Ora la parola spetta al plenum del Consiglio superiore della magistratura, che deciderà dopo la pausa estiva. Ma pesa come un macigno il giudizio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che sul procuratore di Arezzo è stato chiaro: Roberto Rossi non può essere confermato alla guida dell’ufficio giudiziario per una serie di circostanze sufficienti “a far ritenere alterata la piena capacità dell’interessato di continuare a rivestire l’incarico” .
A causa dell’incarico da lui mantenuto alla Presidenza del Consiglio quando era l’unico titolare di un’indagine che avrebbe potuto coinvolgere il papà dell’allora ministro Maria Elena Boschi, figlia dell’ex vicepresidente di Banca Etruria. “Rilevo l’esistenza di molteplici criticità con riferimento alla proposta di conferma nelle funzioni direttive di Rossi. In particolare, considero le circostanze di fatto attinenti, in particolare, alle modalità di ottenimento dell’autorizzazione e alla prosecuzione dello svolgimento dell’incarico presso il Dipartimento Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, all’adozione dei provvedimenti di assegnazione delle indagini penali correlate alla Banca popolare dell’Etruria e ad alcuni profili in ordine alla gestione di tale ultima attività investigativa”, ha scritto Bonafede alla Commissione incarichi direttivi di Palazzo dei Marescialli che si era spaccata sul caso Rossi. Tra chi era per prorogare per altri quattro anni l’incarico ad Arezzo al magistrato e chi, da subito, si era opposto. Dopo la missiva del Guardasigilli solo un consigliere, Marco Mancinetti di Unicost (la stessa corrente di Rossi), ha deciso di insistere per la conferma. Su cui comunque si andrà alla conta a settembre a Palazzo dei Marescialli.
Sarà interessante capire quale formula verrà usata per uscire da una vicenda per molti versi inedita, oltre che, evidentemente, imbarazzante. La pratica che riguarda il procuratore di Arezzo è stata finora contraddistinta da una serie di rinvii e colpi di scena: l’ultimo è proprio il diniego del ministro della Giustizia a seguito del quale, anche i consiglieri di Area, il gruppo delle toghe di sinistra, hanno deciso di dire no alla sua conferma al vertice dell’ufficio giudiziario toscano. Ma a patto che nella delibera non si faccia riferimento alla vicenda di Banca Etruria. Che Bonafede invece, nomina eccome. In uno dei passaggi più significativi della lettera inviata al Csm in cui si sofferma sui dubbi che erano già emersi, in sede disciplinare, sul comportamento del magistrato, che non si era posto nessun problema a proseguire il suo incarico di consulente di Palazzo Chigi nonostante i possibili profili di incompatibilità con la titolarità dell’indagine riguardante anche papà Boschi. Indagine di cui peraltro aveva trattenuto tutte le deleghe. Senza far cenno alcuno di queste circostanze al Csm che, nella scorsa consiliatura, nonostante i dubbi e il clamore della vicenda, lo aveva comunque graziato lasciandolo al suo posto.
Secondo Bonafede “indipendentemente dalla valutazione che di queste condotte è stata fatta in sede disciplinare e ai fini della verifica della compatibilità ambientale (del magistrato, ndr), rilevo che ne resta comunque dimostrata la piena realtà storica”. Che è sufficiente “a ritener alterata la piena capacità dell’interessato di continuare a rivestire l’incarico in questione, in relazione soprattutto all’immagine esterna della sua indipendenza da impropri condizionamenti”. Un profilo espressamente richiesto dal Testo Unico della dirigenza giudiziaria per la nomina ma anche per la conferma dei magistrati ai vertici degli uffici.
Del resto, ha fatto notare il ministro della Giustizia alla commissione del Csm – nel provvedimento di archiviazione di Roberto Rossi in sede disciplinare “si fanno notare l’inopportunità e l’avventatezza delle condotte del magistrato”. E pure che l’incarico di consulenza al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio fino a tutto il 2015 è stato svolto mentre “era l’unico titolare di una indagine che potenzialmente avrebbe potuto coinvolgere un familiare di un importante esponente del governo e che quindi avrebbe potuto consigliare allo stesso procuratore di Arezzo scelte più articolate in ordine all’assegnazione dei fascicoli unitamente alla rinuncia all’incarico extragiudiziario (a Palazzo Chigi, ndr). O almeno alla comunicazione al Csm circa la possibile inopportunità del medesimo”. Tanto basta – ha scritto il ministro – per non poter valutare positivamente “la capacità espressa dal magistrato nel primo quadriennio del suo incarico, soprattutto con riguardo alla credibilità, autorevolezza e indipendenza del suo profilo professionale e dirigenziale”.