Sarà il caldo: Scalfari, rep e quel sì diventato no

Quando fa così caldo bisognerebbe astenersi da attività che fanno sudare l’intelletto come leggere i giornali. Mai farlo appena svegli, è un attimo prendere fischi per fiaschi. O Sì per No. Ieri per esempio abbiamo letto su Repubblica

la risposta di Eugenio Scalfari a una letterina del fu Matteo Renzi.

Scalfari torna sulla pagina buia del referendum 2016. “L’abolizione del Senato così come Renzi aveva disposto, avrebbe dato il potere legislativo non già alla Camera dei deputati, bensì al governo. Era il governo, cioè il potere esecutivo, a concentrare in sé anche il potere legislativo. Esecutivo e legislativo: di fatto una sorta di dittatura”. Noi, come si ricorderà, eravamo (e siamo) perfettamente d’accordo. Ma abbiamo cominciato a stropicciarci gli occhi perché ricordavamo l’endorsement

di Scalfari per il Sì alla vigilia del 4 dicembre e pure le sue tirate d’orecchie al professor Zagrebelsky, accusato di andare a braccetto con la bad company del No (Salvini, Brunetta, Berlusconi). Poi, ci è tornato alla mente che quel Sì giungeva dopo mesi di lunghi e articolati pezzi a favore del No: sarà un caso di ripensamento stagionale.

“L’aspetto pesante della situazione” dunque era la deriva autoritaria, come in effetti denunciato all’epoca dai professori (Rodotà, Pace, Azzariti, Zagrebelsky, Carlassare). Ma “fu bloccato perché un gruppo di radical-socialisti pose il problema del referendum” (che sarebbe previsto dalla Costituzione, nel suo piccolo). E quale fu l’esito? “Renzi cercò di mobilitare al massimo i suffragi che lo sostenevano e nel 2016 arrivò a superare il 40 per cento dei voti referendari, ma l’opposizione di gran parte degli italiani e in particolare di quelli di sinistra sfiorò il 60”.

E qui, ci permettiamo di essere definitivamente svegli, bisogna ricordare che l’opposizione di sinistra (ammesso che fosse) certamente non fu mobilitata da Repubblica

.

Retromarcia su Roma: gli onorevoli in trolley e il terrore per le ferie

Ma che davvero quel matto di Salvini fa la crisi a Ferragosto? Pare proprio di sì. Truppe di parlamentari già in vacanza, sgomenti, vivono ore di terrore: hanno un piede sull’uscio della seconda casa e l’altro verso l’aereo che li dovrà riportare a Roma.

È un duro mestiere, che ognuno interpreta a modo suo. Gli onorevoli del Pd, per dire, erano partiti in massa, facendosi il segno della croce (o semplicemente ignorando gli eventi) e confidando nel protrarsi dell’agonia gialloverde. Si sono salutati mercoledì, dopo il voto sul Tav, nell’ufficio del capogruppo Andrea Marcucci, per un brindisi di saluto “prima della pausa estiva”: un bicchiere di prosecco Valdo (“un po’ caldo”, commenta acido uno dei presenti), una pacca sulle spalle, qualche messaggio di saluto sulla chat di Whatsapp e via, come nulla fosse, ognuno per la sua strada. Matteo Renzi dopo il viaggio in Colorado ora è in Italia, Marcucci si è imbarcato sul suo yacht anni ‘70, Maria Elena Boschi per adesso è a Roma (secondo i gossippari di Palazzo Madama in compagnia di un nuovo flirt), l’ex tesoriere Francesco Bonifazi a zonzo sulla costa della Versilia. Nessuno era particolarmente colpito dall’urgenza del momento. Tommaso Cerno, che ha votato contro il suo gruppo sulla mozione pro Tav, è in viaggio proprio per la Val di Susa per partecipare alle proteste: “I miei colleghi – commenta laconico – non si sono neanche accorti che Salvini stava aprendo la crisi. Vivono in un mondo tutto loro”.

Deve essere una caratteristica di chi fa opposizione. Anche in Forza Italia il rompete le righe era stato assoluto, e osservato senza defezioni. Erano partiti praticamente tutti, ma tenendo gli occhi sul cellulare: da un momento all’altro rischiava di arrivare il messaggio di Mariastella Gelmini o di Anna Maria Bernini per richiamarli a Roma. Giorgio Mulè se la ride: “Io sono l’unico che non si era organizzato. Me ne stavo qui da solo a Roma, come i ragazzini che non possono partire per la gita. Speravo che il governo cadesse per far tornare tutti”…

Chi questo momento lo sta vivendo davvero male, si capisce, sono i parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Si sono incontrati mercoledì sera per i saluti estivi, doveva esserci anche Luigi Di Maio, che ovviamente è stato bloccato dall’ennesima giornata di crisi. La deputata Lucia Azzolina, siciliana trapiantata a Biella, aveva come gli altri le valigie pronte per tornare a casa, nel mare di Siracusa: “In questo momento – dice seria– le ferie sono l’ultima delle nostre preoccupazioni, glielo assicuro”. L’onorevole è solenne: “La priorità è l’Italia”. Ma l’ansia è più che comprensibile: per molti “portavoce” grillini, nella peggiore delle ipotesi, la vacanza potrebbe essere molto, molto lunga.

Gli altri, i “verdi”, sono assai più rilassati, tanto a Roma ci torneranno in massa, fosse pure per una legislatura nuova di zecca. Salvini – secondo una voce insistente – aveva già comunicato ai suoi di non prendersi vacanze lunghe. Il novarese Marzio Liuni smentisce: “Ma questa è una gran cazzata di voi giornalisti”. Lui aveva la valigia in mano: “Stavo per partire in Lucania, lì grazie alla Lega mi sono fatto un sacco di amici (è il commissario regionale del Carroccio, ndr)”. Basilicata coast to coast: “Un po’ di mare a Marina di Pisticci (Matera), poi insieme a Pasquale Pepe (senatore leghista, ndr) per la festa di San Rocco (vicino Potenza). Pare sia un evento imperdibile”. E invece niente: “Vorrà dire che si torna prima. Noi tanto dormiamo tranquilli, a Roma ci resteremo a lungo”.

Sicurezza-bis, Mattarella avvisa “Cambiarlo su Ong e oltraggio”

Il presidente della Repubblica ha promulgato la legge di conversione del decreto Sicurezza bis di Matteo Salvini ma l’ha accompagnata da rilievi su due aspetti modificati dal Parlamento: uno è quello delle multe fino a un milione di euro e della confisca obbligatoria delle navi delle Ong; l’altro riguarda le norme su resistenza, violenza e minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale. Nella lettera inviata ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio, Sergio Mattarella sul primo punto scrive che “non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, e alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate” e questo “non appare ragionevole”, né conforme al principio della “necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti”. Il Capo dello Stato ricorda “gli obblighi internazionali dell’Italia” e segnatamente la Convenzione di Montego Bay del 1982 secondo la quale “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batta la sua bandiera (…) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”. I giudici e la Consulta non potranno che applicare le nuove norme conformemente a questi principi, oppure dichiararne l’incostituzionalità. I primi ricorsi sono già davanti ai tribunali.

Quanto all’altro rilievo, la non punibità per “particolare tenuità del fatto” è stata introdotta in sede di conversione anche per l’oltraggio a pubblico ufficiale. Anche qui Mattarella ha dubbi sulla “ragionevolezza”, trattandosi di “una casistica assai ampia e tale da non generare ‘allarme sociale’, cioè fatterelli che coinvolgono vigili urbani, dipendenti delle Entrate, controllori di Trenitalia, direttori di uffici postali. Curiosamente viene escluso però l’oltraggio a magistrato in udienza e anche questo “non sembra ragionevole”. Mattarella chiede pertanto al governo e al Parlamento un “un intervento normativo”, cioè una correzione di rotta. È bene ricordare che la non punibilità rimane per una lista infinita di reati con pena fino a 5 anni: dall’abuso d’ufficio all’evasione, dai casi meno gravi di peculato alla rivelazione di segreto, dal traffico di influenze alla turbativa d’asta…

Non una parola il Capo dello Stato dedica alle altre norme irragionevoli, come quelle che inaspriscono le pene per qualsiasi forma di resistenza passiva o di mascheramento in piazza. Erano già nel decreto di giugno, quindi le ha già fatte passare una volta. La moral suasion non era bastata. Forse ora ci penseranno i giudici e la Consulta.

La Bufala fa il pieno tra gli onorevoli

Attenzione: Conte si è dimesso, incarico esplorativo a Giorgetti! È una bomba politica che deflagra nel primo pomeriggio sulle chat di Whatsapp di mezzo Parlamento e arriva fino alle redazioni dei giornali. È – chiaramente – una bufala clamorosa: qualche burlone ha scritto una finta notizia che riferisce l’imminente cambio della guardia a Palazzo Chigi e l’ha firmata a nome dell’agenzia di stampa Adnkronos. Sembra un gioco da ragazzini e invece ci cascano in parecchi: la fake news grossolana diventa virale, passa di bocca in bocca, di cellulare in cellulare. Il paradosso è tale che deve intervenire la stessa Adnkronos: “Risulta che in alcune chat di parlamentari e giornalisti – comunica l’agenzia diretta da Gian Marco Chiocci – circoli una notizia, relativa alle dimissioni del premier Giuseppe Conte, attribuita all’Adnkronos che l’agenzia non ha mai diffuso. L’Adnkronos, a tutela della propria immagine e della professionalità dei suoi giornalisti, si riserva di adire le vie legali nei confronti degli autori della falsa notizia e di chiunque la diffonda in rete con il marchio Adnkronos”. Poi arriva una nota anche dal comitato di redazione, che “esprime sconcerto per la diffusione di una fake news attribuita all’agenzia. Un fatto grave tanto più in una fase così delicata della vita politica”. La situazione è grave, ma non è seria.

Zingaretti: “Per noi ci sono solo le urne Renzi? È una risorsa”

Nicola Zingaretti esorcizza scissioni “centriste” nel Pd e si dice “pronto” alle elezioni. Intervenendo a In Onda dalla Festa del Pd a Villalunga (Reggio Emilia), il segretario del Pd si è rivolto all’ex premier: “Dico a Matteo: aiuta, dai una mano. È legittimo che fai politica, sei una risorsa e aiutaci a vincere le elezioni al prossimo appuntamento elettorale, perché abbiamo il dovere di non permettere mai più che quelli che hanno vinto il 4 marzo tornino al governo, abbiamo il dovere di lasciare ai nostri figli e nipoti un paese migliore”. Secondo Zingaretti, le prossime elezioni vedranno un ritorno al bipolarismo, con i 5 Stelle destinati a perdere consensi: “Lo scorso 4 marzo la sfida elettorale si era divisa su tre poli, alle prossime elezioni invece la sfida netta sarà tra Pd e Lega. E il Paese non può cadere nelle mani di Salvini. L’unica forza politica è il Partito democratico e so che tutti i dirigenti del partito si metteranno al servizio della causa”. Dunque, la soluzione è il voto: “Avevano promesso la rivoluzione e hanno combinato un disastro. Ora si aprano le urne”.

Il leghista vuole le elezioni subito: “Correrò da solo”

E alla fine l’inevitabile è accaduto. Matteo Salvini ha calato il sipario sulla stagione dei gialloverdi ed è passato all’incasso elettorale, come era chiaro che avrebbe fatto già dalla mattina del 27 maggio, dopo la clamorosa vittoria della Lega alle Europee.

L’ennesima giornata di crisi, all’apparenza simile alle altre, è stata invece quella dello scarto definitivo. Prima il “Capitano” ha provato a indurre il premier alle dimissioni. Poi, preso atto della resistenza di Giuseppe Conte, ha deciso di annunciare al mondo la sua destituzione. Avverrà in Parlamento, con un voto di sfiducia.

L’annuncio pubblico avviene durante il comizio serale allo stadio del mare di Pescara. Un bagno di folla, la piazza è piena. “Prima tutti parlavano di elezioni – arringa Salvini – ora hanno paura e prendono tempo. Qualcuno dice non si può convocare il Parlamento, è Ferragosto… La Lega è pronta a presentarsi alle Camere già lunedì. Sfidiamo i 900 parlamentari della Repubblica italiana: deputati e senatori alzino il culo e vengano subito in Parlamento”. È la frase clou, l’annuncio finale. Il resto è il solito canovaccio. I Cinque Stelle che dicono solo “no” e a cui Salvini attribuisce già la responsabilità dei fallimenti di governo: “È normale che abbiamo la crescita zero se si dice sempre no; no alle Autonomie, no alla Tav, no alla ricerca del petrolio”. Sarà un canovaccio della prossima campagna elettorale.

Poi arriva un messaggio forte e chiaro a Silvio Berlusconi e al resto dei potenziali alleati di centrodestra: “Non mi interessa il vecchio. Piuttosto che tornare indietro me ne vado da solo. Se devo mettermi in gioco con un’idea di futuro lo faccio da solo e a testa alta. Poi potremo scegliere dei compagni di viaggio, certo”.

Il finale, teatrale, è quello del papà commosso, che piange per il figlio che vede poco “e che stasera va a mangiare la pizza con gli amici”.

La fine della breve stagione dei due populismi aveva preso forma qualche ora prima con un comunicato diffuso dalla Lega alle ore 19 e 55: “Inutile andare avanti, non c’è più una maggioranza, restituiamo la parola agli elettori”. Nel suo bollettino finale, Salvini indica in modo chiaro la sua strategia e manda un messaggio perentorio al Quirinale: “Niente governi tecnici, dopo questo esecutivo ci sono solo le elezioni”. Su questo ha già una garanzia: il Pd non si metterà di traverso, anche Nicola Zingaretti vuole tornare al voto, per capitalizzare il nuovo ruolo di primo antagonista del “Capitano” e, soprattutto, per prendersi i gruppi parlamentari, oggi controllati dall’altro Matteo, Renzi.

Per i 5 Stelle nel comunicato c’è un breve passaggio ironico: li definisce “alleati”, proprio così, con le virgolette. Sono già il passato, saranno ricordati solo per i “ripetuti insulti”. Salvini, come detto, vorrebbe pure dettare i tempi della sfiducia. La crisi la vuole subito, Conte deve essere cacciato a Ferragosto: “Le vacanze non possono essere una scusa per perdere tempo e i parlamentari possono tornare a lavorare la settimana prossima, come fanno milioni di italiani”.

Il resto della giornata era scivolato via come se nulla fosse, la rutilante comunicazione della “Bestia” salviniana è quella di sempre: migranti, migranti e ancora migranti. Sui social Salvini pubblica un decreto di espulsione per un kosovaro, il video di un nigeriano che si fa il bagno nudo in strada a Salerno, una scazzottata tra due neri a Padova, un campo rom dove sono stati ritrovati i computer rubati in una scuola di Mirandola, gli aggiornamenti sulla nave della Ong Open Arms, il solito attacco a Saviano.

La propaganda di Salvini non è mai cambiata dal 4 marzo 2018 a oggi. Prima era campagna elettorale permanente, ora finalmente è solo campagna elettorale.

L’ultimo arrocco di Di Maio: il taglio dei parlamentari per fermare la Lega

L’arrivo della fine la guarda da fuori. Se ne sta nel suo ufficio, mentre in un’altra stanza di Palazzo Chigi Matteo Salvini chiede a Giuseppe Conte di farsi da parte, di lasciargli spazio. Ma Luigi Di Maio può, deve sperare che il leghista si bruci le dita con il cerino della crisi, e allora già strepita contro il Carroccio “che prende in giro il Paese, ma gli tornerà contro”.

Soprattutto , prova un’ultima mossa per spingere più lontano la notte. Concordata con il premier, raccontano. Ovvero far votare alla Camera il taglio di 345 parlamentari, prima della votazione in Senato sulla fiducia al premier, così da farlo diventare legge definitiva e imporre la ridefinizione dei collegi elettorali, che esige settimane di lavoro. Ma anche un accordo con altri partiti, con le opposizioni. Una via strettissima, per allontanare quelle urne che Salvini vuole per ottobre. “Noi siamo pronti al voto, delle poltrone non ci frega nulla” giura Di Maio. Ma l’essenziale è sempre il passaggio sul taglio dei parlamentari. Innanzitutto una sfida propagandistica alla Lega che non lo vuole, un modo per far arrossire gli avversari. Però c’è altro, nell’invito del vicepremier: “Se riapriamo le Camere per la parlamentarizzazione cogliamo l’opportunità per anticipare anche il voto di questa riforma, votiamo subito e poi ridiamo la parola agli italiani”. E il messaggio agli altri partiti è chiaro, aiutateci a rovinare i piani di Salvini. Ma come? Le modalità sarebbero varie. Si può convocare il voto sul taglio degli eletti tramite una capigruppo, dove però servirebbe il consenso di almeno due terzi dei componenti per cambiare il calendario.

Più facile che i grillini chiedano la convocazione d’urgenza dell’Aula (serve un terzo dei deputati, e il M5S li ha). Però poi servono i numeri, a Montecitorio. Cioè la disponibilità di altri partiti a fare da stampella a una proposta che è un manifesto dei 5 Stelle. Difficile, anzi di più. Anche se il Movimento ci punta, nella sera dello strappo. Così diffonde verità apposite contro Salvini: “Ci ha fatto sapere tramite Conte che era disponibile a non fare la crisi in cambio del rinvio del voto sulla riduzione sugli eletti, perché i suoi parlamentari non lo volevano. Ma Di Maio gli ha risposto: Non se ne parla neanche”. Ed è già chiara la strategia da urne, accusare la Lega di essere un partito da casta, irresponsabile. “Per colpa di Salvini e dei suoi aumenterà l’Iva” fa trapelare il capo politico. E tramite nota cala un’altra accusa: “Per colpa di Salvini l’Italia probabilmente perderà il commissario europeo alla Concorrenza”. Di certo arriveranno le urne e con loro tornerà Alessandro Di Battista, che non a caso picchia su Facebook: “Salvini dà uno spettacolo da vomito, si è mascherato da protettore del popolo ma è schiavo del sistema”.

Di Maio gli ha riservato attacchi e censure a profusione, ma ora si aggrappa all’ex deputato. “Luigi ha incontrato Alessandro e gli altri big” assicurano. Però presto il capo politico, da Statuto ancora in carica per anni, dovrà chiarire un mare di nodi. A partire da chi sarà il candidato premier, quindi il ruolo di Di Battista e di Conte, invocato da mezzo Movimento come il salvatore della patria. E poi il destino di tutta una classe di governo uscente, su cui grava l’esaurirsi dei due mandati. Enigmi pesanti per il capo che deve salvare se stesso e il M5S. Dalla slavina.

 

E Conte sparò su Salvini: “Tu in spiaggia, io lavoro”

Il premier lo guarderà di nuovo negli occhi, ma in aula. Lo costringerà a votargli contro in Senato, a macchiarsi della caduta del suo governo. “Oggi Matteo Salvini mi ha detto che vuole la crisi per capitalizzare il consenso, ma ora dovrà spiegare al Paese questa brusca interruzione” accusa il presidente del Consiglio Giuseppe Conte da Palazzo Chigi poco prima delle 23. In completo blu, Conte certifica che la crisi approderà in Parlamento. Lo dovranno sfiduciare lì. Ma il quando non potrà deciderlo Salvini. “Non è il ministro dell’Interno a convocare le Camera, non spetta a lui” morde il premier. Perché ormai è la guerra. Dichiarata, dopo l’incontro tra il premier e il leader leghista di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi, un duello finale. E la premessa è la svolta del mattino al Quirinale: il colloquio tra il capo dello Stato e Conte e la mossa di questi per contrastare l’offensiva salviniana. Ossia: non cedere al diktat del vicepremier, che vorrebbe dimissioni di Conte e urne anticipate, bensì andare avanti con la parlamentarizzazione della crisi. Tradotto, riapriamo le Camere e la Lega mi voti la sfiducia. È il senso della sfida nel palazzo del governo.

Novanta minuti di faccia a faccia. Riassunti dallo scambio più significativo e drammatico tra i due. Con Salvini che insiste, pretende: “Ti devi dimettere, così non possiamo più andare avanti”. E Conte che fa muro: “No, andiamo in Parlamento e sfiduciatemi”. Evidente la strategia del premier, concordata con il presidente Sergio Mattarella: far assumere al ministro dell’Interno la responsabilità della fine. “L’ho detto a Salvini, questa crisi sarà la più trasparente della storia repubblicana, tornerò davanti ai parlamentari che rappresentano tutti i cittadini” chiarisce in serata da Palazzo Chigi Conte. La rotta che Conte aveva già indicato in aula al Senato lo scorso 24 luglio, dove andò riferire sul Rubligate al posto proprio di Salvini: “Da questo consesso ho ricevuto la fiducia che mi ha investito dell’incarico di presidente del Consiglio, e a questo concesso tornerò ove dovessero maturare le condizioni per una cessazione anticipata dal mio incarico”. Non a caso il ministro dell’Interno s’infuriò, e replicò in diretta su Facebook contro “i giochetti di Palazzo”. Aveva fiutato la strategia e il messaggio. Ossia che gli avrebbero lasciato in mano il cerino. Non a caso, solo a sera inoltrata la Lega fa il primo atto concreto da mercoledì: una nota per confermare la parlamentarizzazione di questa crisi d’agosto. Per la prima volta il Carroccio mette nero su bianco la volontà di stroncare il contratto di governo dell’estate di un anno fa. E lo fa all’indomani del voto sul Tav, preceduto dalla fiducia al decreto sicurezza bis che non poche lacerazioni ha prodotto nel M5S.

Lo scontro tra premier e vicepremier è il sequel di quello dell’altro giorno, dopo le divisioni della maggioranza sulle mozioni del Tav. Un colloquio in cui Salvini non ha chiesto rimpasti di sorta, ma è andato dritto al punto: il voto a ottobre. Ieri, infine, il redde rationem. E adesso la partita che si apre è soprattutto sulle procedure e sui tempi. Conte sfiderà la Lega a Palazzo Madama, la prima Camera a dargli la fiducia quando è stato nominato premier e che ora dovrà sfiduciarlo. Ma è prematuro, fanno sapere dal Colle, avanzare ipotesi su quale governo gestirà la fase elettorale. Non solo: la vera questione che agita il Quirinale è la sessione autunnale di bilancio. Presumibilmente la sfiducia andrà in aula non prima del 20 agosto, di martedì, non si sa ancora se come voto su una mozione oppure connessa alle comunicazioni del premier. Conte dovrà deciderlo con i presidenti delle due Camere.

Due, massimo tre giorni di dibattito, poi le consultazioni, quindi lo scioglimento del Parlamento intorno al 25 agosto. A quel punto i 65 giorni per indire il voto, tra l’ultima settimana di ottobre, domenica 27, e la prima di novembre. E qui s’innestano le gravi preoccupazioni del capo dello Stato: il nuovo governo non entrerà in carica prima di dicembre. Chi farà la manovra, allora?

Ma questo è solo uno degli aspetti della guerra che Conte, benedetto dal Colle e sostenuto dal M5S, muoverà alla Lega. Per la serie: sarà Salvini ad assumersi la responsabilità dell’esercizio provvisorio del bilancio? Sarà Salvini a dire no al taglio dei parlamentari che i grillini proporranno in Parlamento? Il leader leghista dovrà combattere da solo contro tutti. Con un’ulteriore consapevolezza maturata al Quirinale: Mattarella farà di tutto per non avere Salvini come ministro dell’Interno che gestisce tutta la fase elettorale.

Senza un perchè

Riuniti davanti a un treno di mojito, Salvini e i suoi social-geni simpaticamente ribattezzati “Bestia” compulsano lo scusario leghista alla ricerca di un motivo valido e comprensibile per spiegare al popolo la crisi del governo più popolare del decennio. Per giunta, a Ferragosto.

Salvini: “Dico che si vota perchè qualcosa si è rotto”.

Bestia: “Occhio, qualcuno sui social potrebbe risponderti: ‘Sì, le nostre palle’”.

S.: “Dico che è venuta meno la fiducia del Parlamento”.

B.: “Ma se lunedì l’abbiamo avuta persino su quella boiata del Sicurezza-bis”.

S.: “Ah già, allora dico che i 5Stelle dicono troppi no”.

B.: “Ma se dicono solo sì!”.

S.: “Ho trovato: i 5Stelle sono No Tav!”.

B.: “Bella scoperta, lo sono da sempre. Lo sapevi anche un anno fa quando hai firmato il Contratto col no alla Tav. A parte che pure noi eravamo No Tav. E poi la Tav, grazie agli amici del Pd, è passata”.

S.: “Ok, senti qua: via il governo perché c’è Toninelli”.

B.: “Matteo, buttiamo giù il governo ad agosto e alziamo lo spread per Toninelli? Dai, non se la beve nessuno”.

S.: “Già, meglio dire che sennò a settembre ci tocca tagliare 345 parlamentari”.

B.: “Ma è nel Contratto! E poi con che faccia difendiamo le poltrone della casta?”.

S.: “Uffa. Attacco lo stop alla prescrizione?”.

B.: “A parte che sta nel Contratto pure quello e l’abbiamo votato, lascia perdere: la prescrizione ha appena miracolato Bossi e mezzo miracolato Belsito. Sennò poi la gente si ricorda dei 49 milioni che abbiamo fatto sparire”.

S.: “Perfetto, allora dico che sono il politico più popolare e quindi devo fare il premier. Suona bene, c’è scritto pure sul logo della Lega e sul mio braccialettino”.

B.: “Non per contraddirti, ma nei sondaggi Conte sta sopra di te”.

S.: “Ah già, maledetta zecca. Allora dico che le Europee le ho vinte io, quindi si vota”.

B.: “Sì, Matteo, ma le hai vinte due mesi e mezzo fa e subito dopo hai giurato che il governo andava avanti, senza nemmeno un rimpastino. Ci vorrebbe qualcosa di più efficace, che scaldi il cuore del grande popolo sovranista”.

S.: “Ho trovato: si vota perchè fa caldo!”.

B.: “Matteo, metti giù il mojito: qui rischiamo di non spiegarci bene, così poi la gente crede che non siamo capaci di governare e pensiamo solo alla cadrega. Ci vuole una scusa inconfutabile”.

S.: “Eureka! Mi è apparsa la Madonna di Medjugorje e mi ha chiesto di far cadere il governo per il sacro cuore di Gesù!”.

B.: “Matteo, senza offesa: ti è apparsa a che ora?”.

Omicidio d’agosto con colpo di genio finale

Colpo di scena o colpo di genio? Talvolta, per uno scrittore “enigmista”, questi due lampi possono coincidere felicemente, come nell’ultimo romanzo di Gianni Farinetti, tra i migliori giallisti italici. Non solo. In questo caso, il coup de théâtre viene costruito in maniera sofisticata, centrale ma allo stesso tempo laterale rispetto alla soluzione del mistero. Meglio però non aggiungere più nulla.

Al solito, protagonista della storia è Sebastiano Guarienti, maturo sceneggiatore che ha preferito alla frenesia della Capitale il buen retiro nella campagna dell’Alta Langa, nel natìo Piemonte. Con lui, il fidanzato architetto Roberto. “Le impegnative gioie della campagna, ponza immaginando il caos dei lungotevere romani a quest’ora. (…). Perché Roma, e non da adesso, gli appare remota anche se tangibile nel suo averla tradita. Tradita poi… è lei piuttosto che ha ingannato me. Così si è imbattuto – sarà il destino? – in una casetta diruta nelle Langhe sita in un minimo borghetto”.

Nella loro tenuta ospitano Angela, che dà il titolo al giallo: La bella sconosciuta. È la prima decade d’agosto e una tranquilla mattina al mare in Liguria dei tre – Sebastiano, Roberto e Angela – viene terremotata dalla notizia di un omicidio. Quello di Bruno Chiovero, uomo sgradevole e volgare, per nulla amato nella piccola comunità rurale. La sera prima, la notte di San Lorenzo, c’è stata una cena nell’agriturismo del fratello di Bruno, Renato, che è sposato con Lucia. La coppia ha un figlio adolescente, Michele.

Il cadavere di Bruno Chiovero viene trovato in una cisterna, vicino alla sua abitazione: “Era a faccia in su, il volto devastato da un’espressione di stupore e sofferenza. Si era notato che indossava gli stessi vestiti della sera prima, la patta dei pantaloni aperta”. La sera di San Lorenzo, cioè, quando Bruno aveva fatto una brusca interruzione alla cena organizzata dal fratello. A tavola Sebastiano e il fratello, la bella sconosciuta Angela e poi gli altri protagonisti della storia, come il maresciallo Buonanno. Tutto accade in pochi centinaia di metri quadrati, in un’ortodossa ambientazione familiare, nel senso più largo del termine, come vuole la tradizione christiana (c’è pure l’elenco, all’inizio, dei personaggi e dei luoghi dell’azione).

Farinetti scandaglia la vita di ognuno, sia di chi indaga, sia dei sospettati, e diverte la feroce autocritica dei tic tipici della piemontesità. L’inchiesta incrocia le vicende misteriose di Angela, che sembra conoscere il posto come un’autoctona. Chi è? Per lei perdono la testa il ricco Momo, “bello e un po’ stronzone”, e Renato, il fratello buono di Bruno. Entrambi nella stessa classe a scuola, un tempo.