Bonafede: “Via Rossi da Arezzo, immagine alterata su Etruria”

Ora la parola spetta al plenum del Consiglio superiore della magistratura, che deciderà dopo la pausa estiva. Ma pesa come un macigno il giudizio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che sul procuratore di Arezzo è stato chiaro: Roberto Rossi non può essere confermato alla guida dell’ufficio giudiziario per una serie di circostanze sufficienti “a far ritenere alterata la piena capacità dell’interessato di continuare a rivestire l’incarico” .

A causa dell’incarico da lui mantenuto alla Presidenza del Consiglio quando era l’unico titolare di un’indagine che avrebbe potuto coinvolgere il papà dell’allora ministro Maria Elena Boschi, figlia dell’ex vicepresidente di Banca Etruria. “Rilevo l’esistenza di molteplici criticità con riferimento alla proposta di conferma nelle funzioni direttive di Rossi. In particolare, considero le circostanze di fatto attinenti, in particolare, alle modalità di ottenimento dell’autorizzazione e alla prosecuzione dello svolgimento dell’incarico presso il Dipartimento Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, all’adozione dei provvedimenti di assegnazione delle indagini penali correlate alla Banca popolare dell’Etruria e ad alcuni profili in ordine alla gestione di tale ultima attività investigativa”, ha scritto Bonafede alla Commissione incarichi direttivi di Palazzo dei Marescialli che si era spaccata sul caso Rossi. Tra chi era per prorogare per altri quattro anni l’incarico ad Arezzo al magistrato e chi, da subito, si era opposto. Dopo la missiva del Guardasigilli solo un consigliere, Marco Mancinetti di Unicost (la stessa corrente di Rossi), ha deciso di insistere per la conferma. Su cui comunque si andrà alla conta a settembre a Palazzo dei Marescialli.

Sarà interessante capire quale formula verrà usata per uscire da una vicenda per molti versi inedita, oltre che, evidentemente, imbarazzante. La pratica che riguarda il procuratore di Arezzo è stata finora contraddistinta da una serie di rinvii e colpi di scena: l’ultimo è proprio il diniego del ministro della Giustizia a seguito del quale, anche i consiglieri di Area, il gruppo delle toghe di sinistra, hanno deciso di dire no alla sua conferma al vertice dell’ufficio giudiziario toscano. Ma a patto che nella delibera non si faccia riferimento alla vicenda di Banca Etruria. Che Bonafede invece, nomina eccome. In uno dei passaggi più significativi della lettera inviata al Csm in cui si sofferma sui dubbi che erano già emersi, in sede disciplinare, sul comportamento del magistrato, che non si era posto nessun problema a proseguire il suo incarico di consulente di Palazzo Chigi nonostante i possibili profili di incompatibilità con la titolarità dell’indagine riguardante anche papà Boschi. Indagine di cui peraltro aveva trattenuto tutte le deleghe. Senza far cenno alcuno di queste circostanze al Csm che, nella scorsa consiliatura, nonostante i dubbi e il clamore della vicenda, lo aveva comunque graziato lasciandolo al suo posto.

Secondo Bonafede “indipendentemente dalla valutazione che di queste condotte è stata fatta in sede disciplinare e ai fini della verifica della compatibilità ambientale (del magistrato, ndr), rilevo che ne resta comunque dimostrata la piena realtà storica”. Che è sufficiente “a ritener alterata la piena capacità dell’interessato di continuare a rivestire l’incarico in questione, in relazione soprattutto all’immagine esterna della sua indipendenza da impropri condizionamenti”. Un profilo espressamente richiesto dal Testo Unico della dirigenza giudiziaria per la nomina ma anche per la conferma dei magistrati ai vertici degli uffici.

Del resto, ha fatto notare il ministro della Giustizia alla commissione del Csm – nel provvedimento di archiviazione di Roberto Rossi in sede disciplinare “si fanno notare l’inopportunità e l’avventatezza delle condotte del magistrato”. E pure che l’incarico di consulenza al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio fino a tutto il 2015 è stato svolto mentre “era l’unico titolare di una indagine che potenzialmente avrebbe potuto coinvolgere un familiare di un importante esponente del governo e che quindi avrebbe potuto consigliare allo stesso procuratore di Arezzo scelte più articolate in ordine all’assegnazione dei fascicoli unitamente alla rinuncia all’incarico extragiudiziario (a Palazzo Chigi, ndr). O almeno alla comunicazione al Csm circa la possibile inopportunità del medesimo”. Tanto basta – ha scritto il ministro – per non poter valutare positivamente “la capacità espressa dal magistrato nel primo quadriennio del suo incarico, soprattutto con riguardo alla credibilità, autorevolezza e indipendenza del suo profilo professionale e dirigenziale”.

Un astro nascente: Ginevra Elkann

Le paginedi cultura e spettacoli di due tra i principali quotidiani italiani come La Stampa e Repubblica hanno lasciato ampio spazio ai loro critici cinematografici per presentare degnamente ai loro lettori l’opera prima di una giovane produttrice cinematografica italiana. Si tratta della 39enne Ginevra Elkann (meglio nota finora come nipote di Gianni Agnelli, figlia di Margherita Agnelli e di Alain Elkann, sorella di John Elkann e di Lapo Elkann) e del suo debutto al festival di Locarno con il film “Magari”. L’illustre albero genealogico della regista non viene eluso né dalla trama dell’opera né dalla critica incantata dell’organo ufficiale della famiglia che lo trasforma in una palestra dell’intimo travagliato e intenso: “Alla narratrice bambina Alma (Oro De Commarque) la regista ha affidato “il sentimento autobiografico” che attraversa il racconto “una prospettiva personale che finisce per diventare universale”. Da qui in poi gli aggettivi più arditi sono ampiamente sdoganati. Nella scheda, l’opera viene definita “una pellicola insieme italiana e cosmopolita, leggiadra e drammatica, autobiografica e biografica tout court” e ancora “un film intenso e sensibile girato con il coraggio che solo i timidi possiedono”. Parafrasando Totò: stelle si nasce e lei, la Ginevra, modestamente lo nacque.

“Noi, sindaci No-Tav, non parteciperemo ”

Alla vigilia di una giunta speciale sulla Torino-Lione, il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio ha fatto ieri due correzioni sostanziali. Uno: oggi la riunione non sarà al municipio di Chiomonte, comune della Valsusa su cui sorge il cantiere del tunnel geognostico, ma a Torino. “Ragioni logistico-organizzative”, adduce la Regione. Nessuna menzione alle proteste organizzate dai No Tav. Due: i sindaci di diciassette comuni interessati dall’opera (e dalle compensazioni) potrebbero intervenire. “Voglio confrontarmi con i sindaci del territorio valsusino, che sono i veri protagonisti – ha dichiarato Cirio – per capire se le opere che avevano indicato sono ancora prioritarie”. Avernino Di Croce, da pochi mesi primo cittadino di Venaus, e altri dieci sindaci hanno firmato un documento di protesta e non parteciperanno. “Avevo proposto di andare con la fascia tricolore e restare fuori dal municipio – spiega -. Non accettiamo di fare le comparse”.

Perché avete deciso di non assistere alla riunione della giunta?

Perché è irrituale e poco istituzionale. È stato invitato a partecipare Paolo Foietta che oggi è un semplice cittadino. Poi ci sono le “madamine” e potranno intervenire, mentre dalla prima lettera noi sindaci non avremmo potuto farlo.

Vi sentite esclusi e inascoltati?

Sono anni che non veniamo interpellati né a livello regionale, né nazionale. Questo governo, ad esempio, ha anche messo da parte la proposta del mio predecessore, Nilo Durbiano, per una linea Torino-Lione alternativa.

Però la Regione vi invita ad assistere perché avete firmato il patto per il territoriosulle compensazioni.

Ed è falso! Infatti Cirio oggi (ieri per chi legge, ndr) ha mandato una lettera di scuse. Il patto per il territorio è stato firmato dall’ex presidente Sergio Chiamparino, dal direttore generale di Telt Mario Virano e Foietta senza alcun sindaco dei territori. In occasione della firma davano conto di 99 milioni di euro stanziati per le compensazioni, di cui 33 milioni già impegnati e 10-11 milioni già spesi. Sarebbe stato interessante chiedere e sapere come sono stati spesi.

Si torna a parlare di compensazioni. Da sindaco che ne pensa?

Da parte loro è la tacita ammissione che quanto stanno facendo è un danno al territorio e agli abitanti. Se l’opera fosse utile e a prezzo equo, non ce ne sarebbe bisogno. Per questo vorrei dire a Cirio, Virano e Foietta che non possono comprare il consenso con le elemosine.

Fatto sta che le compensazioni arriveranno e andranno utilizzate. Voi a Venaus cosa ne farete?

Mi sono consultato con gli assessori. Li utilizzeremo per assistere la povera gente e accogliere i profughi che il governo non vuole far sbarcare, non per opere di abbellimento.

Sull’accoglienza alcuni suoi cittadini potrebbero storcere il naso…

A Venaus la Lega ha avuto parecchi voti, ma anche i leghisti qui sono No Tav. La manifestazione dell’8 dicembre 2005 (30mila persone rioccuparono l’area sgomberata due giorni prima per far posto al cantiere, ndr) è una storia scritta sul fuoco nella pelle degli abitanti. È difficile che si facciano abbindolare dal luccichio dei soldi.

Il Mit: “Viadotti al centro-sud in stato di degrado avanzato”

Se sei un concessionario autostradale e fai controlli poco approfonditi può capitare – ma pare essere praticamente certo – che ti sfuggano problemi strutturali e di sicurezza. E se poi applichi anche mitigazioni non adeguate, il risultato è una gestione inefficace: è in pratica la sintesi di quanto emerso dai 180 sopralluoghi, effettuati da settembre 2018 a oggi, dall’ufficio ispettivo territoriale (Uit) di Roma del ministero dei Trasporti sulla tratta di sua competenza, in pratica 2mila km di strade del centro-sud gestiti soprattutto da Autostrade per l’Italia e da Strada dei Parchi.

Il quadro che ne viene fuori è tetro. “Sulla stragrande maggioranza dei viadotti c’è uno stato avanzato di degrado per tutte le componenti”, ha spiegato il capo dell’Uit di Roma Placido Migliorino, evidenziando che il problema di fondo è che le visite ispettive condotte dalle concessionarie sono quasi sempre “visive”, ma spesso i vizi che mettono a rischio l’opera “sono occulti”. “È finito il modello delle concessionarie autostradali che ha portato alla tragedia del Ponte Morandi”, ha detto ieri il ministro dei trasporti Danilo Toninelli, introducendo anche le nuove linee guida per i controlli: “Prima se la cantavano e se la suonavano, ora il modello lo fissa lo Stato e i concessionari si devono adeguare”.

Viadotti.Su 180 viadotti, svelano le ricognizioni, circa l’85% ha problemi di ammaloramenti più o meno diffusi e, soprattutto, più gravi rispetto a quanto segnalato dalle società concessionarie. Circa il 10% è risultato a rischio crollo, il resto ha rivelato condizioni di deterioramento più avanzate rispetto al previsto, dovute all’aumento delle condizioni di carico rispetto al progetto iniziale e alla conseguente creazione di fessurazioni che possono compromettere l’opera. Tanto che nei casi a rischio crollo è stata bloccata la viabilità, come per il ponte Paolillo sulla Napoli-Canosa (Aspi), e per due sulla tratta abruzzese della A14 in provincia di Chieti e Pescara (Aspi).

Barriere di sicurezza.Anche le barriere non stanno molto bene, soprattutto perché risalgono a prima del 1992 quando sono stati introdotti i crash test che hanno poi stabilito i livelli minimi degli standard qualitativi. “Su tutta la rete autostradale è stata constatata la presenza di arginelli non adeguati che non consentono un comportamento adeguato del sistema di ritenuta. Diffuso in tutta la rete, specialmente in A14” si legge nella sintesi della ricognizione. I concessionari dovranno sostituirli: il programma concordato con Aspi, ad esempio, durerà 4-6 anni. Strada dei Parchi avrà tre anni di tempo, Salt due anni, Autostrade Meridionali un anno.

Gallerie.“Sprovviste di tutte le dotazioni minime di sicurezza”: si parla così, invece, delle gallerie. Il riferimento è a quanto previsto da una legge del 2006 (discendente da una direttiva europea) che imponeva l’adeguamento al 2012. Ogni anno, però, l’adeguamento è stato prorogato. Fino al 2019, quando dalla Commissione Ue è arrivato lo stop. “Anche in questo caso – spiega Migliorino – l’85 per cento è risultato sprovvisto degli impianti minimi previsti dalla norma”. E nonostante la competenza delle gallerie sia in seno al Consiglio superiore dei lavori pubblici (a cui è stato segnalato il problema ma senza che ci fosse risposta), l’Uit di Roma ha comunque effettuato le sue verifiche. Si è ad esempio accorto che le misure compensative prese dai concessionari spesso erano inutili. Un esempio: molte gallerie non avevano gli attacchi per gli idranti. Per evitare di chiuderle, erano stati previsti serbatoi di 5mila litri all’imbocco dei tunnel. Con le verifiche, però, si sono accorti che le bocchette di attacco non erano compatibili con quelle utilizzate dai Vigili del fuoco.

Soldi e interventi. Il solo programma di intervento per mettere a norma le barriere costerà ai concessionari 1,2 miliardi di euro mentre per i viadotti sarà Strada dei Parchi a dover investire di più. “L’A24 e l’A25 – spiega Migliorino – attraversano un cratere sismico e quindi hanno bisogno anche di adeguamenti sismici”. Solo sui viadotti, Strada dei Parchi dovrà investire 2 miliardi di euro in un quinquennio. Cifre già contenute nel piano finanziario portato all’attenzione del Cipe e di cui 250 milioni di euro di fondi pubblici sono già stati inseriti nel decreto Genova per avviare la manutenzione di 13 infrastrutture più urgenti, dal viadotto Popoli a quello di Tornimparte. In totale, il piano finanziario sottoposto al Cipe – che non l’ha ancora approvato – e inviato anche all’Ue prevede un contributo statale di 2 miliardi su 3,1 totali di interventi. Soldi stanziati, spiegano dal ministero, per evitare il rincaro delle tariffe, ma che rischiano di essere considerati aiuti di Stato.

Zingaretti scarica Oliverio: “Non sarà candidato in Calabria”

Nicola Zingarettichiede un passo indietro a Mario Oliverio, il governatore Pd della Calabria travolto da tre indagini giudiziarie nell’ultimo anno. Intervenendo ad Agorà estate, il segretario ha confermato: “In Calabria c’è un’indagine, abbiamo già detto, anche al presidente attuale, che io credo sia tempo opportuno, anche se è stato fatto molto, di voltare pagina, di costruire per le prossime amministrative calabresi un progetto che allarghi, che metta più forze e anche nuove energie in campo, che individui una candidatura nuova, più unitaria e che interpreti di più il rinnovamento che quella regione interpreta”. Dunque non sarà Oliverio il candidato del centrosinistra alle elezioni del prossimo anno. Gli ultimi guai per il governatore risalgono a quattro giorni fa: dopo la richiesta di rinvio a giudizio per corruzione e l’iscrizione nel registro degli indagati per abuso d’ufficio, la Guardia di finanza di Catanzaro ha eseguito un provvedimento di sequestro preventivo ai fini della confisca per 95.475 euro nell’ambito di un’inchiesta per peculato.

Dal Pd al Colle: chi sta con Salvini e chi gli fa davvero l’opposizione

In questa estate di crisi, autonomie, Tav, giustizia e editti dal Papeete urge rimettere ordine. Chi sta con Salvini? Chi, invece, rappresenta un argine rispetto all’ascesa del leghista? Da una parte ci sono gli industriali, che nei gialloverdi hanno individuato in Salvini il proprio riferimento, alcuni potenziali alleati politici e pure un’opposizione incapace di contrastarlo. Dall’altra c’è il presidente della Repubblica, “arbitro” equidistante ma anche garante dell’Europa rispetto agli strilli salviniani. Una funzione di cui si è fatto carico anche Giuseppe Conte, che deve gestire umori e tentazioni leghiste. Ecco allora chi sono gli “alleati” e i “nemici” di Salvini. Almeno finché la crisi non sarà risolta.

 

Chi fa il suo gioco

Matteo Renzi
Non è segretario, ma controlla i gruppi parlamentari: il Pd è diviso su tutto. Emblematiche le due petizioni diverse per chiedere le dimissioni di Salvini e lo scontro sul voto Tav, con metà partito che avrebbe preferito uscire dall’Aula

 

Vincenzo Boccia
Il presidente di Confindustria ha legittimato per due volte i vertici al Viminale per discutere la manovra con le parti sociali. E l’altro giorno il Sole 24 Ore titolava: “Il 72% degli italiani vuole il voto”. Strano, visti i consensi del governo

 

Giovanni Toti
La sua scissione da Forza Italia è già un inno al salvinismo: “Salvini è un giovane leader di entusiasmo e prospettiva, crede ancora nel centrodestra e il movimento che costituiremo servirà alla Lega come supporto nei territori”

 

I Grandi giornali
Non tutti i giornali sono filo-Salvini, ma sulla tema Tav non c’è grande gruppo editoriale che non sia allineato sul Sì all’opera. Basta vedere il commento di Stefano Folli ieri su Repubblica. E così Salvini ha potuto godere anche di questa sponda

 

Giorgia Meloni
La leader di FdI ha ormai liquidato Berlusconi, appaiato pure nei sondaggi. Spesso invece la Meloni ha pregato Salvini di far cadere il governo e pensare a una nuova destra sovranista Lega/FdI. Che sia la volta buona?

 

Stefano Bonaccini
Da governatore Pd dell’Emilia chiede l’autonomia: più “moderata” rispetto a Veneto e Lombardia, ma con lo stesso sistema di trasferimento fondi. E così, anche su questo tema, da sinistra diventa difficile fare opposizione credibile alla Lega

 

Chi lo contrasta

Sergio Mattarella
Ieri ha espresso perplessità sul sicurezza bis. Non è la prima volta: il Colle è ritenuto – anche in Europa – argine all’anima anti-europeista della Lega. Mattarella rappresenta poi quel cattolicesimo lontano dalla retorica dei rosari salviniani

 

Antonio Spadaro
Il direttore di Civiltà Cattolica ha criticato il decreto sicurezza. Segno di un mondo cattolico in agitazione: Gualtiero Bassetti (Cei) ha condannato l’ostentazione dei simboli religiosi; Famiglia Cristiana
ha titolato: “Vade retro Salvini”

 

Giuseppe Conte
È l’unico leader politico con un consenso personale superiore a quello di Salvini. Per questo è diventato il suo alter-ego moderato, l’unico contraltare una volta che il leghista ha divorato Di Maio e i 5 Stelle. Il tutto con i favori dell’Ue

 

Gli attivisti No Tav
Tradimento o meno, i comitati resistono: oggi manifesteranno ancora il Val di Susa per dire No al Torino Lione. Non hanno più un vero referente politico, ma di certo la loro opposizione a Salvini e al partito del cemento non è finita

 

Carlo Calenda
Ieri a Repubblica ha detto che esiste “un doppio Pd”. Sul Tav Calenda è stato il più lucido dei suoi: “Dovevamo uscire dall’Aula e colpire ancor più duramente il governo.
La verità è che una parte del Pd non vuole che il governo cada”

 

Maurizio Landini
Tre giorni fa ha sbugiardato Salvini riguardo al vertice sulla manovra convocato al Viminale: “Io non vado, la legge di Stabilità la discuto con il presidente del Consiglio”. E non certo con il “vice” che vuole scavalcarlo

Scandalo Rubligate: Savoini in Russia 17 volte dal 2018

Lo scandaloRubligate si arricchisce di nuovi dettagli. Ieri il sito Buzzfeed, lo stesso che ha pubblicato l’audio dell’incontro del Metropol di Mosca tra Gianluca Savoini, altri due italiani e una delegazione russa, ha dato conto dei molti viaggi del leghista verso la Russia. Almeno 17 nell’ultimo anno e mezzo, alcuni dei quali affiancato da Claudio D’Amico, il consigliere di Matteo Salvini al ministero dell’Interno. Secondo Buzzfeed, Savoini era stato a Mosca 14 volte solo nel 2018, 7 volte nel 2017, 9 volte nel 2016, 5 volte nel 2015. Nei primi mesi del 2019 si sono poi aggiunte almeno tre visite, fino a quando poi lo scandalo è uscito per la prima volta su L’Espresso. Nel corso della spedizione del 16 ottobre 2018, quella del Metropol, Savoini ha volato proprio con D’Amico. I nuovi dettagli dello scandalo solleticano già le opposizioni: ieri il Pd, attraverso le deputata Alessia Morani, ha annunciato di voler portare nuovamente la questione in Parlamento: “Matteo Salvini dice di non sapere nulla. Io faccio un’interrogazione subito”. Già a luglio, però, Salvini aveva eluso le richieste di spiegazioni del Senato.

Un altro governo c’è: i dem scelgano

Tutti, giornali, opinionisti, esperti della politica, sono convinti che l’altro ieri Matteo Salvini votando a favore del Tav insieme a Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia, abbia voluto dare la spallata decisiva al governo giallo-verde per andare a elezioni anticipate e monetizzare il successo ottenuto alle elezioni europee e la forza ancora più rilevante che gli attribuiscono i sondaggi.

Il ricatto salviniano ai 5 Stelle di cambiare dei nuovi ministri e addirittura alcuni punti del contratto di governo, sottoscritto da tutte e due le parti, che non gli sono graditi non potrà essere accettato dai singoli grillini se non vogliono suicidarsi politicamente.

Ma non è affatto detto che le cose vadano come crede Salvini: “l’azionista di maggioranza” di questo governo non è affatto la Lega, come si scrive e si dice, ma sono i 5 Stelle che alle ultime elezioni politiche hanno ottenuto più del 32% dei voti mentre la Lega si era attestata sul 17%. Ora non è affatto automatico che, se cade un governo, si vada alle elezioni. Secondo una prassi consolidata, cui finora non si è mai venuto meno, il presidente della Repubblica prima di rimandare i cittadini alle elezioni deve fare un giro di consultazioni con i vari partiti per vedere se è possibile formare un nuovo governo.

Si potrebbe perciò formare un governo con 5 Stelle e il Pd, che alle politiche ha ottenuto il 18,7% e che avrebbe la maggioranza assoluta. Un governo che unirebbe forze politiche molto più omogenee, o almeno meno disomogenee di quanto lo siano 5 Stelle e Lega, che per stare insieme hanno dovuto utilizzare il marchingegno del “contratto di governo”. Si ricorderà che dopo le politiche Di Maio la prima proposta la fece al Ps che, arroccato sul “renzismo”, sciaguratamente la rifiutò non dando ai 5 Stelle altra alternativa che allearsi con la Lega di Matteo Salvini.

I 5 Stelle hanno un programma sociale, che al Pd, se in questo partito è rimasto ancora qualcosa di sinistra, dovrebbe andare a sangue. Il solo punto di contrasto fra 5 Stelle e quelli del Pd è la produttività, di cui i secondi sono assatanati mentre i grillini privilegiano, oltre a una ragionevole uguaglianza sociale, l’ambientalismo e guardando un po’ più avanti, alla maniera di Gianroberto Casaleggio, una vita più semplice, meno nevrotica, più comunitaria.

Un Pd derenzizzato potrebbe quindi rimediare al passo falso fatto dopo le Politiche del 2018. C’è anche da notare che la parte grillina di questo governo, se non ha sempre governato bene per lo meno ha governato. Infatti mentre Matteo Salvini berciava ogni giorno di mattina, di pomeriggio, di sera e di notte affermando che lui lavorava, i 5 Stelle hanno prodotto leggi. Lo ha confermato involontariamente persino Silvio Berlusconi che in un intervista al Giornale

del primo agosto ha dichiarato: “Su venti leggi sinora approvate soltanto due sono state proposte dalla Lega”.

Adesso tutto dipende dalla correttezza del presidente Sergio Mattarella che, come ho detto, prima di sciogliere le Camere ha il dovere di consultare i partiti per vedere se è possibile formare un altro e diverso governo. Se questo partito vuole fare un definitivo “autodafé” non ha che da respingere ogni accordo con i 5 Stelle e allora sì dovremo tenerci il “cazzaro verde”, come lo chiama Travaglio.

“Lo scontro con Salvini farà emergere le qualità di Conte”

Comunque vada sarà un successo, almeno per Matteo Salvini. Uno scenario win win che secondo il politologo Piero Ignazi può complicarsi per il capo della Lega solo grazie al fattore Conte.

Professore dove porta la crisi aperta da Matteo Salvini?

Stiamo ai fatti: che l’alleanza con i 5 Stelle sia stata molto profittevole per la Lega e sin dal primo giorno è assodato. Salvini, compresa la capacità di imporsi sugli alleati pentastellati, ha continuato ad alzare la posta abituandosi all’idea di incassare, via via, tutto ciò che voleva. Da ultimo l’autonomia e diverse altre cose per esempio sulla giustizia. Di fronte a questa evidente sproporzione di forze in campo, ha imposto una dinamica politica di terrorizzazione permanente dei 5 Stelle che, almeno finora, sono sembrati disponibili a concedere tutto o quasi pure di non far saltare il banco. Insomma proseguire nel modo che si è fatto dal 4 marzo ad oggi sarebbe stato uno scenario vincente per la Lega.

Poi c’è l’altra opzione.

È vincente pure andare all’incasso elettorale dopo aver ridotto in una condizione di minorità i grillini che, per accontentare Salvini, hanno nel frattempo perso identità e strategia. A partire dalla politica sui migranti e la gestione del caso Diciotti: sfruttando l’ambiguità del Movimento 5 Stelle su questo tema, Salvini è riuscito a diventare punto di riferimento e leader di tutte le destre. E dall’altro ha condannato i pentastellati a un drammatico e rapido declino.

Insomma la strada per il Carroccio è spianata in ogni caso.

Sì, anche se la decisione che si prospetta di parlamentarizzare la crisi con Giuseppe Conte che si presenta di fronte alle Camere per chiedere la fiducia è senz’altro la prospettiva meno gradita a Salvini, o quanto meno, la più difficile da gestire per lui.

Per quale ragione?

Perché un conto è bastonare un giorno sì e l’altro pure il ministro Toninelli e Di Maio. Altro è tentare di farlo con il presidente del Consiglio che da un punto di vista istituzionale è un osso certamente più duro. Il conflitto Salvini-Conte, inoltre, innesca una dialettica che rimbalza nell’opinione pubblica che premia in termini di gradimento il premier per il suo tratto istituzionale. Conte ha una sua audience in Europa che poi è il suo grande atout. Politicamente, invece, il suo profilo è ad oggi ancora leggero: vedremo se l’eventuale scontro diretto con Salvini ne farà emergere le qualità.

E il ruolo del Capo dello Stato?

Sergio Mattarella interpreta il suo ruolo al Colle con la consueta discrezione. Vedremo se farà interventi più decisi in questa fase. Un presidente come Giorgio Napolitano sarebbe stato sicuramente più interventista rispetto a questa fase politica: penso che di fronte a una richiesta di impeachment che Mattarella ha gestito con ammirevole pazienza, avrebbe prima infilzato e poi messi allo spiedo i 5 Stelle che l’avevano ventilata.

Secondo lei il Pd sta interpretando al meglio il ruolo dell’opposizione?

Credo sinceramente che il Partito democratico non abbia compreso a fondo il rischio che l’Italia sta correndo. Un governo di destra imporrà un cambiamento della Costituzione verso un regime forse presidenziale, con quanti gradi di libertà lo capiremo. Ma anche un cambio di atteggiamento nei confronti dell’Europa con un probabile mutamento della collocazione geopolitica del nostro Paese. Il Pd non mi pare, dato il livello del confronto interno, che stia intravvedendo l’enormità di questo scenario. E non da ora.

Ce l’ha con Renzi?

Il Pd ereditato da Nicola Zingaretti è minoritario e stra-isolato a causa di un delirio dell’autosufficienza che ha infilato i dem in un cul de sac : una fossa d’inferno in cui non conta nulla, altro che vocazione maggioritaria. Mancano linea e cavalli di battaglia. Mi pare sia un partito senza anima.

I 121 di Open Arms ancora senza porto, Sassoli: “Intervenire”

Ancora stalloper il caso della nave Open Arms, con 121 migranti a bordo, che dopo otto giorni nel Mediterraneo, non sa dove dirigersi e non ha ancora un porto sicuro in cui andare. L’imbarcazione della ong spagnola Proactiva con a bordo 121 migranti ha fatto sapere che, se la situazione a bordo si aggravasse, entreranno in acque italiane. La denuncia di Open Arms è che a bordo ci sono uomini, donne e bambini fragili, traumatizzati da violenze e abusi. “Gli Stati europei? Dimostrano il loro coraggio voltandosi dall’altra parte”, sostiene l’organizzazione non governativa, che poi chiude: “È rimasto ancora qualcuno a difendere i diritti e la vita?”. Una domanda che pare trovare ascolto nella iniziativa del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli. In una lettera indirizzata al presidente della Comissione europea, Jean Claude Juncker, fa un appello per chiedere intervento umanitario rapido e consentendo una equa redistribuzione dei migranti. Nelle parole di Sassoli, c’è la consapevolezza che “la base volontaria sia l’unica soluzione in grado di rispondere in questo momento alla domanda di umanità che ci viene rivolta”.