Dall’inizio della stagione estiva, in provincia di Foggia sono stati arrestati quattro caporali, denunciate 10 persone a piede libero e sequestrati 50 tra furgoncini e auto utilizzati illegalmente per accompagnare i braccianti nei campi. Inoltre sono stati controllati 350 lavoratori, di cui 50 risultati non in regola e 115 aziende, delle quali 13 erano irregolari. È un primo bilancio sull’attività di contrasto al caporalato compiuta nella provincia dai carabinieri. “Si stanno facendo passi in avanti per quanto riguarda le aziende che si stanno mettendo in regola – ha detto il comandante provinciale dell’Arma Marco Aquilio – Ma continuiamo a registrare, purtroppo, la presenza di tantissimi furgoni che trasportano in condizioni di totale insicurezza i migranti nei campi. Su questo noi chiediamo il contributo dei cittadini affinché ci segnalino la presenza di questi furgoni killer su strada”. Il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota, ha scritto al presidente Mattarella: “La lotta condotta dalle istituzioni, dai sindacati e dal volontariato è impari e ci vedrà soccombere finché non si attiveranno tutti i protocolli per regolamentare domanda e offerta di lavoro e controllare, in maniera capillare, il trasporto verso i luoghi di lavoro”.
L’ex tesoriere dopo il verdetto: “Conti erano ok, spieghi Salvini”
Nonostante siano stati letteralmente graziati dalla prescrizione, che solo in Italia (o quasi) continua a correre anche a processo avviato, Umberto Bossi e Francesco Belsito si lamentano. “Non ho avuto conseguenze sul piano penale – dichiara il fondatore del Carroccio – ma quei soldi li ho presi e lasciati nella cassa del partito. L’unico rammarico è che per questa vicenda, cavalcata da altri, sono stato defenestrato. Il partito, che era il mio partito, oggi è di altri.” L’ex tesoriere Belsito, dal canto suo, continua a lanciare messaggi: “Sono stato lasciato a lottare da solo, ma io ho la coscienza a posto. Ho lasciato i conti in ordine, i miei investimenti hanno generato plusvalenze. Non posso sapere come hanno usato quei soldi Maroni e Salvini”. Invoca pure un confronto con lo stesso Salvini “per dimostrare il mio buon governo dei fondi della Lega”. La storia giudiziaria, però, è un’altra e anche se la prescrizione ha mandato al macero le pene per truffa ai danni dello Stato sia per Bossi sia per Belsito, il reato è stato riconosciuto, il processo ha retto e resta la confisca dei 49 milioni alla Lega. In aula, in Cassazione, il pg Marco Dall’Olio, ha ricordato le innumerevoli prove documentali, come l’ormai celebre cartellina denominata “Family”, nel senso di famiglia Bossi o la vicenda della laurea albanese di Renzo Bossi, soprannominato “Il Trota”. Per ottenere illegittimamente i rimborsi elettorali , ha detto il pg, “non è vero che i rendiconti erano generici e non falsi. Si diceva ‘rimborsi autisti’ ma in realtà si finanziava la famiglia Bossi”. Secondo i giudici d’Appello di Genova, che hanno condannato Bossi e Belsito, “i documenti falsificati trasmessi alle Camere hanno condizionato l’erogazione integrale dei rimborsi elettorali” e poiché sono stati incassati anche con le segreterie post Bossi, la Lega deve allo Stato i 49 milioni del periodo 2009- 2012.
La Spazzacorrotti li avrebbe condannati. Ma pure così la prescrizione era evitabile
La tanto vituperata norma sulla prescrizione che – in base alla legge spazzacorrotti – entrerà in vigore a gennaio, politica permettendo, se ci fosse già stata da qualche anno avrebbe inguaiato Umberto Bossi e Francesco Belsito, per citare gli ultimi noti beneficiari in ordine di tempo, dato che prevede il blocco dopo il processo di primo grado. Martedì la Cassazione ha riconosciuto la truffa ai danni dello Stato a carico del “Senatur” e dell’ex tesoriere della Lega, condannati a Genova in Appello, ma ha dichiarato la prescrizione, per questo reato di 7 anni e mezzo. Adesso, infatti, la prescrizione cammina inesorabilmente anche quando si apre il dibattimento. A dire il vero, anche ora sarebbe stato possibile evitare la prescrizione per Bossi e Belsito se i giudici avessero dato ragione a pieno al pg Marco Dall’Olio, che aveva chiesto l’inammissibilità dei ricorsi. Come sempre in caso di inammissibilità dichiarata dalla Cassazione, la prescrizione si sarebbe fermata alla sentenza di Appello (novembre 2018). Certo, con il blocco della prescrizione in primo grado, prevista dalla spazzacorrotti, la conferma della condanna, data la decisione della Cassazione, sarebbe stata automatica. Bossi e Belsito, dunque, sicuramente si sarebbero visti confermare le pene inflitte in Appello: rispettivamente 1 anno e 10 mesi e 3 anni e 9 mesi. Si sa che la prescrizione ogni anno falcidia decine di migliaia di processi ed è un’arma per avvocati di ricchi imputati che possono permettersi parcelle astronomiche. Invece, se ci fosse stata la nuova norma (o l’inammissibilità) per Bossi e Belsito sarebbero state confermate pure le confische personali
Quando Woodcock e Ultimo iniziarono l’indagine sui Bossi
Look casual e capelli biondi lunghi e scompigliati: così il pm di Napoli Henry John Woodcock si affacciò a Milano a coordinare personalmente la perquisizione della sede in via Bellerio della Lega Nord (si chiamava ancora così, e Salvini ne era solo un giovane dirigente specializzato in insulti ai meridionali). Ad eseguirla furono i carabinieri del Noe agli ordini del capitano Ultimo (Sergio De Caprio). Quel giorno, il 3 aprile 2012, scattarono decine di perquisizioni: al tesoriere nazionale Francesco Belsito, alle segretarie di Umberto Bossi (una di loro fu sentita nove ore da Woodcock), nel sindacato leghista guidato da Rosi Mauro. Poi, dall’armadio di un ufficio in parlamento di Belsito, la Guardia di Finanza scovò la cartellina ‘Family’ sulle spese pazze di Bossi e figli: un faldone riempito da un centinaio di pagine di fatture per circa mezzo milione di euro, tra cui una sfilza di multe di Renzo il Trota, la polizza dell’assicurazione di casa Bossi a Gemonio, l’operazione al setto nasale di Sirio, il dentista del Senatur (e poi si scoprì la spesa per la laurea farlocca di uno dei figli in Albania).
Furono i semi che germogliarono l’inchiesta sui 49 milioni di euro di rimborsi elettorali percepiti indebitamente e da rimborsare in comode rate di 76 anni. In quell’ aprile di 7 anni e mezzo fa, tre procure – Milano, Napoli e Reggio Calabria – strinsero il cerchio intorno alla gestione allegra delle casse della Lega di Bossi. Il decreto di perquisizione di Milano accusava Belsito di appropriazione indebita aggravata e uso di fondi elettorali di Stato. I pm di Napoli e Reggio Calabria aggiunsero a vario titolo ipotesi di riciclaggio, truffa sui finanziamenti elettorali, finanziamento illecito ai partiti. Napoli arrivò a Belsito attraverso altre indagini su Valter Lavitola e i suoi rapporti con Finmeccanica (di cui Belsito fu vicepresidente). Mentre Reggio Calabria accese un faro sulle spericolate amicizie di Belsito con uomini ritenuti vicini al clan calabrese De Stefano. Milano invece si attivò dopo l’esposto di un militante leghista sui 7 milioni di euro che il tesoriere Belsito investì nel gennaio 2012 in Tanzania e a Cipro, in oro e diamanti.
Il Senatur non era ancora formalmente indagato. Finirà mani e piedi nell’inchiesta, insieme ai figli, con l’avanzare degli accertamenti e la definizione delle competenze territoriali. A fine 2013 i pm di Milano chiudono l’inchiesta accusando Umberto Bossi di truffa aggravata ai danni dello stato con Francesco Belsito e tre componenti del comitato di controllo contabile del partito. Per Bossi, i suoi due figli e Belsito c’è anche l’accusa di appropriazione indebita. Il Gup però spacca in due il processo, trasmettendo il filone sui rimborsi elettorali per competenza a Genova. Dove ha sede la banca in cui fu accreditata a Belsito l’ultima fetta dei rimborsi. Il 10 luglio 2017 Tribunale di Milano condanna Umberto Bossi a due anni e tre mesi di reclusione, Renzo Bossi a un anno e sei mesi, Belsito a due anni e sei mesi, mentre con il rito abbreviato Riccardo Bossi aveva già preso un anno e 8 mesi di carcere nel marzo del 2016. La sentenza del Tribunale di Genova arriva due settimane dopo: altri due anni e mezzo per Umberto Bossi, e 4 anni e 10 mesi per Francesco Belsito. È la sentenza che dispone la confisca di 49 milioni ai danni della Lega. I due processi si fondavano sul principio sostanziale che Belsito agì in coordinamento con Bossi, il padre-padrone del partito.
Ma per salvare Bossi – un accordo siglato in una scrittura privata del 2014 – e grazie a una norma introdotta dalla riforma Orlando che rende l’appropriazione indebita perseguibile solo a querela, la ‘nuova’ Lega di Salvini decide di querelare solo Belsito. E così in Appello a Milano, nel gennaio 2019, i Bossi vengono prosciolti, mentre la condanna di Belsito scende a un anno e otto mesi. Nel novembre 2018 invece la Corte d’Appello di Genova aveva confermato, con leggere riduzioni di pena, le condanne di primo grado. È questa la sentenza estinta l’altro ieri per prescrizione in Cassazione, salvo l’appropriazione indebita contestata a Belsito, confermata con rinvio ai giudici di secondo grado per la rideterminazione della pena. Resta aperto il processo gemello di Milano: l’11 settembre la Suprema Corte deciderà sul ricorso del pg che chiede di estendere anche ai due Bossi la querela contro Belsito.
Quei 4 mila occupati solo immaginari
“La Tav decolla” scriveva ieri Il Messaggero, quotidiano romano di proprietà del costruttore Caltagirone. La lettera con cui il Ministero dei Trasporti per accelerare i lavori “ha avviato lavori per 3,8 miliardi sugli 8,6 totali della tratta Torino-Lione. Il che significa, almeno sul fronte italiano, 10 anni di appalti per almeno 4 mila posti”.
Per verificare la notizia ci avvaliamo di un fact checking dell’agenzia Agi, certamente non sospettata di schieramenti pregiudiziali. La base di quei numeri è la stima fatta dal governo nel 2012 secondo cui, si diceva, “saranno più di 2 mila le persone direttamente impegnate in Italia nella realizzazione della nuova linea; i cantieri indurranno, inoltre, una media di 4 mila occupati indiretti”. I dati Telt – aggiornati a gennaio 2019 – dicono che in totale lavorano alla Tav circa 800 persone, di cui circa 530 nei cantieri e circa 250 tra società di servizi e di ingegneria. La stima del 2012 sui 2 mila occupati fa dunque riferimento al progetto preliminare poi rivisto nel 2017. E in ogni caso secondo i promotori del progetto, i posti di lavoro “sono solo una piccola parte dei benefici attesi per l’intero sistema economico piemontese”.Come a dire: non aspettatevi troppo.
Faremo prima ad acquistare la senape
La lettera è di qualche mese fa, ma ieri mattina il senatore M5S Alberto Airola l’ha sventolata in aula per ricordare a tutti come stanno le cose sul lato francese.
La Torino-Lione, infatti, si è trasformata nella Torino-Digione visto che la ministra dei Trasporti francese, Elisabeth Borne, lo scorso 8 aprile ha scritto al prefetto di Lione spiegando che “in attesa della costruzione di nuove sezioni, la linea ferroviaria in uso e modernizzata, Modane-Digione, costituirà la via d’accesso alla galleria di base al momento della sua entrata in servizio, prevista per il 2030”.
Altro che andare in pochi minuti a Lione e chissà quali guadagni di tempo. La battuta di Airola in aula merita la citazione: “C’è un documento che dice che la Torino-Lione non ci sarà. Ci sarà una Torino-Digione e considerato che trasporteremo merci e non persone, come ho sentito dire, forse avremo la senape venti minuti prima di quanto non avvenga attualmente”.
La posizione francese, come si evince dalla lettera della ministra, è di una pragmaticità che non ha nulla a che vedere con la furia ideologica che ammanta in Italia il Tav. “Dare priorità al miglioramento dei trasporti quotidiani, … i grandi progetti infrastrutturali devono far parte di un approccio progressivo di realizzazione, a partire dalle necessarie ottimizzazioni della rete in cui sono integrati, prima della costruzione di sezioni di nuove linee che saranno quindi scaglionate nel tempo” è quanto scrive la ministra Borne.
E ancora: “Per quanto riguarda le nuove sezioni di linea ferroviaria tra Lione e la sezione transfrontaliera del tunnel, le riflessioni proseguiranno per determinare gli investimenti opportuni allo scopo di far fronte nel tempo all’aumento del traffico”.
Come spiega il Presidio Europa dei NoTav, tra Lione e la sezione transfrontaliera del tunnel ci sono 72,4 chilometri di gallerie che la Francia non ha “alcuna intenzione” di realizzare visto che le costerebbe circa 11 miliardi di euro.
La ministra ribadisce così che l’interesse è il trasporto delle merci e non dei passeggeri. La parola “merci”, infatti, compare sette volte nella sua lettera, la parola passeggeri solo tre e riferita in particolare ai treni dei pendolari.
“La preoccupazione – scrive il Presidio – è per la mancanza di sufficienti traffici merci e passeggeri su questo itinerario anche nel medio-lungo periodo e l’assenza dei fondi per un’opera che, al di là delle dichiarazioni, le sta apparendo inutile”. Del resto, la Francia non offre nessuna spiegazione su come finanzierà i suoi 45 chilometri di sezione transfrontaliera e la legge approvata in prima lettura al Senato francese il 2 aprile scorso non contiene alcuna misura economica per la Lyon-Turin, ma solo dichiarazioni di principio.
Insomma, la Francia è talmente prudente sull’opera e sul reale fabbisogno di un transito merci da aver modificato la Torino-Lione nella Torino-Digione. Senape per tutti.
Tunnel, merci, posti lavoro: le fake news al Senato sul Tav
In un dibattito in cui il merito non era secondario i Parlamentari che si sono cimentati con la tecnica hanno dimostrato ancora una volta di sapere poco e di dirlo anche male.
L. Malan, Forza Italia
“Esattamente un anno fa, tanti di noi erano con l’allora presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani a constatare che la linea è stata scavata nella galleria definitiva già un anno fa per chilometri e chilometri”.
Telt, la società promotrice pubblica dell’opera, deve ancora bandire i bandi per l’assegnazione degli appalti relativi al tunnel di base. Secondo Telt, a luglio 2019 è stato scavato “oltre il 18 per cento dei 164 km di gallerie previste per l’opera”, ma si tratta della discenderia di Villarodin-Bourget-Modane in Francia, di quella di Saint-Martin-la-Porte in Francia e del cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte. Cioè delle gallerie che servono a capire quali sono le caratteristiche del terreno. Non del tunnel di base.
M. Romeo, Lega Nord
“Il consiglio di amministrazione di Telt, di recente, ha portato l’Unione europea ad aumentare i finanziamenti al 50 per cento”.
Non c’è nessuna disposizione in tal senso ma solo un annuncio della coordinatrice del Corridoio Mediterraneo Iveta Radicova, diramato dal consiglio di amministrazione di Telt. Tra l’altro espressione di una Commissione in scadenza. Al momento il co-finanziamento Ue è del 40%.
J. Unterberger, Svp
“In questo modo, si darà all’Italia un’infrastruttura fondamentale per il collegamento con il cuore dell’Europa, che renderà più vicini i nostri Paesi, proprio come, da dieci anni a questa parte, sono diventate più vicine città come Roma, Bologna, Milano o Firenze”.
Si fa finta di non sapere (o forse non lo si sa) che il Tav Torino-Lione è centrato sul trasporto merci e non passeggeri. In ogni caso, nel caso dei passeggeri, come spiega Angelo Tartaglia, docente di Fisica al Politecnico di Torino, negli ultimi venticinque anni i passeggeri tra Milano e Parigi sono rimasti circa duemila al giorno, i treni, tre, sono rimasti gli stessi, e se si guarda l’orario ufficiale si scopre che tra le due città si mantengono ben 9 stazioni tra cui Novara, Vercelli e Oulx Sestriere. Addirittura, il treno in andata verso Parigi non ferma nemmeno a Lione città ma a Lione Saint Exupery, cioè all’aeroporto.
R. Nencini, Socialista
“La seconda questione riguarda il traffico sull’arco alpino. I dati ufficiali dicono che se nel 1967-1968 esso era di circa 20 milioni di tonnellate l’anno nel 2018 è passato a 200 milioni di tonnellate l’anno. Quindi, se bloccassimo i 56 chilometri, i danni sarebbero assolutamente evidenti”.
Sembra quasi che dal tunnel della Val di Susa debbano passare 200 milioni di tonnellate. Il traffico merci tra Italia e Francia, invece, è rimasto stabile: all’inizio del 2000 era anche superiore ai 50 milioni. Il traffico è in aumento nei valichi alpini svizzero e austriaco. Lo dimostra il calo drastico delle merci sulla linea storica del Frejus ridottesi a 3 milioni di tonnellate rispetto ai 9 milioni del 2000. Non a caso anche l’Osservatorio sul Tav ha ammesso che le previsioni fatte dieci anni sono state smentite dai fatti.
#T A. De Bertoldi, FdI
“La Tav, cari colleghi – lo dovreste sapere meglio di me – è la tratta che collega Lisbona, Barcellona, Torino, Trieste, Bologna e Ravenna, per arrivare fino a Kiev, nella lontana Ucraina”.
Lo sappiamo meglio di lui: oggi il Corridoio 5 non esiste più nemmeno nel nome, Lisbona-Kiev è finito. Si chiama Corridoio Mediterraneo e al posto di Lisbona, si è inserita Algericas, sul bordo più meridionale della Spagna. Nemmeno Kiev esiste perché il progetto si ferma ai confini dell’Ucraina. I lavori sono in alto mare in Spagna, in Francia, in Slovenia l’opera è contestata e in Croazia lo stato dei lavori è definito dal rapporto della Commissione come “studi in corso” e lavori di ammodernamento.
M. A. Gallone, Forza Italia
“Quella che volete bloccare è parte della futura metropolitana d’Europa e serve a far muovere il 18 per cento della popolazione europea, in regioni che rappresentano il 17 per cento del Pil europeo”.
Vedi la precisazione precedente.
M. Ruspandini, FdI
“Secondo Confindustria è del tutto ovvio che, se non si facesse la linea Tav, mancherebbero addirittura 50.000 posti di lavoro”.
La cifra, andando a cercare in Internet, grazie anche allo scrupoloso lavoro dell’agenzia Agi, viene da Silvio Berlusconi oltre che dal presidente di Confindustria. In realtà, ad oggi, dati Telt, in totale lavorano alla Tav circa 800 persone.
Toti deposita il nuovo marchio. Carfagna: “Resto in Forza Italia”
Il nuovo soggetto politico di Giovanni Toti ha un marchio depositato. Si chiama “Cambiamo” ed è stato registrato ieri a Roma proprio dallo staff del governatore della Liguria: “Sarà il nostro movimento per cambiare il centrodestra, la politica e il Paese – ha detto Toti –; chi ha aderito al Comitato, parlamentari, amministratori locali e semplici cittadini, così come chi aderirà ai circoli, lo farà senza ruolo, gradi né mostrine del passato, ma da semplice militante”. Il governatore ha aggiunto che presto presenterà il movimento nei territori. Tra i fuoriusciti di Forza Italia che hanno già aderito a Cambiamo ci sono Gaetano Quagliariello, Paolo Romani e Osvaldo Napoli. Laura Ravetto, che sembrava destinata ad affiancare Toti, ha invece smentito di aver abbandonato il partito di Berlusconi. Stessa decisione presa da Mara Carfagna, che proprio ieri ha ribadito la centralità di Silvio Berlusconi come leader del centrodestra sottolineando però la necessità di “una struttura riconoscibile e legittimata dalla base che lo affianchi”.
Fogli di via per i No Tav Domani altra protesta fuori dal cantiere
L’appuntamentoè per domani, quando la giunta regionale del Piemonte si riunirà a Chiomonte (uno dei cantieri del Tav) per fare il punto sullo stato dei lavori del Torino Lione. Ci saranno anche i comitati No Tav, che ieri hanno annunciato su Facebook la loro protesta: “Venerdì (domani, nda) la banda del buco verrà a Chiomonte, fa quasi tenerezza il teatrino messo in campo, il cui costo graverà sulle tasche dei cittadini che lavorano per arrivare a fine mese, poiché questa sciocca provocazione avverrà in un contesto di militarizzazione, l’ennesima, del nostro territorio. Noi, come sempre, ci saremo”. Sarà questa l’occasione per rinnovare una lotta divenuta ancor più intensa nelle ultime settimane, dopo il Sì del governo al Tav. Proprio ieri alcuni attivisti sono stati raggiunti da provvedimenti della Questura relativi alle manifestazioni di giugno e luglio. Fra i destinatari dei fogli di via c’è anche un attivista molto conosciuto in Val di Susa per essere tra gli animatori di un gruppo goliardico, la Confraternita dei Pintoni Attivi Ora et Sabota. Notificati, tra gli altri, il divieto di soggiorno e di transito nei Comuni di Chiomonte e Giaglione per diversi manifestanti.
“Per ora vince Conte. Se chiede il rimpasto Salvini si indebolisce”
Paolo Mieli ha scritto sul Corriere un bilancio della fase politica successiva alle europee: “C’è un vincitore, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e uno sconfitto, il suo vice Matteo Salvini”.
Direttore, è ancora vero dopo il voto sul Tav?
Sì, perché il premier può contare su una “maggioranza ombra” in cui è sostenuto, pur non formalmente, anche da Pd e Forza Italia. Il Pd poteva, pur contraddicendo la attuale posizione sul Tav, uscire dall’Aula mettendo davvero in crisi la tenuta della maggioranza. Una cosa che avrebbe contribuito ad abbattere un governo “razzista”, “autoritario” e “pericoloso”: se uno grida al fascismo un giorno sì e l’altro pure come fa il Pd, dovrebbe trarne le conseguenze e provare a far cadere in tutti i modi il governo. Conte ne esce rafforzato.
Pare che il ministro Salvini abbia chiesto ai suoi parlamentari di non allontanarsi per le ferie. Non sarebbe strano se fosse lui ad aprire la crisi, visto che il voto sul Tav è andato come la Lega voleva?
La domanda vera è se il ministro dell’Interno vuole o no andare a elezioni anticipate. Ma attenzione: ai primi di settembre ci sarà il voto sulla legge costituzionale di riduzione del numero di parlamentari: dopo sarà complicatissimo andare alle elezioni.
Il segretario dem Zingaretti chiede che Conte salga al Quirinale per una verifica sulla maggioranza. Il presidente della Repubblica assumerà qualche iniziativa?
Non credo, se la prendesse sarebbe un omaggio formale alle opposizioni. Ribadisco: il punto è cosa vuol fare il leader della Lega. Se vuole aprire una crisi, la verifica della maggioranza è inutile. Viceversa si continuerà a dire, come fanno i 5 Stelle, che il voto sul Tav impegna il Parlamento e non il governo: dunque, nulla quaestio.
Altro possibile scenario è quello di un rimpasto o di un “rimpastino” con il sacrificio di Toninelli: servirebbe?
Indebolirebbe Salvini. Ricapitoliamo: uno che ha ottenuto il 34 per cento alle Europee, che ha avuto l’occasione di andare alle urne e non lo ha fatto e si accontenta di chiedere la testa di un ministro, dà una prova deludente al suo elettorato. In autunno il governo dovrà affrontare sfide durissime, non credo gli gioverà mettere sul tavolo lo scalpo di Toninelli. E anche avesse ottenuto la testa della ministra Trenta… L’unico risultato importante per Salvini sarebbe un cambio alla guida di Palazzo Chigi. Non lui stesso, un altro. Ma è difficile che lo ottenga.
Ai 5 Stelle converrebbe acconsentire a un rimpasto, anche mini?
Nel 1983 Ciriaco De Mita, che da poco era arrivato al vertice della Democrazia cristiana, subì una durissima sconfitta alle Politiche. E concesse la presidenza del Consiglio a Bettino Craxi, rivale che non aveva riportato uno straordinario successo alle urne. Per rimettersi in carreggiata dopo una débâcle elettorale, si può anche fare qualche concessione.
Insomma, cosa trattiene Salvini dall’andare a elezioni?
Ci vuole coraggio a rinunciare a quello che si ha per aprire una fase che è comunque avventurosa. I suoi consiglieri più moderati certamente lo spingono a non precipitare la situazione. Tutti gli rimprovereranno, dopo, di non averlo fatto: capitò a Renzi nel 2016 e ancora prima a Craxi nel 1991. Questo ardimento gli uomini politici italiani raramente lo hanno: accade più spesso, anche se con fortune diverse, altrove. C’è poi l’incognita giudiziaria. Molti commentatori e addetti ai lavori parlano del “Russiagate” come se ci fosse una carta coperta. Qualcosa che potrebbe mettere in guai seri Salvini.
Lei che ne pensa?
Credo che questa eventuale carta coperta nella vicenda giudiziaria faccia più paura a Salvini per le conseguenze di isolamento politico, anche a livello internazionale, che per quelle sull’elettorato. Tutte le notizie che sono emerse, a due riprese da febbraio a oggi, hanno avuto un impatto nullo sia sui sondaggi che sulle elezioni europee. Il vero timore di Salvini è che un eventuale, più grave, scandalo giudiziario possa fornire l’alibi per un esecutivo di unità nazionale con la Lega all’opposizione. Magari presieduto dallo stesso Conte.
I cittadini lo capirebbero?
Non credo, personalmente sono sempre scettico su operazioni di questo tipo. Per Salvini stare all’opposizione sarebbe più un’opportunità che un danno. Mentre metterebbe in grande crisi i 5 Stelle, che si troverebbero alleati di Pd e Forza Italia, davanti ai loro elettori. Anche se, tornando all’inizio di questa conversazione, il vincitore sarebbe di nuovo il premier Conte. Che durante questo difficile anno, è riuscito a orientare i 5 stelle verso una direzione istituzionale: tanto è vero che sembrano, agli occhi del Capo dello Stato, un partito più affidabile della Lega.