“A Hong Kong chi gioca col fuoco si brucia”

Ieri è stata la giornata della triangolazione Roma, Washington e Hong Kong ormai campo di battaglia della guerra dei dazi. Il porto franco si prepara al decimo fine settimana consecutivo di manifestazioni in difesa della propria democrazia.

Dall’Italia è partito l’avvertimento della Cina agli Stati Uniti di non interferire nella crisi di Hong Kong in atto. Da Roma l’ambasciatore Li Junhua, nella sua prima conferenza stampa dal suo insediamento, ha denunciato, come “il mondo politico degli Stati Uniti stia dando sostegno e amplificando le idee dei manifestanti” che da giugno sono scesi in piazza contro la legge sull’estradizione dell’ex colonia britannica, e che oggi hanno iniziato un sit-in di tre giorni all’aeroporto della “città-Stato”.

A stretto giro di fuso orario dalla Casa Bianca il presidente Trump ha minacciato come i nuovi negoziati sul Commercio con la Cina – in programma per settembre negli Stati Uniti -, potrebbero essere cancellati. “Non abbiamo altra scelta se non fare quello che stiamo facendo. Vedremo se mantenere o meno il nostro incontro di settembre”. Il presidente ha poi ribadito l’accusa secondo cui la Cina è un “manipolatore di valuta” e ribadito la convinzione che l’aumento dei dazi sia un onere che sta pagando Pechino ma che non pesa sui consumatori americani. “Stiamo facendo bene – ha concluso – se guardate all’Europa loro hanno problemi”.

Intanto migliaia di manifestanti si sono dadi appuntamento nello scalo di Hong Kong per tre giorni di sit-in per sensibilizzare tutti viaggiatori del mondo in arrivo o di passaggio dall’ex colonia britannica, porta tra oriente e occidente, sulla loro volontà espressa chiaramente anche nello slogan HK to freedom: Hong Kong verso la libertà.

Per l’ambasciatore cinese Li Junhua invece “Hong Kong è della Cina e non accettiamo alcun tipo di interferenza straniera”, ha aggiunto Li, avvertendo Washington che “chi di spada ferisce, di spada perisce”. L’accusa dell’interferenza di attori esterni che avrebbero mosso “i fili dietro le quinte dei manifestanti più violenti”. Proprio nella capitale l’altro funzionario ha mostrato alcune immagini di manifestanti che tirano sassi e aggrediscono poliziotti e civili, insieme a una foto che mostra il capo dell’ufficio politico del Consolato Usa a Hong Kong, Julie Eadeh, con alcuni manifestanti: prova dell’ingerenza americana.

Restano impresse nella memoria del mondo le recenti immagini del fiume silenzioso e pacifico che ha inondato le strade di Hong Kong. Gli attivisti protestano per l’eccessiva ingerenza del governo cinese nella regione semi-autonoma e la repressione attuata dalla polizia. Di soli pochi giorni fa le non proprio velate minacce di Yang Guang, portavoce dell’ufficio cinese per gli Affari di Hong Kong e Macao: “Quelli che stanno giocando col fuoco finiscono bruciati”; citando il “formidabile potenziale” di cui dispone la Cina per sedare le proteste.

Tutti in piazza per rovinare i 20 anni di regno di Putin

Venti. Due decadi. Composte da infiniti mesi, poi anni, trascorsi crudeli, bianchi e gelidi, fino a questa ultima estate rovente di proteste. Vent’anni fa, il 9 agosto 1999, un rubizzo Eltsin nominò il suo grigio e sconosciuto successore 46enne, l’uomo giusto per “far entrare la Russia nel nuovo millennio”. Senza espressione sul volto e senza esperienza politica alle spalle, Vladimir Putin si affacciò sulla Russia e qualche mese dopo, sul resto del mondo. Entrambi si chiesero: “ma chi è Putin”?

La scelta di Eltsin fu definita da Gennady Zyuganov, segretario del partito comunista, “un’agonia, una cosa insana: chi prenderà sul serio i leader se li cambiamo come perchatky, come i guanti?”. Eppure da allora le mani che muovono la Russia, in patria e all’estero, sono sempre quelle dell’uomo addestrato dal Kgb.

L’agente dell’ombra, cresciuto nel panorama chiaroscuro delle spie, entrò nel cono di luce del Cremlino e finì incorniciato dagli schermi delle tv del mondo, quando giurò ad Astana il 24 settembre dello stesso anno che “i terroristi li avrebbe presi fin dentro al cesso”. La guerra cecena divenne poco dopo delo zakritoe,“caso chiuso”, questione risolta, un’espressione che Putin è tornato ad usare dopo l’annessione della Crimea, dopo la rivoluzione di Maidan, nel 2014, anno in cui il suo fedelissimo consigliere Vyacheslav Volodin ha chiosato: “Non c’è Russia senza Putin”.

La vecchia Cecenia, fino alla nuova Siria. Gestendo una geografia che ha cambiato più volte la storia, cullato dalle sue infinite agiografie in uscita in edicola o libreria, dietro le quinte delle tende del Cremlino adesso osserva senza pronunciarsi i sondaggi che segnano il record dello scontento del suo popolo nei suoi confronti, in un Paese che fino a ieri voleva assomigliare al suo presidente, finché appariva spietato e vincente, e ora invece urla scontento.

Garante dell’immagine della Federazione nel mondo. “Miracolo di dio”, copyrighht del patriarca Kirill. Putin karateka. Putin a cavallo a dorso nudo a Kyzyl, Siberia sud. Oltre lui, sempre lui. Cosa verrà dopo Putin? “Un altro Putin”: così rispondono con un sorriso amaro alla metro Taganka o con un ghigno sincero alla fermata Ochotny ryad. Anche chi lo vorrebbe sostituire non riesce ad immaginarsi chi potrebbe essere a capo dello Stato più esteso del mondo. Per il resto, il ventennio del suo potere Mosca non lo festeggia e galleggerà sulla pioggia fino a domani.

Progulka po bulvara, “passeggiata tra i boulvar”. La Capitale come ogni sabato, nonostante migliaia di arresti, torna a protestare. Per evitare di essere subito tracciati dai servizi, i dissidenti hanno cominciato ad usare la parola “camminata” al posto di “manifestazione” sui social. Poiché la mappa del corteo sabato scorso è rimbalzata anche sugli account dell’ambasciata americana a Mosca, per Maria Zakharova, portavoce Ministero degli Esteri, c’è interferenza USA negli affari interni russi.

In altre 40 città, da Pietroburgo alla Siberia, oggi ci saranno picchetti in solidarietà alla Mosca giovane che si solleva perché a 30 candidati dell’opposizione è stato vietato di partecipare alle elezioni per la Duma cittadina dell’8 settembre. I cittadini contro le divise e i loro leader dietro le sbarre. Bloccati i conti del fondo anticorruzione fondato nel 2011 dal blogger Aleksey Novalny, in carcere per 30 giorni. Sull’organizzazione alitano gli investigatori governativi con un’accusa di frode “per aver ricevuto un miliardo di rubli da terze parti illegalmente”.

Putin il meme, Putin la matrioska, Putin il souvenir. Putin icona di popolo che ora borbotta. Il volto di un sistema che la piazza di Novalny vuole cambiare. Vent’anni fa c’era già la Tass, agenzia statale, ma non ancora le chat Telegram, dove i rapper russi, uno dopo l’altro, hanno annunciato di partecipare oggi alla protesta dove le divise degli Omon, polizia antisommossa, attendono migliaia di persone. “Chi è Putin?”. Esattamente 20 anni dopo certi russi sono qui per strada perché credono di averlo capito.

Vota per me Argentina. Scandali e resurrezione di Cristina l’incantatrice

Voglio che la gente torni a essere felice”: Cristina Fernandez de Kirchner, la ex presidente, ha chiuso la campagna elettorale del “Frente para todos” in vista delle primarie di domani (denominate Paso) che in Argentina definiranno i candidati alla presidenza. Macri arrivò al governo alla fine del 2015 promettendo povertà zero, una lotta al narcotraffico e alla corruzione e un miglioramento dell’economia: ma in definitiva, nel suo primo discorso al Congreso de la Nacion, si “dimenticò” di informare gli argentini di un paio cose. In primis la disastrosa situazione finanziaria ereditata da un governo tra i più corrotti della storia del Paese e poi l’inflazione, forse perché pensava che potesse essere facilmente superata. Invece sono bastati due momenti di crisi internazionale, nel maggio e nell’agosto 2018, per riportare indici, che stavano lentamente calando, a superare il 40%.

Sul fronte dell’eredità finanziaria ricevuta dal kirchnerismo, che assunse il potere nel 2003 e lo mantenne fino al 2015 sotto le presidenze dei coniugi Kirchner, Macri ha ricevuto un paese con un debito interno gravissimo tanto da costringerlo a indebitarsi per poter portare avanti il suo piano di sviluppo e iniziare a costruire le infrastrutture mancanti per poter attirare investimenti stranieri e far decollare un’economia legata alla produzione di materie prime anziché derivati.

Poco dopo la crisi del 2001 infatti il prezzo della soia (della quale l’Argentina è il 3° produttore al mondo) passò da 125 a 500 dollari alla Borsa di Chicago: ma il fortissimo vento in poppa, invece di rilanciare un’economia stagnante, finì per essere dilapidato nel mantenimento della gigantesca (e inutile) macchina statale, in sovvenzioni inefficaci per le classi meno abbienti e per alimentare poi la corruzione tra politici e imprenditori.

Difatti , nonostante i gravi errori, il Macrismo, oltre a dare inizio a molte opere per potenziare non solo le infrastrutture in grado di far ripartire l’economia (rete ferroviaria e stradale) ma anche di fornire di elettricità e fogne molte aree arretrate, ha ottenuto successi nella lotta a narcotraffico e corruzione.

Quest’ultimo è il punto che più tocca Cristina Kirchner, visto che, oltre a 111 esponenti dei suoi governi indagati o giudicati e condannati, lei stessa ha accumulato 11 processi e 5 richieste di prigione preventiva, ma al momento non è processabile perché protetta, in quanto senatrice, dall’immunità parlamentare.

Fino a poco tempo fa la Kirchner superava Macri nella corsa alla presidenza (ora i sondaggi li danno quasi in pareggio), ma a un certo punto annunciò la sua rinuncia all’incarico presidenziale per proporsi con il ruolo di vicepresidente, dando l’onere di sostituirla nella corsa alla Casa Rosada a uno dei suoi massimi detrattori: l’ex ministro del governo di suo marito Nestor, Alberto Fernandez, ora riconvertitosi, nella migliore tradizione peronista.

Una mossa all’inizio incomprensibile ai più ma bisogna pensare che il presidente non gode d’immunità parlamentare: il vice sì perché è presidente del Senato, quindi la mossa permetterebbe alla Kirchner d’evitare, se eletta, d’esser processata per reati di corruzione e altri (il giudice Bonadio che dirige le indagini sulla Tangentopoli argentina la considera a capo dell’organizzazione corruttiva).

C’è da dire che nel 2015 e nei primi due anni dell’attuale governo il kirchnerismo era più visibile nelle cronache giudiziarie che in quelle politiche. Il suo “ritorno” come alternativa al Macrismo lo si deve, oltre che alla già citata inflazione galoppante e all’aumento della povertà (che ha superato il 30%), a un altro elemento: l’aumento vertiginoso delle tariffe energetiche che hanno portato i bilanci di molte famiglie sul lastrico. Ciò ha fatto tornare alla mente di molti come sotto il kirchnerismo lo Stato s’accollasse l’80% del costo delle bollette (almeno nella regione di Buenos Aires): gas e luce insieme valevano meno di un caffè. Parametro gonfiato che, unito a un cambio fittizio del dollaro ai falsi dati sull’inflazione e la povertà (nella realtà superiori agli attuali), ha provocato una “felicità” apparente legata a un concetto di Stato “Babbo Natale” che però ne ha svuotato le casse, ora tornate a livelli di sicurezza.

Pur in presenza di altri candidati (tra i quali l’ex economista di Nestor Roberto Lavagna e il suo collega, l’ultraliberista Luis Espert), la polarizzazione del voto porterà l’Argentina a una scelta tra due campi diametralmente opposti.

Muore 15enne all’improvviso sul campo di calcetto

Potrebbe essere stata una malformazione alla coronaria, difficile da evidenziare con esami strumentali, a provocare la morte di un 15enne di Milano, Lorenzo Verna, sentitosi male nel corso di una partita di calcetto giovedì sera mentre si trovava in vacanza a Francavilla al Mare (Chieti) in Abruzzo. La malformazione è stata individuata durante il riscontro diagnostico effettuato al policlinico di Chieti dal dottore Pietro Falco, responsabile della Medicina Legale dell’Asl Lanciano-Vasto-Chieti; bisognerà attendere l’esito degli esami istologici per stabilire se la causa della morte può essere attribuita alla malformazione.

Il ragazzo si è accasciato e non si è più ripreso. Vane sono state tutte le manovre eseguite per rianimarlo sia sul posto dapprima da parte di un medico che era in zona, poi del personale del 118 di Chieti, quindi in ospedale. Al momento non risulta aperta alcuna indagine: la vicenda è seguita dal sostituto procuratore della Repubblica di Chieti Lucia Campo. Domani i funerali.

Weekend a 37-40 gradi: sedici città in allarme

Torna l’allarme caldo. Dai 37, 38 gradi al Nord fino a punte di 40 gradi nel Sud d’Italia. Domani sarà bollino rosso in otto città, tra le quali Campobasso dove l’allerta massima, iniziata ieri, sarà fissa per tre giorni. Le altre sette città coinvolte dall’ondata sono: Brescia, Firenze, Frosinone Latina, Perugia, Rieti e Roma. Queste sono le previsioni dell’ultimo bollettino sulle ondate di calore del ministero della Salute. Sempre domani l’allerta bollino arancione in altre otto città: Ancona, Bolzano, Bologna, Palermo, Pescara, Viterbo, Venezia, Verona, Trieste. Tra queste, in quattro (Bolzano, Bologna, Palermo e Viterbo) il bollino arancione è già attivo da ieri. Le temperature rimarranno al di sopra delle medie stagionali anche lunedì. Come è noto, queste condizioni meteorologiche rappresentare un rischio per la salute, in particolare nella popolazione più suscettibile.

Diabolik, la questura ordina esequie private. Proteste e ricorso

Gravi pregiudizi per l’ordine e la sicurezza pubblica. E così il funerale di Fabrizio Piscitelli dovrà essere celebrato in forma strettamente privata. Il questore di Roma Carmine Esposito teme problemi visto che Diabolik era un “esponente di rilievo” della tifoseria della Lazio, “fondatore” del gruppo degli Irriducibili: “Il rito funebre celebrato in forma pubblica, con grande risalto mediatico, potrebbe determinare gravi pregiudizi per l’ordine e la sicurezza pubblica”. C’è già stata una fiaccolata con un migliaio di ultras laziali al Tuscolano, dove l’uomo è stato ucciso. Per le esequie ne arriverebbero molti di più, da Roma, da altre città e dall’estero. Ma la famiglia non ci sta e annuncia il ricorso al Tar per ottenere un funerale pubblico. Allo stato il rito funebre è previsto per le sei di mattina del 13 agosto all’interno del cimitero Flaminio. “Proveremo a ottenere i funerali anche a settembre, anche perché a parte Riina e Provenzano non ricordo provvedimenti simili per altre persone”, ha detto il legale della famiglia, Marco Marronaro. Sul fronte delle indagini potrebbero arrivare novità dai tre telefoni cellulari che aveva con sé Piscitelli quando è stato ucciso con un colpo alla nuca in un parco. La polizia punta sui clan della droga.

Delitto Cerciello, sentito Varriale Foto e benda, nuovo indagato

È stato ascoltato negli uffici della Procura alla presenza del procuratore facente funzioni Michele Prestipino, il carabiniere Andrea Varriale che la notte del 26 luglio scorso era con Mario Cerciello Rega (in foto), il vicebrigadiere ucciso con 11 coltellate dal giovane americano Finningan Lee Elder.

Per due volte, il militare aveva descritto i fatti di quella notte ai colleghi dell’Arma che indagano sul delitto e in questo nuovo interrogatorio ha invece ricostruito per la prima volta tutta la vicenda dinanzi al procuratore Prestipino e all’aggiunto Nunzia D’Elia.

Nel pomeriggio di ieri, negli uffici di piazzale Clodio, Varriale ha ripercorso i movimenti compiuti con il collega poi ucciso: l’arrivo in piazza Mastai, le telefonate con i due americani, lo spostamento nel rione Prati e la tragedia. Il militare li aveva già ricostruiti con i suoi superiori ma la Procura ha scelto di sentirlo.

Salgono intanto a due gli indagati nel fascicolo aperto per la foto che immortala Christian Gabriel Natale Hjort bendato e ammanettato. È stato infatti individuato il militare che ha scattato la foto quella notte in caserma. Nei suoi confronti l’accusa è di rivelazione di segreto d’ufficio. Prima di lui nell’inchiesta era finito il sottufficiale accusato di avere bendato il giovane californiano. Nei giorni scorsi sono state ascoltati, in varie parti di Italia, decine di carabinieri con l’obiettivo di individuare chi aveva “postato” in una chat quella immagine.

Una foto che aveva profondamente imbarazzato i vertici dell’Arma che fin dall’inizio aveva preso “fermamente le distanze”. Lo stesso Prestipino, nei giorni scorsi, aveva assicurato che le indagini sulla vicenda sarebbero state svolte “senza alcun pregiudizio e con il rigore già dimostrato da questa Procura in altre analoghe vicende”. L’apparente allusione al caso Cucchi non è sembrata casuale.

È il morbillo che uccide i delfini del Mar Tirreno

A prima vista sembra una fredda sigla da referto medico: CeMv. E invece no perché, tradotto dal linguaggio medico, stiamo parlando del morbillo. Ma stavolta non del virus che provoca i celebri puntini rossi sul corpo umano e che si può combattere con un semplice vaccino: stavolta il Morbillivirus sta colpendo con estrema ferocia i delfini che vivono e nuotano nelle acque toscane. A stabilirlo sono state ieri le prime quattro autopsie su altrettanti delfini trovati morti negli ultimi giorni e svolte dall’Istituto zooprofilattico sperimentale Lazio e Toscana. Tutti e quattro i cetacei – spiaggiati tra Isola d’Elba, Viareggio e la costa livornese di San Vicenzo e Baratti dal 21 giugno ad oggi – hanno evidenziato una “importante positività” al Morvillivirus Cemv.

Vengono confermate così le ipotesi dei giorni scorsi per spiegare la moria di delfini nelle acque toscane: dall’inizio del 2019 sono stati trovati morti ben 37 cetacei ma il dato più preoccupante si registra nel mese di luglio con ben 20 delfini spiaggiati. L’ultimo caso è di ieri mattina quando è stata segnalata l’ennesima carcassa spiaggiata a Vecchiano (Pisa), a cinque chilometri dalla foce del fiume Serchio. Giovedì invece la 36esima vittima da inizio anno – un esemplare di Stenella – è apparsa tra i bagnanti di Feniglia (Orbetello). Un’epidemia che non sembra arrestarsi. “Le prime analisi non lasciano spazio a dubbi – commenta l’assessore all’Ambiente della Regione Toscana, Federica Fratoni – è una risposta che in qualche modo ci aspettavamo, ma che non può certo rallegrarci visto che nel 2013 il Morbillivirus CeMV causò la morte di molti delfini”. Le specie più colpite sono quelle dei tursiopi (ben 15 su 21 solo nel mese di giugno) che sono la maggioranza nel mar Tirreno ma anche della Stenella, un esemplare che nuota più vicino alla costa degli altri delfini.

Nella relazione pubblicata ieri dall’Istituto zooprofilattico sperimentale Toscana e Lazio si legge che “le indagini istologiche e in parte quelle batteriologiche risultano ancora in corso ma i dati preliminari sembrerebbero confermare il sospetto diagnostico per CeMv”. Non solo: a quanto si apprende, gli studiosi starebbero cercando evidenze su una possibile correlazione tra le epidemie del 2013 e del 2016, che avevano già provocato una moria di delfini nelle acque toscane e in particolare degli esemplari di Stenella striata.

Il Morbillivirus CeMv comprende i virus che, oltre ai cetacei, generano il cimurro dei cani e delle foche e la peste bovina: si trasmette tramite il semplice contatto ed è per questo che basta molto poco per provocare un’epidemia senza fine. Gli studiosi spiegano però che non ci sono pericoli per l’uomo perché è “patogeno solo per questi animali”.

Dal 30 luglio ad oggi, la moria dei delfini è precipitata con una media di uno al giorno e Arpat (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Toscana) ha rilevato almeno due “particolarità” sul giallo dei delfini spiaggiati: in primis, tutti gli esemplari sono stati trovati con lo stomaco completamente vuoto come se non si cibassero da giorni e in secondo luogo perché molti di essi vengono avvistati inizialmente vivi (anche se in estrema difficoltà) a poche centinaia di metri dalla battigia prima di spiaggiarsi poco dopo. Ma, secondo la biologa marina Sabina Airoldi del centro studi sui cetacei Tethys (Toscana, Liguria e Corsica), le responsabilità dell’uomo su questa morìa di delfini esiste: “Sicuramente – ha spiegato all’agenzia Ansa – tutti gli inquinanti che l’uomo immette in mare, come i policlorobifenili (gli olii, ndr) e i composti aromatici policiclici (gli idrocarburi, ndr), abbassano le difese immunitarie dei cetacei e li debilitano, impedendo loro di contrastare in modo adeguato infezioni virali e batteriche”.

Per i frettolosi: la campagna elettorale 2019 in 250 parole

Per chi, comprensibilmente, non volesse seguire la campagna elettorale a venire, la riassumiamo qui in circa 250 parole.

Lo dico da papà. Zingaraccia, kosovaraccio, africanaccio, ruspa. Pieni poteri (sic!). Non andremo più a Bruxelles col cappello in mano. Prima gli italiani. Bacioni. Cambieremo l’Europa dall’interno (credece). Bibbiano, la famiglia, i globalisti. Sto al governo per fare le cose. No alla Repubblica dei giudici (sì, è sempre Salvini). La casta ha voluto salvarsi le poltrone. Il partito degli affari, la cricca, la mafia, i poteri forti, la Spectre. Siamo una forza responsabile, la Lega voleva aumentare il deficit (sì, sono ancora i grillini). No Tav, No Tap, No Ilva (ma pure sì). La casta, i corrotti, le poltrone, ci siamo tagliati gli stipendi. I rubli, i rubli, i rubli, Putin, Putin, Putin. Il fascismo, il razzismo, il nazismo. Restiamo umani (ma insieme a Minniti). L’Europa, l’Europa, i mercati, lo spread, il debito pubblico, il pericolo sovranista. Blocco navale! Difesa dei confini! Governo sovranista! Riduzione delle tasse, sostegno a chi crea lavoro e pareggio di bilancio (sì, sì, tutto insieme). Il mio babbo è innocente, il tempo è galantuomo, se avesse vinto il Sì, #avanti. Signorina, se avessi dieci anni di meno le farei la rivoluzione liberale. Meno tasse, meno burocrazia, sono amico della Merkel, l’Italia era rispettata nel mondo, la patonza deve girare. Ma davvero non mi avete candidato? La politica è morta, ormai gli ideali non contano più.

Ecco, ora potete distrarvi.

L’ambientalismo

“L’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano”.

(dall’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco)

 

Con l’opportunismo politico misto a furbizia e finta ingenuità che ispira il cosiddetto “buonismo”, Walter Veltroni aveva appena consegnato a un giornale del gruppo Fiat il suo auspicio per un’alleanza fra il Pd e “un nuovo partito verde” quando la questione ambientale è esplosa in Parlamento, sotto forma di mozioni contrapposte sulla (linea ferroviaria) Tav, innescando di fatto la crisi di governo. E così, quello del primo segretario del Partito democratico s’è rivelato un viatico infausto o un oscuro presagio. Fatto sta che i “dem”, immobilizzati dai loro contrasti interni, hanno votato a favore dell’opera pubblica più odiata dagli ambientalisti, insieme a Forza Italia e a Fratelli d’Italia che sostenevano la posizione della Lega. Un autogol mediatico, al limite del masochismo elettorale.

S’era guardato bene, il compiacente intervistatore di Veltroni, dal chiedergli alla vigilia di questo appuntamento come avrebbe votato lui sulla Tav o che cosa avrebbe consigliato di fare ai suoi colleghi di partito. La predicazione ambientalista del fondatore non ha riscosso perciò un grande ascolto, come una modesta fiction televisiva o un improbabile docu-film. E in un blog sul Fattoquotidiano.it, la co-presidente del Partito verde europeo, Monica Frassoni, ha avuto buon gioco a replicare: “È poi a dir poco paradossale che auspichi un forte partito verde chi, come Walter Veltroni, ha avuto un ruolo centrale nell’eliminazione dei partiti progressisti fuori dal Pd, con l’illusione della vocazione maggioritaria che fece precipitare Romano Prodi e l’iniqua legge sullo sbarramento al 4% alle elezioni europee o Carlo Calenda, che da ministro andava in giro a dire che le rinnovabili sono care per giustificare il blocco dei decreti”.

Nel suo intervento, la stessa Frassoni ha rivendicato le scelte dei verdi italiani, ricordando che “i contenuti e l’approccio non sono diversi da quelli degli altri partiti verdi in Europa: Tav, Ilva, autostrade, rifiuti, polemiche su parchi e infrastrutture si ritrovano pari pari con altri nomi ovunque”. Ed è proprio questo il punto. Come si fa a invocare un’alleanza fra il Pd e un nuovo partito verde quando i “dem” presentano in Parlamento una mozione pro-Tav che raccoglie addirittura i consensi della Lega e di Forza Italia? Non si poteva almeno inserire nel testo qualche distinguo o qualche critica alla linea del governo, in modo da non confondere la propria posizione con quella del centrodestra? E non sarebbe stato meglio uscire dall’aula al momento del voto, come suggeriva il tesoriere ed ex capogruppo al Senato Luigi Zanda, per evitare i sospetti e le accuse di “inciucio”?

La verità è che, piaccia o non piaccia, l’impegno ambientalista presuppone un radicalismo che al momento il Pd non è in grado di esprimere e di rappresentare. Vale a dire un integralismo ecologico imperniato su un nuovo modello di sviluppo economico-sociale, all’insegna dell’equità e della solidarietà. È inutile allora vagheggiare un’alleanza impossibile con un partito verde che non c’è. Tanto più quando, come ricorda Monica Frassoni, s’è inseguita in passato una “vocazione maggioritaria” che ha desertificato il fronte progressista. Prima di ipotizzare convergenze con altre forze, occorre ridefinire la natura e l’identità del Partito democratico, la sua cultura politica, la sua visione della società e il suo programma, per costruire un’alternativa allo schieramento sovranista e autoritario.