La sinistra di popolo deve allearsi col M5S

L’obiettivo della Lega è meno definito di quanto appare. È sul tavolo non soltanto l’opzione elettorale immediata. C’è anche il bluff per rafforzare la sua posizione in seno al governo: non tanto verso i grillini, sempre più disorientati e spiaggiati, quanto nei confronti della terza componente del governo, la più efficace grazie anche alla sponda del “vincolo esterno”: il partito del Quirinale, dell’ortodossia europeista, dell’unità nazionale e del costituzionalismo minimo. È probabile prevalga l’obiettivo elettorale. Ma, al di là dell’ambizione del capo, inevitabile conseguenza del consenso maturato, qual è il disegno della Lega per l’Italia, per le sue classi sociali, per Nord e Sud?

La scelta di Matteo Salvini di scaricare il M5S e andare a elezioni senza “il vecchio” centrodestra zavorrato da Berlusconi implica il rilancio surrettizio dell’agenda storica, originaria e mai abbandonata della Lega Nord: quindi, la sostanziale secessione della Padania attraverso l’“Autonomia differenziata”, in un quadro neoliberista autoritario di allineamento negoziato ai precetti della Ue. In sostanza, Matteo Salvini è “costretto” dall’ideologia costitutiva del suo partito, dei suoi governatori e dei suoi sindaci, dalle imprese export oriented e dalle rappresentanze sindacali impegnate sul welfare aziendale ad archiviare, al di là delle chiacchiere, la Lega “Partito della Nazione”. Non è un capriccio. È una esigenza profonda: dato l’estremismo mercantilista dominante nell’Ue, la tensione tra vincolo esterno (la feroce competizione indotta da mercato unico ed euro) e vincolo interno (la solidarietà fiscale prevista dalla Costituzione) è sempre più insostenibile.

In un governo con il M5S, in sintonia, sulla questione della Repubblica una e indivisibile, con il partito del Quirinale, la “Lega Salvini premier” non poteva allentare, fino a rompere, il vincolo interno per salvaguardare la capacità delle imprese del Nord di resistere al vincolo esterno. Per una ragione strutturale: perché le basi sociali del M5S vengono ulteriormente colpite dalla rideclinazione del nesso nazionale-sovranazionale nel senso “secessionista” e ancor più mercantilista; perché Reddito di Cittadinanza e salario minimo, anche in versione sindacale, sono un programma alternativo alla flat tax e alla reale portata dell’Autonomia differenziata; perché, in realtà, la Lega è partito dell’establishment economico, mentre il M5S rimane, pur vinto, almeno nella base e in tanti quadri, l’unico partito anti-sistema.

È evidente che la narrazione nazionalista della Lega continua, con l’innocua copertura di FdI. Il consenso del Sud è decisivo. Si alimenta con l’offensiva violenta anti-migranti, efficace anche al di qua del Po. Si “compra” dalla borghesia parassitaria, sempre rapida a vendersi al vincitore in cambio di residue rendite. Si consolida attraverso la criminalità organizzata tollerata per il controllo sociale del territorio.

Allora che deve fare chi viene dalla sinistra e intende stare dalla parte della nostra Patria e della nostra Costituzione, del lavoro sfruttato, delle micro e piccole imprese legate alla domanda interna, della conversione ambientale, del limite ai flussi migratori per un’effettiva capacità di integrazione? Deve costruire una controffensiva insieme al M5S, a partire dal Sud. Perché innanzitutto M5S? Perché nonostante l’inevitabile sconfitta nella prova di governo, nonostante le posture regressive sul terreno della democrazia costituzionale, il M5S, a differenza del Pd, è insediato tra le fasce di popolo più in difficoltà e tra, errori e disarmanti carenze, ha provato a dare risposte “giuste” e a resistere. Ma il M5S intende aprirsi?

* Movimento Patria e Costituzione

La folle estate di capitan poltrona

Dai comizi-apericena sugli arenili avanza nel Palazzo l’atmosfera cafonal che il superministro autoincoronatosi Capitano d’Italia ha imposto all’agenda e alla tregenda di una Nazione. Tuttavia la situazione già grave sta diventando anche seria: un sospetto induce a pensare che l’improvvisa apertura della crisi non dipenda solo dall’essere Salvini un caratteriale, uno che sotto la bonomia mimata cela il temperamento del lunatico, ed è un sospetto che ha instillato proprio Salvini, commettendo nel comizio di Pescara uno di quei lapsus che al tenente Colombo facevano scoprire il colpevole.

“Pur di andare avanti” , ha detto l’abbronzatissimo, “siamo disposti a mettere in gioco le nostre poltrone”. Anche se tutto quel che Salvini dice o twitta (fa lo stesso) solitamente serve a distrarre da qualcos’altro (i casini di Siri, l’andar mendicando in terra russa di Savoini, i 49 milioni pubblici intascati, etc.), stavolta l’excusatio non petita cela semplicemente il suo contrario. “Quanti altri partiti al governo sulla faccia della Terra con sette ministri”, ha aggiunto togliendoci ogni dubbio, “sono disposti a dire ‘andiamo a casa domani mattina e restituiamo la parola agli italiani’? Gli altri pensano alla poltrona, per noi la poltrona vale meno di zero”.

Questo disprezzo ostentato per la poltrona, da parte di uno che la occupa dal 1990, è notevole anche alla luce del fatto che un mese fa il Senato ha approvato una delle leggi-simbolo dei 5Stelle, quella che prevede il taglio dei parlamentari (da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori), già passata alla Camera a maggio. L’iter di una riforma costituzionale è complesso e comporta rimbalzi tra le due Camere e una pausa di tre mesi – più, se del caso, un referendum, come fu per l’eccentrica riforma Renzi-Boschi-Verdini Calderoli. Se il 9 settembre, data prevista per il voto, la riforma passasse definitivamente, si dovrà scrivere e approvare una nuova legge elettorale che si adatti al nuovo Parlamento ridisegnato. Poco male: adesso vige il Rosatellum, l’ultimo autolesionista tentativo del Pd, d’accordo con Forza Italia e Lega, di dopare i risultati delle elezioni. Ma questo vuol dire che le elezioni, l’evento messianico che istituirà l’eldorado salviniano, si allontanano di molto. Tra un mojito e un tanga leopardato, dj Salvini deve essersi reso conto che andando avanti su questa strada chi rischia di perdere più poltrone è lui, inteso come la Lega, che della sua volontà è un mero prolungamento. Il vitalismo a buon mercato che lo abita non è compatibile con l’attesa e il rispetto dei tempi istituzionali, anche se il taglio dei parlamentari era nel contratto di governo, come del resto la revisione del Tav.

Posto che seduto su una poltrona fisica – prima di europarlamentare, poi di senatore e ministro – ci sarà stato in tutto mezz’ora da quando lo paghiamo, Salvini sa che andando al voto a novembre non rischia nessuna poltrona, anzi, ne guadagnerà, anche grazie all’inerzia di questa folle estate dionisiaca. Perciò Conte lo ha accusato di voler cinicamente “capitalizzare il consenso”. Nessuno dotato di senno può credere che abbia deciso di sfiduciare il governo per via delle ben note divergenze sul Tav, dopo aver portato agevolmente a casa l’orribile decreto Sicurezza bis.

L’ultimo sondaggio “riservato”, diffuso da Dagospia insieme alle nude mammelle dell’aspirante duce, attribuisce alla Lega qualcosa come 320 deputati e 170 senatori, se si votasse domani: un sabba di potere, altro che l’estasi misera del baccanalino di Milano Marittima. Ubriachi di delizie future, i parlamentari della Lega devono essere andati a battere cassa e a ricordare a Capitan Poltrona che un taglio dei seggi vuol dire un taglio dei voti nei collegi, praticamente mesi di infuocata campagna elettorale buttati– senza dimenticare i governatori secessionisti padani che premono nelle retrovie. Salvini è un semplice: proiettando sui colleghi di governo e su Conte l’attaccamento alla poltrona e alle vacanze, richiamandoli imperiosamente a lavorare come “fanno milioni di italiani”, ha svelato il trucco che sta dietro al suo gioco di prestigio: fare una campagna elettorale come candidato premier da ministro dell’Interno, utilizzando soldi pubblici per svolazzare da una spiaggia all’altra, coast to coast, raccontando sempre la solita favoletta dei migranti che mangiano sulle nostre spalle e girano coi telefonini ultimo modello. Le poltrone che rischiano di saltare sono quelle che i suoi si sentono già sotto le terga, se dovesse passare il taglio dei parlamentari, mentre la poltrona che lui detiene attualmente, a cui può ben rinunciare, è una metonimia del tempo, l’unico fattore nefasto per la sua avanzata, ciò che può condurlo a picco lungo la parabola discendente su cui sono scivolati tutti i salvatori della Patria.

Mail box

 

Sicurezza bis: negoziante offre sconto del 10% agli immigrati

Ho letto con interesse il cartello affisso dal sig. Massimiliano Picchietti davanti al proprio negozio di generi alimentari a Berceto. Cartello con cui si oppone al decreto Sicurezza bis appena varato del ministro Matteo Salvini, promette uno sconto del 10% a “tutti coloro che non vengono considerati italiani” e non accetta l’odio che questa legge vorrebbe instillare nelle persone. Picchietti parla anche di armi, armi che l’Italia produce e che inevitabilmente vengono vendute in zone di guerra. Alcune di esse sono le stesse da cui scappano i profughi che cercano poi rifugio nel nostro paese. Certo, le contraddizioni con il commercio globale possono essere trovate ovunque, così come le analogie con il ventennio fascista. C’è anche chi parla di discriminazione al contrario da parte del sig. Picchietti, il quale risponde che chi è senza pietà non è della sua razza. Punti di vista. Personalmente mi scosto leggermente dalla sua visione delle dinamiche, anche se condivido il discorso di fondo. E scrivo questa lettera per congratularmi proprio con Massimiliano Picchietti. Perché avere il coraggio di esprimere la propria opinione anche con gesti concreti – come questo 10% di sconto – è utile a tutti. Perché induce a riflettere, a confrontarsi e a metter in discussione le proprie convinzioni.

Cristian Carbognani

 

No a elezioni anticipate: 5S, dem e Leu uniti contro le destre

I nodi vengono al pettine, sempre. Bene andare in Parlamento per verificare che l’attuale maggioranza non c’è più e valutare se ci siano nel Parlamento maggioranze diverse. Strada questa che non fa una piega. L’auspicio è che prevalga il senso di responsabilità da parte di forze che s’ispirano a concetti di solidarietà, equa ridistribuzione del reddito, priorità ai giovani, alla scuola, alla ricerca, all’innovazione, al merito,

alla sanità e alle politiche sociali. Speriamo non si voglia consegnare il Paese alle destre. Bisogna cambiare rotta guardando al Paese e non al partito o al movimento. In Parlamento è possibile una scelta diversa, un governo 5s con l’appoggio esterno di Pd e Leu. È indispensabile staccare la spina a un governo innaturale, senza andare a elezioni anticipate. Il Parlamento eletto nel 2018 può verificare l’esistenza di maggioranze diverse rispetto all’attuale. Servono risposte reali ai cittadini, occorre far decollare il lavoro partendo non dalle grandi opere ma da un programma concreto di difesa del suolo. Un governo capace di dimenticare le asperità del passato e si ponga in un’ottica di collaborazione reale sui temi e non sulle poltrone. Occorre una mobilitazione dei cittadini. Si faccia un esecutivo presieduto da Conte, con i grillini al governo sostenuti da Pd e Leu, sperando che la sinistra. che è specialista in autogol, inverta la sua tendenza.

Francesco Paolo Calciano

 

L’ingenuità grillina: hanno peccato di troppo ottimismo

Giudicare a posteriori è sempre facile. Tuttavia, verrebbe da dire che il Movimento 5s ha peccato quantomeno di ottimismo, pensando di tener testa a feroci e navigati animali politici. Quindi, mentre Di Maio si è rivelato inadeguato, Salvini è divenuto l’uomo forte. I 5s si sono rivelati fragili e divisi e la Lega è pressoché monolitica. Ora il Movimento si trova in un “cul de sac”, cornuto e mazziato: accusato da Salvini di aver “tradito” con la mozione No tav (il massimo delle beffe), accusato da buona parte dei suoi per mancanza di leadership, accusato di tradimento dagli elettori che contavano di fermare Tap, Tav e Ilva e vituperato dai tantissimi che hanno visto nei grillini la più grave delle minacce.

Giovanni Marini

 

Purtroppo abbiamo dimenticato le stragi di mafia

Gli italiani hanno la memoria molto corta, la paura del “nero” ha fatto dimenticare le stragi di Bologna, Ustica, Firenze e quelle per mafia. Il governo prossimo venturo di razzisti e fascisti con molta probabilità potrà contare ancora su vecchie cariatidi e imprenditori disinteressati alle sorti del Paese. “Chi muore giace e chi è vivo si dà pace”. Per quanto ancora sarà così? Mi consolo ricordando la frase a me più cara: “No pasarán!”.

Roberto Sicilia

 

Addio buche delle lettere, ormai tutto passa dal web

Non posso nascondere, come laudator temporis acti(lodatore del tempo passato), che mi fa piangere il cuore la notizia del “piano di rimodulazione” annunciato da Poste Italiane per il 2020, che terrà conto dell’effettivo utilizzo delle cassette. Quelle che vengono usate poco o nulla verranno abolite e probabilmente esitate. Posso anche capire che nell’epoca delle email, di WhatsApp e altri social, le vecchie buche delle lettere siano tristemente sempre più vuote, ma a me resta una certa nostalgia. Ricordo, quand’ero militare, le corse per imbucare le lettere d’amore alla mia fidanzata, le cartoline ai miei superiori e alle persone care per le ricorrenze. Per non parlare di corrispondenza varia. Ora le vecchie buche rischiano di essere sostituite da quelle digitali e comunque la qualità del servizio dovrebbe migliorare. Tutto sarà registrato e monitorato e per fortuna non ci saranno più ritardi nelle consegne.

Franco Petraglia

Prima si sensibilizzano i padroni contro l’abbandono dei cani. Poi si multano

Negli scorsi giorni sono quasi trasecolata quando ho sentito della multa da oltre mille euro che è stata fatta al padrone di un cane, reo di aver portato il suo peloso a sulla spiaggia. Come è possibile che ogni anno per chi ha un cane le ferie o anche solo le gite fuori porta debbano trasformarsi in un incubo senza soluzione, perché questo Paese è diventato intollerante agli amici a quattro zampe? Ormai i cartelli di divieto di balneazione per gli animali sono spuntati come funghi anche sulle poche spiagge libere. Prima vengono fatte campagne di sensibilizzazione contro l’abominio dell’abbandono degli animali durante l’estate e poi per logiche a me incomprensibili si deve sottostare a divieti o leggi poco pet friendly? Aiutatemi a capire.

Maria Luisa Strozzi

Gentile signora Strozzi, il suo sdegno è anche il mio: le punte massime di animali abbandonati si registrano nel periodo estivo (25-30%), quando la partenza per le vacanze pone il problema della presenza di un quattrozampe. E se il quadro non fosse abbastanza drammatico, basta ricordare che ogni anno in Italia continuano ad essere abbandonati una media di 80.000 gatti e 50.000 cani, più dell’80% dei quali rischia di morire in incidenti, di stenti o a causa di maltrattamenti nonostante l’abbandono sia un reato punito con l’arresto fino a un anno o con una multa fino a 10.000 euro. Si continua a far finta di non vedere negli autogrill delle autostrade i cani vagare terrorizzati o quelli che vengono lasciati nei parchi o nei boschi. Eppure le amministrazioni comunali, come quella di Pesaro (il caso che lei ha riportato) sono state, invece, molto solerti a imporre il divieto di portare i cani in spiaggia. Sono circa 18 mila le normative locali e le ordinanze emesse da Comuni, Capitanerie di porto, Provincie e Regioni. E a queste si aggiungono le leggi regionali e i regolamenti dei singoli stabilimenti balneari, per un totale di circa 18 diverse normative locali. Una babele tra cui districarsi: quello che occorre tenere a mente è che i cani accompagnati dal padrone non possano essere cacciati da una spiaggia pubblica, o dalla battigia, se non ci sono divieti esposti in maniera chiara. I cartelli che prevedono tale divieto devono, infatti, recare sul retro il numero dell’ordinanza comunale di riferimento e la data di scadenza. Altrimenti il divieto è da considerarsi nullo. A fronte dell’illegalità diffusa da parte delle amministrazioni comunali, occorre che i padroni imparino a difendersi e a far valere i propri diritti fino in fondo.

Patrizia de Rubertis

Atlantia, il titolo sale del 2,9%: l’unico a giovare della crisi

Mentre Piazza Affari era in caduta libera ieri, l’unico titolo a salire è stato quello di Atlantia che ha chiuso con un +2,94%: la holding di Autostrade sembra aver beneficiato della crisi dell’esecutivo perché avrebbe allontanato lo spettro della revoca de la concessione da parte del ministero delle Infrastrutture dopo la tragedia del ponte Morandi di Genova, procedura che si sarebbe dovuta avviare con un decreto congiunto del Ministro delle Infrastrutture e del Tesoro. “Non ci sono solo i 345 ‘onorevoli’ che salvano lo scranno – ha scritto ieri in un post su Facebook il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli – A festeggiare per le scelte della Lega c’è soprattutto Atlantia che, mentre la Borsa crolla, vede il suo titolo volare. Ma gli italiani non dimenticano”.

Solo altri quattro titoli, ieri, hanno poi registrato un andamento positivo (benché molto lontani dai livelli di Atlantia): Moncler con lo 0,98%, Stm con un progresso dello 0,86%, Amplifon dello 0,45%, la Juve dello 0,45%, Saipem dello 0,10%.

L’agenzia Fitch lascia invariato il rating sull’Italia a BBB

Alle 22 di ieri sera, a mercati chiusi, l’agenzia di rating americana Fitch – la più piccola di quelle che formulano i giudizi sull’affidabilità dei titoli pubblici – ha pubblicato il nuovo aggiornamento sull’Italia confermando il rating BBB e lasciando l’outlook negativo. Stessa decisione che aveva preso lo scorso 22 febbraio. Per la secondo volta è stato, quindi, evitato il downgrade. “L’outlook negativo dell’Italia riflette l’alto livello del debito pubblico, una crescita debole e la crescente incertezza legata all’attuale dinamica politica”, spiega l’agenzia in una nota. Sullo sfondo resta, così, l’incertezza anche sull’esito di “eventuali elezioni anticipate e sui rapporti futuri con la commissione europea”. E proprio qui si innestano i giudizi delle altre agenzie di rating che arriveranno a breve scadenza: il prossimo appuntamento dopo Fitch è quello con Moody’s il 6 settembre. Poi il 25 ottobre sarà poi la volta di Standard & Poor’s, ovvero quando saranno già delineate le misure che rientreranno nella prossima manovra. Entro il 15 di quel mese, infatti, il governo dovrà trasmettere alla Commissione Ue il Documento programmatico di bilancio (Dpb) sul quale il 30 novembre Bruxelles esprimerà il parere finale.

La grande spartizione di primavera: tutte le nomine che si decidono a inizio 2020

Chi sarà al governo nel 2020 avrà in mano una delle leve fondamentali per trasformare il consenso elettorale in potere: le nomine cruciali di competenza del governo. Matteo Salvini lo sa bene, ma è altrettanto chiaro al Quirinale e a tutti i parlamentari che in queste ore stanno vagliando ipotesi di governi alternativi, per arrivare almeno alla primavera del prossimo anno.

Scadono tutti i vertici dell’intelligence: il direttore del Dis (il coordinamento) Gennaro Vecchione, considerato vicino al premier Giuseppe Conte, il capo dell’Aisi (servizi interni) Mario Parente, prorogato nel 2017 dal governo Gentiloni, e poi il capo dell’Aise (servizi esteri), il generale Luciano Carta che è l’unico quasi certo di una riconferma, forte di un ottimo rapporto con Salvini e non solo. L’Aisi è cruciale per l’antiterrorismo, ma è l’Aise il servizio più importante per i dossier cari alla Lega, perché è quello coinvolto in tutte le attività di contrasto all’immigrazione clandestina.

Poi ci sono le grandi aziende. La partita più importante è quella dell’Eni. L’amministratore delegato Claudio Descalzi, nominato nel 2014 dal governo Renzi, si è riposizionato sulla Lega, ha cementato il rapporto con Salvini a colpi di assunzioni per dimostrare l’utilità della riforma delle pensioni di quota 100 e viaggi in Libia, Paese al centro del risiko geopolitico del traffico di migranti. Descalzi confida di essere assolto nel processo per corruzione internazionale in corso a Milano (riguarda l’acquisto del giacimento Opl-245 in Nigeria). E anche se la sua Eni è subissata di scandali e inchieste, il manager confida in un governo Salvini per avere il terzo mandato nella primavera 2020.

Francesco Starace dell’Enel, anche lui in scadenza, aveva puntato sui Cinque Stelle, dopo essere stato molto renziano, ma anche lui ora è in scadenza e potrebbe presto diventare salviniano per rimanere al suo posto, se dovesse capire che è impossibile l’unica promozione che gli potrebbe interessare, cioè il passagio all’Eni.

Difficile invece che Alessandro Profumo – scelto dal governo Gentiloni – venga confermato. La sua gestione di Leonardo-Finmeccanica è stata un po’ tormentata e lui non ha fatto alcuno sforzo per guadagnarsi credenziali di neo-leghista. Il vero termometro della continuità del potere sarà il presidente di Leonardo: Salvini avrà il coraggio di sostituire l’ex capo dell’intelligence e della polizia Gianni De Gennaro, sopravvissuto a tutti i governi degli ultimi cinque anni?

Ci sono poi poltrone meno ambite ma comunque preziose per chi sarà al governo. Per esempio quella della Sogin, la società che gestisce lo smantellamento delle centrali nucleari. Il 30 luglio c’è stato l’ennesimo rinvio e prima o poi bisognerà decidere. Anche il ricambio di due autorità di garanzia importanti come l’Agcom (Comunicazioni) e quella per la Privacy sono state rinviate a dopo l’estate. Soprattutto la seconda, dove siede ancora Antonello Soro (ex Pd), è sempre più strategica perché decide sul’utilizzo dei dati accumulati dalle aziende del digitale.

Se si va a votare, la decisione spetterà al nuovo esecutivo, altrimenti potrebbe occuparsene anche un governo di transizione. C’è poi sempre l’Anac, l’Autorità anti-coruzione: Raffaele Cantone se ne andrà a settembre, la Lega non vede l’ora di ridimensionarla e se sarà Salvini a decidere troverà un presidente coerente con il suo minimalismo.

Due dettagli non secondari: chi sarà al governo nei prossimi mesi avrà anche l’ultima parola sui dossier ormai intrecciati di Alitalia e Atlantia, la holding che controlla Autostrade per l’Italia.

La bomba dell’Iva: ecco dove trovare 23 miliardi in 3 mesi

Per scongiurare l’aumento dell’Iva, con la prossima legge di bilancio si dovranno trovare 23,1 miliardi (circa 400 euro a persona), destinati a diventare 28,8 nel 2021. Un refrain, quello della sterilizzazione delle aliquote Iva, che si ripete ormai dal 2011, quando furono introdotte le clausole di salvaguardia per coprire maggiori spese o minori entrate sul bilancio dello Stato.

Alla fine, giocando con il deficit e con i margini di flessibilità, i governi che si sono avvicendati sono sempre riusciti in qualche modo a rinviare il problema. La spada di Damocle sugli italiani, però, è rimasta e condiziona ogni manovra finanziaria.

Se anchenel 2020 l’Iva non aumentasse – come ritiene la ormai scettica Commissione Ue – il deficit nominale schizzerebbe al 3,5%, facendo precipitare l’Italia nella famigerata procedura per deficit eccessivi e causando un ulteriore aumento del debito pubblico e della spesa per interessi. Per scongiurarlo una volta per tutte, occorre trovare coperture strutturali al mancato gettito Iva, ovvero maggiori entrate o minori spese che producano effetti tutti gli anni e non una tantum. Occorre anche capire se si vuole spostare una parte del peso dalla tassazione diretta alla indiretta, allentando il cuneo fiscale sul lavoro oppure se si preferisce non appesantire imposte e accise sui prodotti, per sostenere il rilancio della domanda interna. Un equilibrio difficile considerati i vincoli di finanza pubblica, che impongono all’Italia un percorso di rientro abbastanza stringente. Le misure strutturali per annullare gli aumenti dell’Iva sono ben poche e alcune coprirebbero solo parzialmente il fabbisogno.

Iniziamo da quelle che garantirebbero un aumento delle entrate. La prima è la clausola di salvaguardia che ha originato il problema. Per legge vigente, dal prossimo anno l’aliquota Iva ordinaria salirà dal 22 al 25,2% (per poi passare al 26,5% nel 2021) e quella ridotta dal 10 al 13%. Se avvenisse, il problema sarebbe definitivamente risolto, ma crescerebbe l’inflazione, si ridurrebbero gli acquisti e aumenterebbe la pressione fiscale. Si potrebbe però, pensare a una soluzione intermedia che genererebbe un gettito parziale, con aliquote inferiori a quelle previste a regime o con aumenti selettivi solo su alcuni prodotti. La risoluzione del Parlamento che impegnava il Governo a trovare misure alternative all’aumento dell’Iva, alla luce della crisi in atto, è archiviata.

Una seconda possibile soluzione è l’eliminazione o la rimodulazione di detrazioni e deduzioni portate a scorporo nella denuncia dei redditi, che valgono circa 20 miliardi di euro, escludendo i contributi previdenziali e assistenziali. Gli effetti si inizierebbero a vedere però solo dal 2021 e aumenterebbero nel tempo, considerando che i benefici per le ristrutturazioni edilizie sono spalmati su più anni. Un gettito di alcuni miliardi potrebbe essere ricavato da una patrimoniale sulla prima casa, con esenzioni per i redditi più bassi. Pur avendo inequivocabile valenza redistributiva, al momento sembra un tabù difficilmente superabile.

Vediamo quali spese si possono invece ridurre. Il bonus di 80 euro riservato ai lavoratori dipendenti a reddito basso (ma non bassissimo), istituito nel 2014 e costato 10 miliardi all’anno è contestato per il suo scarso impulso all’economia. È un contributo, non una detrazione fiscale, quindi sarebbe giusto collegarlo all’Isee escludendo i benestanti al di sopra di una certa soglia. Lo Stato, quanto meno, risparmierebbe. Reddito di cittadinanza e Quota 100 consentiranno invece un risparmio di 1,5 miliardi nel 2019 rispetto agli stanziamenti inizialmente previsti, cifra già conteggiata nell’assestamento di bilancio, ma che alla fine dell’anno potrebbe essere più consistente. Le due misure produrranno nel 2020 economie di spesa per svariati miliardi, che possono essere incrementati intervenendo sui requisiti.

Un altrocapitolo riguarda la revisione della spesa pubblica, su cui si dibatte da anni e per la quale sono già previsti 2 miliardi di risparmi nel 2020, gli stessi del 2019. Razionalizzare beni e servizi e asciugare i trasferimenti potrebbe ridurre le uscite di alcuni miliardi. Ci sarebbero poi il contrasto all’evasione fiscale, anche con misure agevolative, o maggiore spesa in deficit pari a qualche decimo di Pil. Entrambe, però, sono da escludere perché non hanno carattere strutturale.

Nel quadro programmatico di bilancio che va inviato a Bruxelles entro il 15 ottobre – quindi prima di eventuali elezioni anticipate – il Governo in carica dovrà avanzare un’ipotesi di manovra economica, che potrà poi essere confermata o riformulata nella Legge di Bilancio che il nuovo Parlamento deve approvare entro il 31 dicembre se vorrà evitare l’aumento dell’Iva. L’Italia, che all’occorrenza è un paese di commissari tecnici della nazionale, politologi, costituzionalisti e penalisti, può esserlo anche di ministri dell’economia. Ognuno, armato di carta e penna, può scriversi come meglio crede la manovra finanziaria che verrà, scegliendo se e quanto prelevare da ciascuna misura. L’importante – come diceva Totò – è che la somma faccia il totale.

Analisti in allerta, su lo spread “È il ritorno dell’incertezza”

I mercati non sanno bene cosa aspettarsi ora dall’Italia. Nell’incertezza del primo giorno di quella che si annuncia come una lunga crisi, lo spread – la differenza di rendimento tra titoli di Stato italiani e tedeschi – sale da 209 a 240 punti, la Borsa di Milano chiude in rosso del 2,5 per cento. Gli investitori temono un governo Salvini? Oppure sono preoccupati perché non è abbastanza sicuro che questo arrivi in tempi rapidi?

Negli ultimi mesi i grandi fondi di investimento, che in una prima fase erano molto perplessi dalla scelta della Lega di candidare esponenti anti-euro come Alberto Bagnai e Claudio Borghi, grazie anche al lavoro di rassicurazione portato avanti dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti, si sono convinti che lo scenario più auspicabile per l’Italia sia quello di un governo di centrodestra tradizionale. Nessuno però è davvero sicuro che Matteo Salvini possa essere un nuovo Silvio Berlusconi, o almeno il Berlusconi della fase 2001-2006 (non quello che nel 2011 portò l’Italia sull’orlo del default).

La crisi innescata dalla Lega non è facile da decodificare per gli osservatori internazionali sui mercati. La nota di Unicredit ha come titolo “L’incertezza è tornata”. E la sintesi è questa: a giugno lo spread è crollato da 280 a meno di 200 punti perché Mario Draghi ha vincolato la Bce a politiche monetarie espansive per i prossimi mesi o addirittura anni e quindi le pressioni intorno ai titoli di Stato italiani sono diminuite. Ma l’economia resta debole, in Italia e in tutta l’eurozona, in particolare in Germania. Il nostro Pil rimarrà piatto nel 2019. E nessuno, ma proprio nessuno, riesce a intuire cosa può succedere con la legge di Bilancio a ottobre. “Se ci saranno nuove elezioni – cosa che sembra ad ora lo scenario più probabile – i mercati prezzeranno non soltanto l’instabilità politica ma anche l’incertezza sulla legge di Bilancio 2020”, si legge nella nota di Unicredit.

L’ex capo economista del Tesoro, Lorenzo Codogno, ora basato a Londra con la sua società LcMacro, è tra gli analisti più ascoltati quando si tratta di Italia. E nel suo commento agli eventi degli ultimi giorni ricorda che certi pericoli non sono mai davvero scomparsi e potrebbero ripresentarsi presto con un governo Salvini, come “il piano per introdurre una moneta parallela”, cioè i mini-Bot promessi da Claudio Borghi e auspicati da una mozione parlamentare. Che sono un potenziale primo passo verso l’uscita dall’euro. “Ma soprattutto ci sarà un brusco aumento dell’incertezza che non è mai un fattore positivo per i mercati finanziari, per questo la prima reazione è comprensibile”, scrive sempre Codogno.

Il Quirinale di Sergio Mattarella ha ben presente la complessità del momento. Per questo il capo dello Stato vuole fare di tutto per avere un governo capace di impostare almeno una bozza di legge di Bilancio in autunno che affronti il dossier più delicato, cioè l’aumento automatico dell’Iva dal primo gennaio 2020 che vale 23 miliardi di euro.

Impossibile evitarlo soltanto con un aumento di deficit perché significherebbe spingere il rapporto tra disavanzo e Pil sopra il 3 per cento e far scattare in automatico la procedura d’infrazione europea. D’altra parte è difficile prendere decisioni politiche così impegnative con un esecutivo precario e in piena campagna elettorale: quale maggioranza voterebbe misure impopolari subito prima delle urne?

Il rompicapo va risolto in fretta perché lo scenario peggiore per i mercati è quello di arrivare in autunno senza un governo vero e con un esecutivo di transizione incapace di prendere decisioni di politica economica, col risultato che a gennaio l’Italia potrebbe trovarsi con l’Iva aumentata e il bilancio in esercizio provvisorio (cioè con una specie di proroga del bilancio 2019 e senza possibilità di modificare le singole voci). Sarebbe un disastro.

Richard Gere, Rubio e il garante detenuti con la Open Arms

Per chiedere che i 121 migranti da 8 giorni bloccati a bordo della Open Arms al largo di Lampedusa possano finalmente sbarcare, scende in campo Richard Gere: l’Ufficiale gentiluomo è salito sulla nave della ong catalana per portare viveri e soprattutto lanciare un appello: “La cosa più importante per queste persone è avere subito un porto sicuro, scendere a terra e iniziare la loro nuova vita. Non siete soli”, dice circondato dai migranti soccorsi ormai più di una settimana fa al largo della Libia. Parole alle quali il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, tra un comizio balneare e il botta e risposta con gli ex alleati cinquestelle, risponde a modo suo: “Speriamo che si abbronzi, che si trovi bene, non penso gli manchi nulla”. A Lampedusa per portare solidarietà ai 121 migranti anche chef Rubio. Intanto il Garante dei detenuti ha scritto al comandante della guardia costiera Giovanni Pettorino chiedendo chiarimenti in merito alla situazione di Open Arms: “L’impasse ha un impatto rilevante sui diritti fondamentali delle persone soccorse, impossibilitate allo sbarco e in quanto tali impedite nella propria libertà di movimento, ed esposte al rischio di trattamenti contrari al senso di umanità”.