In fila per il selfie. Siamo a destra, come ci ha chiesto Matteo: “Mettetevi a destra, dalla parte giusta, e non preoccupatevi. Non mi muovo finché l’ultimo non avrà fatto la foto”. Sia io che la signora Teresa, cinquant’anni e casalinga, abbiamo superato velocemente la prima selezione, effettuata dalla Digos. Qui a Soverato, siamo nel golfo di Squillace , terza e ultima tappa del secondo giorno tra gli spiaggiati d’Italia. Il comizio di Salvini è durato pochissimo per via di una contestazione caparbia e più vasta del previsto che ha emozionato Tonino Barcone, al tempo segretario del Pci locale e ora pensionato: “Non mi aspettavo una cosa così forte. Temevo che la facessimo passare liscia a quello lì, per fortuna mi sono sbagliato. Un poco di speranza c’è”.
Tonino arretra col suo compagno di battaglie Alfonso e si allinea nella fascia protetta dalla polizia. Si trova in una zona sterilizzata, pacifica, mentre lo staff urla: “Se spingete l’unica cosa che accade è che i bambini si fanno male”. Bambini, donne incinte, disabili. La precedenza va alle fasce deboli della società. Bisogna salire sul palco da destra e uscire da sinistra però con speditezza, seguendo il corridoio che le forze dell’ordine hanno preparato per raggiungere il leader. Non incespicare, non distrarsi, non gridare, come ha fatto Gianni, vestito di nero, ai camerati: “Me la faccio anch’io”. Fare in fretta. E non imitare una signora, emozionata assai, che al dunque ha sbagliato obiettivo e si è avvicinata per il selfie al poliziotto di scorta: “Non con me”, le ha gridato giustamente sbattendola tra le braccia di Matteo.
Teresa lo vuol vedere da vicino: “Mi sembra un bell’uomo e molto alla mano”. Antonio punta al bis: “Gli ho potuto parlare. Gli ho detto: prima cosa togliere l’obbligo vaccinale. Mi ha assicurato che è una delle primissime cose che farà da capo del governo”.
La novità è il completamento del processo demiurgico del leader leghista. Le parole sono divenute superflue, e così anche i comizi, che risentono di una stanca verve e soprattutto incitano varie, colorate contestazioni. La foto ritratto è l’alfa e l’omega, il punto d’inizio e d’arrivo. Salvini non parla, è mummia sorridente, corpo amico che impugna il telefonino dell’aspirante leghista e clic, il gioco è fatto. La selfizzazione, nel tempo di internet, produce una catena di montaggio di sorrisi e like trasportando la faccia di Salvini in giro per il mondo. È un moltiplicatore passivo di consensi. Chiunque si fotografi rimanderà la foto agli amici. Migliaia e migliaia di passaggi su Facebook e Instagram, una manna dal cielo.
“Quel cornuto si è messo anche la maglia I love Calabria”, urla un signore già allontanato dai custodi dell’ordine. “Questi provocano, urlano, s’accapigliano. E noi poliziotti ne facciamo le spese. Come ci muoviamo, voi giornalisti ci attaccate ma a me non frega di Salvini, faccio il mio dovere. Se c’era Renzi era uguale”, dice un capo squadra della celere, spazientito dalle occhiate, dal monitoraggio della ruvidezza poliziesca. “Io sono comandato, chiaro?”. Comandato come quel comandante dei carabinieri che ha dovuto sostare in spiaggia, quasi fumante, nell’attesa che Salvini finisse l’acqua party delle 17 a Isola di Capo Rizzuto.
Salvini ama la Calabria. Certo, gliene ha dette di ogni colore, ma l’Italia di oggi non è quella di ieri. “Io non capisco, noi calabresi siamo permalosissimi, basta un’unghia di critica e ci offendiamo. Quello ci ha trattato da miserabili, ci ha offesi, vergognatevi”, commenta disgustata una signora che si allontana dalla fila dei selfizzandi con un’aria da schifo. “Basta provocazioni!”, le dice Antonio Pariglia, da Cariatri: “Ho votato 5Stelle e ora voto Salvini, è l’unico che può salvarci”. “Cinque rubli l’ingresso al beach tour”, gridano Simonetta e Marta, studentesse di ingegneria, esponendo il lenzuolo di protesta: ”Siamo disgustate. Farci trattare in questo modo da un millantatore”. “E zitta, cretina!”, le urla una signora. “Calmatevi”, di nuovo la Digos a far da paciere.
La “Bestia”, così si chiama la struttura di comunicazione del leader, ha promosso anche un processo di ri-selfizzazione. Un addetto fotografa Salvini che si fa fotografare. Seleziona gli astanti, ritrae solo quadretti familiari. Il selfie come parametro essenziale di popolarità, veicolo performante che avanza e ri-polarizza se all’adulto è accoppiato un bambino, alla moglie il marito, ai genitori i figli. Le donne cercano più un contatto visivo e si elettrizzano con maggiore frequenza. Salvini infatti accetta anche le pose ibride. Giuseppina, da Catanzaro lido: “Io me la sono fatta mettendogli le braccia al collo, stando un passo dietro. Volevo una posa particolare”. “Sembravi la fidanzata”, commenta il suo lui, felice come una Pasqua.
Non parole né opere e, per quanto riguarda stasera, nemmeno omissioni. Il flash risolve e sostituisce ogni azione, e, come dice lui dal palco, “l’Italia è con me, vi voglio bene”.
“Ci siamo incantati noi calabresi quando ha chiuso i porti. Prima arrivava di tutto e sembrava che da noi potesse raddoppiare solo la miseria. Nella regione più povera sbarcavano i poverissimi. Era una cosa quotidiana, sbarchi in continuazione. E agli italiani non fregava niente, al governo men che mai. Eravamo tanto insignificanti che nella geografia politica la nostra regione e i suoi abitanti non erano presi in considerazione. Io non lo voto, ma sento che chiudendo i porti ha fatto scattare una scintilla di simpatia, è sembrato che ci portasse rispetto. E nel niente assoluto è purtroppo sembrato tanto”. Così Tonino Laforgia, già preside, oggi pensionato. “Scriva morituro, come la mia terra. Felice di trovarmi tra un po’ all’altro mondo. Certe cose meglio non vederle”.
È notte fonda, i selfie continuano.