“Salvini vuole vincere da solo e dopo si metterà la grisaglia”

Matteo Salvini rinuncerà presto a costumi da bagno e ciabatte da mare per vestire i panni dell’uomo solo al comando a Palazzo Chigi. Ne è convinto il sociologo Domenico De Masi che non dubita dell’esito delle prossime elezioni e neppure dei contenuti della nuova legislatura che si aprirà una volta che verrà archiviata quella segnata dalla crisi della maggioranza gialloverde. Ma prima di arrivare alle urne Matteo Salvini, il predestinato vincitore, dovrà vedersela con Giuseppe Conte: “il lombardo di Puglia”.

Professore De Masi come vede il nuovo scenario?

È molto più semplice da prevedere di quello delle elezioni del 4 marzo 2018: in questo caso si sa già chi sarà il vincitore, Matteo Salvini, e soprattutto cosa farà una volta diventato presidente del Consiglio. L’unico elemento di novità è che potrebbe trattarsi del primo governo monopartito e chiaramente di destra dalla nascita della Repubblica. Perchè il capo del Carroccio ha aspettato di staccare la spina al governo Conte giusto quando ha capito di poter fare a meno dei suoi alleati nel centrodestra tradizionale, che non esiste più. Ora non si sa se imbarcherà Giorgia Meloni o meno. Qual che è certo è che il partito di Silvio Berlusconi è alla frutta.

E nell’altro campo?

C’è un 60 per cento di persone che non voteranno Salvini. Ma è una maggioranza informe, senza epicentro.

Che tipo di premier sarà Salvini?

Non sarà il tipo da spiaggia di oggi, vestirà ben altri panni per fare esattamente quello che ha già detto che farà grazie a una Rai che è già al suo servizio, a un blocco sociale largo che lo sostiene a partire da tutto il board imprenditoriale, da Confindustria a Confesercenti. E alla supervisione di Steve Bannon, che ora ha preso casa a Roma perché è convinto che l’Italia sia strategica per mandare in frantumi l’Europa. Come cambierà il nostro Paese? Io so che il Brasile, in soli tre anni di cura Bolsonaro, si è trasformato in un dittatore eletto democraticamente grazie agli errori degli altri, specie degli elettori di sinistra che pur di non votare il candidato luliano hanno preferito starsene a casa. Anche qui il paragone con l’Italia mi pare calzante: il Pd resterà più o meno intorno al 20% perchè anche il nuovo sa di vecchio e il Movimento 5 Stelle si asciugherà, dimezzando i consensi. In entrambi i casi i loro potenziali elettori andranno a ingrossare la percentuale dell’astensione.

Prima delle urne Conte vuole che Salvini dichiari quali sono le ragioni vere della fine dell’esperienza di governo. Cosa pensa dell’attuale premier?

Conte è la figura più enigmatica di tutte perché ha una capacità di mimesi fortissima: 16 giorni dopo essersi insediato a Palazzo Chigi è andato in Canada per il G8 e se l’è cavata. Questo perchè ha una preparazione e una astuzia rapida anche nello smarcarsi dalle situazioni più difficili, come è stato il caso della sua gestione del dossier Tav. Qualità morotee che credo utilizzerà anche in questa fase così accelerata: ecco, lui è come Coppi che anche in salita aveva 35 battiti al minuto.

Insomma Conte ha il fisico adatto?

A dispetto dei suoi 30 anni anche Luigi Di Maio ha queste qualità e sarebbe ingiusto che venisse scaricata su di lui la responsabilità delle difficoltà del Movimento 5 Stelle. Di Maio ha lavorato sodo svolgendo tre o quattro ruoli contemporaneamente e gli è mancato il sostegno necessario per la sfida più importante, cioè la trasformazione del Movimento in partito.

Ma Conte ha il profilo del leader?

Non ci si improvvisa leader: è affidabile, ma non ha carisma. Ma ha l’unica cosa che agli altri manca, la cultura che è come la classe, non è acqua. Ma credo che il problema di un suo eventuale impegno sia soprattutto di spazio politico: diventare leader di che cosa? La destra è occupata da Salvini, l’unico spazio che c’è è a sinistra della Lega, ma Conte è neoliberista.

Ma pure Matteo Renzi è neoliberista.

E infatti le difficoltà del Pd sono legate a questo: la predominanza dei neoliberisti in un partito di sinistra. Ecco le difficoltà del Pd si misurano con la mancata volontà di fare un esercizio di realismo per trovare la rotta, in una società post-industriale, di una visione socialdemocratica. È una questione di identità. Fin qui leader come Renzi hanno detto: “mi piacciono le bionde e sposo una mora. Ma poi la faccio ossigenare”. Non va.

Obbligo di dimora per tre anni a D’Alì: “È pericoloso”

Antonio D’Alì ex senatore di Forza Italia è “pericoloso socialmente” e per tre anni dovrà osservare l’obbligo di dimora a Trapani. La misura di prevenzione è stata disposta dal Tribunale presieduto dal giudice Daniela Troja. La Dda di Palermo aveva chiesto cinque anni. La richiesta della misura di prevenzione risale al maggio 2017 – mentre D’Alì era candidato a sindaco di Trapani – ed era stata elaborata in virtù delle accuse emerse nel corso del processo che lo vede imputato dal 2011 per concorso esterno in associazione mafiosa. Il politico era stato assolto (e prescritto per i fatti precedenti al 1994) in primo grado e in appello. La Cassazione annullarono il giudizio la Cassazione annullò con rinvio perché era stato “illogicamente ed immotivatamente svalutato il sostegno elettorale di Cosa nostra a D’Alì”, rinviando il caso ai giudici palermitani di appello. D’Alì è stato presidente della Provincia di Trapani, senatore di Forza Italia per 24 anni e perfino sottosegretario all’Interno dei governi Berlusconi dal 2001 al 2006. L’avvocato Arianna Rallo: “Con grave disappunto constato che una decisione giudiziaria di tale delicatezza viene offerta in pasto ai giornalisti prima di essere conosciuta dal diretto interessato”.

Ora Moavero ha più chances però non sarà l’unico in lizza

La mossa che riaprirà i giochi la farà il premier Giuseppe Conte subito dopo il dibattito parlamentare sulla fiducia. Sarà a quel punto che il nome del Commissario italiano nel governo europeo verrà reso pubblico. E sarà un nome “che serve all’Italia, non alla Lega”. La rottura di governo, in effetti, facilita le cose al presidente del Consiglio che nel suo lavorìo europeo fatto di un’alleanza inedita con la popolare Ursula Von der Leyen, ha avuto rassicurazioni circa un portafoglio importante per l’Italia: la Concorrenza. Per avere questo incarico, però, Conte avrebbe dovuto proporre un nome all’altezza, spendibile e credibile.

Il nome giusto c’era: Giancarlo Giorgetti, il quale, avendo capito l’approccio della Lega, si è tirato indietro. Lo stallo che la riottosità leghista ha provocato finora ha impedito di avanzare un nome. Anzi, Conte, per accontentare la Lega che finora ha avanzato solo nomi di secondo piano come il ministro dell’Agricoltura Gianmarco Centinaio o, addirittura, il viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia, aveva anche pensato di spostare la sua richiesta dalla Concorrenza al Commercio.

Ora il premier ha le mani libere e proverà a insistere ancora per la Concorrenza che attualmente è nelle mani della danese Maria Vestager, in lizza per un altro portafoglio economico.

Alla Farnesina si scalda da sempre il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, il quale ha molte chances in più anche perché sarebbe espressione di un’intesa forte tra Conte e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ma Moavero non ha tutte le competenze per un incarico dal forte profilo economico, la Vestager invece è un’economista. Ma la Commissione non sta a guardare queste sottigliezze. Resta però l’ipotesi che Conte possa andare verso una figura dal profilo diverso, ancora più istituzionale e dotata di visione economica, apprezzata in Europa. Non ce ne sono molti così.

Chi saranno i candidati premier?

 

Lega etc. La tragedia di Silvio

Il “Capitano” ora deve decidere se caricarsi FdI e Toti: B. ballerà da solo

L’unico nome possibile, nel centrodestra, è quello di Matteo Salvini. Il leader leghista ha prosciugato Forza Italia, ha raddoppiato i consensi e ora valuta se passare all’incasso da solo o portarsi dietro gli alleati. Vincendo nei collegi uninominali – per la prima volta con chances anche al Sud – e sfondando oltre il 35 per cento nella parte proporzionale, la Lega potrebbe in effetti non aver bisogno di stampelle, almeno sulla scheda elettorale (quel che accade durante la ricerca di 20 o 30 parlamentari per formare la maggioranza dopo il voto è tutt’altra storia).

Da mesi Giorgia Meloni si offre come spalla della Lega: la leader di Fratelli d’Italia non parla più di “coalizione di centrodestra”, ma di “alleanza sovranista”. Un modo per staccarsi – anche agli occhi degli elettori – da quel che resta di Forza Italia e per convincere Salvini a non buttare all’aria il centrodestra, dato che un pacchetto unico con Fratelli d’Italia e Forza Italia sarebbe in questo momento molto meno ricevibile dal Capitano. E in effetti, almeno nei sondaggi, la strategia della Meloni sta pagando: FdI ha ormai appaiato il 7 per cento attribuito ai berlusconiani, per altro tormentati dalle divisioni interne. È di questi giorni infatti la scissione di Giovanni Toti, governatore della Liguria ed ex delfino di Silvio che ha fondato il suo “Cambiamo” insieme ad alcuni forzisti delusi (tra gli altri ci sono Paolo Romani e Gaetano Quagliarello). Toti ha escluso l’ipotesi di una coalizione di centrodestra “classica” – con Berlusconi, Meloni e Salvini – e per non condannarsi all’irrilevanza politica già tradizione di molti ex berlusconiani adesso strizza l’occhio alla Lega, puntando all’alleanza ristretta.

In questa partita, però, la volontà dei partiti minori conta zero: l’unico ad avere le carte in mano è Salvini. E da lui dipenderanno i confini dell’eventuale coalizione.

Lorenzo Giarelli

 

Pd e cespugli Tanto non vincono

Forse ci prova Zingaretti, ma il frontman perfetton è l’ex premier Gentiloni

Ancora non è chiaro in che forma si presenterà la coalizione di centrosinistra, ma di certo per la prima volta a gestire le liste del Pd sarà il segretario Nicola Zingaretti. Stando allo statuto del Pd, che prevede che il capo politico coincida col candidato premier, il governatore del Lazio dovrebbe guidare la coalizione. Potrebbe essere però lo stesso Zingaretti a fare un passo indietro. Scissione o meno, è escluso che sia l’ala renziana ad esprimere il leader, che allora potrebbe farsi andar bene, se non il segretario, soluzioni condivise. Il nome di Paolo Gentiloni, per esempio, era già caldeggiato da molti nel 2018, prima della débâcle elettorale a guida Matteo Renzi. Adesso l’ex primo ministro è un’ipotesi, tenendo sempre conto che il Pd dovrà fare da raccordo ad un’alleanza che, presumibilmente, andrà dai Radicali alle varie nuove forme degli ex fuoriusciti di LeU, passando di certo per una lista ambientalista. È proprio sul “verde” che i dem stanno spingendo nelle ultime settimane, tanto che Walter Veltroni ha prima auspicato un nuovo partito ecologista e poi lo stesso Zingaretti ha sbandierato la necessità di un “green new deal”. Volto coerente con questa campagna potrebbe essere il sindaco di Milano Beppe Sala, per altro da tempo corteggiato dai vertici del partito (Sala non è iscritto, pur avendo vinto le amministrative col sostegno del Pd).
Difficile però che l’operazione vada in porto in tempi rapidi: Sala ha ancora due anni di mandato, è molto popolare a Milano e rischierebbe di bruciarsi prendendo in mano una coalizione – per altro rattoppata – ad appena due mesi dal voto. Il tutto con sondaggi che vedono la Lega con almeno 15 punti di vantaggio sui dem, situazione che già da sé sconsiglia passi avventati. Molto meglio saltare un turno e, nel caso, prendersi il partito più avanti, con qualche grana in meno e con una Lega “sgonfiata”.

L . Giar.

 

5 Stelle Cercando un miracolo

Luigi Di Maio è bruciato, sperano che sia Conte  il salvatore della patria

Come un pugile suonato il Movimento 5 Stelle barcolla dopo il cazzotto da k.o. di Matteo Salvini. Il gruppo dirigente grillino non era pronto allo showdown, specie dopo la mazzata delle Europee. Ora i problemi da affrontare sono moltissimi: dal tema del limite di due mandati che farebbe fuori tutti gli attuali vertici a partire da Luigi Di Maio a quale profilo “politico” darsi per la campagna elettorale (moderato europeista, come in quest’ultima fase, o descamisado come ai tempi in cui si flirtava con i Gilet Gialli?). La risposta a quest’ultima domanda, ovviamente, va di pari passo con la scelta del candidato premier.
Luigi Di Maio, ancorché lessato a bagnomaria dai 14 mesi di coabitazione a Palazzo Chigi con Salvini, pare pensi ancora di potersi giocare le sue carte (previa deroga parziale al limite dei due mandati votata su Rousseau): qualcuno dovrà spiegargli che, pur rimanendo il “capo politico” del Movimento, dovrà passare la mano pena un’emorragia di voti ancor più marcata di quella subìta a maggio. Poco credibile che il candidato possano essere Alessandro Di Battista, che probabilmente tornerà in Parlamento e sarà il frontman della campagna elettorale, o Roberto Fico, che pur avendo buona stampa tra i grillini è solo il leader di una minoranza. E qui si arriva alla scelta che tutti accarezzano: che sia Giuseppe Conte, la cui figura pubblica è invece cresciuta nei mesi e ha un buon indice di approvazione, il salvatore della patria a 5 Stelle. Problema: l’avvocato non ha ancora deciso cosa fare e, per accettare, probabilmente chiederà ampia delega su temi e toni della campagna elettorale e sul profilo politico complessivo del Movimento. Di Maio, in sostanza, dovrebbe accettare un drastico ridimensionamento dei suoi poteri e tutti gli altri di diventare una forza moderata ed europeista senza se e senza ma. Bella inversione a U.

Marco Franchi

La Rai e la crisi: chi va piano…

E il terzo giorno resuscitò pure la prima serata di Rai Uno. Il caldo agostano svuota le redazioni e dilata i tempi di reazione, e questo è comprensibile, però chi si fosse voluto informare sulla crisi di governo nelle ultime sere avrebbe trovato più di una difficoltà. Nella prima serata di ieri è arrivato il primo specialone politico su Rai Uno, ma mercoledì, per esempio, giorno dell’editto di Matteo Salvini dalla spiaggia di Sabaudia e del voto sul Tav in Parlamento, a Viale Mazzini tutto taceva. Nessuna diretta, nessuna edizione serale. Giovedì è invece andata in onda la replica di Don Matteo, prima che verso le 22 in Rai si accorgessero che forse era il caso di interrompere e mandare in onda qualcosa sulla crisi, chessò, il discorso di Giuseppe Conte, gli interventi di Di Maio e di Salvini. Magari il lusso di un commento da studio. Ieri per fortuna è avvenuta la redenzione definitiva, con la prima serata dedicata allo speciale Tg1. Ci sono voluti tre giorni, non male per un servizio pubblico. D’altra parte la verità è una: quando manca Bruno Vespa, in pausa da giugno, nessuno osa prendere il suo posto. La Terza Camera è solo una, ma a questo punto apritela anche ad agosto.

Il voto ora è un indispensabile strumento di igiene politica

Nella stranota figura del dito che indica la luna, oggi serve davvero a poco occuparsi delle convulsioni finali del contratto gialloverde, con le inevitabili elezioni anticipate. Soprattutto quando la luna è il faccione di Matteo Salvini, che sembra destinato molto presto a prendersi lui tutto il governo, e il Paese, alla guida di una minacciosa maggioranza sovranista di destra-destra. Un futuro da brividi per chi scrive (e forse anche per chi legge) ma, seguendo lo schema di Rino Formica (intervista al manifesto) è “la soluzione democratica”, unica alternativa all’uso della forza e addirittura alla “guerra civile”. Più ottimisti del vecchio saggio socialista, noi riteniamo che evocare la guerra civile sia soltanto un cupo espediente retorico per richiamare la più alta istituzione del Paese, che siede al Quirinale, all’esercizio delle sue prerogative costituzionali.

Compito a cui Sergio Mattarella non intende certo sottrarsi, e neppure il premier Giuseppe Conte decisissimo a denunciare davanti al Parlamento, e con la massima trasparenza, il cinismo del vicepremier “da spiaggia”, che affamato di potere butta giù i governi come fossero i suoi personali castelli di sabbia. Dunque, prossimamente, a Palazzo Madama e a Montecitorio andrà in scena il prologo di una campagna elettorale decisiva per comprendere se la democrazia che ci attende sarà la democratura autoritaria di ispirazione putiniana (e imbottita di rubli). O se riusciremo a difendere e conservare i pilastri di quella democrazia costituzionale nata, quella volta sì, da una guerra civile chiamata Resistenza. Anche oggi, per l’Italia repubblicana e in un clima fortunatamente di pace, tertium non datur: o di qua o di là. Per cui, ormai agli sgoccioli e sancita la fine del Salvimaio, questo diario considera il ricorso al voto un indispensabile strumento di igiene politica per almeno tre motivi. Primo: se nell’arco di un anno un partito raddoppia i consensi – con il 34% delle elezioni europee, veleggiante verso il 38 e forse anche il 40% – e se a cavalcare questa gigantesca onda è un personaggio accolto nelle piazze (e sugli arenili) come il nuovo uomo della Provvidenza, molto difficilmente quest’uomo (che non è certo un De Gasperi) rinuncerà a considerare Palazzo Chigi come il suo naturale domicilio. Tanto più se costui viene riconosciuto come l’unico e sommo leader della destra più destra mai vista in Italia dalla caduta del fascismo (quella formata da Fratelli d’Italia, dagli ascari di Forza Italia modello Toti, e forse anche da un fu Silvio Berlusconi oggi miniaturizzato). Coalizione che secondo gli ultimi sondaggi sfiorerebbe il 50%: praticamente la maggioranza assoluta nelle nuove Camere.

Come si fa a non tenerne conto? Secondo: l’igiene elettorale non può che fare bene al M5S, sfibrato, debilitato, vampirizzato dalla convivenza governativa con il Dracula del Carroccio. Attraverso il ritorno a una sana opposizione i Cinque Stelle potranno procedere nei tempi giusti al necessario rinnovamento interno, degli uomini, delle strutture e dei programmi. Se destinata a finire sotto il tallone del salvinismo (parola che fa rima con altri raggelanti ismi) la democrazia italiana avrà la necessità di affidarsi a una minoranza combattiva che in Parlamento e nelle piazze sappia tenere alto il vessillo della legalità. E più di qualcuno, vedrete, rimpiangerà quella classe dirigente giovane, forse inesperta, ma bombardata senza tregua dai cosiddetti grandi giornali e nei talk show, ma che a confronto con il sistema Savoini&Casapound sembrerà la scuola di Atene.

Terzo: del gruppo dirigente di questo Pd, indeciso a tutto tranne che a farsi vicendevolmente le scarpe, fa perfino rabbia parlare. Soprattutto se, come accaduto sulle mozioni Tav, Zingaretti e soci non esitano a spianare la strada a Salvini, ritagliandosi in un ipotetico, futuro bipolarismo la triste funzione di opposizione di comodo. Fortunatamente, da questa parte, oltre agli apparati con le loro ridicole rendite di posizione esiste un fertile e vasto mondo che continua ad avere come saldo riferimento i valori della Costituzione, e della chiesa di Papa Francesco.

Basta girare per l’Italia delle università, delle mille iniziative culturali, delle librerie, della solidarietà per rendersi conto che l’alternativa al Papeete Beach vive e lotta per tornare a guidare il paese quando, prima o poi, l’onda della destra s’infrangerà sugli scogli. La partita non è affatto persa. Coraggio.

La consigliera M5S: “Attento Ruspa, finisci a testa in giù”

Finital’esperienza di governo insieme, si esaurisce anche quella sorta di tregua dialettica tra i gialloverdi, che tornano a insultarsi come quando erano soltanto rivali politici. A volte, però, qualcuno esagera. Ieri la consigliera municipale del Movimento 5 Stelle a Genova Stefania Giovinazzo ha infatti rievocato i fatti di piazzale Loreto associandoli a Matteo Salvini. In un post su Facebook, la consigliera ha scritto: “Sei venuto meno alla parola data ai tuoi elettori, i quali si erano riuniti per raccogliere le firme per il contratto di governo. Nel bel mezzo dei lavori ti svegli da una sbronza post serata e dichiari la crisi di governo, dimostrando la tua totale inaffidabilità. Ma attento caro Ruspa, la storia ci insegna che passare dall’avere le piazze gremite di persone che applaudono a finire a testa in giù è un attimo”. Il caso è stato denunciato dai leghisti locali, che hanno chiesto le dimissioni della Giovinazzo dal consiglio. In serata la Giovinazzo ha poi minimizzato: “Purtroppo questa frase è stata ampiamente strumentalizzata. Mi spiace se qualcuno si è sentito offeso per ciò che ho scritto, ho usato un paragone molto forte, ma credetemi, non è nella mia natura inneggiare all’odio. Da oggi posterò solo foto di gattini”.

Silvio disperato: “Matteo tienici in squadra”

La tentazione di andare a uno scontro uno-contro- tutti, Matteo Salvini l’accarezza. E anzi, l’idea di togliersi ogni possibile zavorra dalle spalle per una corsa alle urne in solitaria è fortissima. “Se devo mettermi in gioco con un’idea di futuro lo faccio da solo. Poi potremo scegliere dei compagni di viaggio, certo”, ha detto a caldo dopo l’innesco della crisi e l’avvio della rumba elettorale. Facendo mostra di non temere nulla, vada come vada.

Una prospettiva che escluderebbe Forza Italia oggi in grandissima difficoltà. Per questo Silvio Berlusconi provare a stanare la Lega: “Non facciamo perdere al Paese altro tempo, risparmiamo agli italiani avventurismi e scegliamo la via della chiarezza: sottoscriviamo un accordo prima del voto per regalare un nuovo sogno agli italiani”, dice il leader forzista che ha già in mente anche il nome dell’alleanza, ‘”La squadra del sì”, idealmente contrapposta a quella del No incarnata dai 5 Stelle. Inutile dire che il candidato premier sarà Salvini, cosa che tutti i forzisti danno per scontata.

E di fronte alla riluttanza ad essere presi a bordo dal Capitano sussurrano: “È impensabile che il capo del Carroccio rischi di perdere l’occasione di diventare presidente del Consiglio”, fanno trapelare mentre si confermano “contatti tra Salvini e Berlusconi per dare corpo all’alleanza”. Che un politico navigato come Clemente Mastella, attuale sindaco di Benevento non dà per scontata: “Poiché da questa situazione politica ci potrà essere la fine politica di Forza Italia o la sua resurrezione politica, io ritengo che prima di avventurarsi a dire semplicemente sì alla sfiducia proposta dalla Lega ci debba essere una dichiarazione politica di Salvini che lo impegni a fare una intesa con Berlusconi e Meloni”.

E se così non fosse? A quel punto i parlamentari avrebbero mani libere, specie a Palazzo Madama dove il voto del gruppo forzista (il secondo più numeroso dopo quello del M5S) sarà decisivo per la sorte del governo Conte: “Senza un patto pre-elettorale – minaccia Mastella che ha sua moglie eletta proprio al Senato – si lasci ai parlamentari libertà di coscienza”. E di decidere sul loro futuro perchè il patto – è il non detto – riguarda le possibilità per molti eletti di essere ricandidati in collegi sicuri per non dire blindati. Che sarà la Lega, l’unica che farà il pieno di voti alle urne, a poter assicurare.

L’incertezza insomma è tanta e tale da mandare in fibrillazione il partito dell’ex Cav. Che intanto spera che Giovanni Toti non riesca neppure a raccogliere le firme per presentare alle elezioni la sua creatura filoleghista “Cambiamo”. E che pertanto una serie di aspiranti parlamentari rimanga fuori dai giochi.

E Fratelli d’Italia? Giorgia Meloni è chiara: “Noi le alleanze le facciamo prima del voto e non dopo, perché vogliamo essere chiari, siamo la forza più coerente, siamo concreti e affidabili”, dice forte dell’ultimo sondaggio Ipsos che dà il suo partito al 7,5 percento contro il 7,1 di Forza Italia.

Ma al di là dei numeri, lo schema dell’alleanza di centrodestra a tre per FdI appare superato dagli eventi, perchè al partito di Meloni non è piaciuto che David Sassoli del Pd sia riuscito a diventare presidente del Parlamento europeo grazie al sostegno di Forza Italia. E lo stesso vale per quello che viene definito il mega-patto del Nazareno europeo con Pd e 5 Stelle per l’elezione di Ursula von Der Leyen alla presidenza della Commissione Ue. E che dire di Stefania Prestigiacomo saltata su una nave Ong insieme a Nicola Fratoianni e Riccardo Magi di +Europa?

Il web contro Salvini: “Coniglio, perché vuoi la crisi adesso?”

“Sei passato all’incasso”, “Sei pessimo”, “Coniglio”, “Giochi sulla nostra pelle.” Per la prima volta Matteo Salvini è stato tradito dalla sua piazza preferita, quella virtuale. Non era mai successo: giovedì sera, mentre il capo della Lega annunciava la sfiducia al governo Conte a Pescara, i suoi profili Facebook e Instagram venivano travolti da un fiume di commenti critici e insulti. Perfetto contraltare delle pagine del premier Giuseppe Conte, dove invece erano quasi tutti elogi: “L’unico presidente che avrebbe potuto cambiare questo ambiente marcio” (Italo Leone), “Lei è un galantuomo, un vero signore, oltre ad essere una persona preparata. E questo Paese non la merita” (Pasquale Falvo).

Non bisogna confondere i social con il mondo reale, dove la Lega e il suo capo godono di un consenso che sarebbe ridicolo mettere in discussione. Ma è comunque un segnale da non sottovalutare: la scelta di far fallire un governo che godeva di una popolarità molto ampia è un atto rischioso. Salvini e chi cura la sua comunicazione sono rimasti spiazzati. Il controllo scientifico dei commenti sui profili del Capitano è quasi militare. Il sentiment del vicepremier – la sua reputazione social – è sempre positivo: i commenti favorevoli devono risultare di gran lunga superiori a quelli negativi. Così Salvini è corso ai ripari. Anche questo è un fatto inedito: il Capitano, riconoscendo l’insolita quantità di critiche, è stato costretto a replicare: “Ma quanti finti sostenitori della Lega vengono qui stasera a commentare? (faccina che ride, ndr) Basta guardare i profili e si scoprono subito. Comunque… buonanotte anche a voi!”. Una variante della solita formula: bacioni!

Su Facebook i commenti al post di Salvini a Pescara (al momento) sono 7.721. Soprattutto negativi. Uno di quelli che ha raccolto più apprezzamenti è dell’utente Denis Mei: “Ha più volte ribadito che questo governo sarebbe durato 5 anni. Ha più volte ribadito che non sarebbe stato lui a far cadere questo governo. Ha staccato la spina appena approvato il decreto sicurezza bis. Ha deciso di chiudere tutto nella settimana che precede Ferragosto, quando l’italiano ha meno attitudine ad informarsi. È tutto studiato a tavolino. (…) Ora vuole passare alla cassa e ritirare il premio di governo del paese, si vede che han calcolato con cura i sondaggi e il possibile voto. Quante risate se alla fine, però, il calcolo alla fine fosse ERRATO….”.

Una riflessione che rappresenta un sentimento diffuso. Angelo Giuseppe Aleo: “Perché questa fretta? Non credo a motivazioni nobili! Credo invece che sta venendo fuori il vero Salvini”. Marco Pagano: “Fino a ieri ero un tuo sostenitore, adesso è venuto fuori tutto quello che sei”. Marianna Autiero: “Non avevate firmato un patto che avrebbe dovuto garantire la stabilità del governo per permettere le dovute riforme?”. Angelo Rullo: “Te l’hanno detto a Pescara che se fai cadere il governo torni al 13%?”. In molti chiedono a Salvini di approvare almeno il taglio dei parlamentari. Come Thomas Rotondi: “Taglio dei parlamentari prima del voto!”. O Lucio Di Pelino: “Matteo, vuoi staccare la spina? Bene fallo, ma dopo l’ultimo voto per il definitivo taglio dei deputati. Se farai cadere prima il governo sarebbe l’ennesimo tradimento verso le aspettative degli italiani”. O ancora Vincenzo Formica: “Ma li tagli i parlamentari PRIMA di andare al voto?! CONIGLIO”.

Dall’altra parte della barricata, il video di Giuseppe Conte da Palazzo Chigi in cui il premier prende atto della mossa di Salvini ha ottenuto (al momento) 1,4 milioni di visualizzazioni solo su Facebook. E il sentiment è opposto: la stragrande maggioranza dei messaggi è di solidarietà per il premier. Tra i commenti più apprezzati quello di Mariarosa Rizzo: “Salvini ha gettato la maschera, prima di votare leggi poco gradite dai compagni di merende… tutto nella norma”. È solo Facebook, è vero, ma è lo stesso campo su cui il Capitano ha costruito la sua egemonia.

“5S e democratici fermino il golpe dell’estrema destra”

Il Pd “lasci i pop corn” e la smetta di spianare la strada a Salvini. Parola di Maurizio Acerbo, segretario nazionale Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, che interviene sulla crisi di governo criticando Matteo Salvini e la posizione dei dem: “Salvini si sostituisce al presidente della Repubblica e decide da una spiaggia che bisogna andare a elezioni. È grave che Zingaretti assecondi la pretesa del ministro. In Parlamento la Lega è in minoranza, se il Pd e i 5 Stelle volessero sarebbe facile stoppare il golpe di Salvini”. Secondo Acerbo, “per evitare che il leghista imponga il plebiscito delle elezioni anticipate basterebbe che Pd e M5S si decidessero a dar vita a una coalizione”. Il tutto per evitare un governo a forti tinte di destra: “Se Salvini rappresenta un problema serio per la convivenza civile, non è il caso di regalargli la maggioranza assoluta e la possibilità di eleggere il presidente della Repubblica. Il Pd la smetta di mangiare i pop corn e si alzi dal divano”. Anche perché, ricorda Acerbo, i dem “sono stati con Berlusconi e di Verdini”, così come il M5S è stato contraente della Lega. Buoni motivi per non fare le pulci al potenziale nuovo alleato.