Quando trentadue anni fa Paolo Fresu iniziò a organizzare – insieme a una manciata di amici e volontari – il festival Time In Jazz non avrebbe mai immaginato di arrivare a ospitare i più grandi artisti internazionale di jazz contemporaneo. Oggi la manifestazione è unanimemente riconosciuta come una delle più autorevoli e originali, soprattutto per le location meravigliose sparse nei dintorni di Berchidda, paese natale del trombettista.
Suonare in una piccola Chiesa, in un piccolo spiazzo presso un fiume, in un castello antico e diroccato oppure in un ex caseificio rende un concerto unico e irripetibile. Il pubblico è – per stessa ammissione dei musicisti – uno dei più preparati ed esigenti, ricambiato dalla possibilità di essere a stretto contatto con gli artisti. Il Festival, in programma sino al 16 agosto, ha come tema “Nel mezzo del mezzo”: “La Sardegna è un’isola che sta idealmente tra l’Europa e l’Africa; una terra di mezzo in quell’oceano contemporaneo che è il Mediterraneo”. Alla radice della volontà di creare il Festival c’è l’amore viscerale di Fresu per la sua terra, la voglia di condividere i luoghi e l’ospitalità degli abitanti di Berchidda.
Per una decina di giorni tutto il paese si mobilita e si apre al pubblico, offrendo passaggi in auto ai visitatori verso le località dell’entroterra, spesso raccontando aneddoti, diventando guida turistica, offrendo il pranzo o la cena. “Una volta una famiglia di musicisti non trovava più suo figlio piccolo, si stavano preoccupando. Poi hanno scoperto che stava giocando con altri due bambini e intanto i loro genitori gli avevano offerto il pranzo e la merenda”. È questa – più di ogni altra – la vera cifra stilistica di Time In Jazz, la totale condivisione con gli artisti e la popolazione per l’intera giornata.
“La partecipazione dei berchiddesi è totale e mi onora – continua Fresu –. La musica è il volano di condivisione in un momento in cui si discute di muri. È un luogo comune che il popolo sardo sia chiuso. Al contrario è troppo aperto e spesso si chiude per difendersi. Tutti dalla Sardegna si sono portati via qualcosa, ma l’essenziale è che abbiano lasciato anche qualcosa. Basta vedere il nostro miscuglio di lingue, tra le quali il catalano. La ricchezza della Sardegna è nella cultura dell’incontro. Il nostro popolo ha grande dignità, ti offre quel molto o quel poco che ha per raccontare se stesso. E tutto questo si riflette in Time in Jazz, lo dico da musicista che gira i festival nel mondo: spesso gli artisti mi raccontano che non vengono qui per il denaro ma per i luoghi, il cibo, il pubblico… E finisce che si sentono in dovere di dare di più sul nostro palco per restituire l’accoglienza”.
Fresu ha scelto di lavorare a titolo gratuito: “Non ho mai preso un solo euro per la direzione artistica e l’organizzazione e nemmeno come musicista. Metto il mio tempo e la mia passione. Non c’è concerto dove non ci sia io a dare il buongiorno a tutto il pubblico”. Molto ricco il programma di quest’anno che prevede Ornella Vanoni, Omar Sosa, Danilo Rea (con un omaggio a Fabrizio De André), Nils Petter Molvær, Jaques Morelenbaum e altri ancora.
Contaminazione è la parola d’ordine, dal jazz alla pizzica, alla musica dei balcani, all’elettronica sino agli ospiti outsider di quest’anno, l’orchestra Mirko Casadei. Chissà se nelle prossime edizioni arriverà anche l’hip hop del conterraneo Salmo? “Ci conosciamo e ci stimiamo, era venuto al concerto dopo la grande alluvione per raccogliere fondi da destinare alle scuole dell’isola. Magari organizzeremo qualcosa… Quest’anno c’è l’orchestra Casadei. Io sono nato come musicista di liscio, suonavo in paese nelle feste di piazza, nei matrimoni, ai compleanni: suonavo la loro musica. Ho conosciuto Mirko e Raoul, musicisti straordinari: hanno una apertura culturale incredibile, superiore a tanti jazzisti. E si torna al punto di partenza, ovvero la fusione di stili musicali ma, soprattutto, di grande umanità tra gli artisti che vengono in Sardegna: ognuno porta via qualcosa ma lascia anche una parte di sé”.