Tregua fragile in Libia: a poche ore dall’annuncio, le forze del maresciallo Khalifa Haftar hanno bombardato l’aeroporto Mitiga di Tripoli, costringendo le autorità allo stop dei voli fino a “nuovo ordine”. Altri razzi avrebbero poi centrato Suq Al Jum’aa, il quartiere a ridosso del cuore della capitale, causando il ferimento di tre civili. La tregua sembra invece tenere sul terreno, al momento non si registrano scontri di rilievo lungo la direttrice del fronte meridionale di Tripoli. Nell’area di Murzuq invece, circa mille chilometri a sud della capitale, le forze ostili ad Haftar affermano di aver ripreso il controllo di tutta la zona. Il 5 agosto scorso, dopo due giorni di violenti scontri, la cittadina era stata teatro di un raid di Haftar contro un edificio governativo dove era in corso un’assemblea pubblica, 43 i morti. La tregua proposta dall’Onu in occasione dei giorni dedicati alla festa del Sacrificio è stata accolta dalle parti con numerose condizioni, e l’appello dell’inviato speciale Onu, Ghassan Salamé, per creare una sorta di no-fly zone è rimasto evidentemente inascoltato.
Marzullo intervista Attila Re
In questo periodo una notte sì e una no, sogno Gigi Marzullo. Forse la sera mangio qualcosa che mi fa male, fatto sta che appena mi addormento puntualmente mi appare il buon Gigi. La cosa strana è che intervista personaggi storici del passato e stanotte Gigi ha parlato con Attila, sì proprio lui, il re degli Unni, quello passato alla storia come il flagello di Dio: “Signor Attila è vero quello che dicono di lei?” – “Per carità, quale flagello! Ero tutto il contrario di come mi hanno descritto, la gente è invidiosa” – “Dicevano che dove passava lei non cresceva mai un fiore!” – “Ma per l’amor di Dio io adoro i fiori, omaggio sempre rose alle signore”– “Lei ha espugnato Aquileia, ha devastato il Veneto, qualcosa di vero ci sarà, lo dicono gli storici” – “Gli storici? Buoni quelli! Vede dottor Marzullo, ho sempre avuto una passione per il Veneto, terra bellissima, sì ci sono passato, ma sa perché? Cercavo casa! Una bella casa vicino al mare. Ne ho viste tante, ma erano bruttine e allora le buttavo giù. Diciamo che ho ripulito la zona, l’ho migliorata!” – “Ma la storia dice che le sue orde barbariche hanno compiuto razzie e saccheggi” – “Ancora la storia! E poi orde, che brutta parola. I miei compagni erano amici fidati che mi consigliavano: architetti, ingegneri, arredatori grazie ai quali ho trovato la mia casa ideale sulle rive del fiume Mincio!” – “E l’ha comprata?” – “Sì, con un mutuo a tasso variabile. Purtroppo papa Leone Magno non voleva che io abitassi lì e mi convinse a tornare in Pannonia!” – “Perché è tornato tra noi dopo tanto tempo?” – “Per due motivi: primo, vorrei parlare col papa e ristabilire la verità storica; secondo, vorrei estinguere questo mutuo variabile che c’ho da 1700 anni e chissà dov’è arrivato. Questo è stato il vero errore della mia vita di cui gli storici non parlano. Il mutuo dovevo farlo a tasso fisso!”.
Sapore di mare, poesia di vizi e virtù vacanziere nell’Italia senza politica
Ci vorrebbe un nuovo Sapore di mare. Questa volta girato non in Versilia, né per narrare amori semi–boccacceschi tra ventenni cresciuti. Ma in un qualsiasi piccolo luogo di villeggiatura che abbia visto per generazioni le stesse famiglie, per raccontare il fluire della vita. Come quello in cui ancora una volta mi trovo, dopo averlo conosciuto trentacinque anni fa. Calabria jonica senza fama e senza gloria, l’ideale per conservare azzurro il mare. Dove incantano i mutamenti fisici e di ruolo; e dove stordiscono uscite di scena e nuovi ingressi, ligi all’inflessibile cerimoniale della natura umana. Qui si esalta lo spettacolo della vita; più difficile da intravedere in città, se non attraverso il vicino di casa, il giornalaio o il panettiere.
Non c’è più l’anziana e gentile signora che all’alba si portava il cagnolino bianco al mare. Lei se ne è andata presto. Zuppa di dolore silenzioso per il figlio assessore ucciso a Napoli dalle Brigate rosse. C’è invece “Socrates”. Era il suo nome di battaglia nei tornei estivi. Riccioluto e barbuto, assomigliava all’asso brasiliano esploso ai mondiali dell’82. Spiccava per forza e per palleggio tra i villeggianti con la passione del calcio, focoso virgulto della civiltà locale. Oggi che assomiglia a Checco Zalone si chiama Nino e quel soprannome lo ricordano in pochi. Come pure che fosse focoso, vedendolo paziente e premuroso nonno alla guida di un terzetto di nipotini. Non si vede “Amancio”, abusivo soprannome attinto dalle glorie del Real, ma tutti dicono che vi sia, anche lui al riparo di sciami di bambini. Ci sono ragazze diciottenni di allora diventate signore mature con figlio all’università. Ragazzi che hanno rilevato lo studio professionale di un padre inorgoglito, o partiti a frotte per regioni lontane, perché “qui il lavoro non l’avrebbero mai trovato”. La bimbina che hai vezzeggiato in carrozzina è ora una signora con il fisico da indossatrice, mentre il bimbo monello che si intrufolava dappertutto ha ora il suo rispettabile fisico d’atleta e il suo ancor più rispettabile lavoro e tanti bimbi monelli a propria volta.
Guardi, riannodi, interroghi e ti interroghi. Case un giorno piene di vita sono ora vuote e abbandonate, i discendenti avendo preferito luoghi di fama scintillante. Non c’è più “il preside” né la moglie affabile e generosa. E non c’è più Fabrizio che con le sue barzellette teneva insieme famiglie intere, dai quattro agli ottant’anni, fino alle tre di notte. O il giovane magistrato che mi confidò un giorno di non avere avuto cuore di far passare a un concorso orale un preparatissimo figlio di Vito Ciancimino pensando all’uso che costui avrebbe fatto della giustizia. Assenze.
Ma il mondo che qui si ritrova riproduce ugualmente le famiglie e i legami di allora, facendo rimbalzare i cognomi da una generazione all’altra. Anche Alfonso, l’imbattibile portiere, è diventato nonno, e il cognome è già disceso di due scalini. Carlo e Simona, famosi per i due piccoli figli discoli, hanno ora un nipotino color ebano – l’amore è un’avventura che sfida gli oceani – che su tutti i coetanei torreggia. Uguali sono le città di provenienza. Catanzaro, Napoli, Benevento, Roma, Milano; e sempre di più Milano, dove trovano stipendi e professioni i ragazzi di qui dopo l’università. Poi le novità, come il signore che alle sette del mattino deflagra via cellulare dal balcone con l’amante confidandole di sentirsi forte come un cavallo (segue nitrito esemplificatore). O il ristorante–bar sulla spiaggia, con ragazzi che si fanno la loro breve stagione lavorando dal mattino a tarda sera. Mentre resta il bar davanti alla spiaggia, ora ci arrivano i giornali, compresi quelli sportivi. Perché nel mulinare dei decenni si parla ancora di calcio mercato. Non più di De Mita, Craxi e Enrico Berlinguer, che se n’era appena andato come sappiamo. E nemmeno di Berlusconi, un istante solo ne ho sentito il nome al bar. Nessun politico smuove sentimenti veri. Si colgono semmai discorsi di pietà per i migranti che arrivano in barcone. Pietà umana, che di questi tempi vale oro.
Nel rollio del mondo, resta fisso il sole del tramonto. Giù oltre la spiaggia. Stesso luogo, stessa ora. Getta rosso possente sui declivi di sabbia dove si gioca a pallavolo. E dal mare le braccia levate al cielo dei giovanissimi giocatori paiono in controluce quelle di una storica copertina di Lucio Battisti, “Il mio canto libero”. Qualcuno rigiri Sapore di sale, per favore. Restituiteci, come per incantesimo, la vita che scorre.
Raccolte fondi su Facebook. Una lavanderia di coscienze, la beneficenza si fa in silenzio
Cara Selvaggia, ti scrivo perché tu, da autorità quale sei nel campo dei social, saprai sicuramente darmi delucidazioni precise in merito a un nuovo fenomeno che, al momento, mi provoca solo prurito e fastidio. Quando saprai di che si tratta mi giudicherai male, temo. E pertanto premetto che: a) non sono un razzista, quindi b) non voto Lega e c) mi piace la beneficenza, in generale. Ok? Vado.
Da un po’ di mesi noto che un sacco di persone che conosco, o meglio, che ho tra gli amici di Facebook pubblicano sulla loro bacheca un messaggio simile: “Ciao, fra poco è il mio compleanno e per l’occasione sto facendo una raccolta fondi per questa causa che mi sta molto a cuore. Che ne dici di aiutarmi? Mi faresti un bel regalo di compleanno!”. Che amici carini che ho, vero? E invece almeno il 50 percento sono delle emerite teste di cazzo, ignoranti cinici e menefreghisti.
Questo è il primo motivo del mio fastidio: queste raccolte fondi sono una lavanderia di coscienze. Non ho mai visto quasi nessuna delle persone che mi stanno chiedendo un regalo benefico aderire a una qualche causa, nemmeno alla pulizia del vialetto del condominio. Ma ora improvvisamente grazie a Facebook sono diventati dei novelli Bill Gates.
Strettamente collegata a questo punto è la faccenda che la beneficenza si fa in silenzio, mentre così uno la mette pubblica sulla bacheca. ‘Eh ma non li metto io i soldi, me li regali tu, sei tu che fai beneficenza a mio nome’. Bell’amico che sei: oltre a prenderti i soldi ti prendi pure il merito. Almeno Bill Gates fa il figo con i suoi, di soldi. Il fatto che poi Facebook ufficialmente non ci guadagni nulla aggiunge altra carne al fuoco del fastidio. Questi hanno venduto a Cambridge Analytica pure le foto di mia nonna con il girello nuovo al suo ottantanovesimo compleanno, figurati se fanno qualcosa gratis. Ma la cosa che mi urta di più è l’esatta frase ‘mi sta molto a cuore’. Facile a dirsi, devi dimostrarmelo.
Allora una volta ho fatto così, con uno che mi stava più sui coglioni degli altri (lui pensa che siamo grandi amici). Gli ho scritto in privato: “Scusa caro (e già quando leggi caro devi saper di stare sulle balle a chi lo scrive) stavo provando a fare una donazione per la tua raccolta fondi ma non capisco bene come funziona, mi puoi dare una mano?”. Risposta: “Ciao carissimo (…), guarda onestamente non lo so, vedi se ce la fai altrimenti pace”. Altrimenti pace? E allora lo vedi che della tua causa che ‘ti sta molto a cuore’ non te ne frega un cazzo?!
Alberto
Caro Alberto, la tua lettera mi sta molto a cuore, e pertanto ho deciso di pubblicarla. Lo vedi che sono meglio dei tuoi amici di Facebook?
Innamorarsi di un uomo 42enne che si comporta da adolescente
Cara Selvaggia, un tentativo di vacanze a due terminato prima del tempo, per la precisione due settimane prima del previsto ritorno a casa. Sono tornata solo io, perché lui si trovava bene dov’era, e cioè a Bali dove avevamo affittato una meravigliosa villa tra le risaie. Non sto a dirti la mia tristezza per il fallimento della nostra coppia e per la vacanza rovinata (oltre che per i soldi buttati), ma quello che è accaduto è talmente grave che non potevo fare altrimenti. Ho conosciuto M. tre mesi fa. Ho capito subito che non avrebbe mai aspirato alla beatificazione e che con lui non avrei avuto vita facile. Donnaiolo, amante della vita notturna, con un lavoro da Peter pan (il pr) e un divorzio alle spalle dopo appena sei mesi di matrimonio, era chiaro che avrei potuto scegliere un partito meno complicato. Però mi sono innamorata e non c’era modo di ritornare indietro. Lui fa quello che perde la testa, che “ti aspettavo da una vita”, che “con te metto la testa a posto”. Per tre mesi facciamo follie per stare insieme, facciamo un sesso pazzesco, ci promettiamo mille cose. Poi arriva l’idea, sua, della vacanza a Bali. Per fartela breve, dopo 5 giorni che siamo lì andiamo a ballare dove lavora un suo amico romano. Il suo amico ci presenta una serie di ragazze bellissime tra cui una australiana, che lavorano nel locale. Io vedo che M. guarda rapito l’australiana, faccio finta di nulla. Dopo due sere restiamo a casa, lui insiste perché non si esca. Strano, mi dico. Apre una birra dopo l’altra, mi fa bere tantissimo, andiamo a letto mezzi brilli. Nel cuore della notte mi sveglio per il caldo e vedo che lui non c’è. Aspetto che torni dal bagno e scopro che è sparito. Mi spavento moltissimo, ma poi mi accorgo che non c’è neanche il motorino davanti casa. Lo aspetto in piedi, piangendo. Torna alle 5 in punta di piedi, sperando di non svegliarmi ma mi trova seduta sul letto. Era andato in discoteca, che tradotto vuol dire dall’australiana. Un uomo di 42 anni che si comporta come un adolescente. Il giorno dopo ero su un volo per l’Italia, senza un fidanzato e senza la prospettiva di un ferragosto decente. Possibile prendere un abbaglio simile – il mio – a 39 anni suonati?
Daria
Secondo me eri ubriaca pure quando te ne sei innamorata.
Inviate le vostre lettere a: il Fatto Quotidiano 00184 Roma, via di Sant’Erasmo,2. selvaggialucarelli @gmail.com
Torna la “lotta per le investiture”: il papa sconfigge i sindaci d’Ischia
Si chiama giuspatronato e nel codice di diritto canonico è contemplato in due forme: diritto di elezione o diritto di presentazione. Riguarda antichi privilegi vantati da pochi comuni al mondo per nominare il proprio parroco. E dalla scorsa metà di luglio ce ne saranno due di meno.
Con un provvedimento di suo pugno, sollecitato dalla curiale Congregazione per il Clero, papa Francesco ha infatti tolto a due comuni dell’isola d’Ischia, Casamicciola Terme e Forio, il diritto di presentazione del parroco, che risaliva al 1540. Cioè: i due comuni fino a poco fa potevano proporre, rispettivamente, una terna di tre sacerdoti per la conduzione di due parrocchie: Santa Maria Maddalena a Casamicciola e San Vito a Forio. Tutto comincia nella primavera di quest’anno quando il vescovo locale, Pietro Lagnese, abolisce con un editto questo privilegio. Il motivo è scontato: si accusano i comuni di fare “politica” persino nella scelta dei parroci.
Al contrario il prelato rivendica la sua piena autonomia nella nomina, come sancito in linea generale dal codice di diritto canonico. I due consigli comunali protestano, supportati anche da vari sacerdoti del posto, e il ricorso arriva in Vaticano. Di qui l’ultima parola del pontefice che conferma l’editto del vescovo Lagnese.
In pratica, è la riedizione nel terzo millennio, e su scala minore, della lotta per le investiture nell’Alto Medioevo, che si concluse nel 1120 con il concordato di Worms. All’epoca, l’imperatore Enrico IV di Franconia e papa Gregorio VII si fecero la guerra per il diritto di nomina dei vescovi. Celebre l’episodio di Enrico IV che andò a Canossa (nell’immagine a sinistra) per chiedere al pontefice di revocargli la scomunica.
Ma l’offensiva di Francesco contro le eccezioni locali sulla nomina dei parroci non sarebbe terminata. Adesso potrebbe essere il turno del diritto di elezione. Nel mondo sono ventuno le comunità che scelgono nelle urne il loro pastore, di cui ben sette in penisola sorrentina, in provincia di Napoli. Ed è proprio sulla costa di Sorrento che da lustri i fedeli di varie parrocchie attendono l’indizione del voto, sinora negata dal vescovo Francesco Alfano, contrario alla democrazia “patronale”.
Anche al Sud è sbarcato l’autoritarismo in salsa sovranista
Salvini trionferà grazie ai voti del Sud? È molto probabile. L’uomo che pretende “pieni poteri” dagli italiani in questi giorni sta battendo paesi e città a sud di Roma. Dovunque i soliti discorsi, gli applausi e i selfie. Noi meridionali abbiamo la memoria corta e abbiamo dimenticato offese e vomiti che per anni Salvini e suo papà Bossi ci hanno riservato. Ma non si tratta solo di questo, Salvini riscuote certamente consensi oltre il Garigliano, l’onda lunga dell’autoritarismo in salsa sovranista arriva anche qui, ma c’è altro. In Calabria, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia, Salvini gode delle macchine elettorali di lobby e potentati che hanno sempre succhiato alla mammella della politica. Si tratta di antichi e consolidati gruppi di potere che ai tempi della Prima Repubblica orientavano i loro consensi sulla Dc e sugli altri partiti di governo. Agli albori della Seconda Repubblica, annusarono il vento e trasferirono uomini e consensi a favore di Silvio Berlusconi. Ora il loro faro è Salvini. Pezzi interi del berlusconismo in via di estinzione si sono trasformati in ferventi leghisti. Frazioni della vecchia destra con simpatie neofasciste hanno trovato il loro nuovo Duce. Piccoli e grandi sistemi di interesse sanno già che troveranno riparo sotto l’ombrello di nuove protezioni politiche. Questa è la struttura del consenso e del potere di Matteo Salvini oltre la Capitale. E il Pd? Non ce la farà a reggere l’urto neppure da Napoli in giù. Perché i suoi uomini (De Luca in Campania, Emiliano in Puglia, i Pittella in Basilicata…) sono visti come rappresentanti di un sistema di potere ormai alla frutta, non più spendibile. L’opinione pubblica, quella legata ai valori della Costituzione e spaventata da una vittoria della destra estrema, non crede che il partito di Zingaretti possa essere un argine. Insomma, per l’Italia si preparano tempi tristi, per il Sud i tempi che verranno avranno il sapore amaro del dramma.
Ogni giorno l’ingiustizia viene perpetrata nell’indifferenza
Tempi davvero bui, caro Enrico. Ha ragione il mio amico Siegmund Ginzberg che ha scritto un bel saggio – dovresti leggerlo – intitolato Sindrome 1933. In sostanza dice che il passato risuona nel presente, che le notizie gli danno una sgradevole sensazione di déja-vu. E teme il peggio. L’odio, come allora in Germania, penetra nel discorso pubblico, i linciaggi mediatici contagiano la gente, il discredito si abbatte su chi è competente e chi sta all’opposizione, l’arroganza demagogica diventa razzismo, xenofobia, discriminazione persino politica (hai in mente la sindaca leghista di Monfalcone che chiede l’elenco dei professori di sinistra?). Non c’è giorno che una qualche ingiustizia non venga perpetrata tra l’indifferenza di tutti. Un esempio? Il Comune di Como ha disubbidito alla decisione del giudice e ha negato la residenza ad un immigrato di origine nigeriana. Gli servirebbe per ottenere la conversione della patente elvetica di cui è titolare. Requisito irrinunciabile richiesto da un’azienda erbese che lo vorrebbe assumere. L’uomo è stato frontaliere per otto anni, moglie e figli vivono a Como regolarmente.
I nazisti, ricorda Ginzburg, erano maestri della propaganda: “Toccavano tasti cui la gente era sensibile, blandivano interessi reali e diffusi. A elargizioni concrete corrispondevano consenso reale, crescente e formidabile. La cosa che più impressiona è come siano riusciti a trovare consenso anche sui comportamenti più atroci e disumani del regime”. Chi ti ricorda? Non parliamo dell’offensiva contro la memoria. La si cancella. Subdolamente. Come a Trino Vercellese. Dove il sindaco (leghista) Daniele Pane vuole cambiar nome a piazza Martiri dei Lager, per dedicarla ai celebri stampatori che tra il ‘400 e il ‘600 resero famosa la città. Peccato che ad essi siano già intestate cinque vie, una scuola, nonché una lapide nell’atrio del Comune. I quattro ebrei di Trino che furono consegnati ai nazisti e finirono nei forni crematori daranno il loro nome ad un parcheggio in periferia.
Stampa impazzita: “Italiani fenomeni”
Ok, la sparo grossa: oggi non scambierei Zaniolo (20 anni) con Messi (32 anni). È grossa, lo so. Ma forse meno di quanto sembri”. La data è il 13 febbraio 2019, praticamente ieri, e a mettere la firma alla dichiarazione su Twitter è Marco Mazzocchi, 53 anni, vice direttore di RaiSport, già conduttore di programmi come La Domenica Sportiva e Novantesimo Minuto. Due anni prima, l’11 aprile 2017, sulle pagine del Corriere della Sera l’editorialista Mario Sconcerti, ex direttore del Corriere dello Sport ed ex opinionista Sky, Rai e Mediaset, aveva scritto: “Dybala e Messi non sono paragonabili. Leo vale per i gol, non per il gioco; Dybala è l’opposto. Dybala gioca meglio a calcio. Messi sta tutto nella sua velocità di controllo e di tiro, Dybala nell’architettura del suo gioco”.
Detto che si tratta dello stesso esperto che ai tempi della finale di Champions Juventus–Real Madrid (poi finita 1-4), confrontando gli attaccanti in forza ai 2 club, aveva scritto: “La Juve ha i migliori d’Europa, temo che Cristiano Ronaldo a Torino farebbe o il tornante o la riserva”; la domanda è: se la bussola che i media made in Italy offrono a sportivi e tifosi è questa, far sapere cioè che Zaniolo e Dybala giocano a calcio meglio di Messi, esiste un antidoto che possa mettere la gente al riparo da shock, depressioni o attacchi di panico quando in estate, in tempo di calciomercato, tutte le certezze acquisite, e cioè che Kean è il nuovo Paolo Rossi, Cutrone il nuovo Inzaghi, Zaniolo il nuovo Di Stefano, Donnarumma il nuovo Jascin, Dybala un incrocio tra Sivori e Baggio e via delirando, si sgretolano una ad una davanti ai loro occhi perchè il Dybala che doveva strappare il Pallone d’Oro a Messi viene messo ai saldi e rifiutato a 70 milioni da United e Tottenham, il Cutrone che doveva ricalcare le orme di Pierino Prati se ne va per 25 milioni al Wolwerhampton, che è come dire il Sassuolo della Premier League, il Kean che doveva assicurare un quindicennio di gol a Madama viene ceduto all’Everton al prezzo di un Mandragora qualunque; detto tutto questo, dicevamo, chi glielo spiega alla gente? Non più tardi di qualche mese fa non c’era televisione, quotidiano o sito web che non ci ammannisse sondaggi su Massimiliano Allegri miglior allenatore del globo terraqueo: un genio che tutti i top club del mondo avrebbero desiderato avere sulla loro panchina.
Poi capita che Acciughina venga scaricato dal suo stesso club, sempre più insofferente al suo gioco da strapaese, senza che nessuno mostri il benché minimo interesse ad ingaggiarlo: il Real si tiene Zidane, il Barça Valverde, il Bayern Kovac, il PSG Tuchel, il Tottenham Pochettino, l’Arsenal Emery, il Chelsea ripara su Lampard e la realtà è che a volere Max Allegri è rimasta oggi solo Ambra Angiolini. Il tutto tra lo sbalordimento dei più: com’è possibile, si chiede il popolino? Allegri non era il Messia?
Pochi giorni fa, nell’amichevole Roma–Atletico Bilbao, il “predestinato” Zaniolo si è tirato un pallone sul suo stesso braccio, l’arbitro Maresca ha dato rigore e gli spagnoli hanno protestato dicendo no, chieda a Zaniolo, il braccio era il suo. L’arbitro lo ha fatto ma Zaniolo, quello che Mazzocchi non scambierebbe con Messi, ha smentito: non sono stato io, il braccio l’hanno messo loro. Rigore e 2–2. Giusto così. Piccoli palloni gonfiati crescono.
Pop & paranoia: ora Rovazzi esce dalla caverna di Platone
È stato il fenomeno pop delle ultime estati italiane, idolo di bambini e preadolescenti. Lo avevamo lasciato un anno fa con un video dal budget colossale, scritto e diretto da lui stesso, in cui cantava “Faccio quello che voglio” rubando la voce a cantanti più dotati di lui. Il finale con la scritta “To be continued”, come in Telephone di Lady Gaga e Beyoncé, annunciava che non sarebbe finita lì: ed ecco che un anno dopo Fabio Rovazzi se ne esce con un nuovo pezzo che fa evolvere la saga in una direzione imprevista, quasi oracolare. Rovazzi vuole dirci qualcosa. Ma cosa?
La musica di Senza pensieri è il solito marchingegno pop infallibile, esaltato dal featuring con Loredana Berté, ma immagini e dialoghi raccontano un’altra storia. Rovazzi è inseguito da qualcuno, e come in un episodio di X-Files quel qualcuno si chiama “loro”. Il cantante si ritrova prigioniero in un mondo virtuale, liscio e apparentemente perfetto, proprio come in Matrix. Ma la citazione più esplicita proviene da Essi vivono di John Carpenter, classico del cinema paranoico: sono i grandi schermi che dietro alle pubblicità (persino quelle regolarmente vendute da Rovazzi agli sponsor, contenti loro…) nascondono messaggi subliminali come “Obbedisci” e “Non pensare”. Alla fine del video tocca a Terence Hill in persona svelare l’arcano: da cinque anni, ovvero dall’inizio della sua carriera musicale, Rovazzi è prigioniero di un laboratorio segreto “dove studiano dei modi per distrarre la gente dai problemi veri”. Anche attraverso le canzonette, si capisce. Autoironia evidente con la quale il cantante sembra rivendicare la fine di un ciclo, l’uscita dalla sua personale caverna platonica, insomma la sopraggiunta maturità creativa.
Indizi di una certa ambizione moralistica li potevamo già trovare nei pezzi precedenti, dalla denuncia della cultura dell’apparire in Tutto molto interessante alla chiusa sui modelli sbagliati affidata a un surreale assolo di Al Bano nel pezzo del 2018. Ma Rovazzi non si era ancora spinto fino alla distopia, che pure è il genere prediletto dagli adolescenti contemporanei. Nel mondo virtuale che ci viene presentato come metafora del nostro, ogni cosa è tenuta sotto controllo e tutti sono letteralmente senza pensieri: così quello che sembrava un banale ritornello estivo assume un senso diverso, che non sta soltanto nella citazione da Gomorra, ma nella denuncia di una società instupidita dalla tecnica. Una denuncia che nel 2019 suona, però, altrettanto banale che una rima tra cuore e amore. La commistione tra pop e paranoia non è un’invenzione di Rovazzi — genio, innanzitutto, del marketing — ma una cifra essenziale della cultura di massa all’alba del Ventunesimo secolo. Riferimenti a cospirazioni, occultismo, totalitarismo sono ormai la regola nei film di Hollywood, nei romanzi Young Adult e nei video di star internazionali come Rihanna, Jay-Z e Nicki Minaj. Si tratta dell’immaginario con cui crescono e vengono educate le nuove generazioni, con conseguenze che soltanto ora cominciamo a intravedere.
Se l’artista impegnato era l’alfiere di una società in cui si affrontavano le solide ideologie novecentesche, la caduta delle grandi narrazioni ha portato con sé una nuova razza di artisti che hanno capito come monetizzare il sospetto generalizzato. Il che sarebbe anche inoffensivo se soltanto non ci fossimo resi conto, un po’ troppo tardi, che di sospetto e paranoia la nostra civiltà sta morendo.
Dietro al paravento dell’ironia, Rovazzi ha realizzato quella che è contemporaneamente una parodia del cinema di fantascienza impegnato e un tributo a una certa visione del mondo cospirazionista, quella che il politologo americano Richard Hofstadter chiamava “stile paranoico” ma che ritroviamo anche nei grandi romanzi di Philip K. Dick. A leggere i commenti in rete, il pubblico del video pare equamente diviso tra chi si limita a scuotere la testa a ritmo e chi assume la posa del pensatore, convinto che il cantante abbia firmato una sferzante opera di denuncia. Perché su Internet vige la cosiddetta Legge di Poe, secondo la quale è impossibile discernere l’ironia in assenza di specifici elementi di contesto. Il video di Senza pensieri è l’ennesimo indizio di come la politica si sia spostata dai suoi luoghi consacrati a spazi impolitici in cui si replicano frammenti d’ideologia in forme nuove e sconosciute: i forum di videogiochi, i commenti su YouTube, i gruppi di mamme su WhatsApp, forse persino i cartoni animati e la Babydance… Anche qui, soprattutto qui, bisogna avere il coraggio di guardare per capire come si sta trasformando la società, depoliticizzata nelle forme a cui eravamo abituati e ripoliticizzata nei contesti più improbabili.
La novità è che di tutta evidenza ormai nemmeno le hit estive possono starsene “senza pensieri”. In questo mese di agosto in cui il vicepremier fa i comizi in spiaggia, sembra impossibile pensare a un pezzo musicale senza la sua criptocitazione da Andy Warhol o dalla Scuola di Francoforte. Ma poiché restiamo convinti che persino un genio del marketing abbia sempre bisogno di buoni consigli di lettura, ci permettiamo di segnalare a Rovazzi questa osservazione di Jean Baudrillard: “Come la società del Medioevo si reggeva in equilibrio su Dio e sul diavolo, così la nostra si regge sul consumo e sulla sua denuncia”.
Una riforma elettorale per fermare l’ultradestra
Nei giorni scorsi ho scritto che non bisogna assecondare la pretesa di Salvini di imporre il suo plebiscito. M5S e Pd hanno la responsabilità in parlamento di isolarlo, di fermare la sua resistibile ascesa. Non posso che giudicare positivo che Beppe Grillo abbia rotto il tabù e avanzato la proposta di una maggioranza diversa da quella gialloverde. Auspico che Zingaretti riveda la linea di oggettiva alleanza con Salvini sulla strada delle elezioni anticipate. Mi sembra una caricaturale replica dell’asse suicida Veltroni-Berlusconi del 2008 da cui uscì vincente il Caimano che conquistò il governo e pure il Comune di Roma. È irresponsabile consegnare l’Italia all’estrema destra dell’amico di Bolsonaro con alle spalle Trump e Bannon. Può e deve essere fermato oggi in Parlamento nel pieno rispetto della Costituzione. E come sottolineato anche da Montanari e Pallante su questo giornale passaggio indispensabile è la modifica della legge elettorale rispettando i risultati del referendum che segnò la sconfitta di Renzi e anche di Zingaretti visto che rivendica quella battaglia. Chi scrive ritiene qualunquistica la modifica della Costituzione voluta dal M5S e dato che l’obiettivo poteva essere ottenuto più seriamente tagliando le retribuzioni dei parlamentari come tra l’altro previsto nel programma dei 5Stelle. Chi scrive propose una legge in tal senso nel 2006. La riduzione del numero dei parlamentari è obiettivo non sbagliato in sé ma andrebbe perseguito semmai in maniera più seria come nella storica proposta di Stefano Rodotà e Gianni Ferrara. La legge n. 51/2019 agganciata alla modifica della Costituzione cancella il pluralismo e soprattutto consentirebbe di fare cappotto all’Uomo nero di turno. Il combinato disposto di riduzione e legge elettorale è devastante. Come ricordava sempre Primo Levi il fascismo è nato in Italia. Solo una legge proporzionale può liberarci del perenne pericolo dell’Uomo Nero di turno.
*segretario nazionale di Rifondazione comunista