Una palazzina al posto di un giardino. Non si può abbattere: costa troppo

“Là dove c’era l’erba ora c’è un palazzo”. Dalla via Gluck di Celentano a Fiano Romano, una trentina di chilometri dalla Capitale: al posto di un giardino pubblico è sorta una palazzina. Esempio di abusivismo quotidiano quello che non fa clamore ma nel piccolo centro diventa un caso.

Un contenzioso tra Comune e Prefettura per una questione di 200 mila euro, necessari per abbattere e smaltire i resti dell’abuso edilizio. La storia inizia undici anni fa. I costruttori procedono perchè il Comune lo permette nonostante, per quella pratica edilizia, manchi un documento fondamentale come il nulla osta paesaggistico rilasciato in sede regionale. Il Pgt (piano del governo del territorio) comunale consente l’edificabilità dei 13 appartamenti dichiarati poi abusivi. La ciliegina è che il nulla osta non può essere rilasciato a ritroso, ergo si deve procedere all’abbattimento.

Ma chi paga? Nonostante gli appelli dell’attuale sindaco Ottorino Ferilli, la Prefettura fa orecchie da mercante. L’ultima richiesta inviata al Ministero dei Beni Culturali e alla Prefettura sottolineava anche che “nelle more dell’abbattimento, l’immobile può essere illegalmente rioccupato, con pregiudizi per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”. Nella cronistoria non poteva infatti mancare il passaggio di una decina di famiglie disagiate, che per un periodo – quando gli spazi erano sotto sequestro in attesa di giudizio – ne avevano preso possesso. Famiglie con minori che il Comune guidato da Ferilli si è poi preoccupato di aiutare a sistemarsi in modo adeguato.

“La società costruttrice a seguito dell’avvio del procedimento di acquisizione chiese al Comune addirittura un risarcimento danni che andava dai 3 ai 5 milioni di euro” spiega il sindaco specificando quanto il contenzioso giudiziario sia costato in termini di soldi pubblici. “Tutto per difendere vincoli urbanistici e quando viene definitivamente riconosciuto che la costruzione è abusiva gli appelli rimangono inascoltati. Anzi qualche tempo fa sono stato chiamato dal vice prefetto per una questione di ospitalità per 40 immigrati. Ho chiesto a che punto fossimo con la demolizione. Più sentito nessuno”. Nel carteggio figura anche la richiesta del ministero dei Beni culturali al prefetto “di includere l’edificio nell’elenco delle opere non sanabili per le quali il responsabile dell’abuso non ha provveduto nel termine previsto alla demolizione e alla messa in ripristino dei luoghi”. I fianesi attendono.

Parigi val bene tangenti, aragoste e politici corrotti

Gli hanno offerto un pot-de-vin, un bicchiere di vino, per smetterla di foutre le bordel, di fare casino. Lui, però, ha rifiutato: e ha fatto saltare un affare da 350 milioni di euro. Quel bicchiere di vino che hanno offerto all’imprenditore italiano Marco Schiavio, infatti, non aveva niente a che vedere con l’alcol: è il termine con cui a Parigi si riferiscono a una mazzetta. È la storia di una tangente alla francese quella raccontata dal numero di Fq Millennium, in edicola da domani, sabato 10 agosto.

Il mensile diretto da Peter Gomez ricostruisce la vicenda di un appalto milionario, che ha tutte le caratteristiche per essere truccato e lascia ipotizzare l’esistenza di un sistema illecito. Milioni di soldi pubblici divisi tra poche grosse aziende, sempre le stesse, che si accordano per spartirsi le gare. Con la politica che – nella migliore delle ipotesi – sta a guardare. Un ingranaggio perfetto all’ombra della Tour Eiffel, che però si è inceppato grazie a Schiavio.

Per anni l’imprenditore milanese ha cercato d’inserire l’azienda di famiglia, la Passavant Impianti, nel giro di appalti del Siaap, il servizio per la bonifica delle acque di Parigi. È un ente pubblico, controllato dalla politica, che gestisce ogni giorno i rubinetti e gli scarichi di nove milioni di persone. È il Siaap che tratta le acque dei parigini prima che siano riversate nella Senna, e per farlo nel migliore dei modi bandisce appalti per costruire impianti di depurazione all’avanguardia. Un business che vale ogni anno un miliardo e trecento milioni di euro: una fortuna.

Ed è per aggiudicarsi un pezzetto di quella fortuna, che nel 2014 Schiavio riesce a partecipare all’appalto per un impianto a Clichy. Solo che quella gara doveva essere vinta da qualcun altro. “Signor Schiavio, lei deve aumentare la sua offerta di cento milioni di euro. In cambio le daremo un milione”, è quello che gli propone Patrick Barbalat, direttore generale aggiunto della Otv, una società controllata di Veolia: è l’azienda leader mondiale nel settore della depurazione delle acque. È solo la prima mazzetta alla francese nella vita di Schiavio: negli anni successivi, infatti, manager di primo livello e politici vicini all’ex presidente Nicolas Sarkozy gli propongono denaro per lasciar perdere le gare del Siaap.

Proposte sempre rifiutate dall’imprenditore italiano, che nel frattempo si è munito di una penna cimice per registrare quelle offerte: audio depositati agli atti della magistratura transalpina, che da anni indaga sugli appalti del Siaap. D’altra parte che quell’appalto per Clichy – nel frattempo vinto da Otv, nonostante un’offerta superiore di 71 milioni rispetto a quella di Passavant – sia irregolare lo ha stabilito di recente il tribunale amministrativo di Cergy Pontoise, che nel 2019 ne ha decretato la rescissione: in quella gara il Siaap ha violato l’obbligo d’imparzialità. Quella che coinvolge Schiavio, però, non è l’unica storia di corruzione all’ombra della Tour Eiffel. Fq Millennium, infatti, ricostruisce come il fenomeno riguardi anche direttamente i politici e la classe dirigente francese.

La lista delle accuse è lunga: cene a base di aragoste, cabine armadio rifatte con i soldi pubblici, ministri con i conti all’estero per evadere il fisco e presidenti che cercano di corrompere giudici. Spesso non al di sopra di ogni sospetto: la Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, per tre volte ha condannato la Francia definendo i procuratori “non indipendenti” perché sottomessi al governo.

“Il tema da noi era tabù, si è sempre pensato che i problemi fossero a casa degli altri. Per i cittadini è difficile rendersene conto perché sono infrazioni commesse da politici e imprese in ambiti di potere e non sono visibili”, dice Charles Duchaine, magistrato a capo dell’Agenzia francese anticorruzione. Ma gli ultimi scandali cominciano a fare molto rumore, anche in Francia. Non è un caso che una delle scritte lasciate dai gilet gialli sui muri di Parigi reciti: “Abbiamo tagliato teste per molto meno”.

Legge sullo sport, l’appello degli atleti: “Conseguenze gravi”

“Il comitato direttivo della Commissione nazionale atleti del Coni, in rappresentanza di tutte le donne e gli uomini di sport del nostro paese, come atlete e atleti, come persone impegnate nella competizione agonistica, ritiene doveroso esprimere la propria grande preoccupazione legata alla situazione dei rapporti tra Cio, Coni e governo nazionale”. È quanto si legge in un comunicato della Commissione atleti, presieduta da Raffaella Masciadri. “Il rischio di sospensione del Coni da parte del Cio per violazione della Carta Olimpica avrebbe una ripercussione gravissima per tutto il mondo dello sport. Per tutti gli sportivi, per tutti gli atleti che ogni giorno sudano con l’obiettivo di poter un giorno partecipare ai giochi olimpici in rappresentanza del proprio paese, o ancor più, poter partecipare ad una edizione dei giochi olimpici organizzati in ‘casa’, che solo poco più di un mese fa sono stati assegnati all’Italia sarebbe una ferita che solo chi ha fatto sport e ha avuto l’onore di rappresentare il Paese può conoscere”, evidenzia l’organismo.

Diabolik, caccia al killer nei clan del narcotraffico

È nei contrasti con i gruppi criminali che gestiscono il traffico di droga a Roma, in particolare quelli albanesi, che potrebbe essere maturato l’omicidio di Fabrizio Piscitelli, il 53enne per decenni capo ultrà della Lazio conosciuto come “Diabolik”, ucciso mercoledì sera a Roma. È la pista su cui stanno lavorando i poliziotti della Squadra mobile che nelle ultime ore hanno eseguito una serie di perquisizioni e ascoltato testimoni e conoscenti di Diabolik.

Il supertestimone, l’autista cubano che ha accompagnato la vittima nel parco degli Acquedotti, ha raccontato ai poliziotti guidati dal dirigente Luigi Silipo che il killer aveva la pelle bianca e indossava un abbigliamento da runner. Il sicario ha esploso un colpo che ha freddato Piscitelli mentre era ancora seduto sulla panchina. Un colpo sparato all’altezza dell’orecchio sinistro, dall’alto verso il basso come ha confermato l’autopsia eseguita ieri mattina. Un’esecuzione in perfetta modalità mafiosa: dopo essere stato attirato in trappola, Diabolik è stato giustiziato alla presenza delle numerose persone che alle 19 si trovavano nel parco. Poi il killer è fuggito a piedi percorrendo via Lemonia.

Gli inquirenti, intanto, non confermano l’ipotesi che dopo aver sparato a Piscitelli, il killer avrebbe provato ad aprire il fuoco contro il suo autista, che si sarebbe salvato solo grazie all’inceppamento dell’arma. Le indagini sono dirette dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma che ha ipotizzato l’aggravante della modalità mafiose. All’origine del delitto forse debiti non pagati: recentemente a Diabolik era stata restituita una villa a Grottaferrata e una parte dei beni che gli erano stati sequestrati per oltre 2 milioni di euro. Il nome di Piscitelli era già spuntato in altre inchieste: anche in “Mafia capitale” dove per i carabinieri Diabolik avrebbe offerto supporto a Massimo Carminati gestendo con la “Banda di Ponte Milvio” lo spaccio di cocaina a Roma nord. A suscitare interrogativi è anche un altro dato: la strana assenza degli uomini di origine albanese che facevano da “scorta” al capo ultrà degli Irriducibili.

Dal cellulare della vittima, nelle prossime ore, potrebbero arrivare nuovi e determinanti elementi per ricostruire l’agguato e soprattutto risalire ai suoi autori. Gli investigatori stanno infatti recuperando tabulati e altri dati dal telefono della vittima per confermare l’ipotesi investigativa di un appuntamento diventato una trappola. Intanto i poliziotti analizzano le immagini catturate dalle telecamere di video sorveglianza della zona: dettagli che potrebbero offrire impulsi decisivi per l’attività investigativa.

Il luogo dell’agguato è meta di un pellegrinaggio di amici e tifosi. Sulla panchina fiori ma anche sciarpe e vessilli laziali per l’uomo che dal 1987 guidava il gruppo egemone della Curva Nord laziale, estremista di destra, per anni al centro di redditizie attività legate al merchandising biancoceleste fino allo scontro, recentemente ricomposto, con il presidente della Lazio Claudio Lotito. Striscioni “Diablo vive” davanti alla sede degli Irriducibili, non lontana dal luogo dell’agguato e al Colosseo, dove però è durato poco. A lutto anche gli ultrà romanisti: “Oltre i colori. Riposa in pace Diabolik”.

Napoletani banditi dallo Juve Stadium: “Qui non entrate”

Maurizio Sarri è fortunato: se in estate non fosse diventato il nuovo allenatore della Juventus non sarebbe potuto entrare allo Stadium. La sua colpa: essere nato a Bagnoli. Come altre migliaia di napoletani, che vivono da decenni a Torino e magari tifano pure Juve, ma la partita contro il Napoli non potranno vederla. La società di Andrea Agnelli ha deciso di negare la vendita di biglietti a tutti i nati in Campania: tutto scritto a chiare lettere sul sito ufficiale del club.

Sabato 31 agosto, seconda giornata di Serie A: a Torino si gioca Juventus-Napoli. Prima contro seconda dello scorso campionato, rivalità sul campo e fuori, partita ad alto rischio. Già in passato, del resto, erano state adottate diverse restrizioni. L’anno scorso, ad esempio, l’Osservatorio per le manifestazioni sportive (l’organo del Viminale che si occupa della sicurezza degli eventi e dispone le misure da adottare per le partite dei campionati) aveva negato la vendita dei tagliandi ai residenti in Campania, limitandola ai possessori della “tessera del tifoso” di altre Regioni. Il modo più efficace per vietare la trasferta agli ultras: un provvedimento inviso alle tifoserie e controverso, che però è ormai consuetudine nel calcio.

Stavolta la Juventus si è spinta molto oltre: al bando non soltanto i residenti, anche tutti i nati in Campania. Il divieto è diventato “genetico”: così non si tratta più di evitare disordini pubblici ma proprio la presenza di napoletani e campani allo stadio. In un primo momento fonti di stampa avevano chiamato in causa anche la Questura, ma ovviamente nessuna istituzione avrebbe mai potuto avallare un provvedimento così discriminatorio. Infatti subito è arrivata la smentita: “La Questura non ha mai concordato tale decisione con la società sportiva né intende condividerla”. La Juventus ha poi precisato di aver “comunicato, tramite posta elettronica certificata, agli uffici competenti in data 4 agosto”, pubblicando online anche la mail. Ma un conto è comunicare, un altro è condividere. A Torino la comunità di immigrati campani è molto forte, pari al 3,4 per cento della popolazione totale: secondo statistiche di qualche anno fa del Comune, in città vivono oltre 25 mila persone (di cui quasi 13 mila uomini) nati in Campania. Da soli potrebbero riempire un quarto dello Stadium: magari qualcuno in società ha pensato bene di arginare così il rischio di una “invasione napoletana” nei settori casalinghi. D’altra parte, la Campania è anche la quinta Regione italiana per “Juventus club”: ad essere danneggiati saranno per primi tantissimi tifosi bianconeri, solo per la loro regione natia.

L’autogol è chiaro, la natura discriminatoria del provvedimento pure. Di sicuro, si tratta di una scelta autonoma del club. Per certi versi, pure legittima: a casa sua, la Juve può fare ciò che vuole. Però ne deve anche rispondere, di fronte a un’eventuale class action di chi si sentisse colpito dalla discriminazione. Non sembrano pochi. La notizia ha scatenato reazioni e polemiche. Anche del Comune di Napoli: “È molto grave che una società sportiva selezioni il pubblico pagante sulla scorta di un fattore arbitrario legato al luogo di nascita – protesta la delegata all’Autonomia, Flavia Sorrentino – Essere nati a Napoli non è un marchio di disonore, a meno che non si voglia sdoganare definitivamente un messaggio razzista contro i meridionali”.

Le restrizioni però ci sono e restano, almeno per il momento. La società bianconera ha aggiunto che potrebbero essere riviste in seguito alle disposizioni dell’Osservatorio, che però si riunirà soltanto dopo Ferragosto, quando quasi tutti i biglietti saranno andati esauriti. E allora l’obiettivo della società del presidente Agnelli (ieri premiato come “torinese dell’anno”) potrà dirsi raggiunto: lo Stadium colmo di piemontesi, senza napoletani e campani di nascita pur se juventini.

Truffati dalle banche, Tria firma l’ultimo decreto per i rimborsi

Il ministrodell’Economia, Giovanni Tria, ha firmato il decreto ministeriale che fissa i termini per la presentazione delle istanze di indennizzo al Fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla Legge di Bilancio 2019 con una dotazione complessiva di 1,5 miliardi. È, spiega il ministero, “il terzo ed ultimo decreto attuativo relativo al Fondo per gli indennizzi ai risparmiatori che hanno subito un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate”. “Per consentire l’erogazione delle prestazioni del Fir”, spiega il ministero, “le domande devono essere inviate entro i centottanta giorni che decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto”. Il decreto sarà ora sottoposto alla registrazione da parte della Corte dei Conti. Intanto la Banca popolare di Sondrio ha ceduto un portafoglio di crediti deteriorati classificati a sofferenza per un ammontare di circa un miliardo al lordo delle rettifiche di valore. Lo rende noto un comunicato della banca nel giorno dell’approvazione della semestrale. L’obiettivo entro il 2022 è di abbattere il livello attuale di Npl ratio lordo, portandolo intorno all’8%.

“Non è un allarme, ma un invito: intervenire”

Questo rapporto è la conferma di quanto certificato a ottobre: il cambiamento climatico non sta per arrivare, ci siamo pienamente dentro”. Sergio Costa è ministro dell’Ambiente. Nel caos di governo, resta concentrato su quella che considera la sua missione: portare le istanze dell’ambiente e della sua tutela a livelli istituzionali e decisionali europei e globali anche partendo dalle segnalazioni del rapporto sul “Cambiamento climatico e territorio” diffuso ieri dal comitato scientifico dell’Onu sul clima.

Ministro, cosa pensa del rapporto?

Mi piace una cosa in particolare di questo lavoro: non è un allarme, ma un invito. Visto che ormai siamo dentro al cambiamento climatico e non lo si può più evitare, mostra la strada e i punti di intervento: sulle attività agricole, il consumo del suolo, le migrazioni, il consumo dell’acqua. Ci dice che dobbiamo muoverci subito perché non tutto è irrecuperabile.

Da dove bisogna partire per salvare il pianeta?

Servono politiche di mitigazione immediate. Questo sarebbe già un ottimo punto di partenza per lavorare poi, sul lungo periodo, al cambiamento del paradigma produttivo. La mitigazione sola non sarà sufficiente. Anche perché a pagarne le spese siamo noi, oggi e nelle future generazioni: non mi stancherò mai di ripetere che se il pianeta può fare a meno dell’essere umano, l’essere umano non può fare a meno del pianeta. E se siamo stati noi a creare il cosiddetto antropocene, allora possiamo intervenire per cambiarlo. Certo, non è come accendere e spegnere la luce, ma se non si inizia a orientare il sistema, non si arriverà mai a risolvere quello che gli scienziati definiscono ormai come “il” problema del Pianeta, non come “un” problema.

Il rapporto evidenzia problemi che però hanno bisogno di soluzioni a livello planetario: come si può gestire?

Si deve agire sui diversi livelli: nel proprio Paese, con leggi, regole e norme a favore dell’ambiente, della transizione energetica, dell’economia circolare. Poi c’è l’impegno internazionale, nel nostro caso in Europa, dove è importante conquistare autorevolezza ma anche farsi riferimento del cambiamento tramite alleanze con gli altri Paesi. Bisogna diventare un centro gravitazionale, lo stiamo facendo con Francia, Spagna e Gran Bretagna anche grazie al peso che abbiamo

E a livello globale?

A livello planetario ci sono tutti i percorsi del Climate Change, dove vige lo stesso principio ma dove, ad esempio, Usa, Cina e India hanno un peso maggiore rispetto all’Europa. In quel caso, per un Paese come l’Italia, diventa importante avere un ruolo di dialogatore, soprattutto per la possibilità di interagire con tutti, dalla Russia alla Cina agli Usa. Non è un elemento di poco conto. È poi necessario stimolare dibattito e innovazione, offrire soluzioni. L’Italia ha presentato un progetto di digitalizzazione del sistema di gestione elettrica nei paesi in via di sviluppo e sviluppati, sarà al centro del prossimo tavolo: una innovazione ampiamente condivisa e che ci mette in posizione di leadership. E che ci permette di dire agli altri: ‘E voi, cosa proponete’?

C’è poi il problema dei paesi più poveri che stanno subendo la crisi climatica più degli altri.

I Paesi più sviluppati devono farsi loro portavoce. Prima della Cop 26, ad esempio, sempre in Italia ci sarà una Cop dei Paesi africani che sono i più fragili. L’Italia si assicurerà di portare le posizioni dell’Africa, il continente con la più vasta biodiversità del mondo: se la si perde, abbiamo perso la battaglia ai cambiamenti climatici.

Onu: l’emergenza climatica provoca fame e migrazioni

Aumento della desertificazione, diminuzione della produzione agricola e della qualità di alcune colture (come il grano), aumento dei prezzi del 23 per cento, maggiore rischio incendi, incremento delle migrazioni, generale messa a repentaglio della sicurezza alimentare: questo è il quadro delle tendenze per i prossimi decenni che emerge dal Rapporto speciale sui cambiamenti climatici, desertificazione, degrado del suolo, gestione sostenibile del territorio, sicurezza alimentare e flussi dei gas a effetto serra negli ecosistemi terrestri dell’Intergovernamental panel on climate change (Ipcc) l’organo scientifico dell’Onu che si occupa di cambiamenti climatici.

Il Rapporto, presentato ieri a Ginevra in conferenza stampa mondiale e destinato a legislatori e politici, è stato stilato da 107 scienziati, il 53 per cento dei quali provenienti dai paesi in via di sviluppo – quelli che subiranno i peggiori effetti dei cambiamenti climatici, ma anche il Mediterraneo è coinvolto – e basato su più di 7 mila articoli scientifici. Il circolo vizioso che provoca fame e migrazioni è sempre lo stesso: su un problema di iper sfruttamento del territorio da parte dell’uomo – ben 70% quello che ha subito impatti, con un aumento della superficie sfruttata dagli anni sessanta pari a 5,3 milioni di chilometri quadrati – si sommano gli effetti dirompenti dei cambiamenti climatici, come l’intensità dei fenomeni atmosferici, inondazioni, aumento delle ondate di calore e della siccità, innalzamento del livello del mare, una nuova distribuzione di parassiti e patologie. “Il ruolo del settore agroforestale in questo quadro è fondamentale”, afferma Lucia Perugini, ricercatrice del Centro euro Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) ed esperta del settore. “Da un lato – spiega Perugini – rappresenta una soluzione, poiché assorbe C02, dall’altro un problema, nella misura in cui la deforestazione, l’uso di fertilizzanti e soprattutto gli allevamenti pesano sulle emissioni, per il 23 per cento”.

Le soluzioni ci sarebbero, alcune delle quali a portata di mano: in primo luogo, e il Rapporto parla chiaro, pur nel rispetto delle diverse culture ed esigenze alimentari dei paesi, una drastica riduzione del consumo di carne e latticini, visto che la filiera alimentare contribuisce fino al 37 per cento delle emissioni soprattutto a causa della produzione zootecnica. “Una transizione verso diete più sane – sottolinea Perugini – porterebbe a una riduzione delle emissioni pari a quelle generate dalla deforestazione mondiale. Viceversa se non riduciamo il consumo di carne e mi riferisco soprattutto a paesi come gli Stati Uniti, non potremo contenere l’aumento della temperatura”. Ma anche l’eliminazione dello spreco alimentare equivarrebbe al taglio del 10 per cento delle emissioni. Altre misure possibili sono l’attuazione di gestioni agricole a basse emissioni che aumentino l’assorbimento del carbonio dei suoli, la protezione degli ecosistemi terrestri come le foreste, ma anche azioni di rimboschimenti in aree degradate e protezione dagli incendi. Un punto delicato e controverso del rapporto riguarda però il rimboschimento ai fini della produzione di bioenergia.

“La coperta è corta, o usi la terra per fare cibo o per fare energia, che andrebbe prodotta senza intaccare le esigenze alimentari” argomenta Riccardo Valentini, scienziato del Cmcc e unico italiano autore del Rapporto Ipcc. “Tuttavia – dice ancora Valentini – il rapporto spiega che la terra, da un lato minacciata, può essere anche una soluzione. Ovviamente dobbiamo cambiare paradigma, non è possibile che nel mondo abbiamo persone che muoiono di fame ma anche 1,4 miliardi di obesi malati e poi bisogna cominciare a pensare che quello che mettiamo nel piatto è diretto responsabile delle crisi climatiche. Purtroppo gli stili di vita sono radicati, ecco perché la nostra speranza di cambiamento sta nelle giovani generazioni”.

Sbagliati i calcoli, ritorna in carcere il boss Paviglianiti

La libertà del boss è durata meno di 48 ore. Domenico Paviglianiti, 58enne, uno dei capi storici della ’ndrangheta reggina, uscito dal carcere di Novara lunedì per un guazzabuglio giudiziario, è stato ripreso ieri dai carabinieri con un intervento svolto in collaborazione con la polizia. “Vi state sbagliando – ha detto – perché io per i giudici sono un uomo libero: ci sono calcoli precisi che mi danno ragione”. Il “boss dei boss”, come lo chiamavano le cronache degli anni Ottanta e Novanta, era così sicuro di sé che non si era ancora mosso da un bed&breakfast a Torino. Fino a lunedì scorso Paviglianiti era un ergastolano. Poi un giudice di Bologna, accogliendo uno dei ricorsi che gli avvocati difensori non hanno smesso di inoltrare fin dal 2015, lo ha trasformato in un condannato a trent’anni. Nel 1999 Paviglianiti era stato estradato dalla Spagna (fu catturato tre anni prima): le autorità iberiche aveva dato il via libera a condizione che l’uomo non fosse sottoposto a una “carcerazione a vita”. Roma dovette fornire una serie di garanzie. Secondo gli ultimi calcoli il fine pena è nel 2027. Così è scattato il nuovo arresto.

Panni stesi, piazze e fontane: polemiche sul nuovo regolamento

È caos per le nuove parole d’ordine di Roma Capitale: decoro, sicurezza e legalità. Multe ma anche daspo urbano pur di far applicare alla lettera il nuovo regolamento di Polizia urbana. Sulla carta una rivoluzione, soprattutto di mentalità rispetto alle abitudini degli ultimi 70 anni quando venne approvato l’ultimo provvedimento. Cittadini e turisti di Roma ora dovranno fare attenzione ai rumori molesti degli allarmi di casa ma anche ai panni stesi sui balconi: se visibili dalla strada o dalle piazze si rischiano fino a 100 euro di sanzione, prevista anche in caso di gocciolamento sui marciapiedi causato dall’annaffiatura dei vasi. Gli antifurti dovranno avere un “dispositivo temporizzatore che ne limiti il tempo di emissione sonora ad un massimo di cinque minuti complessivi”. Oltre al divieto di sedersi sulla scalinata di Trinità dei Monti a rischio multa anche abbeverarsi ai nasoni, le antiche fontane della Capitale, meglio portarsi un bicchiere. Proprietari e inquilini dovranno occuparsi di tenere puliti e sgombri i marciapiedi, in corrispondenza degli accessi. Infine servizi di nettezza urbana, carico e scarico merci più silenziosi per non disturbare il riposo notturno.

Vigili urbani dell’Urbe sempre più sceriffi.