Sono bastate le recenti vittorie elettorali in Europa perché la socialdemocrazia, in crisi, sia considerata in via di “rinascita”. Malgrado le pesanti responsabilità e le molte divisioni. Ha ancora qualcosa da offrire alla sinistra sul fronte sociale ed ecologico? Abbiamo chiesto il parere di Pervenche Berès e Emmanuel Maurel. La prima, responsabile del Partito socialista francese (PS) e a lungo vicina a Laurent Fabius, segue questioni economiche e monetarie. Il secondo, deputato europeo nel 2014 in una lista socialista, è stato riletto quest’anno per la France Insoumise, tra i banchi della sinistra radicale (GUE/NGL). Li abbiamo incontrati due giorni dopo la sconfitta elettorale di Syriza in Grecia.
Ritenete che la socialdemocrazia sia responsabile del fallimento del partito di Tsipras, che contestava il principio europeo dell’austerità?Pervenche Berès. È stata una sconfitta annunciata, dannosa per la Grecia e per l’Europa. Syriza era tra le voci progressiste, uno dei partner possibili per la crescita della socialdemocrazia. Si condividevano idee su economia, accoglienza ai migranti e Stato di diritto. In Grecia, come in molti altri Paesi, sono stati i mercati a decidere e Tsipras si è dovuto adeguare.
Emmanuel Maurel.Quanto sta accadendo è drammatico: il ritorno al potere delle vecchie oligarchie responsabili della crisi. Tsipras piaceva ai socialdemocratici, ma solo dopo che si è trovato con le spalle al muro e si è comportato da “bravo scolaretto”. Tutti sono stati ipocriti, François Hollande in testa. Più in generale, i leader dell’Unione europea (UE) hanno una responsabilità storica: bisognava creare un precedente, annientare una forza politica nuova che sfidava i fondamenti macroeconomici dell’UE. Ero un giovane deputato europeo: come la crisi greca è stata gestita – “o ti sottometti o ti dimetti” – è stato un trauma.
P.B. La Grecia è stata un laboratorio per molte cose, comprese le ingerenze di JeanClaude Juncker, allora presidente della Commissione europea, al momento delle elezioni. Ma non si è imparato nulla. Non si è fatto nulla contro la formazione di profondi squilibri e ancora adesso non abbiamo strumenti per correggerli, mentre il costo di un’eventuale uscita dall’euro è fuori dalla nostra portata.
La socialdemocrazia dovrebbe cercare e promuovere questi strumenti. Può farcela se è unita, mentre alcuni leader fanno parte di una lega anseatica (Paesi Bassi, Finlandia, ecc.) per la quale persino Macron va troppo lontano sulla via della solidarietà?E.M. Le culture politiche nazionali sono decisive. È più facile trovare punti in comune con la destra gollista che le socialdemocrazie dei Paesi baltici. Ma i partiti socialdemocratici europei condividono tutti una cosa: la rinuncia ad un cambiamento sociale radicale. La socialdemocrazia nasce sul conflitto tra lavoro e capitale, strappando compromessi per favorire il lavoro, ma ha abbandonato la lotta. Alla fine degli anni ’90, quando aveva la maggioranza nell’UE, ha persino favorito la globalizzazione. Il socialismo francese, costruito sulla lotta di classe e sulla Repubblica, ha resistito a lungo. Il mandato di François Hollande, con la riforma del lavoro e la proposta sulla privazione della cittadinanza, ha polverizzato ciò che rimaneva di questa tradizione: per me, il drammatico finale di una storia che ha comunque portato successi e risultati.
P.B.Per quanto mi riguarda, bisogna risalire al 1989. All’epoca non capivamo che stavamo diventando complici di un capitalismo finanziarizzato e di una globalizzazione basata sull’iniquità degli scambi. Sulla carta, i nostri valori sono belli e giusti, ma abbiamo perso la credibilità per poter incarnare un’alternativa.
Sentendola parlare, Emmanuel Maurel, mi chiedo se aderisce ancora ai valori che la socialdemocrazia avrebbe tradito o se invece rimette in discussione la pertinenza storica di questa famiglia politica… E.M. Sento di appartenere a una famiglia che si riconosce nei fondamenti del marxismo e crede nella conflittualità di classe; famiglia nella quale ho scelto di entrare, combattendo per più democrazia e redistribuzione delle ricchezze. Ma, da diversi decenni, c’è una versione socialdemocratica del neoliberismo. Tutto qui. La cosa, secondo me, è legata alla sparizione della questione sociale anche nel progressismo americano, che è limitato alle rivendicazioni dei diritti e ha rinunciato al conflitto di classe. È tempo di voltare pagina, anche se mi sento sempre un socialista.
P.B. Da sottolineare alcuni recenti successi della socialdemocrazia in Europa, legati al ritorno della questione sociale, come Pedro Sánchez in Spagna. La socialdemocrazia può ricostruirsi a partire da qui. Ci dobbiamo lavorare in Europa e in Francia.
In Spagna, Portogallo e in Finlandia, i socialdemocratici stanno adottando budget in contrasto con l’austerità. Sono dunque in grado di attuare politiche diverse?E.M. Nel sud dell’Europa, la violenza sociale della destra ha generato, nella società, un istinto di sopravvivenza e il desiderio di ripristinare salari e spese tagliate. È un ritorno all’equilibrio, ma non ci sono riforme strutturali.
P.B. Non sono d’accordo. Questi eventi dimostrano come l’alternativa sociale possa vincere. Sull’assenza di riforme strutturali, bisogna notare che i primi ministri Sánchez (in Spagna) e Costa (in Portogallo) sono favorevoli a un’alleanza che vada fino a Emmanuel Macron purché si superi il patto di stabilità così com’è oggi! Il loro entourage sostiene progetti di riforma della zona euro che sarei pronto ad avallare.
E.M. Non mi riferivo necessariamente alla riforma del patto di stabilità. Anche a destra ci si rende conto che le politiche macroeconomiche dell’UE portano al disastro. Per me, il cuore della battaglia è la riforma del diritto del lavoro, a sostegno dei lavoratori. E Sánchez e Costa, seppur meglio dei predecessori, non offrono progressi significativi su questo fronte. Perciò il mandato di Hollande è stato vissuto in modo così drammatico: Hollande, con la riforma del lavoro, ha preparato il terreno a Macron.
I socialdemocratici, quindi, non riescono ad ottenere successi per i lavoratori nell’economia globale?P.B. La socialdemocrazia ha sottovalutato gli effetti della globalizzazione mentre perdeva i suoi tradizionali strumenti di intervento. Oggi questi strumenti vanno ricostruiti, sia sul piano della protezione dei lavoratori che sul piano della ridistribuzione attraverso la fiscalità. Ci stiamo arrivando, ma nel frattempo abbiamo permesso molte decisioni sbagliate.
E.M. Il capitalismo, bisogna riconoscerlo, possiede una grande forza di adattamento. La socialdemocrazia europea, invece, non è in grado di resistere al libero scambio, intensificato dagli accordi commerciali che la Commissione europea sta attualmente negoziando.
Immagino che la sua posizione sul tema del libero scambio, Pervenche Berès, sia diversa… P.B.I socialdemocratici devono rifondarsi, ma resto convinta che il protezionismo sia sbagliato. Dobbiamo mantenere le frontiere aperte, perché l’intelligenza si nutre di scambi. La chiusura, invece, alimenta xenofobia. La vera sfida che può cambiare le carte in tavola è l’ecologia. Il bivio è questo: o creiamo un modello di sviluppo economico adatto per noi, adeguando di conseguenza i nostri scambi commerciali, oppure privilegiamo a tutti i costi il commercio internazionale per spingere la crescita. Credo che l’Europa sarà un modello di sviluppo sostenibile, razionale e rispettoso dei diritti sociali.
E.M. Non sono d’accordo. Mi prendo la responsabilità di parlare di protezionismo. È curioso come questa parola crei imbarazzo, mentre tutte le grandi potenze vi fanno ricorso. Va ricordato che, nonostante i dazi doganali, gli scambi continuano a volumi giganteschi. Nei nuovi accordi, la questione dei dazi doganali è del resto marginale, mentre l’armonizzazione delle norme è centrale. Inoltre, queste norme vengono gestite da organismi di esperti fuori dal controllo politico. Protezionismo significa anche protezione delle norme, che possono essere nell’interesse dei cittadini, dei loro diritti e della loro salute.
La socialdemocrazia, storicamente, ha un legame privilegiato con il mondo sindacale. Secondo voi, il movimento per il clima potrebbe essere un nuovo punto di partenza per i socialdemocratici e per la sinistra?E.M. In primo luogo, i sindacati restano indispensabili. Lo capiamo ora con le mobilitazioni negli ospedali e nella scuola. Sulle manifestazioni per il clima, non sopravvalutiamo il loro peso. Ma sono convinto che non bisogna separare la lotta alle disuguaglianze dall’ecologia. Di più: non vedo come si possa essere ecologisti senza mettere in discussione il modello capitalista.
P.B. La questione ecologica non è di destra o sinistra. Per me, c’è anche la volontà di distogliere l’attenzione da argomenti cruciali, come la finanza sotterranea, i paradisi fiscali, la redistribuzione dei dividendi… Se la socialdemocrazia sostenesse solo l’ecologia, diventerebbe inutile. Il suo compito è rendere possibile la transizione ecologica, anche per i più svantaggiati. Ma questa non è una priorità per tutti. Quando il parlamento Ue ha votato sulla “tassonomia” dei prodotti finanziari (una sorta di valutazione di qualità), gli ecologisti hanno tentennato. Ma l’ecologia non può vincere senza la dimensione sociale. Questo è il ruolo imprenscindibile della socialdemocrazia.