Forza Italia a pezzetti: voto subito sì, no, forse

Silvio Berlusconi è silente, mentre da Forza Italia si rincorrono dichiarazioni in ordine sparso tra chi vuole un governo pronto all’uso e chi, invece, le elezioni subito con Matteo Salvini. Allora il capo della Lega dai suoi comizi siciliani con la scusa delle regionali richiama il centrodestra all’ordine: “Conto di vedere sicuramente gli alleati del centrodestra per le elezioni in Umbria, Emilia Romagna, Calabria, Marche e Toscana. Penso che già la settimana prossima ci ritroveremo, ovviamente si parlerà anche di altro”.

Già, perché in piena crisi, mentre Fratelli d’Italia è compatta dietro al Carroccio, non lo è Forza Italia. Anzi. L’ex socialista Renato Brunetta è già orientato verso ipotesi che salvino la legislatura, piuttosto: “La crisi arriva nel momento peggiore. Quale governo approverà l’assestamento e scriverà i documenti di finanza pubblica, con il rischio di una manovra monstre da 50 miliardi? Difficile dirlo in questo momento. Le elezioni a ottobre possono significare il non rispetto delle scadenze e degli impegni presi con l’Europa. È proprio quello che i mercati temono. Se Salvini vuole essere leader di una maggioranza di governo di centrodestra, come quella che ha vinto le scorse elezioni, allora la reazione da parte dell’Europa e dei mercati sarà più benevola. Se, invece, volesse realizzare il governo dell’uomo solo al comando, anti-Euro, populista e sovranista, allora l’Italia corre seriamente il rischio di fare la fine che fece la Grecia. Caro Salvini, – conclude Brunetta – noi siamo d’accordo a fare un programma organico di centrodestra unito e plurale con Berlusconi garante nei confronti dei mercati internazionali. In caso contrario non lasceremo il Paese nelle mani degli estremisti, dei populisti, dei sovranisti”.

L’ex missino Maurizio Gasparri, invece, si fa decisamente meno problemi: “Al voto subito, ma con centrodestra unito, per avere così una maggioranza certa, ampia e stabile, per un governo di 5 anni, per affermare coerenza e lealtà”. Dalla stessa parte di Gasparri anche Maria Stella Gelmini: “Forza Italia vuole ridare la parola agli italiani e vuole farlo con la coalizione di centrodestra unita”. Come Berlusconi ieri resta silente anche Mara Carfagna.

Fa qualche distinguo, invece, l’onorevole Giorgio Mulè, ex direttore di Panorama: “Al voto con la Lega? Patti chiari e prima un programma condiviso. Come fatto nel 2018, anche in questo caso la Lega, da forza coerente di centrodestra e con una piattaforma comune già condivisa nelle singole regioni, dovrà trovare una mediazione sul programma per le elezioni politiche. Da quel programma discenderà un’alleanza e una coalizione che si presenterà unita agli italiani. Francamente non riesco ad immaginare scenari diversi rispetto a questo”. Anna Maria Bernini getta qualche miccia nella eventuale coalizione: “Giorgia Meloni continua a dispensare pagelle e a svolgere il ruolo improprio di buttafuori per decidere chi deve entrare o no nel centrodestra. Io ritengo che questo sia il momento della responsabilità”. Che cosa aveva detto Giorgia Meloni? La leader di Fratelli d’Italia così ieri su Qn: “Lega e Fdi sono autosufficienti ma a Forza Italia chiediamo elementi di chiarezza, poi valuteremo. Il problema è di posizionamento politico, con o senza Berlusconi, che è l’unico a funzionare sicuramente in termini di consenso ma che ha più volte preso le distanze da noi e non dalla sinistra. Moderatismo non va confuso con l’inciucismo”.

Salvini (contestato) detta la manovra: “Flat tax e condono”

“Catania non si Lega”, “mafioso”, “fuori i leghisti da Catania”, “odio la Lega”: sono solo alcuni dei cori intonati a squarciagola dai manifestanti che per tutto il pomeriggio di ieri hanno accompagnato Matteo Salvini nella sua visita a Catania. Sotto un caldo equatoriale, il lungo tour estivo del ministro dell’ Interno sovranista tocca anche la Sicilia, terra che in passato subiva gli insulti della Lega e che ora accoglie il suo leader con sentimenti contrastanti. La giornata del ministro inizia sul litorale messinese di Letojanni, in un lido blindato per evitare possibili contestazioni, tra baci, fiori, selfie e bagni in mare. Ma è, poche ore dopo, nella tappa catanese che l’accoglienza si fa decisamente più aspra. Ad attenderlo ci sono oltre un centinaio di manifestanti, senza bandiere, che lo contestano con cori e canti. Polizia, digos, guardia di finanza, carabinieri ed esercito vengono schierati in massa per arginare la protesta.

Dall’altra parte, più silenziosi, una decina di supporter salviniani, molti under 20, che con bandiere, magliette e cappellini, aspettano invano di incontrare il loro leader. Nervi tesi che scattano di lì a poco, quando il gruppo dei manifestanti, al grido di “buffoni-buffoni”, inizia ad avanzare verso i supporter di Salvini che, costretti a retrocedere, vengono quasi estromessi dalla piazza. Momenti di tensioni che costringono Salvini a evitare l’ingresso trionfale da piazza Duomo, optando per la più solitaria entrata da Palazzo degli Elefanti. Per questioni di ordine pubblico, con la protesta ancora alta, il leader del Carroccio diserta anche l’aperitivo a base di granita organizzato dal sindaco di Catania, Salvo Pogliese, ancora in giubilo per aver ottenuto grazie al pressing della Lega l’emendamento Salva-Catania. Anche la partenza dalla città verso la tappa successiva, Siracusa, non è esente da proteste: mentre si allontanava in auto a sirene spiegate è stato inseguito dai contestatori che hanno lanciato anche delle bottigliette.

Lungo il suo beach tour sulle spiagge siciliane, Salvini interviene, in costume, anche sulla prossima finanziaria. E annuncia una manovra delle meraviglie: “Tasse ridotte al 15% per milioni di lavoratori, pace fiscale con Equitalia per altri milioni di cittadini, nessun aumento dell’Iva ma riduzione delle tasse sulla casa. La nostra manovra economica è già pronta”. Il Capitano rilancia tutti i vecchi cavalli di battaglia della Lega – che tanto ricordano i contratti con gli italiani di Berlusconi – e replica a Matteo Renzi che ha invocato (subito smentito dal segretario del suo partito, Nicola Zingaretti) “un governo istituzionale” prima di andare alle urne. “A Renzi interessa solo perder tempo per salvare la poltrona, ogni giorno perso è un danno per l’Italia”, dice Salvini. Che detta, quindi, l’agenda per quanto riguarda la legge di Bilancio: “Se si vota a metà ottobre, a fine ottobre potrebbe avere un governo in carica. Si avrà così il tempo di fare una manovra finanziaria coraggiosa. Basti pensare che l’anno scorso la manovra si è fatta tra Natale e il nuovo anno”.

Anche il viceministro leghista Massimo Garavaglia sbarra la strada a Renzi e lancia un avvertimento al capo dello Stato Mattarella: “Alle ultime elezioni il Pd è stato sonoramente sconfitto. Farlo governare sarebbe un insulto agli elettori. Figuriamoci consentirgli di varare una manovra a quattro mani con Grillo”. Parole che agitano il Quirinale che continua a temere per la tenuta dei conti pubblici e che già negli scorsi giorni si è visto rifiutare da Salvini l’appello a non andare al voto a ottobre senza aver fatto la legge di Bilancio che rassicuri in qualche modo i mercati. Intanto la corsa al voto di Salvini va avanti e dalle assolate spiagge demonizza le ipotesi di accordo fra M5S e Pd: “Inciuci, giochetti di palazzo, governi tecnici o di scopo non fermeranno la voglia degli italiani di un governo forte e libero”. Poi con il sole quasi al tramonto Salvini da Siracusa, dove sono stati esposti striscioni pro migranti e si è ripetuta la contestazione, avverte: “Si parla di dittatura, ma io chiedo le elezioni”. E punta al ritorno delcentrodestra unito: “Conto di vedere gli alleati in settimana”.

Open Arms, dopo Gere anche Banderas: “Un orrore in Italia”

Dopo Richard Gere, un’altra star del mondo del cinema ha deciso di scendere in campo in favore della ong spagnola Open Arms, che da dieci giorni si trova a una trentina di miglia da Lampedusa in attesa di poter sbarcare i migranti soccorsi. Banderas ha definito “un orrore” la situazione che si è venuta a creare in Italia per il clima che si è creato attorno alle ong spiegando che ciò ha “molto a che fare con quello che sta succedendo nel mondo” dove, per esempio, a capo degli Stati Uniti “c’è un signore che vuole erigere un muro”. Intanto ieri sono salite a 411 le persone salvate dalle ong nel mar Mediterraneo e ferme al largo con la speranza di raggiungere un porto sicuro dopo esser fuggite dalla Libia. L’imbarcazione norvegese di Msf e Sos Mediterranee ha recuperato altre 81 persone in difficoltà su un gommone “non adatto alla navigazione” al largo della Libia e a questo punto a bordo della nave, che si trova ancora davanti alle coste di Tripoli, ci sono 251 migranti. Ad una trentina di miglia da Lampedusa resta appunto Open Arms che accoglie 160 persone. In serata nove di loro, tre migranti malati e sei accompagnatori, vengono evacuati e presi in carico dalla Guardia costiera italiana per motivi medici.

Senato, la tentazione di Casellati: domani in Aula sul calendario

Nel palazzosi dice che Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato con l’ambizione di ascendere al Colle nel 2022, sia tentata di provare a dare una mano a Matteo Salvini. Oggi, infatti, si terrà la riunione dei capigruppo di Palazzo Madama che dovrà decidere come e quando ascoltare il premier Giuseppe Conte e decretare la fine della maggioranza gialloverde: la Lega e il centrodestra diranno che bisogna andare in aula già domani sulla loro mozione di sfiducia al premier; i 5 Stelle, il Pd e il Misto alla fine proporranno invece il 20 agosto per ascoltare le comunicazioni di Conte. Vinceranno questi ultimi che rappresentano la maggioranza dei senatori: quando non c’è l’unanimità, però, il presidente può convocare l’aula proprio per decidere il calendario. E questo farà Casellati sperando di far cosa gradita e utile a Salvini: il centrodestra compatto, puntando sulle assenze dei democratici e degli altri, potrebbe sovvertire le decisioni della capigruppo mettendo subito all’ordine del giorno la mozione anti-Conte. Il piano ha un suo senso, ma è difficile funzioni: i 100 e dispari grillini sono già tutti a Roma da oggi e invece sul tasso di presenza dei 62 senatori di Forza Italia c’è più di qualche dubbio.

La condizione del M5S: “Non sfiduciate Conte”

Si parte da Conte e con Conte bisogna continuare. Perché è sulla non sfiducia al presidente del Consiglio che si misurerà se la tela tra Pd e Cinque Stelle sarà stata solo la foto di un disperato tentativo estivo, oppure se può diventare davvero realtà lo scacco a Matteo Salvini. L’avversario a cui Luigi Di Maio chiederà senza sosta di passare ai fatti, di ritirare tutti i ministri della Lega e quindi di lasciare il Viminale. Nella speranza che i sussurri e gli sms con i dem portino a una nuova maggioranza di fatto innanzitutto alla Camera sul taglio dei parlamentari, la bandiera che va resa legge per far slittare il voto di mesi, almeno fino alla primavera.

Eccola la rotta dei Cinque Stelle nella testa del capo politico Di Maio, che stamattina riunirà i parlamentari in un’assemblea congiunta dove cercherà un nuovo mandato a proseguire, sulla via per tenere in piedi un governo: un Conte bis, negli auspici.

Tanto ha già in cassaforte la copertura politica del fondatore Beppe Grillo, che sabato ha sorpreso tutti con quel post che è un salvacondotto per il vicepremier: “Altro che elezioni, salviamo l’Italia dai barbari, coerenza non vuol dire rigidità”. Righe che hanno fatto emergere una sfilza di 5Stelle pronti alla scommessa, all’accordo con il Pd. A partire dalla capogruppo in Regione Lazio Roberta Lombardi, che lo ha detto a Repubblica: “Sposo totalmente la linea di Grillo, siamo stati coerenti ma non siamo fessi”.

Ma anche altri della vecchia guardia hanno dato il via libera: dal presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia, vicino a Roberto Fico, a Mirella Liuzzi, segretaria d’Aula a Montecitorio, che si è esposta su Facebook (“ora dipende da noi ma soprattutto dal presidente della Repubblica come gestire la crisi”).

Si allinea anche Emilio Carelli, uno degli esterni eletti nei collegi uninominali: “Dialogare per il bene del Paese è un atto di responsabilità”. Buone notizie per Di Maio, che può contare anche sul cauto benestare di due big spesso critici come Nicola Morra e Paola Taverna. E su quello di una figura centrale in questa partita, il presidente della Camera Fico.

Così Di Maio insiste. Con Matteo Renzi nessun contatto diretto, giurano dal suo staff, consapevoli che l’accostamento rimane veleno per la base e benzina per la contraerea di Salvini. Per questo il capo politico riparte sempre da lì, dal taglio dei 345 parlamentari, da approvare in quarta e definitiva lettura a Montecitorio. “L’unica apertura da fare è al buon senso, tagliamo 345 poltrone. Nessun inciucio, nessun giochetto” ripete su Facebook. Lo stesso che poco più di un anno fa invocò l’impeachment per Sergio Mattarella, ora si aggrappa al Colle: “Ci affidiamo alle decisioni del presidente della Repubblica”.

Però la strada resta impervia. Una fonte di primo piano racconta: “Dal Pd ci hanno spiegato che sulla loro astensione nel voto di sfiducia a Conte non possono darci ancora garanzie. Devono riunirsi, tenere una direzione”. Perché quello resta il passaggio cruciale per farcela, il cosiddetto lodo Grasso, cioè l’astensione di dem, LeU e vari del Misto nel voto in Senato sul premier. La prima, importante prova sarà la conferenza dei capigruppo di domani alla Camera, dove il M5S si aspetta l’aiuto del Pd per un nuovo calendario dei lavori che anticipi da settembre ai prossimi giorni il voto sulla riduzione degli eletti.

Nel frattempo i 5Stelle, forti di un terzo dei deputati, faranno convocare d’urgenza l’Aula. “Ma per votare il taglio prima della sfiducia a Conte servirebbe un miracolo, cioè un intervento pesante di Fico”, ammette un big. Improbabile. Invece stamattina Di Maio guarderà negli occhi i parlamentari, “umile e pronto all’ascolto”: perché la linea è recuperare il filo col gruppo e cambiarne l’immagine di uomo solo al comando. Anche se pesa il silenzio di Alessandro Di Battista, più che scettico sulla trattativa coi dem, ma schierato con Di Maio per uno slittamento del voto di pochi mesi. Freddo anche Davide Casaleggio. E c’è chi fa muro, come Gianluigi Paragone: “Niente governi con Renzi o il Pd, abbiamo già dato. Si vada al voto”.

Il piano di Renzi: Cantone premier e deficit al 2,9%

L’accordo tra Matteo Renzi e il M5S in discussione si regge su tre pilastri: Raffaele Cantone premier, deficit 2020 vicino al 2,9 per cento per evitare che la legge di Bilancio sia troppo sanguinosa, appoggio dei gruppi parlamentari del Pd o, se il segretario Nicola Zingaretti si oppone, di gruppi autonomi composti da renziani e fuoriusciti da Forza Italia.

Il negoziato è in corso in queste ore e tutto si evolve in fretta. Ma Renzi è sempre più visibile come regista: ieri s’è fatto intervistare dal Corriere della Sera e continua a lavorare all’interno del partito. Zingaretti è fermo sulla linea “nessun accordo”, ma continua anche a denunciare i pericoli di un governo Salvini che si può evitare solo rinviando le urne.

Goffredo Bettini, parlamentare Pd molto influente nella stagione zingarettiana, è assai più possibilista: “Se cade la pregiudiziale (non il giudizio, ma il pregiudizio) verso i 5 Stelle, e si apre una trattativa, allora si dovrebbe mettere in campo una operazione limpida”, ha scritto su Huffington Post. Dario Franceschini, che negli equilibri interni pesa sempre tanto.

Se Zingaretti dovesse rimanere sulla sua linea intransigente, Renzi ha pronto un piano B: gruppi parlamentari autonomi e poi, se necessario, la creazione di un nuovo partito. Al Senato, dove si decide tutto, Renzi porterebbe con sé buona parte degli attuali 51 senatori del Pd e una pattuglia di ex Forza Italia, per dare sostegno alla nuova maggioranza e riempire il vuoto lasciato dai 58 senatori leghisti. Zingaretti a quel punto rimarrebbe segretario di un Pd senza quasi più truppe parlamentari. L’alternativa per il governatore della Regione Lazio non è allettante: passare la campagna elettorale a spiegare perché ha preferito consegnare l’Italia a un governo Salvini sostenuto da tutte le destre invece che governarla insieme ai Cinque Stelle.

Ma serve un nome di garanzia per questa operazione, capace di reggere tre-quattro mesi ma anche tre anni, se dovesse servire. Nell’intervista al Corriere, Renzi ha chiarito che non può essere Roberto Fico, che deve restare presidente della Camera. Il nome che circola è quello di Raffaele Cantone: il magistrato si appresta a lasciare l’Autorità Anticorruzione a settembre, in polemica con il governo Conte. Ma i suoi rapporti con il M5S sono sempre stati abbastanza positivi: i problemi sono maturati con la Lega (che vuole demolire il codice degli appalti e ridurre gli obblighi di gara), e con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, esponente di una cultura giuridica di amministrativisti da sempre sospettosa verso i super poteri dell’Anac, decisi proprio da Renzi nel 2014.

Chi sarà al governo in ottobre dovrà scrivere e votare una legge di Bilancio difficile: la priorità è trovare 23,7 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva dal 2020. Pd e M5S non vogliono votare tagli e tasse e poi offrire il collo alla mannaia degli elettori in primavera. La soluzione di cui si discute in queste ore è quindi di minimizzare i danni facendo un deficit ben superiore a quello previsto, magari arrivando al 2,9 per cento (ma non basterebbe comunque, perché se l’Iva non aumenta si sfonda quota 3,5 e parte la procedura d’infrazione Ue).

Questo schema, che andrebbe bene sia a Cinque Stelle che a Renzi, deve avere però un via libera preventivo dal Quirinale, da un eventuale nuovo ministro dell’Economia e pure dalla Commissione europea (dove Renzi coltiva rapporti, a cominciare dalla presidente Ursula von der Leyen). I mercati mugugnerebbero, ma l’alternativa è un esecutivo Salvini con dentro anche i teorici dell’uscita dall’euro.

Il governo Renzi-M5S si reggerebbe sul progetto di riduzione dei parlamentari, riforma costituzionale cui manca l’ultimo voto in settembre. Poi, con o senza referendum confermativo, ci vorranno mesi per aggiustare di conseguenza i collegi elettorali. Dilatando un po’ ma non troppo i tempi è facile arrivare così al 2022 e alla elezione del nuovo capo dello Stato, che in un Parlamento guidato da M5S e Pd potrebbe essere Mario Draghi o, se necessario a cementare l’intesa, Giuseppe Conte.

Golpe renziano nel Pd. Zingaretti resiste, ma “teme” Mattarella

C’è qualcosa di antico in questa fase del dibattito interno al Pd. Nel 2011, infatti, fu Dario Franceschini ad aprire le danze del governo Monti con un’intervista al Corriere della Sera. Quasi otto anni dopo Matteo Renzi fa la stessa cosa sullo stesso giornale: qui accanto vi raccontiamo qual è la sua proposta per dare un governo al Paese. Franceschini dal canto suo, invece di schierarsi apertamente, stavolta ha fatto il ventriloquo sfruttando il terrore del voto dell’ex tutto toscano. Il problema è che Renzi non si accontenta di aprire il dibattito interno sul “governo istituzionale”, ma – mentre tenta di guadagnare tempo alla legislatura – mira anche a sottrarre il partito a Nicola Zingaretti o, alla peggio, a farsene uno suo in Parlamento schierando i gruppi dem – nominati da lui – contro il partito.

Per questo ieri il nuovo segretario ha risposto in modo durissimo: “Con franchezza dico no. Un accordicchio Pd-M5S regalerebbe a Salvini uno spazio immenso. Il sostegno a ipotesi pasticciate e deboli, ci riproporrebbe ingigantito lo stesso problema tra poche settimane. Non sia il Pd a mettere a posto i conti sfasciati dalla Lega”. Ora i dem hanno la scelta tra un’ennesima scissione o il suicidio politico: ecco un breve profilo delle tre principali squadre in campo e delle loro posizioni. In attesa che per tutti decida, in opere o omissioni, Sergio Mattarella.

Renziani. In sostanza faranno di tutto per impedire il voto. La crisi li ha colti di sorpresa e Renzi, che pensava di lanciare la sua lista a settembre avendo davanti sei mesi per far conoscere il marchio e raccogliere fondi, non è pronto se le urne sono in autunno: al Nazareno gli hanno già fatto sapere che, come fece lui con la minoranza, gli toccherà al massimo un 10% dei posti disponibili (15-20 eletti rispetto alla novantina attuali: una strage). Per questo, riposto il popcorn, il fiorentino è pronto all’alleanza pure coi 5 Stelle aggrappandosi all’Iva, al taglio dei parlamentari e a qualunque altra cosa. L’ostacolo è Zingaretti, che vuole andare a votare subito. Ieri si è capito come i renziani intendano aggirarlo: facendo votare non il partito, ma solo deputati e senatori. Il fu capogruppo Ettore Rosato lo dice chiaramente: “La proposta di governo istituzionale avanzata da Renzi non può essere liquidata con una battuta: i gruppi parlamentari dovranno discutere e sono certo che la grande maggioranza condivide la linea espressa dall’ex premier. E dunque saranno conseguenti nel voto in Aula”. Insomma, i renziani andranno avanti in ogni caso, magari raccogliendo qualche berluscones in fuga: una minaccia di scissione in piena regola.

Zingaretti & C. Il segretario vuole il voto subito, lo ha garantito anche a Matteo Salvini mentre la Lega decideva di aprire la crisi: che sia anche un modo per “bonificare” i gruppi parlamentari dai renziani è un gradevole surplus. Ora però, dopo la mossa del fiorentino, si balla. Zingaretti, per adesso, tiene la posizione, spalleggiato da Carlo Calenda: “Il piano di Renzi è folle e ridicolo: così la Lega va al 60%”. Zingaretti, però, ha un timore: Sergio Mattarella. “Ha già fatto sapere che non ci manda al voto col rischio dell’esercizio provvisorio: rischiamo di finire con le spalle al muro”, spiega un dirigente della sua area. È una situazione in cui, alla fine, qualunque scelta sarà un errore. Se “governo del presidente” dovrà essere, però, è il ragionamento, non potrà durare sei mesi, sennò alle elezioni il Pd semplicemente scomparirà. Roberto Morassut, già veltroniano, oggi con Zingaretti, la mette così: quella proposta da Renzi “sarebbe una soluzione asfittica e mortale per il Pd e il Paese. O voto subito per combattere la destra o, se possibile, un governo istituzionale vero, di risanamento e riforme, non a tempo (…) un governo di legislatura”. Governo di legislatura? Chiede il Tg1 a Zingaretti: “I tempi sono prerogativa del capo dello Stato”, svicola lui. Su questa via sarà rilevante il nome che Giuseppe Conte entro il 26 agosto indicherà come commissario Ue: se fosse dell’area democratica sarebbe un segnale.

I mattarelliani. Non è un’area strutturata, ma Dario Franceschini e Paolo Gentiloni ne sono i capi informali. Come la pensano lo ho spiegato il primo: “Dopo l’intervista di Renzi invito tutti nel Pd a discutere senza rancori e senza rinfacciarsi i cambiamenti di linea. In un passaggio così difficile e rischioso, qualsiasi scelta potrà essere fatta solo da un Pd unito e con la guida del segretario”. Insomma, si proverà a fare un governo convincendo pure Zingaretti. Intanto si sta fermi, in attesa che il tempo scorra, la crisi sedimenti e lo stesso Mattarella decida come procedere e faccia gentili pressioni sul segretario. Un primo accordo del Pd coi 5 Stelle, peraltro, dovrebbe manifestersi già oggi nella riunione dei capigruppo in Senato: insieme i due partiti dovrebbero ottenere di spostare la convocazione di Conte in Aula al 20 agosto e non a domani come pretenderanno Salvini e il centrodestra.

Ma mi faccia il piacere

Transennate le piazze. “Forza Italia, il rinnovamento del partito. Gli azzurri studiano la mobilitazione di Ferragosto” (il Giornale, 6.8). In una cabina dei Bagni Silvio.

Transennate le edicole. “A.A.A. Cercasi destra non truce. Appello. L’anomalia italiana è la destra che non c’è. Firme e idee per ripartire” (rag. Claudio Cerasa, Il Foglio, 7.8). Mo’ me lo segno.

Transennate le catene di montaggio. “Rimettiamo al centro i lavoratori. Basta diseguaglianze” (Luigi Zanda, senatore Pd, Repubblica, 7.8). Proletari di tutta Capalbio, unitevi.

La Repubblica del Capitano. “Voto subito (ma c’è chi dice no). Salvini vuole accelerare: ‘Fermerò inciucio contro di me’. Dalla Lega mozione di sfiducia al premier. Nasce tra grillini, Forza Italia e dem di Renzi il ‘partito’ anti-elezioni. Zingaretti però non ci sta” (Repubblica, 10.8). “Salvini: ‘Un patto tra Pd e 5S è da disperati, Mattarella li fermi’” (intervista esclusiva a Repubblica, 11.8). Aridatece La Padania.

Esprimi un desiderio. “Polvere di stelle. Grillini cadenti per San Lorenzo” (il Giornale, 9.8). “San Lorenzo, ti preghiamo. Fai cadere almeno cinquestelle” (Renato Farina, alias agente Betulla, Libero, 9.8). “La prima cosa bella di sabato 10 agosto 2019 è sedersi a guardare il cielo, vedere cadere una, due, tre, quattro, cinque stelle e aver realizzato già un desiderio” (Gabriele Romagnoli, Repubblica, 10.8). Sì, il desiderio di Salvini.

Il poliglotta. “Potrebbe essere lei il commissario Ue italiano, come se la cava con l’inglese?”. “The ball is on the table” (Repubblica intervista Gian Marco Centinaio, Lega, ministro dell’Agricoltura, 6.8). Promosso con bacio accademico. E minzione.

Giornalismo investigativo/1. “Ginevra Elkann: ‘La mia sfida con una storia sospesa tra felicità e malinconia’” (Repubblica.it, 7.8). “‘Magari’ di Ginevra Elkann: a Locarno i sentimenti sono affari di famiglia” (Repubblica, 8.8). “Ginevra Elkann, la dolce imperfezione dei padri”, “Ginevra Elkann: ‘Felicità e malinconia rinchiuse in un Magari per scoprire la famiglia lì dove c’è l’amore’” (La Stampa, 8.8). E La Stampa e la Repubblica me la massacrano così, con grave sprezzo del pericolo, malgrado sia la sorella dell’editore. Chapeau.

Giornalismo investigativo/2. “Cairo: così la svolta per Rcs, in 3 anni la cura ha funzionato” (Corriere della sera, 5.8). E al Corriere della sera me lo maltrattano così, con grave sprezzo del pericolo, malgrado sia l’editore. Chapeau.

Giornalismo investigativo/3. “Ministro Salvini, quanti rubli ha in tasca?”. “Mio figlio voleva il gelato e poi è andato in sala giochi, me ne sono rimasti pochi…” (Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2,intervista Matteo Salvini, segretario della Lega e vicepremier sul caso Rubli a Cervia, 5.8). E poi dicono che Salvini non ama i giornalisti aggressivi.

Fate la carità. “C’è una colletta per pagare il cibo a Formigoni. Sul lastrico per sentenza. L’ex governatore ai domiciliari non ha mesi per sopravvivere. Un amico raccoglie fondi. Si può contribuire” (Farina in arte Betulla, Libero, 8.8). Pare che abbiano avvistato il Celeste nudo mentre andava a caccia di selvaggina al Parco Sempione e poi attizzava il fuoco con la pietra focaia e strofinando i legnetti.

Straziante appello. “Lo conosco bene, il Cav. Portargli via il partito è un progetto demenziale, visto che non esiste, c’è sempre stato solo Lui” (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 5.8). Soprattutto quando c’era Giuliano Ferrara.

Colpa di Virginia. “Insicura, sporca, senza regole. ‘Quanto sei bella Roma ma…’. Aumenta ancora il numero di visitatori” (Repubblica-cronaca di Roma, 6.8). Perchè non leggono Repubblica.

Troppi fratelli. “C’è la fila di azzurri alla porta di Fratelli d’Italia” (Giorgia Meloni, Libero, 7.8). Occhio, Giorgia, è la stessa fila che c’è alla porta delle patrie galere.

Il titolo della settimana/1. “Sulla Tav patto inedito Lega-dem: ‘La mozione dei 5S non passerà’” (La Stampa, 6.8). Inedito?

Il titolo della settimana/2. “La guerra alle ong è legge. Zingaretti: ‘M5S schiavi di Salvini’” (il manifesto, 6.8). Temeva la concorrenza.

Il titolo della settimana/3. “Ottanta italiani su cento sono stanchi dei giudici. Sondaggio condanna la magistratura” (Libero, 5.8). Anziché smentirla, Davigo dovrebbe rivendicare la battuta che sempre gli attribuiscono: “In Italia non esistono imputati innocenti, ma solo colpevoli non ancora scoperti”.

Addio a Tosi, l’uomo che sussurava ai tessuti e regalava premi Oscar

Un’estate di addii ai grandi del cinema. Il 15 giugno il regista Franco Zeffirelli e ieri uno dei suoi più cari amici e collaboratori: il costumista premio Oscar Piero Tosi. Si è spento a 92 anni a Roma. Li univa un profondo legame iniziato ai tempi dell’Istituto d’arte di Porta Romana a Firenze. A quel tempo si formò “un gruppo unico ed eccezionale”, che includeva anche Danilo Donati, premio Oscar per i costumi di Romeo e Giulietta, e Anna Anni, costumista e scenografa di fiducia del regista fiorentino e di Carla Fracci.

Lo raccontala stessa Fondazione Zeffirelli, che ha dato la notizia della scomparsa di Tosi annunciando che verrà sepolto nella cappella di famiglia al Cimitero delle Porte Sante di Firenze, insieme al suo migliore amico. “Oggi si spegne l’ultimo di questi quattro grandi artisti, sicuramente uno dei più grandi costumisti al mondo”, ha commentato il figlio del defunto regista, Pippo Zeffirelli.

Piero Tosi era nato a Sesto Fiorentino il 10 aprile del 1927. Era stato allievo del pittore Ottone Rosai. Era cresciuto nella bottega di suo padre, che lavorava il ferro. Di nascosto leggeva Shakespeare e si figurava già nella mente i bozzetti dei costumi. Dopo l’incontro con Luchino Visconti, a cui lo presentò Zeffirelli, divenne, ancora giovanissimo, suo assistente alla regia al Maggio Musicale Fiorentino. Terminato l’apprendistato teatrale, passò al cinema. Così iniziò il lungo sodalizio, durato un quarto di secolo, con Visconti. Tosi nel frattempo si trasferì a Roma, dove a lungo condivise l’appartamento con i tre amici fiorentini tra talento e vita bohémienne. Per Visconti realizzò i costumi di film del calibro de Il Gattopardo del 1963. Oltre a Bellissima, Senso, Le notti bianche, Rocco e i suoi fratelli, Lo straniero e Morte a Venezia. Li accumunava il gusto per il dettaglio e una precisione quasi maniacale.

Collaborò anche con Pier Paolo Pasolini in Medea, con Zeffirelli nei celebri Storia di una capinera e La Traviata, con Dino Risi in Un amore a Roma, con Mario Monicelli in I compagni e pure con Luigi Comencini, Federico Fellini, Gianni Amelio, Mario Camerini, Mauro Bolognini e Vittorio De Sica. Fu un esteta. Era solito addormentarsi con i ritagli dei tessuti per “ascoltarli” e scegliere i più appropriati. Fu lui a vestire i più grandi del cinema italiano: da Anna Magnani a Marcello Mastroianni, da Sofia Loren a Claudia Cardinale. Realizzò anche i costumi di Maria Callas in La Sonnambula di Vincenzo Bellini, andato in scena nel 1955 con la regia di Luchino Visconti al Teatro della Scala. Dopo 5 nomination, nel 2014 fu premiato con l’Oscar alla carriera. Per lui lo ritirò Claudia Cardinale, perchè Tosi aveva paura di prendere l’aereo. Il Centro sperimentale di cinematografia, con cui ha collaborato per 28 anni come docente di Costume della Scuola nazionale di cinema, lo ricorda come “uno che regalava gli Oscar agli altri”, “uno degli uomini più riservati e modesti che il cinema mondiale abbia mai conosciuto”. A partire dal 2009, il Bif&st di Bari conferisce un premio intitolato a lui.

La Maremma omaggia Bianciardi e “La vita agra” dei suoi minatori

Morì a Milano, a 49 anni, il 14 novembre del 1971, e al suo funerale parteciparono pochissime persone. Oltre ai familiari più stretti, erano in quattro. Prima di andarsene, aveva detto: “Sopportatemi, duro ancora poco”. Molto tempo dopo, parlando con Pino Corrias che stava scrivendo Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, l’amico Sergio Pautasso gli confidò: “Finché campo non dimenticherò lo squallore di quel funerale”.

Oggi invece Luciano Bianciardi, anarchico e garibaldino, ribelle a tutte le mode e a tutti i conformismi, una voce davvero fuori dal coro nella letteratura italiana, morto in solitudine, è decisamente ritornato di moda. Incredibile, ma vero, lo si ripropone in una Italia che a Bianciardi non piacerebbe per niente, meno ancora della Milano del Miracolo Economico degli anni Sessanta. Lui, del resto, era quello che scriveva: “Io sono anarchico, nel senso che auspico una società basata sul consenso e non sull’autorità”. Ritorna a essere pubblicato dopo un ventennio di assoluto oblio tra gli anni Settanta e i primi Novanta, e poi un lento riemergere grazie intanto alla appassionata biografia di Corrias e alle riedizioni dei suoi libri da parte della figlia Luciana Bianciardi con la casa editrice Ex-Cogita.

Revival Bianciardi, allora. Lo dimostrano i numerosi articoli sui giornali e le ristampe ormai frequenti dei romanzi e di altri testi del narratore e traduttore (di Henry Miller, tra l’altro) grossetano, come la nuova edizione di I minatori della Maremma, scritto assieme a Carlo Cassola, edita da Mininum Fax, che ha in programma poi l’uscita di tutti i libri bianciardiani dedicati al Risorgimento. L’interesse per l’autore de La vita agra, il suo capolavoro, è provato anche dal grande murale realizzato nella sua Maremma dall’artista follonichese Dario Vella, che è stato inaugurato di recente. Raffigura Bianciardi su una facciata dell’ex cinema Mori di Ribolla, nel luogo dove nel maggio del 1954 vennero raccolti i 43 cadaveri dei minatori morti nello scoppio nella miniera della Montecatini: quella tragedia del lavoro. Quegli omicidi bianchi, che colpirono profondamente Bianciardi e sono il filo conduttore di La vita agra e dell’inchiesta I minatori della Maremma, che uscì per Laterza due anni dopo l’eccidio di Ribolla. Accanto al Bianciardi ritratto a figura intera, in una delle più caratteristiche delle sue pose, cioè mentre cammina con le mani nelle tasche, sul muraglione di vico della Libertà l’artista di Follonica ha inserito una sua frase: “Io sono con loro, i badilanti e i minatori della mia terra”.

Che cosa direbbe Bianciardi di questa assai postuma riscoperta? La figlia Luciana, che sta lavorando a una serie di iniziative per il centenario (nel 2022) della nascita di suo padre, non ha dubbi: “Non sarebbe contento, non gli piacerebbe. Anche perché avviene in una Italia che, oggi, è agli antipodi delle idee e dei valori in cui credeva”. Eppure piace all’industria editoriale odierna. Con le varie riproposte di romanzi e racconti storici come Antistoria del Risorgimento. Daghela avanti un passo! (Minimum Fax), è arrivato in libreria pure il poderoso Il cattivo profeta, una raccolta di più di 1.400 pagine, pubblicata da Il Saggiatore, comprendente tutti i romanzi, i racconti, i saggi, e curata dalla stessa figlia di Bianciardi. “Sì, mio padre è di moda”, dice Luciana , “magari perché è davvero la classica mosca bianca nella cultura italiana e si vuole dare risalto a questa sua differenza. Era ribelle, anarchico, cantore di Garibaldi e dei garibaldini, critico tagliente della modernità e del progresso, ed è di grande attualità in un Paese come il nostro, segnato da continui incidenti mortali sul lavoro. Basti pensare all’inchiesta che lui e Cassola fecero sui minatori maremmani e sulla strage di Ribolla, una strage del lavoro”.

Il ritorno di Bianciardi, tuttavia, non riguarda soltanto il mondo editoriale e quello accademico. A ben vedere sono proprio le sue idee controcorrente, il suo essere libertario, il suo umanesimo, ad attrarre. Un esempio? Quel gruppo di grossetani che ha creato il collettivo Bianciardi 2022, in vista del centenario. Lo hanno fondato, spiegano, “per creare le condizioni affinché il festeggiato non debba vergognarsi dei suoi concittadini. Il collettivo desidera che la sua città, Grosseto” – la “Kansas City” immortalata da Bianciardi in Il lavoro culturale – “torni a essere ‘aperta al vento e ai forestieri’, una città orgogliosa del suo meticciato e della sua libertà”. Bianciardi, forse, questa volta sarebbe contento.