico, quindi non ho ricette per un tema così complesso, che va dall’inquinamento sia dell’aria che dei mari che dei terreni, al cambiamento climatico, alla deforestazione, allo smaltimento dei rifiuti. Poi è una questione globale, e per questo difficile da affrontare con una soluzione unica anche perché nel mondo convivono culture che hanno approcci diversi all’ambiente.

I giornali hanno scritto che la Malizia II è a impatto zero: cosa vuol dire?

Che è dotata di pannelli solari e di un idrogeneratore con cui carichiamo le batterie che fanno funzionare il computer di bordo e tutte le apparecchiature elettroniche. Con quello funziona anche il mini laboratorio di bordo che fa parte del progetto Malizia Ocean Challenge ed è stato installato un anno fa: preleva campioni di acqua marina e li analizza, li invia tramite il satellite all’Istituto Max Plank e al Centro di ricerca Geomar che poi pubblicano i risultati.

La Fondazione Alberto di Monaco che ruolo ha?

Ci aiuta nella parte scientifica, nel coordinamento delle attività di biologia marina e in generale di ricerca sul mondo dell’acqua che si svolgono a Monaco, dove abbiamo realtà importanti come il Museo oceanografico e il Centro idrografico e c’è una lunga storia di studio e amore per il mare. Con la Fondazione abbiamo una collaborazione per la parte educativa dell’Ocean Challenge, un progetto che coinvolge alcune scuole a Monaco, in Francia e in Germania e raggiunge migliaia di studenti. Mandiamo alle classi un kit educativo. I ragazzi seguono i viaggi della barca e attraverso il materiale che mettiamo a loro disposizione i professori fanno lezione.

È stagione di uragani. Quali sono i pericoli di questa traversata?

Oggi con i dati meteorologici che abbiamo a disposizione, sappiamo che avremo una buona visibilità per i prossimi sette-dieci giorni. Oltre quello è difficile fare previsioni. Ma avremo un meteorologo che ci seguirà quotidianamente, mandandoci immagini satellitari per vedere dove sono le nuvole e controllare se si formano depressioni.

Ci si annoia in barca? Due settimane a guardare l’acqua non sono lunghe?

Sì! Anche se Boris e io avremo molto lavoro per mantenere la barca in buone condizioni. Comunque mi porterò qualche film e qualche libro.

Hai due bimbi piccoli, Stefano e Francesco: ti mancheranno?

Mi mancheranno tantissimo: è veramente l’unica cosa che mi disturba di questo viaggio. Da questo punto di vista è stata una scelta molto difficile.

Ultima domanda: sarà il tuo ultimo viaggio così lungo?

Darò una risposta diplomatica perché mia moglie leggerà l’intervista: l’anno prossimo Malizia II sarà impegnata con il giro del mondo che Boris farà in solitaria. Di certo però è l’ultima volta che lascio i bambini così a lungo.