Quando fa così caldo bisognerebbe astenersi da attività che fanno sudare l’intelletto come leggere i giornali. Mai farlo appena svegli, è un attimo prendere fischi per fiaschi. O Sì per No. Ieri per esempio abbiamo letto su Repubblica
la risposta di Eugenio Scalfari a una letterina del fu Matteo Renzi.
Scalfari torna sulla pagina buia del referendum 2016. “L’abolizione del Senato così come Renzi aveva disposto, avrebbe dato il potere legislativo non già alla Camera dei deputati, bensì al governo. Era il governo, cioè il potere esecutivo, a concentrare in sé anche il potere legislativo. Esecutivo e legislativo: di fatto una sorta di dittatura”. Noi, come si ricorderà, eravamo (e siamo) perfettamente d’accordo. Ma abbiamo cominciato a stropicciarci gli occhi perché ricordavamo l’endorsement
di Scalfari per il Sì alla vigilia del 4 dicembre e pure le sue tirate d’orecchie al professor Zagrebelsky, accusato di andare a braccetto con la bad company del No (Salvini, Brunetta, Berlusconi). Poi, ci è tornato alla mente che quel Sì giungeva dopo mesi di lunghi e articolati pezzi a favore del No: sarà un caso di ripensamento stagionale.
“L’aspetto pesante della situazione” dunque era la deriva autoritaria, come in effetti denunciato all’epoca dai professori (Rodotà, Pace, Azzariti, Zagrebelsky, Carlassare). Ma “fu bloccato perché un gruppo di radical-socialisti pose il problema del referendum” (che sarebbe previsto dalla Costituzione, nel suo piccolo). E quale fu l’esito? “Renzi cercò di mobilitare al massimo i suffragi che lo sostenevano e nel 2016 arrivò a superare il 40 per cento dei voti referendari, ma l’opposizione di gran parte degli italiani e in particolare di quelli di sinistra sfiorò il 60”.
E qui, ci permettiamo di essere definitivamente svegli, bisogna ricordare che l’opposizione di sinistra (ammesso che fosse) certamente non fu mobilitata da Repubblica
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