Grillo dà carta bianca a Di Maio: “Altro che voto…”

Per giocare al tavolo che vale presente e futuro, cioè l’intera posta, il Luigi Di Maio rimpicciolito dalle urne aveva bisogno del mandato. Della copertura del fondatore, quello che ne sta lontano ma che può ancora spostare moltissimo nel Movimento. Potrebbe, Beppe Grillo. E in un sabato di agosto lo fa con un post insolitamente dritto, in cui sdogana ciò che un tempo era indicibile: “Dobbiamo fare dei cambiamenti? Facciamoli subito, altro che elezioni, salviamo il paese dal restyling in grigioverde dell’establishment, che lo sta avvolgendo!”.

La traduzione è che si può fare anche giocandosela di politica, cioè aprire a un qualcosa che eviti il voto anticipato: un governo di scopo, preferibilmente, per rendere legge il taglio di 345 parlamentari, varare la manovra economica e, chissà, provare a fare una nuova legge elettorale. Stando attenti a non vendersi l’anima al Pd e, meno che mai a Matteo Renzi, il diavolo che fa capolino dai telefoni. “Ci vorrebbe un governo del presidente, con Conte ancora a Palazzo Chigi e senza scambi di poltrone con i renziani” sono i paletti che immaginano voci di peso del M5S. L’essenziale è evitare che Matteo Salvini dilaghi nelle urne di ottobre.

Tanto Grillo scrive che lui non è contrario, anzi: “Prima eri uno che tentava di tenere duro con Salvini e adesso, solo perché lui è nel pieno del suo ciclo di vuoto intamarrimento tu devi morire?”. Non vuole che il M5S e il suo capo Di Maio muoiano di ortodossia, e lo spiega innanzitutto ai suoi, ai 5Stelle: “Hanno confuso coerenza con rigidità, anche molti di noi fanno questa confusione ed allora scattano meccanismi incredibili! Ma è tutto così semplice… Mi eleverò per salvare l’Italia dai nuovi barbari, non si può lasciare il Paese in mano a della gente del genere”.

Un messaggio che nasce anche dalle telefonate tra il fondatore e Di Maio, frequenti negli ultimi giorni. Perché il garante vuole tutelare il giovane capo: e il post calato dopo il sì di Conte al Tav, quello per rivendicare gli sforzi del Movimento contro la Torino-Lione, lo aveva già dimostrato. Così ecco l’intervento di ieri. Con il capo che ringrazia e rilancia il post: “Beppe è con noi ed è sempre stato con noi! Il vero cambiamento è il taglio dei parlamentari, le vere elezioni si fanno con 345 poltrone in meno. Serve cambiare, subito”.

Ma Di Maio sa dei tanti contrari nel M5S. Con Alessandro Di Battista che è il primo degli scettici. Invece il presidente della Camera Roberto Fico è molto cauto ma non pone veti a prescindere, raccontano. D’altronde la questione è delicatissima, e lo hanno detto tutti nella riunione di venerdì a Roma di Di Maio con una sfilza di maggiorenti, da Davide Casaleggio ai capigruppo alle Camere fino a Di Battista e a quel Max Bugani con cui il capo sta ricucendo. L’atto di nascita di un caminetto politico che d’ora in poi deciderà con il vicepremier. E nel quale tanti temono la palude, l’inciucio.

E poi ora, è l’obiezione, il M5S avrebbe una narrazione su cui impostare la campagna, quella contro il Salvini irresponsabile che “vuole solo capitalizzare il consenso” come ha ringhiato Conte. Ma ci sono tanti nodi da sciogliere, e il principale è convincere proprio il premier a correre da candidato a Palazzo Chigi. Per questo Di Maio vuole tenersi aperta ogni via. E ripartire dal taglio dei parlamentari, da votare alla Camera anche prima della mozione di sfiducia a Conte. E sarebbe il modo per far slittare il voto di mesi.

Però serve un’impresa, da iniziare nella capigruppo a Montecitorio di martedì, che dovrebbe votare un nuovo calendario dei lavori, cioè anticipare la votazione a una data subito dopo Ferragosto. Nell’attesa il Movimento ha già avviato la raccolta di firme per la convocazione d’urgenza dell’Aula: alla portata, visto che serve il consenso di un terzo dei deputati, e il M5S li ha. Ma tagliare gli eletti in agosto è quasi impossibile. Un quasi a cui vorrebbero aggrapparsi tanti dem, tra i quali il post di Grillo è stato salutato da ovazioni a guardare le chat. Ma 5Stelle di peso raccontano un’altra verità. Per esempio il senatore Gianluigi Paragone: “Con il post Beppe vuole sparigliare, per vedere cosa succede. Ma noi non dobbiamo regalare a Salvini nessuno spazio di manovra aggiuntiva: è quello che vorrebbe per continuare la sua propaganda”.

Lodo Grasso al Senato: Lega sola sulla sfiducia

Non sarà facile per Matteo Salvini convincere Forza Italia a combattere al suo fianco la guerra lampo con cui, sulle ceneri dell’alleanza gialloverde, è convinto di espugnare Palazzo Chigi. Perché al Senato, dove verrà parlamentarizzata la crisi, ben pochi tra i forzisti (che rappresentano il secondo gruppo per consistenza numerica) sono disponibili a pagare una cambiale in bianco al “Capitano”. Ora che le poltrone ballano e la rielezione in Parlamento diventa una chimera, con il partito dell’ex Cavaliere ai minimi storici e senza certezza che la Lega lo voglia alleato alle urne.

In ogni caso bisognerà attendere la capigruppo di domani per conoscere i tempi della crisi. Perché, come ha ricordato il presidente della Camera Roberto Fico è quella la sede in cui si decide sui lavori d’Aula, con buona pace del pressing di Salvini. E la scelta del 13, il 20 se non il 27 agosto sarà significativa della volontà di precipitarsi alle urne. O se la strada sarà più complicata.

Ma andiamo con ordine. Il presidente Conte ha chiesto nei giorni scorsi di riferire sulla crisi in Parlamento. Dove si consumerà lo scontro frontale con Salvini che gli ha chiesto un passo indietro che lui non ha concesso. E così la Lega ha presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti che chiederà all’Aula del Senato di votare al più presto.

Per togliere di mezzo rapidamente Conte e andare ad elezioni anticipate a ottobre, sarà necessario che la Lega (che a Palazzo Madama è il terzo partito con 58 senatori) convinca la capigruppo, con l’appoggio delle opposizioni e in particolare Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni ad imprimere l’accelerazione che si dicono pure loro prontissimi a sfiduciare il premier e andare al voto rapidamente. Ma una cosa sono i leader, altro sono i soldati semplici. Che subiscono il fascino delle parole dell’ex presidente del Senato, Pietro Grasso che sa bene di quali timori siano affollate le notti dei parlamentari che rischiano di non tornare a Palazzo. “Non vedo perché io e tutti i senatori di opposizione, di LeU, del Misto, del Pd, ma anche di centrodestra dovremmo trasformarci nei ‘volenterosi carnefici’ al servizio di Salvini, e votare allegramente l’assurdo di una mozione di sfiducia al governo presentata da ministri tuttora ipocritamente e vergognosamente in carica e che intendono rimanere tali fino al giorno delle elezioni. Non vedo perché le opposizioni dovrebbero fare il lavoro sporco di un gruppo parlamentare che rappresenta il 17 per cento del voto delle elezioni di marzo 2018”. Per impedirlo – suggerisce – basta poco: non partecipare al voto di sfiducia. A quel punto i tempi della crisi passeranno dalle mani del presidente del Consiglio e soprattutto del presidente della Repubblica. La mossa di Grasso ha colpito l’immaginazione dei più: di quelli che sperano che la legislatura vada avanti e pure di quelli che vogliono far capire ora a Salvini quanto sia prezioso il loro voto.

Poi c’è il Pd che vuole innanzitutto votare la mozione di sfiducia al ministro dell’Interno. Che i dem, almeno l’ala renziana, vogliono discutere prima di ogni altra questione. Una mossa che farebbe guadagnare tempo in vista di possibili accordi per fare almeno la manovra e la legge elettorale. E Zingaretti? Ritiene prioritario non avere Salvini al Viminale a ridosso delle urne che il segretario dem continua a invocare. Anche se in molti sono convinti che “non le voglia a tutti i costi. E soprattutto mai si metterebbe contro il Capo dello Stato, Sergio Mattarella se dal Colle dovesse essere indicata la strada di un governo del presidente”.

L’amico del Cazzaro

Vuoi vedere che il Cazzaro Verde, da tutti dipinto come un genio della politica, l’ha pestata grossa? Tre giorni dopo la genialata di buttar giù il governo in pieno agosto senza dimettersi da vicepremier e da ministro nè far dimettere i suoi, appare già un tantino incartato. Da buon orecchiante improvvisatore, ha scoperto dalle ultime ripetizioni estive di Conte che l’Italia è una Repubblica parlamentare, le cui regole e procedure non consentono le elezioni prima di fine ottobre (se va bene). Dunque il suo eventuale governo monocolore (“corro da solo”, anzi “vediamo”) con “pieni poteri” non potrebbe nascere prima di fine novembre-inizio dicembre. Non avrebbe il tempo di varare e far approvare la legge di Bilancio. E partirebbe con una figuraccia mai vista, da Guinness dei primati: l’esercizio provvisorio col contorno di spread, speculazioni, infrazioni Ue ecc. In più il barometro dei social, che a noi fa un baffo ma per lui è legge, segnala fulmini e tempeste: insulti, critiche, pentimenti e sberleffi per il suo tradimento incoerente e incomprensibile. Più tempo passa, più la sua fuga per la vittoria potrebbe incontrare intoppi. I trionfi, nella politica italiana, arrivano inattesi: quando sono troppo annunciati, si rivelano spesso cocenti delusioni. Ne sanno qualcosa Renzi e i 5Stelle, dati l’uno per sconfitto e gli altri come stravincitori alle Europee del 2014, salvo poi aprire le urne e trovarsi a parti invertite.

Che il fattore-tempo sia cruciale per le prossime elezioni, lo capiscono tutti. Lo capisce Salvini, che già dà segni di nervosismo perchè non si vota domani. Lo capisce Di Maio, che chiede il taglio dei parlamentari prima delle urne. Lo capisce Grillo, che chiede altri “cambiamenti” prima del voto, per rubare il tempo a Salvini. Lo capisce Grasso, che propone a centrosinistra e M5S di uscire dall’aula quando la Lega voterà contro Conte, così mancheranno i numeri perché il governo sia sfiduciato e Mattarella potrà lasciarlo al suo posto per fare poche cose (taglio dei parlamentari, legge elettorale e legge di Bilancio) prima delle urne a primavera e spostare le lancette dell’orologio salviniano. Lo capisce persino Renzi che, pur animato da interessi di bottega, lancia segnali per il governo M5S-Pd che impallinò nel 2018. L’unico che non lo capisce è Zingaretti, che ieri ha letto Repubblica (“Votare subito. Ma c’è chi dice no”), poi ha dichiarato: “Votare il taglio dei parlamentari è un trucchetto per non andare al voto”. Esattamente quel che dice Salvini. Il quale, come del resto B. per vent’anni, non ha nulla da temere: se ha un problema, glielo risolve il Pd.

Indro, Dino, Oriana: “Il sale del giornalismo”

Oltre alla rassegna filologica opera per opera, ad attirare l’attenzione del visitatore di mostre sono le curiosità, gli inciampi, tutte le miserie e nobiltà che concorrono a produrre quello che chiamiamo “racconto laterale”. E di affondi bizzarri è piena l’esposizione Piccoli tasti, grandi firme. L’epoca d’oro del giornalismo italiano (1950-1990) a cura di Luigi Mascheroni, al Museo civico di Ivrea (fino al 31 dicembre). Per esempio: giugno 1974, Il Giornale di Indro Montanelli è stato appena fondato, domani si va in edicola. In Germania inizia la seconda fase dei mondiali di calcio. Una volta finite le partite, dopo le 19:30, gli inviati Silvano Tauceri e Giorgio Torelli dettano l’articolo a un diamofonista, un poligrafico che registrava le telefonate dei giornalisti fuori sede, trascriveva i pezzi per poi passarli alla redazione.

Ma cosa succede? La registrazione non è avvenuta. Inutile tentare di richiamare i colleghi in albergo o in sala stampa: non ci sono. Il giorno dopo, racconta il curatore nel catalogo pubblicato da La Nave di Teseo (pensato come un delizioso pastiche) “in pagina va un misero comunicato dell’Ansa con il risultato delle partite e poco più…”

La mostra vuole raccontare quella fucina aurea che è stato il giornalismo dall’anno della progettazione della Lettera 22 (il 1950) fino alla graduale introduzione del computer nelle redazioni, quando cioè esse si sono trasformate in desk. Ed ecco sfilare mirabilia assai vari in questa Wunderkammer: macchine per scrivere (un’Olivetti MP1, il primo modello che usò Montanelli, per poi preferire la Lettera 22), taccuini ma soprattutto pagine di giornale – quelle innovative che Giuseppe Trevisani ideò per il Manifesto–, puntate di rubriche quali “Il sale del giornalismo” di Dino Buzzati, “Il lato debole” di Camilla Cederna; e ancora riviste ormai scomparse come Epoca o L’Europeo.

Moltissimi i ritagli di storici articoli: le cronache culturali di Mario Soldati, le inchieste di Giorgio Bocca, gli “scritti corsari” di Pasolini, le interviste di Oriana Fallaci. Proprio lei, offre lo spunto per un altro aneddoto che riguarda l’allunaggio. È il 20 luglio 1969, mentre i quotidiani si limitano a dare la notizia, spetta ai settimanali fare il colpo pubblicando le prime foto a colori della luna. Tre giorni dopo, la NASA annuncia che consegnerà il materiale ai giornalisti intorno alle 13.30, troppo tardi per prendere l’ultimo volo per l’Italia. Livio Caputo (per Epoca) e Oriana Fallaci (per L’Europeo) sono i corrispondenti a New York. “Mentre la Fallaci,” narra Mascheroni, “cerca di muovere tutte le sue conoscenze per sfruttare un volo privato, Caputo si accorda in segreto con i colleghi di Paris Match e del Daily Mail per affittare un Falcon che li avrebbe portati a New York in tempo per ripartire subito per l’Europa.” Risultato: Epoca si aggiudica lo scoop dell’anno e la Fallaci non parla a Caputo per sei mesi.

“Macché Beautiful, i miei Leoni sono imprenditori moderni”

Oggi ci s’illude con le promesse, domani ci s’ingannerà con le menzogne. Dopodiché c’è l’oblio.

“Non immaginavo che a Palermo potesse esserci questo fervore commerciale, così mi dicono…”. Stefania Auci, trapanese, insegnante di sostegno, autrice de I leoni di Sicilia. La saga dei Florio – un libro edito da Nord dallo straordinario successo – in una passeggiata di controra a piazza Marina racconta quello che i suoi lettori, in Veneto, le dicevano durante una presentazione.

Che non lo sappiano a Vicenza, è comprensibile, temo che anche per i siciliani sia una novità.

Non riconosciamo il valore di ciò che ci appartiene, vogliamo soltanto demolire… il siciliano non sa raccontarsi; nessuna narrazione ufficiale – faccio un esempio – dice che la rivoluzione del ’48 inizia a Messina… Lo splendore della propria terra, il siciliano, non se lo sa spiegare.

Diciamolo.

Diciamolo: il siciliano è il nemico di se stesso.

È questa la morale della favola Florio, la dinastia imprenditoriale per l’intero Ottocento presente sulla scena del mondo, “con un bilancio commerciale pari a quello di un qualunque stato sovrano di media grandezza”, e adesso senza neppure una targa che li ricordi in via dei Materassai, a Palermo?

Per la storia industriale italiana “via dei Materassai” – dove nasce la ditta Florio – è ben più che il Lingotto di Torino.

E non è neppure vero che siano stati i Savoia, con lo Stato unitario, ad affossare il genio imprenditoriale dei Florio; la loro è la tipica vicenda in un cui la finanza inghiotte l’industria; c’è un ben preciso contesto, basti ricordare lo scandalo della Banca Romana, con il Credito Mobiliare che ha uno sportello presso il Banco Florio e che con il crollo costringe la famiglia a privarsi della liquidità per onorare la fiducia di tutti i clienti; il marchio Florio, a cavallo dei due secoli, fino all’esito della Grande Guerra, è l’emblema di chi costruisce un impero commerciale, perfino cosmopolita: da una putìa di spezie per arrivare alle tonnare, quindi i piroscafi, il commercio dello zolfo…

Sangue di popolo, quello di Paolo Florio che scappa dalle macerie del terremoto in Calabria nel 1799 e s’innesta in una Sicilia viva e non spenta come quella di oggi con la modernità bella che compiuta.

I Florio erano proiettati nel giro internazionale, avevano la capacità di importare la tecnologia, di fare proprio ciò che era stato sperimentato altrove; sapevano intercettare il cambiamento, sapevano leggere nella vita degli altri ed ebbero – primi su tutti gli altri imprenditori – consapevolezza di un’urgenza nella società di massa: l’opinione pubblica, per averla dalla propria parte e farne strumento di pressione politica; occupandomi dei Florio non mi sono certo impegnata nei cartagloria dei santi.

Il racconto di una dinastia industriale è un canone letterario, quella dei Buddenbrook – il romanzo di Thomas Mann – si consuma nel giro di quattro generazioni, quella dei Florio in tre e però, appunto, più che il Verfall, il declino, colpisce la saga: il nostro “Via col vento”, è offensivo definire così i “Leoni”?

Ci mancherebbe, qualcuno ha chiesto d’incontrarmi per rimproverarmi.

A proposito di cosa?

Per dirmi: lei ha fatto un remake di Beatiful con i nomi della storia vera.

Ora capisco perché preso dalla lettura, ho perso l’aereo pur essendo seduto davanti al gate, non riuscivo a staccarmi dalle pagine. In un certo senso quel volo perso è la mia recensione.

Mi spiace ma non… non riesco a riavermi da questa informazione.

Non faccio testo, non leggo narrativa, i “Leoni di Sicilia” è un romanzo storico – sfascia i luoghi comuni sull’arretratezza del Sud – ma possiamo fare un gioco: siamo in via dei Materassai, tra cinque anni…

Non un gioco, una divinazione.

Quando ci sarà la serie tivù, con la moltiplicazione dei lettori negli Stati Uniti, in Germania e in Olanda, in Spagna e in Francia in spettatori, questa via diventerà una meta – un po’ come gli Iblei per Montalbano – solo che i Florio sono stati carne, ossa e sangue e non personaggi dell’immaginario.

Intanto aspetto di vedere cammello… per adesso l’unica targa che ricorda la famiglia di Paolo, di Ignazio e del marito di Franca è quella di questa officina.

Eccola, al 32 di via dei Materassai c’è un’officina meccanica. Un teschio ingentilito da fiori stampati sulla calotta cranica così recita: “Officina Florio”.

“Il dettaglio dice tutto”, spiega ancora Stefania Auci: “le maniglie della porta, sono fatte con due pistoni del motore, l’imprinting è ancora una volta industriale”.

Pipa e Gin ed è nato Maigret. Il commissario fa 90 anni

“L’estate Simenon”, l’hanno battezzata i parigini. Mica hanno torto. Non solo il 4 settembre ricorre il trentesimo anniversario della sua morte ma, ma tra la fine d’agosto e settembre si festeggia anche la nascita – sulla carta – della sua creatura più famosa e amata, avvenuta novant’anni fa, nel 1929: il commissario Maigret. Che all’anagrafe, tanto per essere pignoli, risulta essere Jules Amédée François Maigret, nato a Saint-Fiacre (nel dipartimento dell’Allier) nel 1885. O forse nel 1887. Le due date affiorano contraddittorie qua e là, nei 76 romanzi e nei 28 racconti in cui Maigret è protagonista. Ricostruire la biografia del commissario con la pipa è diventato un mestiere. Del resto, affiora ora in un libro ora nell’altro. Sappiamo, per esempio, che il padre Evariste era amministratore del castello di Saint-Fiacre, e che morirà a soli 44 anni nel 1906. Che la madre Hernane, figlia del droghiere del paese, muore dopo un travagliato secondo parto, nel 1895. Sappiamo inoltre che nel 1909, entrato a far parte della polizia parigina, Maigret inizia come agente ciclista ma, avendo frequentato la facoltà di Medicina a Nantes prima di arrivare nella capitale francese, ben presto viene cooptato come segretario del commissario del quartiere Saint-Georges. Tre anni dopo conosce una graziosa ragazza di Colmar, un’alsaziana che si chiama Louise Léonard e la sposa nel 1912.

Secondo la generosa narrazione dello stesso Georges Simenon (consultate la prefazione alle sue Opere Complete del 1966, redatta a Epalinges il 24 marzo 1966) Maigret sarebbe comparso per la prima volta come protagonista del romanzo Piotr il Lettone, che tuttavia verrà pubblicato soltanto due anni dopo.

Il racconto di questo mitico parto letterario è piuttosto dettagliato, la memoria di Simenon ha del prodigioso nonostante siano trascorsi 37 anni. Nel 1929 aveva ventisei anni e mezzo (era nato un venerdì 13 del febbraio 1903, a Liegi), e tuttavia aveva già scritto 120 romanzi firmandoli chi dice con 17 chi invece con 18 pseudonimi diversi. Un “monstre”, per gli editori.

Dunque, in quell’estate afosa del 1929, Simenon stava navigando per i canali del Nord, al settentrione dell’Olanda, a bordo dell’Ostrogoth, la sua seconda barca, un cutter varato in primavera dai cantieri normanni di Fécamp, insieme a Régine, la prima moglie che lui chiamava Tigy. Quando ho visitato a Liegi la mostra Tout Simenon (1993), nella vetrina numero 77 era esposto il manoscritto (tratto da Mémoires intimes) in cui lo scrittore spiegava perché avesse scelto quel nome insolito: “Parce qu’il a la rudesse de notre lointain ancêtre, je le baptise l’Ostrogoth…” (“Poiché ha la rudezza del nostro lontano antenato, io lo battezzo l’Ostrogoto…”, ndr). Mai, aveva aggiunto, avrei immaginato quanto importante sarebbe stato per me, perché i due anni successivi avrebbero cambiato la mia vita”.

Succede infatti che la barca abbia un’avaria. Deve essere riparata. Fa scalo a Delfzijl, cittadina della provincia di Groningen, nel Nordest dei Paesi Bassi. Ha appena terminato un altro dei suoi romanzi “alimentari”, come confesserà anni dopo. Ha già in testa una nuova trama. Scova un caffé. Le Pavillon. Rammenta il padrone che puliva i tavolini con olio di lino. Mai ne aveva visti di così lucenti: riflettevano il sole come fari. Il caffé è deserto. Ordina due, tre bicchierini di gin con una goccia di bitter. Si sente leggermente stordito. Ha come una visione. Vede avanzare la figura di una persona dalla corporatura massiccia, largo di spalle, di aspetto rassicurante. Pensa: potrebbe essere il commissario che mi serve per il romanzo. Piano piano, aggiunge altri particolari: una pipa, il cappello a bombetta. Un cappotto scuro di buona lana con collo di velluto. Aggiunge una stufa, nello scenario che sta ideando. Strano. Spiega: “Sentivo umidità. Freddo”. Esce dal caffé. Si guarda attorno. Scova una vecchia chiatta abbandonata, semiallagata. Decide che sarà il suo bureau. Sistema su una cassa la macchina da scrivere. La sedia la ricava da una cassetta più bassa. Su altre due poggia i piedi perché non si bagnino. Può cominciare. Batte vorticosamente: 90 battute al minuto. In poche ore, ecco il primo capitolo di Piotr il Lettone. Il romanzo lo completa in meno di una settimana.

Maigret sarebbe nato così: “Di getto”. E il nome del commissario? Era quello di un vicino di casa, a Parigi. Simenon abitava al 21 della splendida Place des Vosges: “Quando ha saputo che avevo prestato il suo nome a un volgare poliziotto, non l’apprezzò affatto”, disse in un’intervista apparsa su Télé7Jours (12-18 aprile 1986).

Ma invece Maigret non nacque di getto. E non con Piotr il Lettone. Simenon ha barato. Secondo i filologi e critici Claude Menguy e Pierre Deligny, lo scrittore belga maturò la figura di Maigret in due anni, disseminandolo in 18 personaggi. Nell’Amant sans nom (contratto firmato il 15 luglio 1928) ci si imbatte in un ispettore senza nome, denominato “N.49”, che prefigura Maigret: come lui, massiccio. Come lui, gran fumatore di pipa. Come lui, ostinato. Ma è in Train de nuit che compare esplicitamente un commissario Maigret. Il contratto lo firma il 30 settembre 1929. Per i due critici, questo è il vero debutto del commissario, non Piotr il Lettone probabilmente scritto un anno dopo. Detto fra di noi, la versione di Simenon è assai più bella.

Carini i cervi di Nara… Ma solo a piccole dosi

È una destinazione battuta, presente in ogni guida, quindi l’avevo valutata con scettiscismo. Nella piccola Lonely Planet sul Giappone che avevo con me si accennava alla presenza di cervi e cerbiatti nel parco di Nara (prima capitale stabile del Giappone con i suoi otto siti dichiarati Patrimonio Unesco), ma avevo pensato fossero presenze visibili solo grazie a colpi di fortuna “organizzati”, un po’ come gli scoiattoli di Hyde Park: li cerchi, è facile trovarli ma non tutti ci riescono. Così, quando nel bel mezzo del tentativo di districarmi tra un tempio e l’altro sono stata improvvisamente sfiorata da una mandria di cervi in corsa, ho capito di essere finita davvero in un contesto inedito.

Per chi ama la natura e gli animali, Nara è infatti un posto meraviglioso (con contorno di cinesi che indossano scomodissimi kimono acrilici e camminano su sandali improbabili solo per farsi fotografare. I giapponesi, ci hanno spiegato, ormai li indossano solo nei giorni di festa). Nel parco ci sono circa 1.200 esemplari di cervi in totale libertà. A ogni angolo ci sono venditori di cialde commestibili che si acquistano per meno di un euro e che si possono offrire agli animali (inclusi i tenerissimi cerbiatti). Sono educati: gli tendi il biscotto, loro lo mangiano e ti fanno un inchino. Tu rispondi con un inchino e loro si re-inchinano. È una cerimonia che potrebbe andare avanti per ore, di solito a stancarsi è il turista perché in fondo il cervo spera sempre in un altro biscotto. Ci sono però anche casi frequenti di cervi molesti: inseguimenti, colpi di corna, maglie tirate nel tentativo di strapparti dalle mani qualsiasi cosa ci sia di commestibile. Una dittatura. Tanto che a fine giornata sono tornata in hotel con: camicia strappata, una banana in meno (che non ho mangiato io) e la consapevolezza che belli sono belli, i cervi. Ma a piccole dosi.

Madovecazzosiamo Beach: la bella estate di Salvini, Renzi & C.

Spiace contraddire Ennio Flaiano, ma non è vero che la situazione è “grave ma non seria”. Invece è grave, è seria e molto ridicola. Ma c’è un’altra bella frase di Flaiano che deve farci da monito, ed è questa: “Nel nostro paese la forma più comune di imprudenza è quella di ridere, ritenendole assurde, delle cose che poi avverranno”. Sabato 10 agosto. Anziani combattenti e reduci di Forza Italia si accampano sotto la sede della Lega per farsi adottare, battono le ciotole sul marciapiede: manganellati a sangue grazie al decreto sicurezza bis. Zingaretti ripete ciò che dice da giorni: “Renzi, aiutaci a vincere”, una battuta da teatro dell’assurdo che nessuno capisce. Calenda, dopo i serpenti, twitta di aver incontrato un unicorno, il medico dice che è meglio non contraddirlo. Intervistato in tivù, Luigi Di Maio nega di aver mai conosciuto Salvini. Chi? Quando? Ci dev’essere uno scambio di persona… In un comizio a Policoro Salvini dice: “Ordine e disciplina” e anche “Otto milioni di baionette”, poi va a ridirlo in una spiaggia lì vicino, poi in un’altra, poi in un’altra. Tutto a scrocco.

Lunedì 12 agosto. Al posto dei suoi graziosi completini in tugsteno così charmant, il presidente del consiglio Conte ordina al suo sarto una tuta in carbonio di tipo difensivo-offensivo, con raggi laser e mitragliette. È un segno che ha preso bene le ultime dichiarazioni di Salvini. L’enorme macchina della comunicazione 5 Stelle si mette al lavoro con un obiettivo ciclopico: trasformare tutti i post contro il Pd in post contro Salvini, bisogna fare a mano, perché con il “trova e sostituisci” non si riesce. Calenda trova in salotto uno stambecco dei Pirenei, strano, perché è estinto da anni. Renzi annuncia che farà il suo partito. Anzi no, anzi sì. Giovedì se non piove. Ok, ci sentiamo dopo il calcetto, dammi il cinque, bro. Salvini fa un comizio a Salcazzodove Beach (Salerno), poi balla in topless fino all’alba, ma con grande rispetto delle istituzioni.

Ferragosto. È la grande giornata della crisi estiva. Persino il presidente Mattarella si concede un po’ di relax allentando leggermente la cravatta. Cronaca, tristissimo caso a Milano. Un signore grida “negro di merda” a un immigrato. Poi scopre che è Lukaku e in un pomeriggio guadagna come lui in sessant’anni, e si butta dal Duomo. Finalmente un lieto fine. Giachetti annuncia che inizia uno sciopero della fame, ma non ricorda per che cosa. Accorato appello di Zingaretti: restiamo uniti. Purtroppo Renzi non è presente perché sta firmando l’affitto della nuova sede. Calenda ha trovato una volpe sotto il letto e sta pensando di andare a vivere con lei. Giorgia Meloni sbaglia il salto nel cerchio di fuoco e provoca un incendio all’Argentario.

Venerdì 16 agosto. Nottataccia per Salvini. Ieri sera, al comizio di Inculoamondo Beach (Crotone) si è dimenticato di chiudere lo spettacolo con la commozione per i figli. Cioè, Springsteen alla fine dei concerti fa il bis, lui fa la scenetta dei figli e finge di commuoversi. Quindi è tornato indietro, ma ormai la piazza era vuota. Tristezza. (Nota dell’autore: i figli di Salvini sono belli, felici, in ottima salute, usano la polizia come animatore di spiaggia, hanno un padre di alto reddito anche se non lavora mai… cosa c’è da commuoversi e da frignare? Fine nota dell’autore).

Domenica 18 agosto. Prime proteste ai comizi in spiaggia di Salvini. Il manifesto annunciava Miss maglietta bagnata, e poi è risultato che ballava lui: delusione. Però intenso il passaggio su “la cinematografia è l’arma del regime” e “le potenze straniere che ci vietano un posto al sole”. Alla fine si commuove per i figli. Il presidente del consiglio Conte incontra Sergio Mattarella al Quirinale. Massimo riserbo, ma dopo l’incontro Conte si reca in un’armeria e acquista un fucile a pompa. Di Battista, intervistato da Di Battista, dice che di questo Salvini lui non ha mai sentito parlare, sarà perché era via, a Macondo o chissà dove, ma ora chiede a Sarah.

Lunedì 19 agosto. Nel cuore della notte decine di parlamentari 5 Stelle si svegliano di soprassalto. Si ricordano solo ora che loro hanno votato a Salvini i suoi schifosi decreti sicurezza (uno e due), e poi al momento di votare la riduzione dei parlamentari Salvini ha detto: “Cucù! Col cazzo!”. Ressa per sapere se Camera e Senato pagano le cure psicologiche. Salvini chiude il comizio di Madovecazzosiamo Beach (Reggio Calabria) attaccando i terroni: per sbaglio ha letto un testo di cinque anni fa. Poi si commuove per i figli. Calenda trova un puma delle nevi in giardino, che brutta fine per un liberale.

Martedì 20 agosto. Si riunisce il Parlamento. Crisi di governo. Elezioni imminenti. I parenti degli italiani sono stati avvertiti.

Altra nota dell’autore. A volte si ride per non piangere, d’accordo. Ma mentre ridiamo di tutti questi pupazzi, ci sono 121 persone vere, in mare da quasi dieci giorni, che il cubista in topless che ci tocca come ministro dell’Interno sta sequestrando. E lì non c’è niente da ridere. Buone vacanze.

“Frogs, mandrill & dead cat”. Come ti conquisto la svedese

Quando c’è bisogno di una lingua, non la si trova mai. Così pensava Michele mentre sbirciava la ragazza seduta nella sua auto in tutta la sua svedese bionditudine e insperata bellezza. Non eccessiva, che sennò lui non se la sarebbe potuta permettere. Ma la sfiga che nei cinque interminabili anni di superiori lo aveva accompagnato con il gentil sesso era finita. Lo aveva capito subito quando, due settimane prima, zia Assunta lo aveva convocato perché stava ‘nguaiata. Sua cugina – madre di Angelina, una delle creature più disgraziate dell’intero Sud Italia baffi compresi, ma che zia Assunta riteneva un buon partito – avrebbe dovuto ospitare una ragazza svedese. Purtroppo sua suocera si era rotta un femore e lei era dovuta partire. Che belli questi guai! aveva pensato Michele mettendosi a disposizione di zia Assunta con commovente solerzia. La fanciulla si chiamava Karina e dunque non poteva aver nulla a che fare con Angelina e i suoi baffi. Wonderfull, no? Eccolo il vero scoglio, che si presentava grande come l’Iceberg del Titanic proprio quando lui era stato abbandonato dall’ultimo brufolo: come fare con la lingua? Accantonato per mancanza d’esperienza il consiglio del suo migliore amico Peppe (“infilagliela in bocca”), doveva trovare un modo di comunicare con lei: la luna, il mare e Sorrento con le ragazze di oggi non bastano più. Così aveva acquistato, di seconda mano da uno zio di Peppe, un corso di inglese metodo “Words” che garantiva “l’apprendimento di cinquemila parole in cinque settimane di studio intensivo”. Lui ne aveva solo due, ma se le sarebbe fatte bastare.

All’aeroporto Karina era arrivata, con il volo delle 21, insieme a un’altra ragazza. Michele si era scoperto d’improvviso credente perché aveva pregato tutti i santi conosciuti, veramente solo San Gennaro e Sant’Antonino abate che, vista la loro destinazione, era certamente il più interessato essendo il patrono di Sorrento. “Ti prego, ti prego fai the left”. E gli era andata benissimo: Karina, alla sinistra della chiattona, manteneva la promessa del suo nome.

“Hi, Karina. You’re very carina”, si presentò Michele con il suo miglior sorriso e la frase che aveva ripetuto trecento volte come tutte quelle che le avrebbe somministrato per farla innamorare perdutamente di lui. Non le diede il tempo di rispondere: “I’ve just a flour of english”, spiegò mentre le prendeva galantemente la valigia, per avvisarla di possibili errori di comunicazione. Lei lo guardò un po’ stupita, soprattutto dal fatto che lui possedesse una “farina d’inglese” e che glielo volesse dire con quell’urgenza. Però sorrise e rispose con un generico “ok”.

Michele, che da qualche mese aveva dovuto prendere atto di una dolorosa verità (la sua Carmela voleva concedersi a tutti tranne che a lui) era pronto alla riscossa. E si era messo a raccontare le bellezze che avrebbero visto: Ercolano, Pompei, la Costiera. Senza mai, mai dire una sola parola d’italiano come si era ripromesso. Basta sfiga, stop bad luck. Certo – ribadì per esser sicuro che avesse capito bene – era una bella “cat to skin” per via della lingua.

“Ok”, rispose prudenzialmente lei che tuttavia non si rendeva conto di come c’entrasse con le bellezze del luogo un sinistro gatto da scuoiare. Michele si era preparato anche sul carattere degli svedesi grazie alle numerose avventure di Peppe che d’estate faceva il bagnino a Ischia. Ragazze concrete, che badavano alla sostanza delle cose: capisci a mme. Karina però gli sembrava splendidamente timida e decise di rassicurarla con una delle frasi sottolineate in rosso: “I dont’ go for frogs, I’m not a driver fly”. A lei non piacevano le rane e tanto meno le mosche che guidavano. Ma non sapendo come interpretare l’affermazione, disse solo, di nuovo, “ok”. Michele – fiero di aver tranquillizzato la sua futura fidanzata sul fatto che lui non andava per rane e non era una inconcludente mosca cocchiera – le spiegò che una volta arrivati a casa avrebbero cenato soli perché la zia di solito “go to bed with hen”. Ma che comunque aveva preparato per loro una cena leggera: “Genoese and potato’s gattò. Like cat, you know?”. Lei disse ovviamente “Ok”, questa volta senza sorridere a causa – si era detta – di una preoccupante mania del suo nuovo amico e della zia (che si coricava insieme a una gallina) per gli animali di ogni specie. Aggiunse, molto a malincuore visto che il suo stomaco borbottava, che non era molto “hungry”. I gatti con le patate no.

Finalmente arrivarono a casa. E lei davanti allo spettacolo della terrazza affacciata sul mare e alla luna piena che splendeva in cielo, esclamò: “Wow”. Michele però la aveva già fatta accomodare e aveva servito un bicchiere di vino bianco freddo insieme alla pizza fritta. Che, con molta cautela, Karina addentò. “Wow”, disse ancora. Da “ok” a “wow” era certamente un passo avanti. Così Michele, mentre lei versava il secondo bicchiere, passò alla fase due del suo piano, “Put the flea in the ear”, ovvero metterle la pulce dell’amore nell’orecchio. Era il momento “ride the tiger”. Le raccontò i più recenti strazi del suo cuore, riassumendo la licenziosità di Carmela con un secondo lui eloquentissimo: “I look green mouses and eat many toad”. Karina era sempre più sorpresa di gente che guardava topi verdi e mangiava rospi. Lui continuò, mettendo sul piatto le intenzioni serie: “I’m not a mandrill, I dont’like run on little horse. And I dont’ like dead cat”. Non era un mandrillo, non correva la cavallina e non gli piacevano le gatte morte: cosa può volere di più una ragazza? Lui si alzò per dar corso alla fase tre, ma lei pensò a un congedo e disse un definitivo “goodnight”.

La mattina dopo una perigliosa notte trascorsa domandandosi cosa aveva sbagliato, Michele trovò zia Assunta a conversare con Karina. Che di cognome faceva Scapece.

A Ferragosto in città film, musica e arte per turisti e residenti

Siamo lontani dagli anni della crisi più stringente, 2013 e 2014, quando due italiani su tre decidevano di rimanere a casa in città nonostante il caldo di agosto. Per la Codiretti questo agosto 2019 è segnato da 24 milioni di italiani in viaggio lungo lo Stivale o per l’estero. Però, con le ferie ormai scaglionate, a spizzichi e bocconi, fatte più di week end lunghi che da mese intero con esodo da nord a sud, sono comunque molte le persone interessate ad avere città senza saracinesche abbassate e con attività ludico culturali, mostre e iniziative a cui partecipare. E, nelle tante città d’arte italiane c’è in più un dato di turismo che quest’anno è attorno all’14,2 per cento del totale secondo Federalberghi che rivela anche una classifica interessante: è il Veneto a guidare la classifica delle regioni italiane, con oltre 13 milioni di presenze totali negli alberghi nel mese di agosto, seguito da Emilia-Romagna (9 milioni) e Toscana (8,8 milioni). Ad ogni modo più di 4 italiani su 10 (42%) pur di raggiungere la meta delle attese vacanze continuano anche a sfidare le previsioni sul traffico e non si fanno spaventare da code e bollini. Emerge da una indagine Coldiretti-Ixè diffusa in occasione del week end da bollino nero che precede la settimana di Ferragosto. Secondo l’associazione sono infatti ancora 23,8 milioni gli italiani che scelgono per le vacanze il mese di agosto, di gran lunga il più affollato lungo le strade e nei luoghi di villeggiatura.

L’86% dei vacanzieri in viaggio per le vacanze ha scelto una località del Belpaese. Sarà il mare a fare la parte del leone per 7 italiani su 10 (70%), la maggior parte dei quali si riverserà sulle autostrade Adriatica e Tirrenica. Subito a seguire la montagna, ma l’estate 2019 vedrà anche la ricerca di alternative meno affollate con la campagna che è scelta dall’8% dei turisti. Sono circa 4,3 milioni i turisti italiani che hanno deciso quest’estate di trascorrere la vacanza in tenda, roulotte o camper.

ROMA

Eventi tra centro e periferia. Gli attesi concerti al Teatro di Marcello e cinema all’aperto

Continua l’Estate Romana 2019 tra musica, cinema, teatro, letteratura ed esplorazioni urbane, tante diverse occasioni per vivere e scoprire la città. In tutti i municipi della Capitale c’è un ricco calendario di eventi. Il programma, in continuo aggiornamento, si trova su estateromana.comune.roma.it e sui social. Stasera si va in periferia: alle 21 Polo culturale Ex-Fienile di Tor Bella Monaca va in scena “Il sogno del Maghreb” scritto da Sandro Gindro, accompagnato dalle musiche di Patrizio Fariselli (Area open Project) alle tastiere e Andrea Biondi alle percussioni, lo spettacolo è parte del progetto Diversamente, la manifestazione gratuita a cura dell’Associazione culturale psicoanalisi contro. Tornando in centro, alla Casa del cinema di Villa Borghese, martedì 20, verrà proposto il film “La giusta distanza” di Carlo Mazzacurati. Sull’Isola Tiberina per la XXV edizione de L’Isola del Cinema domani sera alle 22, la serata gratuita in omaggio a Tonino Zangardi sullo Schermo Tevere con il noir “Sandrine nella pioggia” e sabato 17 alle 22, in Cinelab, omaggio a Bernardo Bertolucci con la proiezione de “La comare secca”. Estate al Liceo Righi, l’arena cinematografica a cura di Boncompagni22, domenica 18, “Euforia” di Valeria Golino. In Piazza Benedetto Brin c’è Arena Garbatella, l’arena cinematografica estiva a cura di Olivud srl che dopodomani sera alle 21.15 presenta il film “C’è tempo” di Walter Veltroni e lunedì 19, “La paranza dei bambini” di Claudio Giovannesi. A Villa Lazzaroni la rassegna Parco del Cinema, a cura dell’Associazione Culturale Arene Diverse: mercoledì 14 “Notti magiche” di Paolo Virzì, giovedì 15 “Non ci resta che il crimine” di Massimiliano Bruno e venerdì 16 “Momenti di trascurabile felicità” di Daniele Luchetti. A Ostiense è in corso la seconda edizione di Parco Schuster, il festival completamente gratuito a cura di Knock srl. Tra gli eventi in programma: domani sera alle 21,30 appuntamento con Michele Ascolese, il suonatore Faber, lo spettacolo ispirato al repertorio di Fabrizio De André. Continua fino al 10 settembre la programmazione di Village Celimontana a cura del Jazz Village Roma. Proseguono fino al 28 settembre, nell’Area archeologica del Teatro di Marcello, “i Concerti del Tempietto”: giovedì 15, appuntamento con il tradizionale concerto di Ferragosto, sul palco il pianista Hiroshi Takasu che proporrà al pubblico musiche, tra gli altri, di Bach, Cajkovskij, Schumann e Gluck.

 

MILANO

Per i più piccoli c’è l’Acquario. È Leonardo la star Da non perdere i Bagni misteriosi

Agosto, Milano mia non ti conosco? Vero, ma non più verissimo: le strade sono sgombre, ma non deserte come nelle vecchie foto in bianco e nero. Cambiano le abitudini (e le disponibilità economiche) ma è cambiata anche la città, che da capitale morale e soprattutto produttiva ha mutato pelle diventando meta turistica. Prova ne sono gli affollati pullman scoperti che fanno il giro della città. Naturalmente hanno un nome inglese (Milano City Sightseeing) e con tre percorsi differenti (verde, blu e rosso). Nonostante le nuove consuetudini, per chi resta e per chi arriva la vita agostana necessita di organizzazione (soprattutto per cene e aperitivi). Nelle zone più turistiche (centro e parco Sempione) qualcosa di aperto si trova sempre, mentre nei quartieri sono moltissime le saracinesche abbassate. Ma di giorno che cosa c’è da fare? Se volete leggere le biblioteche comunali (chiuse il 15) raddoppiano il prestito di libri a audiobook da uno a due mesi (per gli studenti: la Sormanni è aperta). Il Museo della Scienza di via San Vittore propone Destinazione divertimento, con una lungo calendario di laboratori e attività per i più piccoli. L’Acquario civico propone campus per adolescenti e anche il Planetario ha un fittissimo programma di eventi. Moltissime anche le mostre aperte per tutta l’estate: alla Triennale c’è “Broken Nature: Design Takes on Human Survival”, rassegna interattiva che indaga i rapporti tra uomo e natura. Al Mudec va in scena la pop art di Roy Lichtenstein, mentre a Palazzo Reale c’è una mostra sui preraffaelliti, “Amore e desiderio”, con tele che provengono dalla Tate di Londra. Hanno aperto – è il cinquecentenario dalla morte – due mostre su Leonardo da Vinci. Sempre al Museo della Scienza sono esposti i modelli restaurati per l’occasione e realizzati negli anni 50 a partire dai disegni del maestro. Alla Fabbrica del Vapore c’è Leonardo da Vinci 3D, un evento multisensoriale che racconta il mondo del grande inventore. Se l’urlo africano non vi dà tregua, il sito Milanosport segnala orari e chiusure delle piscine comunali. Noi vi ricordiamo che i bellissimi Bagni misteriosi sono aperti il martedì per un romantico bagno serale fino alle 23. Il cinema Anteo (uno dei più frequentati della città) organizza i tre luoghi una ricchissima rassegna di film all’aperto: al Chiostro dell’Incoronata, a Palazzo Reale e al cortile della Società Umanitaria. Non c’è il mare, ma qualcosa da fare si trova.

 

TORINO

Nuovi autobus e tutti allo Stadium. Tifando Toro tra le libellule in attesa di Juventus-Napoli

L’invasione delle libellule. In una Torino che si è svuotata già da un paio di settimane, questo strano fenomeno entomologico ha stupito i cittadini rimasti in città. Sui balconi dei palazzi di alcuni quartieri sono comparse migliaia di libellule. Italo Calvino avrebbe potuto aggiungere un capitolo a “Marcovaldo”, ovvero “Le stagioni in città”. È una città ben diversa da quella conosciuta dallo scrittore: con meno fabbriche e operai, le partenze sono scaglionate. Il deserto arriva adesso, chiuderà per ferie il 70% di ristoranti e bar e gli alberghi avranno un tasso di occupazione tra il 30 e il 50%. La presidente dell’Ascom, Maria Luisa Coppa, nota che la città è meta di un turismo mordi e fuggi per la mancanza di eventi (ma a fine agosto c’è il festival ToDays). Come dare torto ai turisti? D’altronde “Qui non c’è il mare”, cantavano gli Statuto nel 1992 e la situazione non è cambiata. Poco male, si approfitta delle assenze per i cantieri stradali mentre l’amministrazione di Chiara Appendino riforma i trasporti pubblici: sono arrivati 41 nuovi bus e 41 saranno le fermate soppresse per velocizzare i viaggi (non mancano le polemiche). Intanto il Torino gira il continente per i preliminari di Europa League e, a fine agosto l’Allianz Stadium ospiterà Juventus-Napoli.

 

GENOVA

In centro e in Riviera cultura e cibo. Tra il ricordo del ponte Morandi, festival, mostre e sagre

Genova divisa tra le vacanze e il ricordo del Ponte Morandi. Tra eventi estivi e commemorazioni. Genova grande città, ma anche spiagge che arrivano a pochi passi dal centro. Le diverse anime si incontrano negli appuntamenti di questi giorni, come “On The Wall” che si tiene fino a domani proprio a Certosa, a pochi passi da dove c’era il Morandi. Quindici artisti di fama internazionale lavoreranno per le strade per dare un volto nuovo al quartiere della Valpolcevera. Nel centro storico, al molo delle Chiatte, va intanto in scena il festival Sea Stories (domani è in cartellone “Il Vecchio e il mare”, a fine agosto toccherà a “Ulisse”). Poco distante, al Palazzo Ducale, proseguono le mostre di Giorgio De Chirico e della fotografa Inge Morath. Intanto tra i colonnati del palazzo ogni sera va in scena il “Cinema sotto le stelle”. “Restano aperti i musei”, ricorda l’assessorato alla Cultura del Comune. Parliamo di gioielli come Palazzo Bianco e Palazzo Rosso, in via Garibaldi, che custodiscono capolavori come l’Ecce Homo di Caravaggio. Da non dimenticare anche l’appuntamento con il “Labirinto di Lele Luzzati”, i concerti nei musei del sabato sera e il mercatino del libro che chiude domani. Ma Genova d’estate vive anche nei comuni della Riviera. E ci sono poi le sagre di paese, tra trofie al pesto e l’immancabile focaccia.

 

BOLOGNA

Balere, jazz e Trinità in piazza Maggiore. La Festa dell’Unità ritorna all’antico. Poi i tour in bicicletta

Ci vorrà tutto agosto solo per ripulire dai graffiti i muri e le colonne di via Indipendenza, arteria della città. La giunta ha stanziato sul tema 180mila euro, di cui 100mila ricavati dalla tassa di soggiorno. Per il Pd il primo appuntamento importante sarà a fine mese con la consueta Festa dell’Unità. La scorsa edizione ha chiuso con un rosso di 830mila euro. Si ritorna all’antico, addio Fiero, riecco il Parco Nord, Lele Roveri – storico organizzatore – e la balera. Finale western per “Sotto le stelle del cinema”, l’appuntamento con lo schermo all’aperto in piazza Maggiore che ha ospitato, tra gli altri, Francis Ford Coppola e Martin Scorsese. Martedì ultima proiezione, “Lo chiamavano Trinità”. Il giorno dopo si balla il liscio con i grandi interpreti della Filuzzi. Per gli amanti del jazz basta aspettare mezzanotte: il cortile di palazzo Re Enzo si trasforma in un club; la basilica di San Petronio sarà aperta per una serata esclusiva insieme a esperti d’arte. Per passare un Ferragosto diverso, tour in bicicletta “Gli spaghetti alla bolognese non esistono”, viaggio culinario attraverso un itinerario non convenzionale. O la possibilità di visitare il monumentale cimitero Certosa di sera insieme a damigelle e gentiluomini in costumi ottocenteschi. Il cimitero, in cui è ospitato anche Lucio Dalla diventa scenario teatrale.

 

PALERMO

Ma il 2018 da capitale è inarrivabile. La movida non manca mai aspettando il Beat full festival

Un regista, Franco Maresco, con un film, “La mafia non è più quella di una volta”, candidato in concorso a Venezia, ma un’offerta culturale, per chi resta in città prigioniero della visione ormai consueta dei cumuli di immondizia sparsi nelle strade, assai lontana dai 45 festival che hanno segnato il 2018 di Palermo capitale di cultura. Ora che il testimone è ceduto a Matera il paradosso palermitano viene a galla in un calendario di eventi in cui il concerto dei Negrita al teatro di Verdura di giovedì scorso brilla come l’unico appuntamento musicale di rilievo. Nel deserto della latitanza organizzativa istituzionale (da segnalare il Beat full festival, dal 3 al 7 settembre ai cantieri culturali, cinque giorni di musica, cinema e performance audio visive), fioriscono gli appuntamenti fai da te come quello di piazzetta Bagnasco, trasformata da un gruppo di commercianti in un angolo radical chic della movida palermitana. Previsti incontri sul potenziale della mente umana e la visione di film in piazza con cuffie wireless. C’è la mostra della galleria milanese Mamo che come ogni anno si sposta a Palermo per proporre, fino al 17 agosto a Palazzo Notarbartolo, nei pressi di piazza Marina, un mosaico di tecniche artistiche diverse che rivisitano in chiave moderna la tradizione popolare siciliana.

 

NAPOLI

Riaperta anche la piscina olimpica. Dopo 20 anni si può ammirare la collezione Magna Grecia

A Napoli agosto è coinciso col riaffacciarsi dell’emergenza rifiuti. Breve, piccola e circoscritta nelle periferie di Barra, Ponticelli, Scampia, ma anche nei quartieri chic di Chiaia e Posillipo. Luigi de Magistris ha reagito con un giro di vite, multe salatissime in vista di un settembre che si annuncia terribile, con la chiusura dell’inceneritore di Acerra. Sul versante mobilità, resta chiusa fino a settembre la funicolare di Mergellina e chiudono per due settimane gli ascensori di Acton e Ventaglieri. La sospensione di una ventina di linee di pullman rende tutto meno facile. Restano le ricche offerte gastronomiche e culturali. Sono in piena attività tutti i ristoranti del lungomare liberato e del centro storico, restano aperti i musei. A cominciare dal Mann (il Museo Archeologico Nazionale) che offre tre domeniche d’agosto a ingresso gratuito, domani, il 18 e il 25. Durante le quali ammirare la collezione Magna Grecia, rimasta oltre vent’anni chiusa al pubblico, ed il “Mann on the Moon”, la mostra per i cinquant’anni dallo sbarco sulla Luna. Per chi ama il cinema all’aperto, invece, la Mostra d’Oltremare offre una rassegna gratuita di grandi classici e vecchi successi (il 13 agosto il capolavoro di Vittorio De Sica, Ladri di Biciclette). E sempre alla Mostra d’Oltremare riapre al pubblico la piscina olimpica dopo qualche anno di chiusura e grazie alle Universiadi: ticket d’ingresso a 15 euro.

 

(a cura di Sarah Buono, Vincenzo Iurillo, Andrea Giambartolomei, Giuseppe Lo Bianco e Ferruccio Sansa)