Pinelli, 50 anni dopo: litigano famiglia e circolo anarchico

Un fragoroso temporale estivo. Una frattura dolorosa. In preparazione del 15 dicembre 2019: cinquantesimo anniversario della morte di Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico entrato vivo nella questura di Milano dopo la strage di piazza Fontana e uscito morto dopo ore di interrogatorio e un volo da una finestra del quarto piano.

La famiglia Pinelli – le due figlie Claudia e Silvia, la moglie Licia – hanno con molti amici lanciato l’idea di organizzare una catena musicale per ricordare l’anarchico e la bomba fascista del 12 dicembre 1969. La proposta: unire piazza Fontana, luogo della strage, a via Fatebenefratelli, sede della Questura, con una catena di persone che fanno musica, per coinvolgere tutta la città nella memoria di quei giorni. I primi a suggerirla sono stati Sergio Casesi (prima tromba dei Pomeriggi musicali), Marco Toro (prima tromba della Scala) e Massimo Marcer. Si sono subito uniti molti musicisti, da Moni Ovadia a Gianfranco Manfredi, da Ricky Gianco ai Gang, fino a Corrado Stajano.

Ma la proposta è per tutti: anche chi non è un professionista della musica – invitano i promotori – porti uno strumento e si unisca a “una manifestazione di pace, di gioia e di speranza per non dimenticare quello che è accaduto”.

“Qualcuno ritiene però che la memoria sia di sua proprietà”, racconta Claudia Pinelli. È stato il Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa – di cui Pinelli era uno dei fondatori – a criticare duramente l’iniziativa: “Catena musicale per Pinelli? No grazie”, ha comunicato il Circolo, “non parteciperemo”: perché l’iniziativa è “povera di contenuti politici”, perché “ha un’impostazione che rasenta il populismo”, perché non ricorda adeguatamente anche l’anarchico Pietro Valpreda, ingiustamente accusato della strage, e perché hanno aderito “soggetti vicini a Forza Italia, come la Fondazione Gaber”. Secondo il Circolo, “Pinelli diventa così una icona muta, un santino. Ci sentiamo in dovere di contrastare iniziative come questa, perché irrispettosa della memoria, e ci chiediamo se per gestirla l’unico titolo valido sia essere le figlie di Giuseppe Pinelli”. Conclusione: il Ponte della Ghisolfa organizzerà il 15 dicembre la sua tradizionale manifestazione, al centro sociale Leoncavallo.

La famiglia Pinelli ha allora spostato la catena musicale al 14 dicembre. Ma non ha nascosto la sua amarezza per un attacco così netto, politico e perfino personale. Ancor più brutale negli interventi sui social. Scrive per esempio un anarchico che si firma Shevek Brady: “Il punto non è la cantata, ma voler fare di Pinelli non un anarchico ma un santino della Milano ‘civile e democratica’ saliana, vedasi in quest’ottica le figlie di Pinelli, che non sono anarchiche, ma sono appunto facce note della sinistra milanese ‘civile e democratica’”.

In tanti hanno reagito stringendosi attorno alle figlie di Pino Pinelli e a loro madre Licia. Ha risposto, tra gli altri, uno dei musicisti che aderiscono alla catena, il cantautore Gianfranco Manfredi: “Qualcuno ha sollevato una miserabile polemica contro la famiglia Pinelli. Si canteranno canzoni tipo Addio Lugano Bella, non tipo Cicale o il Tuca Tuca. Ovviamente parteciperò, come tantissimi altri. E parteciperò con emozione. Eppure qualche babbo spara la sua cazzata: cantano e ballano per un assassinio! Festeggiano a un funerale! Non portano il lutto! Non luttano e non lottano! Sia sufficiente citare l’anarchica Emma Goldman : ‘Una rivoluzione senza ballo non è la mia rivoluzione’. Anche se, nel caso, non balleremo, noi già abbiamo cantato con gioia Comandante Che Guevara infinite volte nel suo ricordo, così come abbiamo cantato We Shall Overcome, tenendoci per mano e sorridenti, in ricordo di Martin Luther King, così come abbiamo cantato Bella Ciao saltando e ridendo in omaggio ai caduti della Resistenza. I luttuosi, i tristi, i moralisti, se ne stiano pure a casa, si considerino pure duri e puri, in solitudine o riuniti in setta: sono e restano semplicemente individui tristi e noiosi, che non capiscono Gioia e rivoluzione e non la capiranno mai”.

Vaticano: “Toninelli, promesse mancate”. Il Mit: “Serve tempo”

Ad un anno dalla tragedia del crollo del ponte di Genova “tante promesse restano mancate”. Lo scrive L’Osservatore Romano sottolineando che “a un mese dal crollo il ministro dei trasporti Danilo Toninelli annunciava la nascita di una task force mai vista fino a oggi per monitorare le infrastrutture nazionali e verificarne lo stato di salute. Non è andata meglio neanche per la creazione della banca dati” utile all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali. “Non si placano le polemiche sulle cause e le responsabilità che per la magistratura si traducono in una montagna di documenti”, scrive ancora il giornale della Santa Sede. Toninelli replica con una nota del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture: “Come tutte le rivoluzione anche questa ha bisogno di tempo. Avevamo promesso un cambio netto di paradigma e lo stiamo realizzando. E nel frattempo non siamo stati fermi. Abbiamo pronto il decreto per la nascita del primo Archivio informatico nazionale delle opere pubbliche”.

Cozzi: “Agenzie terze per fare i controlli, non chi trae profitti”

“Ho chiesto agli americani quale sarebbe potuto essere il sistema diverso” per controllare lo stato di sicurezza del ponte Morandi, la risposta è stata “che ci sono delle agenzie terze e neutrali che controllano ciò che avviene nel sistema” delle infrastrutture. Lo ha affermato il procuratore Francesco Cozzi, titolare dell’inchiesta sul crollo del ponte Morandi, durante lo Speciale del Tg1 alla vigilia del primo anniversario del disastro. “Non è possibile che la decisione sia rimessa a un sistema in cui è chi gestisce e trae profitti dalla gestione dell’infrastruttura la decisione di che cosa fare, quanto spendere, senza che ci sia nessuno che lo possa imporre”, denuncia Cozzi. L’inchiesta della Procura di Genova vede coinvolte 71 persone oltre alle due società Autostrade e Spea. Le accuse, a vario titolo, sono di omicidio colposo plurimo, omicidio stradale colposo, disastro colposo, attentato alla sicurezza dei trasporti e falso. Nei giorni scorsi Cozzi aveva detto: “Il Morandi è morto, come una persona muore di morte naturale, ma ora bisogna appurare se poteva essere salvato, curato. Ed è quello che accerteremo con le indagini”.

Il ricordo imbarazza il governo: all’evento tutti in passerella prima della resa dei conti

La speranza, a questo punto, è che tutti rispettino l’etichetta istituzionale o almeno quel che ne resta. Domani la commemorazione delle vittime del Ponte Morandi a Genova sarà un appuntamento ad alto tasso di commozione, ma anche di potenziale imbarazzo.

Perché il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, arriverà in città di buon mattino per salutare i 180 familiari di chi ha perso la vita un anno fa nel crollo. Ma il cerimoniale prevede anche una delegazione nutrita del governo guidato da Giuseppe Conte. E probabilmente il premier dovrà prendere posto proprio accanto al suo vice Matteo Salvini che vuole la sua testa a tal punto da preannunciare il ritiro dei ministri leghisti dal governo per provocare la resa del premier e costringerlo alle dimissioni.

E in questo scenario apocalittico per l’esecutivo potrebbero comunque ritrovarsi a Genova Salvini, Conte e pure Di Maio che avrà il conforto di aver al suo fianco gli altri ministri del Movimento 5 Stelle, a partire dal titolare delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, quello della Difesa, Elisabetta Trenta, dell’Ambiente Sergio Costa: da tempo tutti rigorosamente nella lista nera del capo della Lega. E del resto pure il Guardasigilli Alfonso Bonafede, anche lui a Genova, non è esattamente nelle simpatie di Salvini, dopo aver presentato una riforma della giustizia indigeribile per la Lega. Non che il ministro Erika Stefani (che ha curato per il Carroccio il dossier sulle autonomie) sia ben vista dai grillini, anzi. Per fortuna che a fare da cuscinetto ci saranno Giovanni Tria, ministro dell’Economia (finito nei mesi scorsi sulla graticola delle critiche tanto della Lega che dei grillini) e i ministri degli Esteri e dei Beni culturali, Moavero Milanesi e Alberto Bonisoli.

Il cerimoniale quirinalizio dovrà disporre nelle prossime ore l’assegnazione dei posti riservati a familiari e autorità (queste ultime circa 200 in tutto) che presenzieranno all’evento sotto il capannone allestito a ridosso del pilone 9 in corso di costruzione.

Quel che è certo è che la Messa affidata al cardinale Angelo Bagnasco e la preghiera islamica dell’Imam della città non basteranno a ricomporre il divorzio all’interno dell’esecutivo e a stemperare le tensioni in attesa della formalizzazione della resa dei conti finale. Stando al programma gli uomini e le donne del governo Conte trascorreranno la mattinata insieme, se non proprio appassionatamente, a Genova.

Mattarella arriverà nell’area del cantiere alle 9.50 dove sarà accolto dal sindaco Marco Bucci e dalla struttura commissariale incaricata di realizzare il nuovo viadotto. Ad attenderlo anche il governatore ligure Giovanni Toti che interverrà per dire qualche parola, così come il primo cittadino, dopo la Messa. Il cronoprogramma potrebbe prevedere anche un intervento del presidente del consiglio e del capo dello Stato. Poi tutti a Roma per fare i conti.

“Cerchiamo di tenere a bada la bestia che abbiamo dentro”

Davide, Egle, Mimma. Decine di altre persone. Sono i sopravvissuti, i parenti di chi non c’è più, gli sfollati. Vivevano a Genova, in giro per l’Italia, in Francia. Non sapevano nulla uno dell’altro, ma il 14 agosto 2018 le loro esistenze si sono intrecciate. E oggi stanno riprendendo a vivere, come si riesce. Aspettando giustizia e risposte. Ma in fondo c’è una domanda che non può avere risposta: perché proprio noi? Davide che il 14 agosto 2018 è volato nel vuoto con la sua Volkswagen; Egle che ha perso la sorella, due nipoti e il cognato. E Mimma che fu costretta a lasciare la casa dove viveva da sessant’anni.

Agosto 2019: sono le sette di mattina quando a Savona Davide si sveglia nella sua casa per andare a Genova dove fa il vigile del fuoco. Alla stessa ora Egle si prepara la colazione nel suo appartamento di Pinerolo: la caffettiera, la tazzina sul tavolo; fuori Torino e la campagna arroventata dal caldo. Il primo pensiero sono sempre loro: “Mia sorella, i miei nipoti, mio cognato. Appena apro gli occhi li vedo. È qualcosa di fisico, una fitta qui… è come se davvero mi avessero portato via una parte del cuore con un bisturi”. Egle si prepara veloce, come se una fretta inspiegabile la muovesse: “Appena è successo non riuscivo più a entrare in casa. Odiavo questo posto, ogni cosa mi procurava sofferenza. A volte sento che mi manca il tempo per pensare a loro, ma è stata forse la salvezza: il lavoro, i genitori da aiutare, perfino il processo”. E allora corre in ufficio, la trovi sempre lì quando la cerchi. Ma fuggire è inutile: “Vicino al computer ho una foto di mia sorella, un cappellino e un pupazzo dei miei nipoti”. E anche quando credi di essere al riparo dal dolore quello ti entra dentro senza che tu possa difenderti: “Ieri ero in auto sull’autostrada. Mi sentivo quasi tranquilla, ma all’improvviso la radio ha trasmesso ‘Poetica’ di Cesare Cremonini che mia sorella aveva fatto suonare al matrimonio, e io mi sono messa a piangere. Da un anno non ho avuto un secondo di serenità”. Ma bisogna ricominciare, senza dimenticare: “Quando abitavo in via Porro – racconta Mimma – il primo gesto ogni mattina era sollevare le tapparelle e cercare un po’ di luce. Vedevo il ponte e le colline dell’entroterra”. Oggi Mimma vive nel centro storico, accanto alla chiesa del Carmine dove cominciò il suo percorso don Andrea Gallo. Appena si sveglia ascolta la radio. La musica arriva da quel mobile costruito dal padre di Mimma: “È un radiobar che se lo apri ci trovi la radio e le bottiglie. Sono riuscita a salvarlo. Quando perdi la casa, il tuo mondo, gli oggetti sono importanti”.

La memoria e il futuro. Davide è tornato a prestare servizio nel pronto intervento. Accorre quando qualcuno – come fece lui il 14 agosto 2019 – chiama i vigili del fuoco e chiede aiuto. Finito il lavoro lo trovi a Voltri, in un campetto a pochi chilometri dal ponte. Allena i giovani portieri del Genoa: “È il ruolo più difficile. Devono saper parare e vincere. Ma ancor prima elaborare l’errore e il dolore, riuscire a lasciarseli alle spalle perché fanno parte del gioco e della vita”, spiega. Davide come Mimma che il pomeriggio torna in Valpolcevera. Quella valle che il poeta Adriano Guerrini raccontava così: “Squallida e cara/ bellezza, collina scesa a morire/ tra le case, le fabbriche, i muri,/ gli enormi tubi lungo il fiume,/ gli autotreni, un orto sparuto”. Intorno case senza ornamenti, a volte senza colore. E proprio per questo belle, perché sono soltanto case, rifugi. Periferia operaia anche oggi che di operai non ce ne sono più molti, ma del passato resistono la solidarietà, il bisogno di incontrarsi. Qui dove qualcuno dice: “Siamo tutti sopravvissuti, perché sopra o sotto quel ponte ci passavamo ogni giorno”. La Valpolcevera che per la prima volta in questi mesi vede il cielo sopra la propria testa. Un attimo, presto arriverà il nuovo ponte. Ma come sarà il futuro di Davide, Egle, Mimma e di tutti i superstiti? “A fine agosto – racconta Mimma – il comitato degli sfollati si scioglierà. Nascerà un’associazione che dovrà anche gestire parte dei fondi che abbiamo raccolto; non andranno più a noi, ma a progetti per il quartiere”. Il primo dovrebbe essere la biblioteca per la scuola. Già, come dice Egle, “dobbiamo cercare di fare in modo che perfino da questo dolore nasca qualcosa di bello. Noi, a casa nostra in Piemonte, vorremmo recuperare con il Cai il sentiero fino al rifugio Casa Canada”.

Ci si impegna, si vive: “Bisogna onorare la memoria, con rispetto”, racconta Egle che sta preparando il discorso da tenere alla commemoriazione di domani. Ma è dura: “La psicologa dice che abbiamo una bestia dentro e dobbiamo cercare di tenerla a bada”. Facile a dirsi, ma poi arriva la notte. Il buio. E la bestia scalcia: “Io di fede non ne avevo molta, ma dopo quello che è successo… devo dire che è crollata ancora”. Si gira nel letto Egle cercando di dormire. Forse alla stessa ora nella sua casa anche Davide cerca il sonno: “Non sogno il ponte, ma la caduta. Ho sognato che ero in porto con l’auto e all’improvviso volavo giù dalla banchina, finivo in mare”.

Genova, bonus post-crollo a professionisti e soliti noti

“Gente d’altri paraggi”. Ce n’è tanta, nel senso inteso da Fabrizio De Andrè, a scorrer gli elenchi, appena pubblicati dal ministero dello Sviluppo Economico, dei beneficiari delle agevolazioni fiscali previste dall’articolo 8 del decreto Genova. Si tratta di detrazioni applicabili alle dichiarazioni reddituali 2018 e 2019 da imprese, lavoratori autonomi e professionisti con sede nella cosiddetta Zona Franca Urbana. Che il commissario per l’emergenza Morandi, il governatore Giovanni Toti, ha esteso a tutto il Ponente cittadino (oltre i confini comunali), la zona più colpita dagli effetti del crollo. Ma pure ai Municipi che comprendono il centro di Genova. Dove si trovano, fra l’altro, i maggiori studi professionali del capoluogo.

Ecco quindi spuntare, tornando al cantautore, il prestigioso studio legale appartenuto al fratello, che usufruirà di un’agevolazione da 200 mila euro (il massimo previsto). “Come per tutte le norme emergenziali, i criteri sono di difficile elaborazione e discutibili. Noi abbiamo patito effetti indiretti del crollo, ma avevamo i requisiti e abbiamo fatto domanda”, commenta Ariel Dello Strologo, uno degli associati, avvocato di peso in città, particolarmente apprezzato dalle giunte di centrosinistra. Più evasivo – “ci siamo rimessi alle valutazioni del legislatore” – il collega Riccardo Maoli, neoconsigliere dell’Ordine, ricercato soprattutto dalle amministrazioni di centrodestra, anch’egli beneficiario di 200 mila euro. A spiegare qualcosa in più sul nesso fra il crollo del ponte e il calo del 25% del fatturato registrato da molti professionisti fra Ferragosto e fine settembre 2018 (l’altro requisito per l’agevolazione) prova Antonio Sibilla, ingegnere fra i fondatori dell’omonimo studio (113 mila euro di bonus), gotha dell’architettura genovese: “Abbiamo molti cantieri nel Ponente, presso cui andiamo 2-3 volte a settimana scontando i disagi determinati dall’incidente: normale che il 2018 sia andato peggio degli anni precedenti. C’era una possibilità di legge e l’abbiamo colta”.

Numerosi nell’elenco i commercialisti. Fra essi anche chi (studio in centro e 200 mila euro di detrazione) dietro anonimato ammette “i dubbi sull’equità della norma, per noi e per molti clienti. La temporalità ridotta a 45 giorni non tiene conto dei trend di attività precedenti e seguenti l’incidente. E premia chi ha fatturato anche pochi giorni dopo per banali ragioni di fortuna”. O di lungimiranza nell’attendere che il decreto Genova accogliesse il peana di Toti e dei suoi corifei (Cciaa, Confindustria, etc) e fissasse i suddetti termini lassi al criterio del gap di fatturato, in uso dal sisma emiliano per coprire i danni indiretti di catastrofi naturali e simili. “Comunque non potremo usufruire di tutta l’agevolazione” chiude il professionista, svelando un altro inghippo della norma che finirà col premiare le attività più ricche. Le detrazioni infatti sono applicabili solo in due periodi di imposta. Siccome riguardano Irpeg, Irap, imposte municipali e i contributi dei dipendenti, solo le società che fatturano molto e hanno tanti dipendenti riusciranno a beneficiarne appieno.

Difficile riescano a farlo artigiani e piccoli esercenti dell’elenco. Che pure risultano beneficiari di forti agevolazioni, malgrado redditi medio-bassi. A Paolo Drago, ad esempio, idraulico e consigliere municipale del M5S, 20-25 mila euro di reddito annuo, spetterebbero oltre 120 mila euro di detrazioni: “Non so spiegarlo – dice il suo commercialista Diego Parodi – ma è senz’altro un errore di chi ha fatto i conti”. Non isolato e forse non casuale però.

L’agevolazione media per i 425 beneficiari è di 144 mila euro per un ammontare complessivo di 61,2 milioni di euro. Come visto, malgrado i professionisti del centro (e le cliniche veterinarie, le agenzie investigative, gli agenti immobiliari, i fornitori alimentari all’ingrosso e altre stranezze, come il ristorante MOG-PRG, inaugurato nel maggio 2019), saranno per lo più inservibili e comunque lontani dai 110 milioni stanziati per la misura. Ma preziosissimi per il consenso di chi, delineato a macerie ancora calde un quadro apocalittico (da cui le sproporzioni di cui sopra), ha traguardato le Regionali del prossimo anno, drenando alle normalmente parche finanze centrali risorse mai viste a Genova. Quanto poi il legame coll’incidente sia solido, per questa come per altre misure di Toti e del commissario per la ricostruzione Marco Bucci e finanziate da tutti i cittadini italiani, nei palazzi genovesi, istituzionali e non, sembra interessare poco.

Ong, 500 migranti in mare. Viminale: “I porti sono chiusi”

Nella totale indifferenza dell’Europa e dell’Italia, la prima incapace di mettere a punto una strategia comune per gestire gli sbarchi e la seconda alle prese con la crisi elettorale balneare, le navi delle ong continuano a salvare migranti: ora sono più di 500 a bordo della Open Arms e della Ocean Viking. Una situazione di stallo totale visto che Matteo Salvini ha ribadito la chiusura dei porti italiani e nessun altro paese si è detto disponibile a far sbarcare le persone, alcune delle quali sono in mare da ormai 11 giorni. L’ultimo salvataggio è stato effettuato nel pomeriggio dalla Ocean Viking, la nave battente bandiera norvegese delle ong Sos Mediterranee e Medici senza Frontiere che aveva già a bordo 250 persone soccorse in tre diversi interventi negli ultimi giorni. Sulla nave sono ora in 356, di cui 103 minori, alcuni dei quali di 5-6 anni mentre il più piccolo ha un anno. E le condizioni non sono delle migliori, con persone che in Libia sono state torturate con scosse elettriche e bruciate con plastica fusa. Una condizione identica a quella dei 151 a bordo di Open Arms, la nave della ong catalana che da 11 giorni naviga al largo di Lampedusa: “L’Italia ci impedisce di avvicinarci a Lampedusa, Malta ha negato autorizzazione a entrare in acque territoriali per ripararci. Abbiamo a bordo 151 persone con bambini piccoli. Vergogna”. E con la ong, dopo Richard Gere e Antonio Banderas, si schiera un’altra star del cinema, Javier Bardem (in foto): “L’Europa si impegni a far sbarcare le persone a bordo e salvi così la sua dignità, Open Arms sta facendo un lavoro straordinario e necessario per salvare la vita di persone che scappano da situazioni che noi non possiamo neanche immaginare, con l’unico obiettivo di dare un futuro ai propri figli”. Parole che non intimoriscono il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini: “Ribadiamo l’assoluto divieto di ingresso nelle acque italiane: 350 sono su una nave con bandiera norvegese di una ong francese, 150 sono su una nave spagnola di una ong spagnola, si aprano i porti di Francia, Spagna e Norvegia”. Ma il ministro nulla può con i migranti che arrivano autonomamente con imbarcazioni di fortuna senza bisogno di essere soccorsi, nonostante i divieti: 55 sono sbarcati a Crotone con una barca a vela, 14 sono arrivati su una barchetta a Lampedusa, un’altra ventina sulla spiaggia di Sciacca. Per tutti loro, i porti restano aperti.

Borgonzoni e Ceccardi, le due “Kessler” della Lega per prendere il “pianeta rosso”

“Lucia e Susanna? Sono le gemelle Kessler della Lega”. Certo, il parere è quello dei colleghi, ma quando si accosta il nome di Lucia Borgonzoni a quello di Susanna Ceccardi, il concetto è sempre quello: sono “identiche”. Bolognese una, pisana l’altra ma una genesi in comune: entrambe provenienti da due famiglie di sinistra (“il fratello di mio nonno era un partigiano e fu ucciso dai fascisti della X Mas, in casa mia la tessera di An non poteva entrare”, aveva raccontato una volta la Ceccardi), poi sono passate dall’altra parte della barricata. Entrambe partite dal basso, dalle periferie di Emilia Romagna e Toscana, due terre un tempo presidiate dal Partito Comunista dove non comprarel’Unitàtutte le domeniche era una bestemmia. Poi sono arrivate loro, Lucia e Susanna e hanno iniziato a girare i quartieri, i mercati e ad ascoltare rispettivamente i bolognesi e i pisani. “Abbiamo preso il posto di quello che in Toscana faceva il Pci – racconta Ceccardi – oggi, nel metodo di fare politica, ne siamo gli eredi”. Mentre a Roma la Lega faceva ancora la stampella a Berlusconi-Tremonti, loro sul territorio dichiaravano guerra alla micro-delinquenza, agli immigrati e ai venditori abusivi. T-R-T, le parole d’ordine teorizzate da Ceccardi nel suo Il popolo di Salvini. La Lega Nord fra vecchia e nuova militanza (2016): Territorio, Rete e Televisione. Bum, colpito. In molti le bollavano come “fasciste” ma, grazie a quel lavoro certosino, nel 2011 furono elette nei consigli comunali rispettivamente di Bologna e Cascina (Pisa). La famosa “gavetta”. Necessaria per arrivare alle stanze dei bottoni: Borgonzoni, nonostante il vanto di “non aver letto un libro per tre anni”, da un anno è sottosegretario ai Beni Culturali per volontà del capo mentre Ceccardi dal 2016 ha accumulato poltrone su poltrone: sindaca di Cascina, segretaria toscana della Lega, consigliera di Salvini al Viminale e da maggio parlamentare europea (48mila preferenze nel collegio dell’Italia centrale, seconda solo al capo). Ora entrambe si preparano a combattere una battaglia un tempo impensabile: le regionali in Emilia Romagna (tra dicembre e gennaio) e Toscana (maggio prossimo).

Borgonzoni è stata lanciata dal Capitano in persona dal Papeete Beach e ha già iniziato la campagna elettorale per sconfiggere il Pd di Stefano Bonaccini. Parole d’ordine: cavalcare il caso Bibbiano e la rabbia contro i nomadi. Ceccardi invece dovrà scontrarsi con le diffidenze degli alleati (Forza Italia e Fratelli d’Italia) che, dopo le sconfitte alle comunali di Firenze, Prato e Livorno, non si fidano più della “zarina” di Cascina. Lei, dopo aver lanciato la sua candidatura da ormai un anno, ora è più cauta (“Non abbiamo ancora deciso il nome”, dice) ma allo stesso tempo lancia un guanto di sfida ai dissidenti interni e agli alleati: “Spero che si possa trovare un nome migliore del mio… ma nel frattempo sono a disposizione”. Provate a sfidarmi, poi vediamo chi la spunta. I toni e la propaganda sui social delle due sono sempre gli stessi: “ruspe” per i rom, “via i clandestini” e guerra alla “islamizzazione dell’Europa”. Qualche tempo fa, Ceccardi dette in pasto ai suoi follower una foto con una pistola in pugno e una didascalia: “La difesa è sempre legittima. Ma se non impari a sparare, è inutile qualsiasi legge”. Poi rincarò la dose pubblicando un Ak-47: “Meglio questo”. Poi ci sono le differenze: Borgonzoni, anche grazie alla maggiore esperienza amministrativa, è più pragmatica ma non è ancora riuscita ad entrare nel “cerchio magico” di Salvini mentre Ceccardi è più istintiva. Per capirlo, basta un aneddoto sulle loro ospitate tv: “Borgonzoni è grintosa ma sempre preparata – racconta alFattouno spin doctor del Carroccio – Ceccardi invece guarda costantemente il telefono per capire se può trovare uno spunto sui social su campi rom e immigrazione. Sono due facce della stessa medaglia”. Se però riusciranno entrambe nella “missione” in nome di Matteo, è tutta un’altra storia.

Matteo, il mojito e la supervisione del re del Papeete

Matteo è impegnato con l’acqua party. E noi nel punto esatto dell’atteso sbarco del leader: il bancone del mojito. “È un nuovo modo di approcciare, pancia con la pancia della gente, mano sua con la mano tua. Salvini è un capolavoro della natura politica, un essere umano straordinario che fa restare increduli. Non lo si conosce ancora, come ho la fortuna io da tanti anni”. All’incrocio tra artificieri, cinofili e una pattuglia di bambini col Calippo, si erge la figura di Massimo Casanova, il co-pianificatore dell’avventura balneare, proprietario del Papeete, il marchio di fabbrica che regala il comizio al ritmo del cha cha cha, che fa evolvere la baciata, il ballo del sentimento arroventato, in un proficuo scambio politico.

“Salvini è il meglio, il più grande, il più onesto. Facevamo le ferie insieme, ci divertivamo insieme da amici, e ora, insieme, siamo qua. Ho accettato di candidarmi solo perché me l’ha chiesto lui. Sono eurodeputato da tre mesi e il popolo freme. L’Italia sta esplodendo, chi non lo capisce allora non capisce Salvini, la sua fretta di far tornare a camminare un Paese che è a un passo dal baratro. Lo capisci che le tasse ci strangolano? Se questa signora facesse tutti gli scontrini, addio stabilimento balneare”. “Vero, verissimo. Non ne possiamo più”, restituisce con un sorriso il sentimento di amicizia che Casanova, capo della corrente edonista della Lega, le ha appena mostrato. Matteo, per una straordinaria e involontaria condizione marina si ritrova, all’imbocco del corridoio che deve portarlo al bagnasciuga e poi al mojito, con una coscia abbronzatissima all’altezza del capo. La foto ricordo, il selfie collettivo è straordinario: 7 donne, giovani e anche più mature, se lo accaparrano. Una di esse è in dolce attesa. “Hai mai visto un possibile capo del governo così?”. Casanova riflette: “Se il popolo è in acqua, tu leader fai un tuffo e lo raggiungi”.

Ora il popolo è in acqua, il battaglione dei carabinieri del distaccamento di Crotone, che qui hanno parecchie conoscenze, essendo Isola di Capo Rizzuto punto di snodo cruciale per le indagini sulle famiglie della ‘ndrangheta, sono all’asciutto per evitare che al leader siano fatti sgarbi. Gli attivisti, devitalizzati dalle impraticabili via di fuga ed esposti all’accerchiamento e all’ammonimento, fanno isolate incursioni. “Cornutoooo!”, ma sono grida isolate. La protesta vera ha per teatro le piazze di Soverato, Catania e Siracusa. Qui è crocevia dello stupore, assemblaggio di un ceto politico locale neo leghista incravattato e immobile. Come fiaccato da questa rivoluzione estetica. “Io ero di Forza Italia, impegnato a dare una prospettiva alla Calabria. E che si è visto? Niente. Vent’anni e le stesse facce. Che delusione Berlusconi”. Il suo nome, scusi? “Preferisco di no, ho passato già tanti guai”. Il giovane e prudente politico prova a spiegare il da farsi: “Votare Lega, e vedere cosa succede. Da noi si fa la prova dell’anguria. Si assaggia prima di acquistarla. I Cinquestelle non sono buoni”. “Salvini, devi togliere il reddito di cittadinanza, basta fannulloni a nostre spese”, ingiunge una bagnante a pelo d’acqua. La strada verso il mojito è frenata da intoppi ideologici. Il bancone del mojito è ben frequentato, d’altronde il mare è straordinario e il piccolo golfo chiuso a Nord dal Castello aragonese è perla luccicante. Si avvicina Cataldo Calabretta, avvocato, la cui piattaforma logistica è la Rai. Aiuta gli artisti nella stipula dei contratti. E lui c’è. Tra i tanti anche Elisa Isoardi, ex fiamma di Salvini. “Mi trovavo da queste parti e ho fatto un salto. Nulla di impegnativo e di coinvolgente. Stasera sarò a premiare Cottarelli, per capirci. Certo che questa spiaggia fa riflettere”. Vuoi l’anguria? Il caffè? Lei a lui: “Voglio una foto con Salvini”. “E allora amore aspetta”. Aspetta anche il milite, in qualche modo ignoto, che chiede sottovoce al compagno napoletano d’armi e di sventura: “Sta iacovella quann frnisc (questa sceneggiata quando finisce?)”.

Sullo spettacolo, e anzi sulle qualità di un uomo di spettacolo la parola a Giampiero Malena, che in anni lontani seguiva le performance di Grillo. “Conosco Massimo Casanova e per salutarlo sono venuto qui. Grillo però era insuperabile, una cosa mai vista, irraggiungibile”. Salvini intanto è stretto ai fianchi e dà il via alle esperienze sensoriali: papà più bimba con gelato al cioccolato. Foto. Mamma con gli zatteroni. Foto. Mamma con pancione. Foto. Donna arrabbiata: “Sei un venduto ci hai tradito”. Niente foto. Ragazzo Cinquestelle: “Hai fermato la rivoluzione”. Niente foto. “Mi fate prendere una boccata d’aria? Sono abbrustolito”, implora Matteo. Ecco finalmente il mojito. Lui beve, e tutt’intorno un unico clic. L’onorevole Casanova, dall’alto del suo Papeete, lo ripete: “È un grande. A lui vanno dati pieni poteri”.

Condoni, cemento e giudici: ora Salvini è il nuovo Silvio

La capacità mediatica è simile, la passione rossonera è identica, il successo politico (ancora) no. Ma Matteo Salvini studia sempre più da Silvio Berlusconi, l’alleato ferito che ora è pronto a riabbracciare Matteo in vista di elezioni anticipate. La tentazione del vicepremier è durata qualche giorno: candidarsi da solo e tentare il cappotto nei collegi maggioritari, garantendosi mani libere in un governo monocolore. Nelle ultime ore però Salvini sembra esser tornato all’antico, facendo filtrare – e poi confermando in un’intervista al Giornale, cioè a Silvio – la volontà di recuperare un centrodestra con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. La linea dovrebbe esser confermata oggi in un incontro proprio tra Salvini e Berlusconi.. D’altra parte gli equilibri interni sono ribaltati – il Carroccio è sopra il 30 per cento, la Meloni ha superato i forzisti – ma temi, ambizioni e persino linguaggio del centrodestra sono gli stessi di quando Berlusconi reggeva la coalizione. Persino sul Milan i due leader si somigliano: finita l’era berlusconiana, ora è Salvini a sparare sugli allenatori. E se c’è accordo sul calcio, materia opinabile per eccellenza, figurarsi sul resto.

Tasse.L’altro giorno il ministro dell’Interno, in pieno tour delle spiagge, ha decantato la sua idea di manovra: “Tasse ridotte al 15 per cento per milioni di lavoratori italiani, pace fiscale con Equitalia, grandi opere, nessun aumento dell’Iva ma riduzione delle tasse sulla casa”. Sembra di rileggere Silvio. Nell’ultima campagna elettorale, fiutando l’aria, anche Berlusconi si era convertito al mantra della flat tax, ma quello dell’abbassamento delle tasse è un suo vecchio pallino, evidentemente inesaudito nonostante nove anni a Palazzo Chigi. Basti ricordare il contratto di governo siglato nel 2001 – con effetto scenico che il Salvini di oggi di certo invidierebbe – durante Porta a Porta, che al primo punto metteva “l’abbattimento della pressione fiscale”.

Condoni. Figurarsi poi se non è berlusconiano il riferimento al condono – pardon, pace fiscale – per qualche milione di italiani. Salvini era come segretario provinciale della Provincia di Milano quando, nel 2003, Silvio varava il primo condono fiscale e edilizio. Sei anni dopo Salvini sbarcava in Parlamento e Berlusconi replicava, questa volta sotto forma di scudo fiscale per chi aveva capitali non dichiarati all’estero. Tutto materiale di studio per la nuova Lega.

La casa. Era una delle formule magiche di B., quelle ripetute durante ogni comizio: “La casa è il pilastro su cui ogni famiglia ha il diritto di costruire il proprio futuro”. E di conseguenza l’eliminazione dell’Ici, Imu o di qualunque fosse la tassa sulla casa era battaglia politica e mediatica, tanto da meritare l’annuncio ad effetto (“Aboliremo l’Ici) di Silvio nell’ultimo minuto del confronto tv con Romano Prodi.

La giustizia. Settimana scorsa Salvini si è scagliato contro i giudici del Tribunale di Bologna, rèi di aver dichiaro inammissibile un ricorso del Viminale riguardo all’iscrizione all’anagrafe di una migrante armena: “Altra sentenza a favore degli immigrati. Il prossimo governo dovrà fare una vera riforma della Giustizia, non viviamo in una Repubblica giudiziaria”. Anche qui, il passaggio è solo dai giudici “comunisti” a quelli “buonisti”, ammesso che il vicepremier non li intenda come sinonimi. E che cosa prevedrebbe questa riforma? Di certo una stretta sulle intercettazioni, come da dichiarazioni della ministra Giulia Bongiorno, e la separazione delle carriere dei magistrati, altro tormentone dell’era berlusconiana. Per non parlare della già annunciata volontà di superare i reati di abuso d’ufficio e di danno erariale, “come chiedono tutte le parti sociali” (Salvini dixit).

Grandi opere. Come dimostra il Tav, quando c’è “da fare”, Lega e FI fanno. È “l’Italia del Sì”, grida Salvini, fiero continuatore del “centrodestra del sì” a tutto: al G8 alla Maddalena (centinaia di milioni di euro di sprechi e un processo sugli appalti), al Mose di Venezia (“Risolti tutti i dubbi, sorgerà nel 2011”, diceva Berlusconi nel 2005) e ovviamente alla “madre di tutte le infrastrutture”, come la definì Totò Cuffaro, ovvero il Ponte sullo Stretto di Messina. Un grande classico tornato di moda nell’eloquio di Salvini: “Venendo in Sicilia ho preso il traghetto e parlato coi lavoratori e coi passeggeri. Diciamo che nel futuro bisogna collegare la Sicilia con la terraferma molto più velocemente. Non faccio l’architetto, ma sicuramente oggi la situazione non funziona”. E allora, via col cemento.