“Il ponte Morandi è morto, come una persona muore di morte naturale”. È la diagnosi del procuratore di Genova, Francesco Cozzi, che coordina l’inchiesta della Procura e della Guardia di Finanza sul crollo di un anno fa. Mentre l’Italia e Genova sono in ferie l’indagine continua. Aggiunge Cozzi: “Ora bisogna appurare se poteva essere salvato, curato. È un’indagine complessa. Ci sono aspetti tecnici che si possono scandagliare con gli incidenti probatori. Ci sono in corso gli accertamenti per il secondo di questi atti che dovrebbero concludersi a dicembre. E poi c’è l’analisi di tutta la documentazione acquisita in questi mesi che stiamo elaborando anche grazie al software americano”. Ma quali saranno i tempi dell’inchiesta che ha toccato 71 persone e due società (Spea e Autostrade)? “Non potrà essere chiusa prima della fine del secondo incidente probatorio, sicuramente”. Intanto Cozzi fa il punto dopo la perizia dei periti nominati dal gip che hanno puntato il dito su vizi costruttivi e manutenzione: “È una perizia molto tecnica e descrittiva. Dalle valutazioni degli esperti non mi sembra che si tratti di valutazioni positive. Poi, se e quanto lo stato del viadotto abbia contribuito o determinato il crollo è da appurare con le indagini. Ognuno può fare i commenti che vuole, ma bisogna essere cauti perché un conto sono le valutazioni e i commenti su una perizia tecnica, un conto è pensare che si usino gli stessi metodi di valutazione per gestire e mantenere un’opera.” Cozzi parteciperà alla commemorazione del 14 agosto: “È un gesto doveroso per profondo rispetto e riguardo nei confronti delle vittime e dei loro parenti, ma anche dell’intera comunità che ha subìto un danno enorme. Ci sono comunque segnali positivi, che consentono di guardare oltre, sopra questa voragine lasciata dalla tragedia.”
Cerciello, il Ris esamina sangue e impronte. Sulla foto in caserma sentiti decine di Carabinieri
La parola passa agli specialisti del Ris. Sono iniziati ieri gli accertamenti degli specialisti dell’Arma sui reperti raccolti, per oltre cinque ore, nella stanza 109 dell’albergo a Roma dove alloggiavano Finnegan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjorth, i due americani arrestati per l’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Esami, comparazioni e analisi che potrebbero fornire risposte importanti per chiarire cosa è avvenuto la notte tra il 25 e il 26 luglio. Per i risultati si dovranno attendere tra 45 e 60 giorni ma già nelle prossime settimane dai laboratori del Ris potrebbero arrivare i primi riscontri. Il coltello per colpire Cerciello è stato solo Elder a maneggiarlo e a occultarlo nel controsoffitto della stanza, o dal suo amico? Gli inquirenti stanno cercando una risposta anche a questa domanda. “Ci sono stati degli accertamenti ripetibili e irripetibili effettuati in modo certosino”, afferma Massimo Ferrandino, avvocato di Rosa Maria Esilio, vedova del vicebrigadiere. “C’è molta attenzione a dettagli che saranno estremamente utili a processo”, aggiunge il penalista che a proposito del buco temporale non coperto da registrazioni video dell’incontro tra i carabinieri e i due americani invita alla calma.
L’inchiesta sui fatti del 25 e 26 luglio viaggia parallela con quella avviata a piazzale Clodio sulla foto in cui uno dei due fermati appare con una benda sugli occhi e con le mani legate in uno ufficio della caserma di via In Selci. I pm capitolini procedono per abuso d’ufficio e rivelazione del segreto d’ufficio. Un sottufficiale è finito sul registro degli indagati e varie sono le posizioni al vaglio. In questi giorni sono stati decine i carabinieri ascoltati in tutta Italia, per cercare di accertare chi per primo ha diffuso sui social la foto poi vista in tutto il mondo.
Strage in discoteca, Sfera Ebbasta in un video con uno degli arrestati
Un video diffuso dal quotidiano La Gazzetta di Modenariporta d’attualità la tragedia della discoteca di Corinaldo (Ancona), dove lo scorso dicembre morirono sei persone. Ritrae il trapper Sfera Ebbasta, il cantante che avrebbe dovuto tenere il concerto nel locale dell’incidente, con uno dei ragazzi arrestati della “gang dello spray”, che con dei gas urticanti provocarono il panico. Non è ancora del tutto chiaro se quel video sia stato girato e pubblicato su Instagram quella stessa notte (lui smentisce, ma l’incontro risulterebbe anche dalle intercettazioni). Ancora più difficile comprendere lo slang di Ugo Di Puorto – uno degli arrestati -, che si filma accanto a Sfera Ebbasta, incrociato in autogrill. “Delle bitch di Modena cosa pensi, fra?”. Il rapper nel video non risponde, sta al gioco mentre il sedicente fan lo incalza. “Hanno provato e proveranno ad infangare il mio nome – ha scritto ieri Sfera Ebbasta – ma la cosa non mi disturba perché la soddisfazione di sapere che quei mezzi uomini (se così si possono definire) sono stati presi è l’unica cosa importante”. In una lunga nota anche Pablo Miguel Lombroni Capalbo, il suo manager, smentisce che il video sia relativo alla notte tra il 7 e l’8 dicembre. Nella ricostruzione della vicenda di certo c’è che il primo maggio gli investigatori avevano intercettato una chiamata fra Ugo Di Puorto e Raffaele Mormone in cui si parla proprio dell’incontro. I due cugini raccontano di quella sera quando, tornando da Corinaldo, si imbattono all’autogrill in quello che doveva essere il protagonista della serata alla Lanterna Azzurra: “È solo un pagliaccio coglione, lo schifo una merda”, dice Di Puorto, parlando di Sfere Ebbasta. “Ci stavo per litigare. Lo stavo per bussare quel figlio di puttana, mi diceva con quella faccia da culo e la collana così fuori”. Mormone lo ferma: “La collana quella con la chitarra fra Badr (uno degli arrestati), lì se non era stato per i morti, te lo giuro Badr li, gliela faceva, lo guardava in un modo”.
Il Diabolik ultrà della Lazio giustiziato da un killer camuffato da corridore
Un colpo dietro la nuca, all’altezza dell’orecchio, a distanza ravvicinata. “Un’esecuzione in piena regola”, ammettono gli investigatori. Così è morto ieri a Roma Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik, storico capo ultrà degli Irriducibili della Lazio, il gruppo di estrema destra che da oltre 30 anni monopolizza la curva nord dello stadio Olimpico di Roma. L’omicidio è avvenuto poco prima delle 19 in via Lemonia, nei pressi del Parco degli Acquedotti, in zona Cinecittà. Sul posto gli uomini della Squadra Mobile agli ordini di Luigi Silipo e i magistrati della Dda di Roma. Gli inquirenti hanno già ascoltato un testimone oculare, lo stesso che ha dato l’allarme. Pare che Piscitelli stesse andando a incontrare una persona nel parco, quando il killer, vestito da corridore, ha tirato fuori la pistola e lo ha freddato. Per il momento, si esclude il movente legato al tifo ultras.
Diabolik, 53 anni, era ritenuto uno dei personaggi di spicco della criminalità romana. Le inchieste documentano numerosi contatti con Massimo Carminati e con il boss dei casalesi a Roma, Michele Senese, entrambi detenuti. L’ultrà biancoceleste era considerato il capo della cosiddetta “Batteria di Ponte Milvio”, la banda con la quale, secondo i carabinieri, svolgeva gli interessi dei clan camorristici di Roma nord. E proprio la zona del Parco degli Acquedotti è considerata zona di “competenza” di Michele O’ Pazzo. Nel 2013, Piscitelli è finito in manette per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. La Guardia di finanza nel 2014 gli ha sequestrato la villa in cui vive con la moglie – poi dissequestrata – e un patrimonio nascosto di 2,3 milioni di euro, che aveva accumulato negli anni illecitamente, senza mai dichiarare al fisco.
Parallelamente, Diabolik, ha avuto per quasi tre decenni una forte ascendenza sul tifo laziale, imbracciando fra il 2005 e il 2012 un braccio di ferro con l’attuale presidente della Ss Lazio, Claudio Lotito, che per alcuni anni ha quasi svuotato lo stadio Olimpico. Insieme agli altri due leader storici della curva, Yuri Alviti e Fabrio Toffolo, Diabolik aveva messo su una sorta di organizzazione parallela specializzata nel commercio di gadget della Lazio: sotto il marchio “Original Fans” e “Mister Enrich” aveva accumulato un capitale in polizze assicurative e libretti postali, poi sequestrato dalla finanza. Le indagini sul merchandising nacquero anche per le denunce dello stesso Lotito, che riuscì a far condannare nel 2015 Piscitelli, Alviti e Toffolo per una “campagna intimidatoria” nei suoi confronti, nell’ambito della scalata, fallita, alla Ss Lazio, con una presunta cordata ungherese capitanata dall’ex bandiera Giorgio Chinaglia, deceduto nel 2012 in Florida.
Negli ultimi anni, dopo la scarcerazione, fonti della Digos raccontavano di una sorta di “patto di non belligeranza” fra i leader della curva e Lotito, che aveva riportato gli Irriducibili a riorganizzarsi, aprendo una nuova sede nel quartiere Appio Latino, a due passi dalla sede nazionale di Forza Nuova, e a rendersi anche responsabili di alcune azioni censurabili – da loro definite “goliardiche” – come la diffusione di adesivi raffiguranti Anna Frank con la maglia della Roma. In una recente dichiarazione rilasciata all’AdnKronos, Piscitelli si era definito “l’ultimo dei fascisti.”
Open Arms avverte: “Se avremo problemi entreremo in Italia”
Da sei giorni in mare in cerca di un porto con 121 migranti a bordo la Open Arms “avverte” il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. A lanciare il guanto di sfida è il fondatore della ong catalana Oscar Camps in un’intervista a Catalunya Radio. “Se avremo problemi gravi a bordo entreremo in Italia”, dice precisando che la situazione è bordo è “complessa” con “persone stanche fisicamente e mentalmente che necessitano di assistenza medica e psicologica”, prosegue ancora facendo riferimento da quanto vissuto in Libia dai migranti recuperati in mezzo al Mediterraneo. La risposta del responsabile del Viminale è tanto pronta quanto netta. Il leader della Lega parla apertamente di “provocazione politica” visto che la nave “avrebbe avuto tutto il tempo per raggiungere la Spagna, il Paese della ong, che ha dato la bandiera alla nave e dove alcuni sindaci si sono esposti a favore dell’accoglienza. Evidentemente la vita delle persone a bordo non è la loro vera priorità, ma vogliono a tutti i costi trasferire dei clandestini nel nostro Paese”. E se la Open Arms decidesse di forzare la mano Salvini, forte anche del decreto sicurezza bis, si dice “pronto a sequestrare la nave”. Pure la Spagna al momento tentenna.
Ai domiciliari l’investitore dei due ragazzi
Non c’era la volontà di uccidere. Non ha inseguito in auto, con l’intento di punirli, i due ragazzi che si erano allontanati in Vespa e con i quali aveva da poco litigato fuori da un locale. O quantomeno non c’è la prova. Lo ha stabilito il gip di Bergamo Vito De Vita che ha concesso gli arresti domiciliari a Matteo Scapin, il 33enne che sabato sera scorso ad Azzano, nella Bergamasca, ha tamponato lo scooter di Luca Carissimi, 21 anni, e Matteo Ferrari, 18 anni, morti dopo essere finiti contro il guard rail.
Il giudice ha riqualificato il reato in omicidio stradale aggravato dall’omissione di soccorso, cancellando così l’accusa di duplice omicidio volontario contestato invece dal pm Raffaella Latorraca che aveva disposto il carcere. Scapin ha lasciato la cella ed è tornato a casa dopo che nel corso dell’interrogatorio aveva raccontato la sua verità. Diametralmente opposta rispetto a quanto fin qui emerso. Ha detto di essere stato inseguito e non di essere l’inseguitore.
“Mi hanno messo le mani al collo fuori dalla discoteca, altri amici loro mi hanno accerchiato. Dopo essere andato via in auto ad un certo punto ho sentito un gran rumore e ho visto il lunotto posteriore andare in frantumi e pensavo mi avessero sparato. Sono stato affiancato da due motorini. Non ho più capito nulla, sono ripartito ad un semaforo e ho colpito la Vespa”, è la tesi di Scapin. Ricostruzione avvalorata dal gip che ha invece definito non attendibile il racconto dei due amici delle vittime, testimoni su uno scooter del tragico incidente, che hanno negato di aver infranto il vetro dell’auto. Scapin aveva bevuto, questo è certo, come dimostra il tasso alcolemico di 1,49 riscontrato nel sangue. E proprio alla luce dell’acido di alcol “sussiste il rischio di reiterazione del reato”, ha scritto nell’ordinanza con la quale ha invece escluso il pericolo di fuga e il rischio di inquinamento probatorio, ritenendo quindi sufficienti i domiciliari.
Agli atti al momento non ci sarebbe alcun video in grado di dimostrare con certezza che Scapin abbia eseguito una manovra per andare volontariamente a speronare la Vespa di Luca Carissimi e Matteo Ferrari. Le salme sono ancora a disposizione della magistratura e venerdì saranno eseguite le autopsie.
Sgarbi insultava i Carabinieri e poi premiava il generale
“Sì, è vero che prima l’ho insultato e qualche settimana dopo l’ho premiato, ma perché in questa vicenda il generale Zottin non c’entra nulla. La colpa è delle due magistrate che hanno speso soldi pubblici per sequestrare opere vere”. Vittorio Sgarbi si difende dopo la pubblicazione sul Fatto delle intercettazioni dell’inchiesta che lo vede indagato a Roma con l’accusa di aver autenticato opere di Gino de Dominicis, artista contemporaneo scomparso nel 1998, ritenute false.
Il 3 luglio 2014, in una conversazione intercettata, Sgarbi è furibondo con i carabinieri che in giro per l’Italia stanno sequestrando diverse opere: se la prende anche con il generale Ugo Zottin che guidava proprio il nucleo Tutela patrimonio culturale. Poche settimane dopo, il 2 agosto, deve consegnare proprio all’alto ufficiale un premio per il ruolo fondamentale dei militari a difesa dell’arte italiana. Agli organizzatori dell’evento dice che non lo farà. Poi evidentemente ci ripensa e alla fine di luglio sale sul palco, ma senza sorrisi. “Ma no, guardi, le ripeto che Zottin non c’entrava nulla. Qui il problema serio è un altro. Anzi è più di uno. E li affronterò anche in Parlamento”. Sgarbi annuncia “risorsi” al Consiglio superiore della magistratura e alla Corte dei conti contro i magistrati Laura Condemi e Daniela Caramico D’auria per aver svolto “indagini su una materia inesistente”. Non solo. Annuncia che affronterà la questione nella sua veste di parlamentare. “Le mie perizie sono frutto del mio pensiero – spiega – perché ho sempre scritto perizie corrispondenti al mio pensiero e alle mie competenze critiche, in perfetta convinzione della loro autenticità. Faccio politica esprimendo le mie idee e solo per amore dell’arte. E poi de Dominicis era mio amico: come potrei mai falsificare una sua opera? Significherebbe tradire un amico e la natura profonda della mia vita. Senta, un critico può commettere errori, ma bisogna dimostrarlo trovando un falsario. Dove sono i falsari di de Dominicis? Non ci sono. Perché è un artista concettuale. Il mio amico Gino non realizzava materialmente le opere”.
Ricorda quando l’artista gli consegnò personalmente un’opera: “Si trattava di un’asta, ma mica l’aveva fatta lui. L’aveva fatta un fabbro. E qualcuno ha tentato persino di dire che era fosse falsa. Roba da pazzi”. Ribatte anche alle tesi della Procura: “Si appellano al fatto che un quadro è stato trasportato come bagaglio in un autobus. E allora? Qual è il problema? Alcuni capolavori sono stati trasportati nelle auto dei proprietari nei luoghi dove erano allestite le mostre. E quindi? Questo li rende falsi? Ma per favore!”. Ancora. Se la prende anche con Isabella Quattrocchi, docente dell’Accademia di Belle Arti e consulente della Procura, che ha dichiarato false le opere poi sequestrate dagli investigatori: “Non si è mai laureata, non ha mai scritto su de Dominicis e ha commesso errori mostruosi. Come quella volta che bollò come falso un quadro di Modigliani poi dichiarato autentico dai carabinieri del Ris”.
Alla chiusura delle indagini, Sgarbi non ha chiesto di essere ascoltato dalla Procura. “Dovevano ascoltarmi allora, per questo ero arrabbiato: nessuno mi ha convocato. Ero furioso. Anche quando urlavo di bruciare il quadro che era a casa. Non l’ho fatto, anche se avrei preferito distruggere un’opera vera piuttosto che farla sequestrare e marchiare come falsa”.
Zanda, il Pd, la gente in piazza e la moglie ubriaca
Edire che – tra Salvini, Di Maio, Sfera Ebbasta e tutta un’altra serie di disgrazie capitate al Paese – in giro c’è pure il Pd. Ce lo ha ricordato ieri, in una poderosa intervista a Repubblica, Luigi Zanda, che è il diminutivo di Luigi Enrico Zanda Loy, classe 1942, fu Efisio, già capo della Polizia. Il nostro dice molte cose interessanti: tipo come un democristiano d’antan si prepara alla crisi di governo (“se Di Maio viene sostituito e il M5S va in pezzi, allora il Pd dovrà fare politica”) oppure quella cosa deliziosa che “la grande mobilitazione di popolo annunciata da Zingaretti porterà la protesta nelle piazze, finalmente” (e qualcuno forse ricorda quanto amò le proteste di piazza il ministro dell’Interno Cossiga, di cui Zanda era portavoce). Ma il centro ideologico dell’intervista è un altro: pare che il Pd debba “ripartire dalla lotta alle disuguaglianze” anche perché c’è il rischio che la crisi si scarichi “sulle spalle dei lavoratori” (in futuro, eh, mica come quando governava il Pd). E come si fa questa cosa delle disuguaglianze? Zanda è vago, ma vuole che una cosa sia chiara: “L’Italia ha promesso rigore nella legge di bilancio. Non può mancare alla parola data”. E qui il dubbio viene pure all’intervistatore: ma allora il Pd vuole l’austerità? “No, è il partito dello sviluppo e dei bilanci in regola”. Dunque fa il pareggio di bilancio e pure le politiche espansive, combatte le disuguaglianze coi fichi secchi, ha la botte piena e la moglie ubriaca, dà un colpo al cerchio e uno alla botte e, in definitiva, fa finta di andare a sinistra restando saldamente a destra.
Il suicidio perfetto dell’occidente
Il neo primo ministro neo zelandese Jacinda Ardern, una donna di 38 anni, ha affermato che il benessere collettivo ma anche individuale non dipende né dal Pil né dalla produttività né dalla crescita economica.
Ci voleva un politico neo zelandese per scoprire l’acqua calda e cioè che non è la ricchezza delle Nazioni, tanto cara a Adam Smith, né del singolo individuo a dare non dico la felicità, “parola proibita che non dovrebbe essere mai pronunciata” (Cyrano, se vi pare…), ma quel relativo benessere individuale che l’uomo può raggiungere.
Edoardo Agnelli, erede della più grande impresa italiana, si è suicidato a 46 anni gettandosi giù da un ponte. Athina Onassis, moglie del famoso armatore, morì a 45 anni per abuso di droghe e identica sorte è toccata a sua figlia Christina a soli 37 anni. È solo un ridottissimo florilegio dei ricchi e famosi o dei figli dei ricchi caduti nella droga, nella depressione, a volte nel suicidio. Ma restano pur sempre casi individuali. Più significativo è che in Cina, da quando è iniziato il boom economico, il suicidio è la prima causa di morte fra i giovani e la terza fra gli adulti. I paesi scandinavi, ben ordinati e organizzati, hanno il più alto tasso di suicidio in Europa, in Italia, nella ricca Padania i suicidi sono 1628 per 100.000 abitanti, in Meridione 478 ( dati Istat 2010).
Non si tratta quindi semplicemente di riorganizzare il Pil togliendogli tutti quei fattori che lo aumentano per inserirne degli altri che li sostituiscano come sostiene il mio spurio emulo Maurizio Pallante autore del famoso e infelicissimo brocardo La decrescita felice. La questione è molto più profonda e ha poco a che vedere con i numeri comunque li si voglia combinare. È un’armonia complessiva quella che è venuta meno col modello di sviluppo occidentale che ha ormai occupato quasi tutto il mondo, sfondando anche culture che ne erano lontanissime, come quella indiana e cinese (Il libro della norma di Lao Tse, che fonda millenni di pensiero orientale, si dedica esclusivamente alla ricerca interiore e spirituale e predica la “non azione”). Il processo che ha portato alla disfatta attuale, collettiva e individuale, sul piano psichico e nervoso ha inizio con la Rivoluzione industriale (metà del diciottesimo secolo) e l’Illuminismo che l’ha razionalizzata nelle forme del capitalismo liberista o del comunismo di radice marxiana.
Nevrosi e depressione sono malattie della Modernità e non a caso colpiscono inizialmente la borghesia, cioè le classi più ricche, cosa che farà la fortuna di Freud e della psicoanalisi. Non esistevano nei cosiddetti “secoli bui”, come non esistono tuttora nelle poche comunità che hanno conservato costumi e ritmi di vita tribali. Nei “secoli bui” c’erano certamente lo psicopatico e lo schizofrenico che sono però malattie psichiatriche individuali e non sociali. Tra l’altro in quelle culture avevano elaborato un pensiero che inglobava nella società anche questi soggetti (“il matto del villaggio”) ritenendo che avessero un rapporto diretto e particolare con Dio.
Negli Stati Uniti, il paese tuttora più ricco del mondo, che gode anche delle rendite di posizione dategli dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, più di un americano su due fa uso abituale di psicofarmaci, è tutta gente che non sta bene nella propria pelle. Il fenomeno della droga propriamente detta, all’inizio appannaggio, si fa per dire, dei ricchi ha raggiunto tutti i ceti sociali e in particolare i ragazzi che pur hanno dalla loro il bene più prezioso e prelibato: la giovinezza.
Come si spiega tutto questo? Col modello di sviluppo che, coll’ottuso ottimismo di Candide, abbiamo creato: raggiunto un obiettivo dobbiamo inseguirne immediatamente un altro e poi un altro ancora, salito un gradino salirne un altro e poi un altro, un processo che ha fine solo con la nostra morte. È un modello che ho definito “paranoico” perché non ci consente di raggiungere mai un momento di equilibrio, di armonia, di pace. Noi siamo come i levrieri, fra gli animali più stupidi della terra, che al cinodromo inseguono la lepre di stoffa che, per definizione, non possono raggiungere. Ludvig von Mises, uno dei più estremi ma anche dei più coerenti teorici del capitalismo industriale, lo dice a chiare lettere ma declinando la cosa in termini positivi: “Il vagabondo invidia l’operaio, l’operaio il capo officina, il capo officina il dirigente, il dirigente il proprietario che guadagna un milione di dollari, costui quello che ne guadagna tre”. Ma questa invidia è necessaria e consustanziale al ‘sistema’ per usare un termine sessantottino. Noi dobbiamo consumare alla massima velocità possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo. Negli ultimi decenni il processo si è addirittura invertito: noi non produciamo più per consumare, ma consumiamo per poter produrre. Ma l’anomalia è presente fin dall’origine nel sistema se l’aveva già notata, con un certo sbigottimento, Adam Smith. Siamo stati ridotti da uomini a consumatori e non ci rendiamo nemmeno conto della degradazione tanto che esistono Associazioni di consumatori.
È quindi l’attuale modello di sviluppo che va sbaraccato dalle radici. Ma nonostante esistano, in modo carsico quanto spesso confuso, correnti di pensiero antagoniste non avremo il tempo di farlo. Non saremo noi a uccidere il modello, ma il modello a collassare su se stesso, in modo improvviso, globale, data l’interconnessione mondiale, probabilmente nel giro di poche settimane. Questo lo sanno anche i ’padroni del vapore’, almeno i più avveduti, ma continuano a drogare il cavallo già dopato contando che schiatti quando loro saranno usciti di scena e le generazioni a venire non potranno nemmeno più impiccarli al più alto pennone. Se avessero un po’ di cultura potrebbero, invece di parlare di un futuro inesistente e con un falso patetismo dei nostri figli e dei nostri nipoti, dire con Oscar Wilde: “Che cos’hanno fatto i posteri per noi?”.
Salvini (come Cetto) è il popolo. Che avrà sempre più fame
Cetto la Qualunque, sembra Cetto. Anzi lo ha superato: è uno degli infiniti commenti su internet dedicati a Matteo Salvini. C’è di tutto in Rete, come sempre.
Ma Cetto è piatto, neutro. Constata. È vero.
La maschera pensata pochi anni fa da Antonio Albanese allora sembrava lontana dalla realtà, o meglio: era una realtà accentuata, appena oltre il confine della verosimiglianza, con basi solide rispetto alla quotidianità politica. Nel frattempo Silvio Berlusconi aveva già picconato certezze e regole, o la certezza delle regole, si era già abbassato al livello del popolo, salvo poi salire sul predellino per ottenere visibilità. Berlusconi però era “stra”, ed è, straricco, ville e yacht, donne e feste, successo e televisioni. Comunque irraggiungibile, anche se dimostrava di abbassarsi.
Salvini no. Lui è sceso realmente, lui è del popolo, il popolo lo conosce, respira la sua aria, si bagna nello stesso mare, ha voglia di fuggire dal posto fisso e dagli uffici, giusto lavorare dal mare e ribaltare il concetto di pausa: la pausa è l’impegno. E gode.
Sì, lui è il popolo. È eletto dal popolo, e quando può e anche quando non può lo ricorda a tutti, lo manifesta e lo afferma con maniera dura, con il pugno sulla scrivania. Quale scrivania? Anche il bancone di un bar, ancora al mare, al sole, in spiaggia, con alcol e cubiste pronte a ballare l’inno di Mameli. Lui è il popolo! Quindi giusto scroccare una moto d’acqua, giusto regalare una gioia al figlio (“colpa di papà”), giusto mangiare a tavola con la pancia di fuori.
Lui è il popolo.
Con un enorme però. I politici del passato, e in questo caso non conta appartenenza o capacità, restavano su un altro livello a prescindere da successi e truffe, da accordi, accordicchi, imbussolamenti e affini. Loro davano la mancia al popolo, e il popolo lo mantenevano a debita distanza dal morso. Non si facevano toccare, certificavano una presunta superiorità intellettuale e politica, una presunta superiorità morale e immorale.
Salvini no, è sceso fino alla pancia, non obbliga a utilizzare il cervello, basta la parte centrale del corpo; non obbliga a ragionare, a mettersi in discussione, magari a vergognarci dei nostri istinti, a tenere a bada quegli istinti. Lui no, può tutto. Può rivendicare i 49 milioni di euro, andare in Russia senza amore, scrivere tweet infondati dopo un omicidio, insinuare molestie sui bambini da parte di un giornalista e solo perché lo ha pizzicato. Sì, lui può. Lui è il popolo.
Ma attenzione, il popolo è volubile in assoluto, ma quello senza testa, quello d’istinto, lo è senza alcun appiglio con la realtà: basta un attimo ed è pronto a incazzarsi e voltare le spalle, ad azzannare il proprio rappresentante che ha tradito. Perché le regole adesso sono nella pancia cieca, e quella pancia ha fame. E non si sazia più tanto facilmente.